A Riace oggi la festa del ritrovamento dei Bronzi

È festa oggi a Riace: cinquant’anni dopo il ritrovamento dei Bronzi la spiaggia della cittadina sullo Jonio sarà di nuovo protagonista della grande scoperta.

Un evento simbolico, di (ri)appropriazione di tutto ciò che i due guerrieri rappresentano dal punto di vista storico e culturale: la loro immagine a grandezza naturale è stata frammentata in 50 tessere – una per ogni anno trascorso dal 16 agosto 1972 – che torneranno sulla riva riacese. 

Le tessere verranno portate nella parte centrale di Riace Marina, dove saranno i bambini a ricomporre il mosaico dei Bronzi.

La cittadina che ha dato il nome ai due guerrieri saluterà così il giorno del cinquantesimo anno dal loro ritrovamento, con un evento in cui l’aspetto ludico si unisce alla scelta di coinvolgere le nuove generazioni nel percorso di conoscenza delle bellezze del territorio e di consapevolezza della ricchezza rappresentata da questi due simboli della storia della Magna Grecia. 

All’evento, organizzato dal Comune di Riace e dalla Regione Calabria in partnership con ViaCondotti21 e con il gruppo Pubbliemme – Diemmecom – LaC network, parteciperanno il sindaco Antonio Trifoli e la vice Presidente della Regione Giusi Princi. 

Appuntamento alle 10.30 di oggi 16 agosto al lido Keros di Riace Marina (RC), via Nazionale.

È possibile rimanere aggiornati su eventi e iniziative sui social ufficiali, Facebook e Instagram, @bronzidiriace50 e seguendo l’hashtag ufficiale #bronzi50. Inoltre sul sito www.bronzi50.it saranno periodicamente pubblicate tutte le novità, con approfondimenti e interviste disponibili anche sul canale YouTube dedicato, Bronzi di Riace Official.

L’Evento celebrativo Bronzi50 1972-2022 è voluto e promosso dalla Regione Calabria in collaborazione con il Segretariato Regionale per la Calabria del Ministero della Cultura, il Comune di Reggio Calabria ed il Comune di Riace, della Direzione Regionale Musei Calabria, del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia, dell’Università della Calabria e di Unioncamere Calabria e l’Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria. L’intera progettazione di Bronzi50 è stata fortemente voluta dalla Regione Calabria.  (rrc)

L’ opinione della scrittrice Staropoli: Altro che festa, dei Bronzi sembra non importi a nessuno…

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Per recuperare l’identità morale, sulle basi della sua storia e della più intima tradizione, la Calabria ha bisogno necessariamente di uscire dal limbo della “strafottusissima” rassegnazione. Quello stato immateriale in cui si decompone miseramente ogni forma vita. È necessario, alla resistenza della specie, ch’essa si scolli nell’immediato dalla parte estrema del suo contorno grigio, e ritorni a vivere al centro dei colori. Distante dallo stato, che è luogo, onde stridono, dopo la vita, i morti col debito del peccato originale. È con la fine della condizione incerta e sospesa, che comincia l’assolutezza della determinazione. Diventare una regione credibile e affidabile. Un marchio di garanzia e un bollo di qualità, in grado di misurare la propria forza oltre il Pollino.

La grandezza di un Paese, infatti, non si quota sul suo stesso livello (regionale), ma su uno avanzato (nazionale e internazionale). Le capacità, le forze, le idee hanno bisogno di essere dimostrate. I valori, hanno necessità di essere praticati. E il coraggio di porsi a confronto, va censito. Alla presenza di nuove occasioni, queste non vanno mai ritornate al mittente, esse vanno colte e sfruttate. Rifiutata categoricamente, invece, va l’assistenza. È assistito, infatti, chi ha bisogno di cure, prestazioni, aiuto, soccorso. Un povero, quando non mistifica la sua povertà, non chiede mai l’elemosina. Ecco, la dignità di un popolo è frutto del suo lavoro. Della sua resistenza. Lavorare con dignità è un atto rivoluzionario, che non devono affermare le guerre, o i regimi totalitari, ma lo stato assoluto della democrazia. La Calabria, dunque, è una terra che va difesa, ma non compatita. E o si rialza la testa tutti quanti siamo, tutti insieme, adesso, o in questa terra, cara e amara, giunta è l’ora di chiudere le case, abbandonare le terre, mettere i lucchetti alle porte dei palazzi, ammainare le bandiere, scendere i lenzuoli bianchi dalle pareti dei comuni, imbavagliarle la storia, e partire. Al passo de Il canto dei nuovi migranti. In massa. Lasciandoci alle spalle il Pollino, i due mari, e anche la nostalgia.

Ma cos’è che passa davvero nella testa dei calabresi? Qual è la rotta che segue la nostra ragione? E perché a un certo punto del nostro cammino insieme, chi devia e chi abbandona?

Nonostante montano in noi, più vive e vivaci che mai, le fantasie degli dei, milioni di macchine targate Magna Grecia, lasciano il nostro paese. E chi esce, lo si sa, non torna più. Vi sono sirene ammalianti ovunque oramai, e il canto che stilla dalle loro bocche, è talmente lieto e grato da confondere ogni genere di gratitudine nei confronti delle patrie natali, con la più perfida e irrazionale sconoscenza.

Noi del Sud, ci siamo sempre lodati e imbrodati da soli, come gli infanti, cullandoci a modo nostro sulla classicità delle nostre radici. Che però non abbiamo mai convintamente mantenuto né gratificato.

Se dunque i panni sporchi si lavano in famiglia, io è che con noi (calabresi) che vorrei, non certamente sciacquarmi la coscienza, ma moderare, se possibile, quella collettiva che, o la si prende in carico tutti, o la si manda al macello.

Il giorno della Calabria, che è ogni giorno della sua storia, apre scenari su scorci romantici e straordinari, è vero, ma il danno che diventa beffa, e di cui noi calabresi è necessario ci riconosciamo primi responsabili, è che dagli stessi panorami romantici e straordinari essa si dissocia inesorabilmente. E non è che abdica, ripudia. E piuttosto che riconoscersi nella bellezza che per bontà del Creatore possiede, si dimena nelle annose diavolerie che sempre più l’hanno crocifissa, rilegandola al confino. Che Mentre Pavese, per esempio, in Calabria, al confino, in quel di Brancaleone, ci venne sì punito, ma con la bontà di riflettere su di sé e su di noi e sul resto dell’umano, allestendo pagine poetiche indimenticabili, essa si sconfessa inimicandosi persino la sua stessa storia, e sciupando, tra le altre cose, come fosse un capriccio da bambinetta, ogni bella stagione del suo tempo. Persino la sua maternità sacramentata. Il conto, infatti, in quest’attuale primavera, è proprio ai suoi due principali “patriarchi greci” che lo presenta. E quello che si ritrovano a pagare i Bronzi di Riace, per i cinquant’anni dal loro ritrovamento in mare, è davvero caro e amaro. Altro che festa! Niente versamenti in moneta, ma di sangue. Un massacro, se quantificato sulla base del loro splendore, o anche solo una tantum sulle tariffe del loro storico e artistico valore che, forse, meno male gli avrebbe fatto vedersi ributtare in mare.

Il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, che ospita i due storici guerrieri, manca di personale nella sua gestione. Accogliere i visitatori diventa un’impresa titanica. Tanto da dover sospendere la programmazione prevista per il mese di aprile. L’ouverture alla grande festa. Una questione quasi onirica, e che non saprei se raccontare più come dolore o come vergogna.

La solitudine inflitta alla storia è deplorevole, di più se indotta da una seria mancanza di presa di coscienza e di responsabilità.

Davvero bisognava arrivare fino a qui, a che il calendario segnasse cinquant’anni di scoperta, per essere colti impreparati? Ricordo, con molta onestà di patria, all’intero paese, che i Bronzi di Riace rappresentano una delle più grandi e valorose fortune del nostro patrimonio artistico culturale. Dunque, per una questione di giustizia storica e sociale, sarebbe bene capire a chi è che possa infastidire il dare adeguata riconoscenza alle due statue di bronzo. All’Italia, forse? Ai grandi musei nazionali, sui quali l’attenzione potrebbe venire meno? Alla ‘ndrangheta? A chi? A chi?

Le risposte potrebbero essere svariate, delle più varie, ma tutte, in egual misura, andrebbero a confluire nell’insieme comune. E dunque c’è una verità che emerge su tutte le altre: “dei guerrieri non importa niente a nessuno”. Nè all’appartenenza né all’identità né alla morale. Neppure ai calabresi stessi che, come i minchioni accozzano, e col basto carico di fottuta ignoranza, vanno avanti a testa bassa. E più il nervo frusta, più vanno. “To’, bestie! Bestie siete!”

Per l’ennesima volta, e duole forte il cuore, ci macchiamo di colpe grandi nei confronti della nostra stessa storia. E credetemi, un mazzetto di “soldanella” non sarà mai abbastanza per ricordarci chi siamo stati, chi siamo e chi “forse”, un dì, saremo. (gsc)