di CATERINA CAPPONI – Ansia, depressione, senso di solitudine e frustrazione sono diventati sentimenti diffusi. E come amministratori pubblici, abbiamo il dovere di rispondere a questa emergenza sociale, non solo con il potenziamento dei servizi sanitari, ma con una visione globale di inclusione e sostegno psicologico.
La salute mentale è un tema che, come tutti sappiamo, è ormai divenuto centrale nel dibattito pubblico e nelle priorità politiche, soprattutto in seguito alle sfide che la pandemia ha posto alle nostre comunità. È una questione che trascende il solo ambito sanitario, e le politiche sociali giocano un ruolo fondamentale nel suo trattamento e nella sua prevenzione. La salute mentale, infatti, non può essere separata dalla qualità della vita che una persona conduce, dai contesti sociali in cui cresce, vive e si relaziona.
La povertà, l’isolamento, la disoccupazione, le disuguaglianze, la difficoltà di accesso ai servizi sono solo alcune delle determinanti sociali che influenzano la salute mentale, spesso in modo profondo e devastante. Il nostro impegno come amministratori pubblici non si limita alla sola implementazione delle politiche sanitarie, ma deve abbracciare un approccio integrato, che consideri il benessere sociale ed emotivo di un individuo. Le politiche sociali devono favorire il benessere emotivo e psicologico attraverso interventi che coinvolgano scuola, famiglia, lavoro e ambiente urbano. Solo così potremo creare una rete di supporto che aiuti a prevenire i disturbi mentali, ma anche rispondere tempestivamente a quelli che si manifestano, offrendo percorsi di recupero e reintegrazione.
Non possiamo ignorare che la pandemia ha lasciato un segno indelebile sulla salute mentale delle persone, in particolare dei bambini e dei giovani. Gli effetti collaterali del lockdown, della didattica a distanza, dell’isolamento sociale e delle incertezze legate alla situazione sanitaria globale sono stati devastanti per le nuove generazioni. I bambini, ancora in fase di sviluppo emotivo e relazionale, e i giovani, spesso privi degli strumenti necessari per gestire il trauma, hanno visto peggiorare il loro benessere psicologico. Ansia, depressione, senso di solitudine e frustrazione sono diventati sentimenti diffusi. Come amministratori pubblici, abbiamo il dovere di rispondere a questa emergenza sociale non solo con il potenziamento dei servizi sanitari, ma con una visione globale di inclusione e sostegno psicologico.
L’integrazione tra il settore sanitario e il settore sociale è la chiave per una risposta efficace. A tal fine, la Regione Calabria ha avviato una serie di iniziative per garantire un accesso più rapido e diffuso alle risorse psicologiche, con progetti che coinvolgono scuole, associazioni, e centri di aggregazione giovanile.
Vogliamo offrire ai nostri bambini e ragazzi uno spazio protetto dove possano esprimere le proprie emozioni, affrontare le difficoltà e acquisire gli strumenti per affrontare le sfide future.
Inoltre, la pandemia ci ha mostrato quanto sia importante investire nel rafforzamento della rete di supporto sociale. Non possiamo più permetterci che le persone vulnerabili siano lasciate sole a fronteggiare le proprie difficoltà.
Le politiche sociali devono puntare a garantire la protezione, il supporto e l’inclusione di tutti, a partire dai più giovani, che sono i cittadini del nostro domani. Solo costruendo una società che offra pari opportunità di crescita e sviluppo emotivo potremo sperare di ridurre il carico delle malattie mentali e favorire il benessere collettivo.
Questo convegno rappresenta un’opportunità fondamentale per discutere le soluzioni e le pratiche che possiamo mettere in atto per rispondere in modo adeguato alla sfida della salute mentale nella nostra Regione. (cc)
[Caterina Capponi è assessore regionale alle Politiche Sociali]
I dati della Calabria
Secondo i dati dell’ultimo rapporto sulla salute mentale pubblicato dal Ministero della Salute alla fine del 2024, le persone in carico ai Dipartimenti della Regione, nel 2023, erano 17.636, con circa 470mila soggetti (le stime parlano del 20-30% della popolazione) che convivono con situazioni di disagio psicologico e disturbi mentali sottosoglia.
Numeri che raccontano di un disagio crescente, come confermano i dati degli accessi nei Pronto Soccorso calabresi per problematiche psichiatriche che, nel 2023, sono stati 15.407, ossia più di 40 al giorno. L’analisi delle diagnosi principali che hanno portato agli accessi in pronto soccorso mostra che le sindromi nevrotiche e somatoformi costituiscano il problema più frequente, con oltre cinquemila casi segnalati. Oltre 164mila, poi, le prestazioni erogate in un anno dai servizi territoriali, di cui 8.385 a domicilio.
La rete di assistenza psichiatrica in Calabria è articolata con cinque Dipartimenti di salute mentale, 43 centri territoriali, 22 strutture residenziali e 5 strutture semiresidenziali che offrono, rispettivamente, 412 e 52 posti tra pubblico e privato. Il costo complessivo dell’assistenza psichiatrica territoriale nella regione (ma i dati, ha precisato il Ministero nel report, sono provvisori) ammonta a 88 milioni di euro, di cui quasi 48 milioni destinati all’assistenza ambulatoriale e domiciliare, 4,6 milioni per l’assistenza semiresidenziale e 31,5 milioni per l’assistenza residenziale.
Per quanto riguarda il personale, secondo i dati diffusi dal Ministero alla fine del 2024, aggiornati al 31 dicembre 2022, il personale dei dipartimenti di salute mentale della Calabria contava 423 unità, di cui 98 medici (41 dei quali psichiatri). E poi 178 unità di personale infermieristico, 9 tecnici della riabilitazione psichiatrica, 11 educatori professionali, 31 Ota/Oss, 23 assistenti sociali, 13 amministrativi e 37 figure rientranti in altre categorie. Gli psicologi dei Csm sono 31, in media uno ogni 43mila abitanti.
In Italia, il numero di persone affette da disabilità mentali è di 16 milioni, con un incremento del 6% rispetto al 2022. Il 75%, circa 12 milioni, soffre di ansia e depressione. I numeri, però, raccontano di un Paese che arranca. I dipartimenti di salute mentale (Dsm) sono crollati, passando da 183 nel 2015 a 139 nel 2023.
Un taglio che si accompagna a un esodo di professionisti, con 25.000 operatori attivi, 55 ogni 100.000 abitanti, molto al di sotto degli 83 previsti dagli standard dell’Agenas e ratificati dal Ministero della Salute. La spesa pubblica per la salute mentale, intanto, rimane anemica: appena 3,6 miliardi l’anno, facendo dell’Italia il fanalino di coda tra i Paesi europei ad alto reddito. Dietro questa cifra, però, si nasconde un vuoto doloroso: un 3,5% di italiani, oltre due milioni di persone, secondo le stime non riesce a trovare aiuto. (rrm)