NON SI FERMA L’ESODO DEI GIOVANI DALLA
CALABRIA: CERCANO LAVORO ALL’ESTERO

di BRUNO MIRANTE – La valigia di cartone ha rappresentato un simbolo per tutti quei cittadini che nel secolo scorso hanno deciso di cercare la propria realizzazione umana e professionale lontano dalla propria terra. Poche competenze e tanta voglia di mettersi in gioco per costruire un futuro migliore per sé stessi e per la propria famiglia. Al giorno d’oggi, i giovani hanno ripreso a partire ma a differenza dei loro predecessori, si tratta di profili con un alto grado d’istruzione.

Un’Italia che fatica sempre di più ad essere competitiva – perché terzultima in Europa per percentuale di laureati – li spinge altrove, verso altri Paesi del Continente. Nel 2024 le emigrazioni verso l’estero, con un aumento del 20%, hanno fatto registrare il valore più elevato finora osservato negli anni Duemila: si è passati da 158mila del 2023 a poco meno di 191mila nel 2024. I dati emergono dall’ultimo rapporto Istat sulla popolazione italiana.

Germania, Spagna e Regno Unito le mete preferite

Ma l’aumento delle migrazioni verso l’estero è dovuto esclusivamente all’impennata di espatri di cittadini italiani (156mila, +36,5% rispetto al 2023) che si dirigono prevalentemente in Germania (12,8%), Spagna (12,1%) e Regno Unito (11,9%), mentre circa il 23% delle emigrazioni dei cittadini stranieri è riconducibile al rientro in patria dei cittadini romeni.

Il saldo migratorio con l’estero complessivo – spiega Istat – pari a +244mila unità, è frutto di due dinamiche opposte: da un lato, l’immigrazione straniera, ampiamente positiva (382mila), controbilanciata da un numero di partenze esiguo (35mila); dall’altro, il flusso con l’estero dei cittadini italiani caratterizzato da un numero di espatri (156mila) che non viene rimpiazzato da altrettanti rimpatri (53mila). Il risultato è un guadagno di popolazione di cittadinanza straniera (+347mila) e una perdita di cittadini italiani (-103mila).

Bolzano in testa per le partenze, Taranto la città meno abbandonata

La quota di espatri ogni mille residenti più alta risulta essere nel Nord-est e nelle zone di confine. Tra le prime 40 province per migrazioni figurano due grandi città come Milano e Bologna e solo nove territori del Mezzogiorno: Campobasso, Vibo Valentia, Cosenza, Ragusa, Teramo, Pescara, Chieti, Isernia e Reggio Calabria. Le province del Sud, infatti, si concentrano per lo più nella parte di classifica, dove si trovano i territori che pochi lasciano per andare oltre confine. La città meno abbandonata risulta essere Taranto con 4,4 emigrati ogni mille abitanti pur essendo una delle province italiane con i numeri peggiori in termini di occupazione. Di converso, a riprova che la partenza verso altri paesi non è sempre il risultato di una situazione economica depressa, in cima alla classifica figura Bolzano, una delle città che vantano un’alta qualità della vita nonché il primato nazionale in termini di natalità.

In Calabria le città si ripopolano durante le festività

Nel 2024 gli emigrati all’estero cosentini sono stati 800 in più rispetto all’anno prima e quasi 1200 in più se si prende in considerazione il 2022. L’incidenza pari a 10 emigrati ogni 1000 residenti è speculare al dato di Vibo Valentia, leggermente inferiore a Reggio Calabria. Ma la caratteristica comune delle città calabresi e del Mezzogiorno è il fenomeno che si manifesta a ridosso di festività o ponti lunghi. Le città si ripopolano di giovani assumendo un volto effervescente seppur temporaneo.

Fecondità al minimo storico

La fecondità, nel 2024, è stimata in 1,18 figli per donna, sotto quindi il valore osservato nel 2023 (1,20) e inferiore al precedente minimo storico di 1,19 figli per donna registrato nel 1995. La contrazione della fecondità riguarda in particolar modo il Nord e il Mezzogiorno. Infatti, mentre nel Centro il numero medio di figli per donna si mantiene stabile (pari a 1,12), nel Nord scende a 1,19 (da 1,21 del 2023) e nel Mezzogiorno a 1,20 (da 1,24). Per ciò che concerne la Calabria, il dato si attesta leggermente al di sopra della media nazionale all’1,25%. Mentre l’età media al parto è di 32,4 anni. Il primato della fecondità più elevata continua a essere detenuto dal Trentino-Alto Adige, con un numero medio di figli per donna pari a 1,39 nel 2024, comunque in diminuzione rispetto al 2023 (1,43). Come lo scorso anno seguono Sicilia e Campania. Per la prima, il numero medio di figli per donna scende a 1,27 (contro 1,32 del 2023), mentre in Campania la fecondità passa da 1,29 a 1,26. In queste regioni le madri sono mediamente più giovani: l’età media al parto è pari a 31,7 anni in Sicilia e a 32,3 in Trentino-Alto Adige e Campania.

Nel Mezzogiorno coesistono regioni che registrano la più alta fecondità nel contesto nazionale (Sicilia, Campania e Calabria) e regioni caratterizzate da livelli minimi (Sardegna, Molise e Basilicata). Tra le province, quella in cui si registra il più alto numero medio di figli per donna è la Provincia Autonoma di Bolzano (1,51 contro 1,57 del 2023). Seguono le province calabresi di Crotone (1,36) e Reggio Calabria (1,34) e quelle siciliane di Ragusa, Agrigento (entrambe 1,34) e Catania (1,33). (bm)

[Courtesy LaCNews24]

LA PRECARIETÀ È UN PROBLEMA DIFFUSO IN
CALABRIA: BASTA LAVORATORI “INVISIBILI”

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Chiedete ai vostri figli, ai vostri nipoti, quanti hanno una stabilità lavorativa. C’è una situazione di precariato diffuso. Non è solo la quantità, ma la qualità dell’occupazione». Sono dure le parole di Pierpaolo Bombardieri, segretario nazionale di Uil Calabria, nel corso della Carovana Uil, l’iniziativa del sindacato che ha gremito piazza dei Bruzi a Cosenza.

Una vera e propria ondata azzurra che ha colorato la piazza cosentina per sensibilizzare sul tema dei lavoratori fantasma: «Con questa nostra iniziativa in giro per l’Italia, vogliamo richiamare la politica, l’opinione pubblica e gli imprenditori sulla necessità di affrontare il tema della precarietà, perché occorrono decisioni e scelte che facciano diventare queste ragazze e questi ragazzi delle persone in grado di rivendicare ed esercitare diritti e tutele come chiunque altro», ha spiegato Bombardieri nel corso della manifestazione di Pescara dello scorso 3 aprile, sottolineando come «nonostante  record sbandierati dal governo sull’occupazione, la vita quotidiana ci dimostra tutt’altro: ancora troppi sono i precari e i lavoratori in nero, persone ridotte a fantasmi per la società, perché chi non ha un contratto a tempo indeterminato non può rivolgersi a una banca per un mutuo, non può comprare una macchina, non può acquistare un cellulare, ma soprattutto non può programmare la propria vita».

«Chi ha un lavoro precario è un fantasma – ha tuonato il sindacalista a Cosenza – non lo vede nessuno, soprattutto le banche e chi deve vendergli le case. Allora è necessario fare degli interventi per dare a questi ragazzi e a queste ragazze la possibilità di diventare persone».

«Per l’Istat – ha proseguito – 6 milioni di persone sono povere e 7 si avvicinano alla povertà assoluta. Ed è ovvio che chi guadagna 20-24 mila euro lordi l’anno, anche se ha un lavoro, non è in grado di vivere dignitosamente».

«Il Senato stima una perdita di 50.000 posti di lavoro. Ci dicono “niente panico”, ma provate a dirlo a chi rischia di non pagare il mutuo o la rata dell’auto. Per loro è una catastrofe reale, non una crisi astratta», ha proseguito Bombardieri, per poi parlare del tema dei dazi: «il governo parla solo con le imprese. Ma se le aziende chiudono, chi perde il lavoro sono i lavoratori. Chiediamo che al tavolo siedano anche i sindacati, non solo una parte del Paese».

«Ci sono 400.000 lavoratori e lavoratrici in aziende che producono servizi e beni esportati soprattutto negli Stati Uniti d’America, per quasi 70 miliardi: in particolare il settore meccanico, con 11 miliardi e mezzo, quello della moda, con 5 miliardi e quello agroalimentare, con 7,8 miliardi», aveva spiegato Bombardieri a Napoli, nel corso del convegno organizzato dalla Uil Polizia sul tema della sicurezza.

«Se i dazi – ha precisato il leader della Uil – producono un ridimensionamento delle attività almeno del 10%, rischiamo decine di migliaia di posti di lavoro. È necessario intervenire subito differenziando i mercati: dobbiamo trovare altre zone dove poter esportare. E, poi, bisogna favorire i consumi nel nostro Paese: ecco perché rilanciamo l’idea di detassare gli aumenti contrattuali e di rinnovare i contratti. Serve, infine, che l’Europa dia una risposta chiara e non che a trattare sia ogni singolo Stato, perché questo ci renderebbe più deboli.

«In tale quadro – ha detto Bombardieri – ribadiamo anche che il Patto di stabilità è un errore dal punto di vista economico: finalmente anche la Presidente del consiglio ha assunto questa posizione».

Le soluzioni ci sono, secondo Bombardieri, e ne suggerisce alcune: diversificare i mercati, affidare all’Europa le trattative, aumentare i salati per rilanciare i consumi e sbloccare i contratti scaduti dei metalmeccanici e del pubblico impiego.

«Serve una svolta sul precariato: la Spagna ha limitato i contratti a termine e l’occupazione è cresciuta», ha detto ancora Bombardieri, passando poi sul tema della Questione Meridionale, «scomparsa dai radar».

«Ma senza il Sud, l’Italia non riparte – ha ribadito –. Il Mezzogiorno ha bisogno di infrastrutture, investimenti e attenzione reale. Chi vive lì ha la stessa dignità di chi vive altrove».

«Basta lavoratori invisibili. È il momento di scelte coraggiose per un’Italia più giusta, più inclusiva, più vera», ha concluso Bombardieri.

Mariaelena Senese, segretaria generale Uil Calabria, sa bene qual è la situazione regionale, a livello occupazionale: «il 61% dei giovani calabresi è assunto con contratti atipici o a tempo determinato».

«Noi oggi vogliamo parlare di lavoro stabile», ha detto Senese, sottolineando «la lungimiranza di questa iniziativa dedicata al precariato, che è una piaga che affligge in modo particolare questa regione. C’è un effetto di scoraggiamento evidente».

«Il Governo continua a mentire sull’occupazione, dicendo che la percentuale degli occupati è aumentata e siamo a livelli record. La maggior parte di questi occupati, però, sono precari o a tempo determinato. Di questi, tanti sono giovani: come si può pensare a un futuro se non si ha la certezza del lavoro?», ha chiesto la sindacalista.

Tanti, sul palco della Uil, a riflettere sul tema del lavoro: Emanuele Ronzoni, segretario organizzativo della Uil, la vicesindaca di Cosenza, Maria Locanto, che ha parlato dell’importanza di «parlare di lavoro oggi» e di come «il precariato è la vera piaga del lavoro di oggi. La parola sfruttato e la parola lavoro non possono stare insieme».

«Ogni testimonianza è importante e insieme abbiamo messo in luce le problematiche reali che meritano di essere ascoltate e affrontate. Come sempre porteremo ai tavoli del governo proposte concrete per costruire un futuro più giusto e equo per tutti», dice il sindacato in una nota.

La due giorni della carovana della Uil è stata, dunque, un’occasione di confronto e crescita «in una piazza, quella di Cosenza, piena di giovani che rappresentano il nostro futuro». (ams)

GUARDANDO AL NORD-EST, C’È L’AMAREZZA
DI UNA CALABRIA INCAPACE DI AFFERMARSI

di SANTO GIOFFRÈ  – Nei giorni scorsi sono stato in Friuli Venezia Giulia e Veneto. Ne ho apprezzato il perfetto ordine regnante. Sanità pubblica al 70%, in grado di affrontare e risolvere tutte le esigenze/emergenze sanitarie della loro gente. Le strade tutte asfaltate, nemmeno una buca a cercarla pedissequamente. Non una busta di spazzatura lanciata o lasciata ai margini. Paesi pieni e curatissimi.

Ricchezze che sbucavano da tutti i vicoli non asfaltati, per sciccheria e trend, dei griffati, ricchissimi vigneti. Eppure, all’inizio del ‘900, per fame, i Veneti emigrarono il doppio dei calabresi, fino al fascismo. La bonifica delle paludi pontine la fecero con i sudori e le vite dei Veneti. Bene, mentre dopo la guerra coloro che governarono il Veneto, pure se fottevano, le cose le facevano, in Calabria, fottevano pure le cose che dovevano fare.

I poteri palesi e oscuri dello Stato, qui, s’inventarono la ‘Ndrangheta, suo vero braccio violento, con l’obiettivo di arricchirsi reciprocamente attraverso il dominio delle risorse che vennero trasformate in economia criminale.
Nel farlo, hanno sospeso la Costituzione e istituzionalizzato, elevandola a governo della Cosa Pubblica, la cromosomica incapacità di elaborazione minima delle dinamiche reali dei processi sociali, approfittando, anche, dell’atavica propensione al servilismo dei calabresi. Trasformandoli in emigranti-schiavi col doppio risultato: manodopera a gogò, con bassi diritti e salari da fame, funzionale solo allo sviluppo economico e industriale del Nord; tenere la Calabria in uno stato di perenne instabilità sociale.

Creando un enorme sottoproletariato di funzione e, per generazioni, eternamente trattenuto dentro una situazione di equilibrio precario a disposizione dello stato dei bisogni di scopo del Potere. Qualsiasi colore assuma quel Potere.

Il Nord-Est ha visto e intrapreso la sua strada. Noi, abbiamo subìto un processo, all’inverso: una perenne sperimentazione su come auto-allevarci vitelli per ogni macello. C’è un articolato piano e processo a monte. Persino il PCI ne uscì, storicamente, strumentalizzato, tanto che non pensò mai a feroci campagne di irregimentazione ideologica delle masse con fasi di lotta armata per l’equilibrio territoriale.

Ora, abbiamo, tenendo conto dell’autonomia differenziata già in vigore, solo due strade da intraprendere: o ci rassegniamo e andiamo verso l’estinzione antropologica dei calabresi, al di là delle battute georgiche come la cosiddetta”restanza” che non ho mai capito cosa sia, se non una banale parola senza un’anima che includa una ricercata prassi sociologica e storica, o passiamo a fasi politiche che portino all’espulsione totale di questa classe dirigente, la qualunque classe dirigente, impadronendoci del nostro destino, gestendolo e sottomettendolo ai bisogni.

Iniziando ad imporre un modo rivoluzionario nella gestione della Cosa Pubblica. Senza accettare nessun mediazione. Decidetevi altrimenti, non vedremo, mai, le bellezze del Nord-Est. (sg)

Occhiuto visita sedi Konecta Rende e Crotone

Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ha visitato le sedi di Rende e Crotone della società Konecta che, attraverso il progetto di dematerializzazione delle cartelle cliniche, ideato dalla Regione Calabria, ha potuto assorbire i lavoratori dell’ex Abramo Customer Care.

Attualmente i neo assunti sono in fase di formazione ed attendono di iniziare l’attività per Konecta, che prevede già entro il primo anno di riuscire a digitalizzate 1 milione e 300 mila cartelle.

La vertenza Abramo Customer Care, che coinvolgeva circa 1000 lavoratori a rischio licenziamento, si è chiusa positivamente dopo un percorso lungo e complesso, frutto di tanto impegno e del grande lavoro di squadra che la Regione ha saputo mettere in campo, grazie anche alla sinergia preziosa con il governo e con tutte le organizzazioni sindacali.

Un accordo che ha permesso il passaggio dei lavoratori alla società Konecta, garantendo la piena continuità occupazionale e il mantenimento delle condizioni contrattuali.

In questo progetto la Regione Calabria ha investito 15 milioni di euro, ai quali si aggiungono 5 milioni messi dal governo nazionale per dematerializzare le nostre cartelle sanitarie.

«Sono felice, sono molto soddisfatto di come si sia conclusa questa delicatissima vertenza – ha dichiarato il presidente Occhiuto – che metteva a rischio circa 1000 posti di lavoro in Calabria. Si garantisce il diritto al lavoro a donne e uomini, e la serenità alle loro famiglie».

«Abbiamo ideato – ha proseguito – un modello innovativo, qualcuno i primi mesi mi definiva un visionario, per la riconversione e il reinserimento nel mercato dei lavoratori dei call center, un modello al quale adesso altri territori guardano con interesse».

«La Regione, in questa difficile e cruciale partita – ha sottolineato – non si è mai tirata indietro con tutte le sue articolazioni e ha potuto raggiungere questo importante risultato con il supporto del governo e delle organizzazioni sindacali».

«Per questo – ha aggiunto –desidero ringraziare ancora una volta il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il capo di gabinetto di Palazzo Chigi, Gaetano Caputi, il sottosegretario di Stato con delega all’Innovazione, Alessio Butti, le strutture del ministro Adolfo Urso, Francesco Soro, ad dell’Istituto Poligrafico dello Stato, Pietro Labriola, ad di Tim, e Angelo Borrelli, capo del Dipartimento per la trasformazione digitale».

«Ringrazio, anche – ha proseguito – i vari soggetti istituzionali che hanno partecipato insieme a me a tutti i tavoli: il mio vicepresidente Filippo Pietropaolo che ha lavorato insieme al suo direttore generale, Tommaso Calabrò, alla convenzione del progetto della dematerializzazione con l’Istituto Poligrafico dello Stato, l’assessore al Lavoro, Giovanni Calabrese, che insieme al suo Dipartimento e ai direttori generali, Fortunato Varone e Maurizio Nicolai, ha prodotto diversi bandi a sportello propedeutici a questa soluzione, i miei preziosi consulenti Ettore Figliolia e Alessandro Ruben, che hanno seguito passaggi chiave di questa vicenda».

«Ringrazio, infine – ha concluso – Andrea Lubian, direttore generale Konecta Group, che ha creduto in questo progetto e che ha garantito – facendo un ulteriore sforzo organizzativo – che entro qualche settimana anche gli ex lavoratori a progetto di Abramo saranno assunti e faranno dunque parte della loro squadra». (rcz)

LA CALABRIA, NON È UNA REGIONE PER LE
DONNE, TRA DIVARIO E DISOCCUPAZIONE

di MARIAELENA SENESE e  ANNA COMI Per fare uscire le donne dal limbo lavorativo nel quale si trovano è necessario promuovere la stabilità lavorativa e sostenere la conciliazione fra vita e lavoro. Le donne in Calabria sembrano condannate a svolgere lavori precari e discontinui. Quello che serve invece, è una regione più forte ed inclusiva e per raggiungere questo risultato tutto passa, inevitabilmente, dalla compiuta parità di genere.

Per favorire la crescita di quella giustizia sociale così difficile da raggiungere per le donne calabresi, siamo pronti a proporre un’agenda di interventi mirati per affrontare queste disparità e promuovere una Calabria più equa e competitiva.

In Calabria, meno di 1 donna su 3 in età lavorativa ha un’occupazione regolare. Il tasso di occupazione femminile è stabilmente inferiore al 35%, contro una media nazionale che si attesta intorno al 50%, e ben distante dai valori europei che superano il 60%. Questo dato colloca la Calabria tra le regioni peggiori in Europa in termini di inclusione femminile nel mercato del lavoro.

Per questo chiediamo misure concrete per abbattere le barriere di genere e creare un mercato del lavoro più in linea con quello europeo, quali: incentivi fiscali per l’assunzione di donne che si concretizzino in agevolazioni fiscali e sgravi contributivi per le imprese che assumono donne, specialmente nelle aree rurali e nei settori dove le disparità di genere sono più marcate.

In Calabria, la maggioranza dei contratti femminili è a termine o part-time involontario. Le donne calabresi, più degli uomini, sono costrette ad accettare occupazioni a tempo ridotto non per scelta, ma per mancanza di alternative a tempo pieno. Questo fenomeno accentua la fragilità economica femminile, riduce la possibilità di accumulare contributi per la pensione e amplia il divario di reddito tra uomini e donne. E quando le donne calabresi riescono a trovare un’occupazione, i loro salari sono mediamente inferiori di circa il 30% rispetto ai colleghi uomini.

Oltre alle difficoltà di accesso e permanenza nel mercato del lavoro, sulle donne calabresi grava quasi esclusivamente il peso del lavoro di cura familiare, che continua a essere invisibile dal punto di vista economico e previdenziale. Oltre il 70% delle donne calabresi inattive dichiara di non poter cercare lavoro a causa di impegni familiari e di cura.

Per superare questo divario allarmante e insopportabile, poi, è opportuno il sostegno concreto alla conciliazione vita-lavoro che può essere ricercato solo attraverso l’ampliamento della rete di servizi di supporto per le famiglie e voucher per l’assistenza privata, con l’incentivazione del telelavoro e della flessibilità oraria per le dipendenti madri, offrendo vantaggi alle aziende che adottano queste misure, per rendere il lavoro femminile più compatibile con le esigenze familiari.

Come sarebbe importante sostenere la concretizzazione, lavorativa e previdenziale, della figura del caregiver. La Regione deve investire nell’espansione e nel potenziamento dei servizi di Assistenza domiciliare integrata, garantendo un maggiore accesso a professionisti sanitari a domicilio, in modo da supportare i caregiver nella gestione di malattie croniche e nella somministrazione di terapie; servizi di sollievo, che prevedano l’intervento di assistenti sociali o operatori sociosanitari per alcune ore al giorno o alla settimana, in modo da permettere ai caregiver di avere del tempo libero per sé. La riforma del welfare regionale deve passare anche da qui: dal riconoscimento e dal sostegno a chi si prende cura dei più fragili.

Senza dimenticare la necessità di accelerare la realizzazione di nuovi asili nido, al fine di allineare la Calabria alla disponibilità di posti della media nazionale. Dobbiamo ricordare che nella nostra regione meno di un comune su 5 offre il servizio, a fronte di una media nazionale del 59,3% molto al di sotto della media nazionale che è pari al 27,2% e dell’obiettivo del 33% stabilito in sede Ue, e che il Pnrr stanzia una enorme mole di investimenti per gli asili nido e le scuole per l’infanzia.

Sarebbe determinante potenziare il sistema di welfare regionale, attraverso contributi aggiuntivi per le famiglie e sostegno economico alle lavoratrici, in modo da ridurre il rischio di ritiro dal mercato del lavoro per ragioni economiche.

Così come, infine, sarebbe decisivo promuovere finanziamenti e microcredito per l’imprenditoria femminile, per sostenere le donne che desiderano avviare nuove attività, soprattutto in settori tradizionali e innovativi, come il turismo e l’artigianato, capaci di svincolare le donne da quegli ambiti, come la cura delle persone o la scuola, che ne hanno storicamente contraddistinto l’impegno lavorativo. La parità di genere non è solo una questione di giustizia, ma un motore per la crescita economica e sociale della Calabria. Offrire pari opportunità alle donne significa costruire una Calabria più forte, inclusiva e innovativa. (ac e ms)

[Mariaelena Senese e Anna Comi sono rispettivamente segretaria generale Uil Calabria e Responsabile Coordinamento pari opportunità
Uil Calabria]

LA CALABRIA HA LE CARTE IN REGOLA PER
CREARE UNA SILICON VALLEY DEL SOCIALE

di FRANCESCO RAOLa regione Calabria, nel compiere il complesso percorso di crescita strutturale, porta con sé, oltre ai segni di una economica fragile un marcato invecchiamento della popolazione.

Osservando la piramide dell’età (figura n. 1), si rileva ad occhio nudo l’importante sfida da affrontare per poter garantire un sistema di welfare in grado di rispondere in modo adeguato alle crescenti esigenze assistenziali di anziani e bambini. In tal senso, il ruolo svolto dai Piani di Zona e tutte le politiche sociali messe in campo dalla regione Calabria, incontrano oggi il ritardo accumulato a seguito del mancato recepimento dell’allora Legge 328/2000, ma potranno rappresentare una importantissima svolta e recuperare strada grazie al supporto fornito dalla sentenza n. 130/2020 della Corte Costituzionale attraverso la quale si è aperta la procedura di co-progettazione tra Enti Locali e Terzo Settore per l’erogazione di servizi sociali avanzati e di prossimità.

Il contesto demografico ed economico della Calabria gioca un ruolo fondamentale, anche perché, nel corso degli ultimi decenni, la regione ha vissuto il progressivo invecchiamento della popolazione, accompagnato tra l’altro da un declino del tasso di natalità e da un fenomeno migratorio che ha portato alla dispersione dei giovani verso aree economicamente più dinamiche dell’Europa e del mondo. I recenti dati Istat evidenziano che la percentuale di anziani nella regione supera quella della media nazionale, incidendo significativamente sulla capacità del sistema assistenziale nel fornire servizi adeguati.

Questa situazione è rilevata in un contesto sociale nel quale le persistenti difficoltà occupazionali determinano un reddito pro capite per i Calabresi che è pari ad un terzo dei residenti in Lombardia. Già questo dato dovrebbe far riflettere molto quanti pensano che sia semplice risolvere nel brevissimo periodo le evidenti criticità afferenti alla sanità e alle politiche sociali. Da un punto di vista storico, il nostro modello di solidarietà sociale, consolidato nel dopoguerra e ulteriormente sviluppato attraverso normative quali lo Statuto dei Lavoratori del 1970, si fondava su principi di solidarietà e protezione universale, attraverso un sistema nazionale.

Successivamente, con la modifica del Titolo V della Costituzione, le competenze sono state trasferite alle regioni e in ognuna di esse vi è stata la possibilità di rilevare nel tempo i punti di forza e punti di debolezza per i quali oggi, nel Meridione, grazie al Pnrr, si sta lavorando con l’intento di ridurre il divario dei servizi tra Nord e Sud. Ulrich Beck, noto sociologo che ha teorizzato la “società del rischio”, ha più volte sottolineato come il mondo contemporaneo sia dominato da rischi diffusi e incertezze strutturali, richiedendo come azione solutiva risposte collettive e sistemiche. In tal senso, la cooperazione tra Enti Locali e Terzo settore, rappresenta il superamento praticabile al tradizionale modello assistenziale non più sostenibile in quanto le necessità bisogna affrontarle nei rispettivi territori e non in pochi centri destinati ad essere iper-affollati e non funzionali.

Inoltre, per affrontare in modo strutturale la necessità presenti sui territori della Calabria, occorrono competenze e processi occupazionali veloci. Nel rispetto delle vigenti leggi ed in particolare della Legge “Madia”, sappiamo benissimo che l’accesso alla Pubblica Amministrazione avviene solo tramite concorso pubblico e non per chiamata diretta. Considerato come prioritario il fabbisogno e il divario tra le aspettative di una società in rapido invecchiamento e le risorse effettivamente disponibili nelle regioni economicamente deboli come la Calabria, l’unica strada percorribile è quella di superare i modelli ingessati e aprire alla co-progettazione, interessando il segmento sano e competente del Terzo Settore presente in Calabria e grazie ad esso generare immediate risposte in tutti i 404 comuni della regione.

In tal senso, nella criticità ci sarà una opportunità straordinaria che consentirà il perseguimento del bene sociale. Ecco perché la Calabria, con la sua realtà complessa, può dar vita ad una “Silcon Valley del sociale”, attraverso la creazione di una cabina di regia operativa nella quale le competenze potranno essere fornite dall’apporto delle Università, dal sistema del Welfare regionale e dal Terzo Settore. 

Gli ambiti ai quali rivolgere la massima attenzione dovrebbero essere innanzitutto gli asili nido e le strutture residenziali per anziani e l’avvio delle procedure dovrebbe interessare inizialmente le aree interne per giungere poi all’uniformità regionale del servizio.

La Calabria, in tal senso, potrebbe configurarsi come un esempio nazionale concreto attraverso il quale le difficoltà che caratterizzano gli odierni contesti marginali potrebbero generare contemporaneamente occupazione di personale specializzato e superamento della povertà sociale vissuta in prima persona da anziani e bambini e riflessa nella conciliazione dei tempi liberi e di lavoro soprattutto di tante donne calabresi, dedite ancora ad assistere in casa genitori e figli per mancanza di strutture pubbliche. Inoltre, si potrebbe immediatamente rilevare una riduzione di presenze presso gli ospedali, in quanto a regime si potrebbe immaginare l’estensione di molti protocolli di cura da praticare a domicilio attraverso una medicina di prossimità.

La regione Calabria, per molto tempo, ha sofferto di una carenza cronica di investimenti pubblici ma tutto ciò. Non dovrà essere il prosieguo di una narrazione negativa. Da tale causa, senza voler dare colpa alcuna ai privati, abbiamo assistito alla costante obsolescenza delle infrastrutture sociosanitarie e dei rispettivi servizi resi, spesso dislocate in maniera disomogenea sul territorio e oggi, recuperare quel divario, è una autentica sfida titanica al quale bisogna guardare l’obiettivo con fiducia e con un metodo ben preciso.

I rapporti Svimez, nel corso degli anni, hanno puntualmente sottolineato l’incidenza della disoccupazione rispetto al Centro-Nord, evidenziando di volta in volta un divario sostanziale nella capacità di offrire servizi assistenziali di qualità. Inoltre, il fenomeno della “fuga di cervelli”, come documentato dal Censis, ha ulteriormente impoverito il capitale umano locale, indebolendo le potenzialità di innovazione e rigenerazione del sistema di welfare.

In un simile contesto, il ruolo della famiglia e delle reti comunitarie, in passato fondamentali per la coesione sociale, risulta spesso insufficiente a compensare le lacune del sistema pubblico. Alla luce delle evidenti criticità, è imprescindibile un intervento multilivello finalizzato a rinnovare il modello di welfare in Calabria. Perciò è necessaria una revisione degli investimenti nel settore sanitario e nei servizi sociali, con particolare attenzione alle aree rurali e alle periferie. L’integrazione di tecnologie digitali, quali la telemedicina e l’assistenza domiciliare, potrebbe migliorare significativamente l’efficienza e la capillarità dei servizi, riducendo i costi e garantendo una maggiore accessibilità.

L’esperienza di altri Paesi europei, i quali dopo aver adottato modelli di welfare integrato e partecipativo, rappresentano oggi un punto di riferimento importante. È altresì fondamentale promuovere politiche di decentralizzazione e maggior autonomia gestionale per le amministrazioni locali, in modo da personalizzare gli interventi in base alle specificità territoriali.

Richiamando quanto scrisse Anthony Giddens in “Modernity and Self-Identity”, proprio da quel testo si potrebbe intravedere il metodo da applicare alla realtà calabrese per superare le criticità evidenti e, come già detto, creare importanti occasioni occupazionali. In questa ottica, le politiche di welfare dovranno essere concepite non solo come strumenti di protezione, ma anche come leve per rafforzare il tessuto sociale e promuovere la partecipazione attiva dei cittadini.

La grande trasformazione in atto richiede un intervento strutturale che integri investimenti mirati, innovazione tecnologica, competenze e una rinnovata partecipazione civile. Solo attraverso un approccio integrato e multidimensionale sarà possibile superare le attuali criticità e garantire, anche nei territori più deboli, un welfare state sostenibile, inclusivo e capace di tutelare la dignità di ogni cittadino.

Ripartire dagli Uffici di Piano, attraverso una valorizzazione dell’importantissimo lavoro svolto sino ad ora e prevedendo una maggiore sinergia formativa potrà sicuramente segnare l’avvio di un percorso virtuoso attraverso il quale la co-progettazione potrà esprimere qualità, professionalità e soprattutto restituirà la dignità a moltissime persone, ricordandoci che tra essi ci sono anche i nostri genitori. (fr)

[Francesco Rao è docente a contratto cattedra di sociologia generale – Università “Tor Vergata” Roma]

I GIOVANI, LA PRECARIETÀ E IL RIFIUTO DEL
POSTO FISSO: UNA SFIDA PER LA CALABRIA

di FRANCESCO RAONegli ultimi decenni, il concetto di “posto fisso” – da sempre simbolo di sicurezza economica e stabilità sociale – ha subito una radicale trasformazione. In una società in continuo mutamento, anche i Millennials del Meridione, hanno posto un approccio differente al paradigma tradizionale riconducibile all’impiego stabile, adottando una visione del lavoro più fluida e dinamica.

Il modello del posto fisso, radicato nell’Italia del dopoguerra, era strettamente legato a una concezione di società caratterizzata da una forte divisione del lavoro, da una gerarchia ben definita e da norme sociali che garantivano l’inclusione e la solidarietà. Le riforme come lo Statuto dei Lavoratori del 1970 e le norme contrattuali consolidavano il legame tra individuo e istituzione, promuovendo un modello di fedeltà aziendale e sicurezza previdenziale. Con l’avvento della globalizzazione, della digitalizzazione e delle trasformazioni tecnologiche, autori come Ulrich Beck hanno descritto la nascita della “società del rischio”, in cui le tradizionali garanzie diventano sempre più fragili. In tale contesto, la progressiva erosione del modello industriale ha fatto emergere una realtà caratterizzata da contratti precari e forme di lavoro atipiche, in cui il rischio diventa una componente intrinseca della vita professionale e al contempo tale instabilità, si è diffusa nel tessuto sociale generando precarietà e marginalità sociale. Anche per buona parte dei Millennials calabresi, l’approccio al lavoro assume una identità diversa rispetto al passato.

La nuova etica del lavoro non è più solo una questione economica, ma rappresenta anche un percorso di autodefinizione e realizzazione personale. Da un punto di vista sociologico, grazie al pensiero di Anthony Giddens sulla “riflessività della modernità”, comprendiamo perché i giovani contemporanei sono chiamati a rinegoziare il significato del lavoro in un contesto in cui la tradizionale identità professionale si dissolve a favore di una molteplicità di esperienze e ruoli. In Calabria, il tessuto economico è stato storicamente segnato da instabilità e disuguaglianze e l’adozione di modelli flessibili – come il lavoro freelance, lo smart working e l’autoimprenditorialità – risponde a un doppio imperativo: cercare autonomia e superare le limitazioni di un mercato del lavoro che, come evidenziato da dati Istat (2023), registra un aumento del 40% dei contratti a termine negli ultimi dieci anni.

La carenza di tutele sociali, la difficoltà di accesso al credito per l’autoimprenditorialità e le infrastrutture digitali insufficienti in Calabria rappresentano sfide significative e prioritarie. La lettura sociologica del fenomeno evidenzia come il processo di individualizzazione – caratteristico della modernità tardiva – possa generare un aumento del senso di precarietà e isolamento, se non accompagnato da politiche pubbliche in grado di garantire una rete di sicurezza adeguata. Come già anticipato, il contesto socioeconomico del Sud Italia presenta peculiarità che incidono profondamente sulle scelte dei giovani.

Secondo il recente rapporto Svimez, il tasso di occupazione nel Meridione è inferiore di circa 20 punti percentuali rispetto al Centro-Nord, mentre in Calabria la prevalenza di contratti precari e il lavoro informale sono ormai all’ordine del giorno. Queste condizioni hanno contribuito a creare una “cultura della fuga”.

Il Censis nel 2022 prevedeva che tra il 2000 e il 2020 oltre 500.000 giovani lasceranno il Sud in cerca di opportunità, ponendo lo sguardo all’indietro, quello studio era veritiero e oggi, in mancanza di riforme strutturali e concretezza, si rischia di compiere il secondo atto alimentando ulteriormente la “fuga di cervelli”.

Queste dinamiche orientano la profonda trasformazione culturale in atto nella quale il lavoro diventa uno strumento per esprimere la propria identità e non pià un mezzo per garantire la sussistenza e la progettualità del futuro. Tale dinamica, attraverso le scienze sociali, può essere letta come un processo di disaffezione dalle istituzioni e dalla tradizione, in cui la mancanza di investimenti in infrastrutture digitali e la debolezza del tessuto imprenditoriale locale spingono i giovani a cercare identità e opportunità altrove.

La teoria della “società liquida” di Zygmunt Bauman, oltre a descrivere un mondo in cui le strutture sociali sono in costante divenire e l’incertezza è una normalità, trova una perfetta applicazione in questo contesto ma trascura l’evidente segno di malessere delle generazioni anziane, sempre più sole e soprattutto esposte ad un sistema di istituzioni digitali con le quali, il digital divide, non consente il dialogo.

L’evoluzione del mondo del lavoro e il rifiuto del posto fisso da parte dei giovani del Meridione costituiscono una sfida complessa che richiede una riflessione multidimensionale. Se da un lato il modello tradizionale si dimostra ormai inadatto a una società in rapido cambiamento, dall’altro l’assenza di un adeguato supporto strutturale rischia di tradurre la flessibilità in ulteriore precarietà.

Le teorie sociologiche contemporanee ci invitano a considerare il lavoro non solo come una dimensione economica, ma anche come uno spazio di identità, appartenenza e trasformazione sociale. La sfida per il futuro sarà quella di coniugare innovazione e stabilità, promuovendo politiche che incentivino l’autoimprenditorialità e investimenti nelle infrastrutture digitali, senza dimenticare l’importanza di una tutela sociale che risponda alle nuove dinamiche del mercato.

In definitiva, il fenomeno osservato nel Meridione non rappresenta un semplice capovolgimento delle logiche occupazionali, ma una profonda trasformazione del modo in cui le nuove generazioni concepiscono il proprio futuro e il loro ruolo nella società. Solo attraverso una comprensione integrata di queste dinamiche sarà possibile costruire un modello di sviluppo che valorizzi la flessibilità senza sacrificare la sicurezza e l’inclusione sociale. (fr)

[Francesco Rao è docente a contratto cattedra di sociologia generale – Università “Tor Vergata” Roma]

IN CALABRIA SI VA IN PENSIONE SEMPRE PIÙ
TARDI E SEMPRE PIÙ POVERI: È ALLARME

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria si va in pensione sempre più tardi e sempre più poveri. È l’allarme lanciato dallo Spi Cgil Calabria, evidenziando come «la prospettiva è una regione di anziani, con difficoltà a potersi occupare della propria salute, molti dei quali senza riferimenti familiari, vista la sempre più gravosa emigrazione giovanile».

Un quadro non confortante, ma già ben chiaro quando, a novembre, era stato presentato il Rendiconto sociale 2023 dell’Inps a Catanzaro: «il quadro demografico conferma un progressivo invecchiamento: gli over 65 rappresentano il 23,9% della popolazione regionale, pari a quasi un abitante su quattro. Il saldo naturale, tra nascite e decessi, continua a essere negativo, in linea con le tendenze nazionali, ma aggravato da un’emigrazione significativa, soprattutto giovanile».

A questo invecchiamento, si accompagnano dei dati sul lavoro preoccupanti: Nel 2023, il tasso di disoccupazione generale è salito al 16,2% (rispetto al 15% del 2022) e quello giovanile ha raggiunto il 35,2% per gli uomini e il 35% per le donne nella fascia d’età 15-29 anni. Dei 150mila nuovi contratti stipulati, quasi l’82% sono a termine, stagionali o di somministrazione, configurando un mercato del lavoro precario che penalizza i giovani, costringendoli a cercare stabilità altrove.

Anche per le pensioni il quadro non è roseo: in Calabria sono significativamente più basse rispetto alla media nazionale, con importi medi mensili inferiori per le donne, segno di una maggiore discontinuità lavorativa e di una parità retributiva ancora lontana. Sul fronte del welfare, nel 2023 sono state erogate 178.767 prestazioni di invalidità civile, con un incremento del numero di nuove prestazioni rispetto al 2022. Anche le misure di sostegno al reddito, come reddito e pensione di cittadinanza, hanno registrato oltre 46.000 richieste, di cui il 63% accolte.

«Al contrario di quanto annunciato con slogan e proclami – ha illustrato il sindacato – la legge Fornero non è stata affatto superata. L’età pensionabile è stata posticipata ai 70 anni. La flessibilità in uscita azzerata nel 2024 (meno 15,7% delle pensioni anticipate rispetto al 2023), così come l’opzione donna (con un taglio del 70,92% delle domande del 2024 confrontate con quelle del 2023 – 3.489 nel 2024 confrontate con 11.996 del 2023 – e nel 2025 il taglio sarà ancora più alto».

«C’è, poi – si legge – il nodo della quota 103 (62 + 41 anni di contributi) che è stata prorogata con il ricalcolo contributivo, con un importante taglio sul calcolo della pensione. Per chi è già in pensione non va meglio: i tagli alla perequazione per il 2023 e il 2024 non saranno più recuperabili».

Tutti questi dati indicano solo una cosa, per il sindacato: «Nessuna risposta per giovani, donne, per coloro che svolgono lavori gravosi e usuranti e nessuna valorizzazione per il lavoro di cura».

«È ancora una volta deludente la riforma pensionistica del Governo – per la Cgil –. Si andrà in pensione sempre più tardi e sempre più poveri senza la previsione di alcuna strategia per il futuro, in un Paese che guarda ai pensionati come bancomat da spremere, senza costruire le basi perché si vada in quiescenza dal lavoro a un’età consona e con un adeguato trattamento pensionistico».

«Se caliamo il tutto in un contesto fragile e povero di servizi, con una sanità annaspante che non garantisce né il diritto alla cura né quello alla prevenzione, quello che si prospetta – scrive il sindacato pensionati della Cgil – è una regione di anziani, con difficoltà a potersi occupare della propria salute, molti dei quali senza riferimenti familiari, vista la sempre più gravosa emigrazione giovanile, e costretti a lavorare fino ad età avanzata».

E, se l’Istituto, a novembre riteneva necessari interventi politici ed economici «massivi e strutturali» per invertire la tendenza e dare risposte concrete a una regione che lotta per trattenere i suoi giovani e garantire un futuro sostenibile ai suoi cittadini», lo Spi Cgil, invece, invita tutti a sostenere il referendum «per il lavoro proposti dalla Cgil che sono lo strumento per cambiare, in meglio, il Paese».

Un invito che è anche è un appello a prendere coscienza della situazione in Italia: Siamo l’unico Paese dove i lavoratori subiscono un doppio svantaggio: età pensionabile sempre più alta e assegni sempre più bassi.

«Un vero e proprio paradosso – ha detto la Cgil – visto l’inverno demografico che ci attende e viste le scarse politiche messe in campo dal governo per arginare il lavoro precario. Lavoro più stabile e più sicuro significa anche pensioni migliori».

In Cittadella regionale il “Recruiting Day” della Seas Srl

Domani mattina, in Cittadella regionale, dalle 9.30, si terrà il “Recruiting Day” promosso da South East Aviation Services (Seas) Srl.

L’attività rientra nell’ambito delle iniziative intraprese dalla Giunta Regionale e dal Dipartimento Lavoro con le aziende interessate a investire e assumere in Calabria e sulla scia di quanto già svolto nei mesi precedenti.

L’obiettivo dell’attività del Recruiting è quello di selezionare circa 20-25 candidati per un corso di formazione altamente specializzante della durata di 24 mesi nella sede di Azzano San Paolo (BG) della Aircraft Engineering Academy, ente formativo del gruppo SEAS accreditato Enac, ai fine di conseguire la Licenza per Manutentore Aeronautico cat. B1.1 (Aeroplani con motore a turbina). L’inizio del corso è previsto indicativamente dal mese di marzo 2025. La retta per la frequenza del corso, pari a circa 16.000 Euro, sarà interamente a carico dell’azienda.

La società Seas Srl è una società di servizi aeronautici specializzata nella manutenzione della flotta di aerei di Ryanair con sede all’Aeroporto di Bergamo dove gestisce 5 hangar che, nel quadro dell’espansione di Ryanair negli scali calabresi e delle iniziative di supporto sviluppate dalla Giunta, ha previsto l’apertura di una base operativa di manutenzione degli aeromobili nello scalo di Lamezia Terme, ad oggi in fase di realizzazione.

Nello specifico, l’azienda offre: corso di 24 mesi gratuito per il conseguimento della LMA; contratto di assunzione a tempo indeterminato, con qualifica di manutentore aeronautico, al termine del corso di formazione (previsto nel 2027); sede di lavoro iniziale a Bergamo e successivo trasferimento in Calabria al completamento della base operativa.

I requisiti di partecipazione definiti dall’aziendasono: età minima 18 anni; diploma di scuola superiore di secondo grado in ambito tecnico/meccanico o, in alternativa, diploma di secondo grado in altri ambiti ma esperienza professionale nella meccanica; livello di conoscenza della lingua inglese B1; patente di guida cat. B; residenza in Calabria; non aver subito condanne penali e/o restrittive della libertà personale; attitudine ai lavori manuali. (rcz)

CARI POLITICI, BISOGNA RISPONDERE CON
CORAGGIO ALLE SFIDE DEL NOSTRO TEMPO

Mons. Francesco Savino, Vescovo di Cassano allo Jonio, nonché vicepresidente della Conferenza Episcopale, ha inviato un messaggio ai politici della sua Diocesi, il cui contenuto vale per l’intera Calabria.

di MONS. FRANCESCO SAVINO – Carissimi, in questo tempo di preparazione al Natale, desidero rivolgermi a voi con un messaggio che unisce gratitudine e sollecitudine.

Purtroppo, gli impegni che scandiscono le vostre giornate e il mio Ministero non hanno permesso che ci incontrassimo di persona, e di questo sono sinceramente dispiaciuto. Tuttavia, non potevo lasciar passare questa occasione senza farvi giungere i miei auguri più sentiti e un pensiero che nasca dalla riflessione sul tempo che stiamo vivendo.

Gratitudine, per l’impegno che quotidianamente dedicate al servizio delle nostre comunità; sollecitudine, perché mai come oggi il ruolo della politica è chiamato a rispondere con coraggio e visione alle sfide del nostro tempo. Il Natale, nella sua profondità, ci ricorda la luce della speranza e della carità, richiamandoci all’urgenza di metterci al servizio del bene comune, con dedizione e responsabilità.

La nostra Diocesi, custode di una storia intrecciata di cultura e fede, incarna tanto le bellezze quanto le sfide che caratterizzano questa terra. Viviamo in un contesto segnato da potenzialità straordinarie, ma anche da ferite che richiedono risposte concrete e immediate. La politica, se vissuta nella sua autentica vocazione di servizio, può diventare il mezzo privilegiato per costruire una società più giusta, solidale e rispettosa della dignità di ogni persona.

La sfida della speranza

Molti, soprattutto i giovani, guardano al futuro con disillusione, prigionieri di un contesto che sembra non offrire prospettive concrete. La speranza sembra essersi smarrita e con essa la fiducia in chi ha il compito di guidare le scelte politiche. È vostro dovere restituire speranza alle comunità, non solo attraverso promesse, ma con azioni capaci di trasformare i sogni in realtà.

Come ci ricorda Gustavo Gutiérrez, «la speranza cristiana non è passiva, ma un motore per l’azione concreta». Ogni vostro gesto, ogni vostra decisione può diventare un segno tangibile di questa speranza. La nostra terra, pur segnata da difficoltà ataviche, è anche una terra di potenzialità inespresse. È compito della politica liberare queste energie e orientarle verso un autentico sviluppo sociale ed economico.

Il bene comune come guida della politica

Papa Francesco, nelle sue esortazioni, ci ricorda che la politica è una delle forme più nobili di carità, un’arte che richiede visione, sacrificio e coraggio. Ogni vostra scelta dovrebbe essere orientata al bene comune, non inteso come la somma degli interessi individuali, ma come una visione più alta che abbraccia giustizia, pace e solidarietà.

Papa Benedetto XVI, nell’enciclica Caritas in Veritate, sottolinea che il bene comune implica il riconoscimento della dignità di ogni persona, in una comunità solidale e giusta. Questo principio deve guidare ogni iniziativa legislativa e amministrativa, affinché nessuno si senta escluso o invisibile.

La giustizia sociale e la lotta alla povertà

La povertà è una delle sfide più urgenti della nostra terra. La Calabria continua a registrare tassi di disoccupazione tra i più alti del Paese, con giovani costretti a lasciare il proprio territorio in cerca di opportunità altrove. Questo fenomeno non è solo una crisi economica, ma una ferita sociale che richiede risposte immediate.

Vi esorto a promuovere politiche che favoriscano l’inclusione sociale, il lavoro dignitoso e l’accesso ai diritti fondamentali. Gandhi ci ricorda che «la povertà è la peggior forma di violenza».

Non possiamo accettare che la dignità umana sia calpestata. La giustizia sociale richiede un cambio di mentalità, una trasformazione che metta al centro la persona, con i suoi bisogni e le sue aspirazioni.

Famiglia e diritti dei bambini

La famiglia è il cuore pulsante della società, il luogo dove nascono e si custodiscono i valori fondamentali. Ogni vostra decisione politica dovrebbe mirare a sostenere le famiglie, offrendo strumenti concreti per conciliare lavoro e vita familiare, protezione sociale e sostegno ai genitori in difficoltà.

Allo stesso modo, è fondamentale garantire che ogni bambino possa crescere in un ambiente sano e sicuro, lontano da situazioni di povertà o disagio. La tutela dei più piccoli è la misura di una società giusta e proiettata verso il futuro.

Ecologia integrale: prendersi cura della Casa Comune

Le questioni ambientali sono ormai al centro delle sfide globali e locali. Papa Francesco, nell’enciclica Laudato Sì, ci invita a considerare l’ecologia non solo come cura della natura, ma come attenzione integrale alla persona e alla società. Ogni vostra scelta politica, sia essa legata all’urbanizzazione, alla gestione dei rifiuti o alla mobilità, dovrebbe riflettere questa visione ecologica.

Il nostro territorio, ricco di risorse naturali, deve essere tutelato e valorizzato, soprattutto di fronte al grave problema dell’inquinamento che minaccia la sua bellezza e il benessere delle comunità, richiamandoci a un impegno concreto per la salvaguardia del creato.

Dunque, le sfide ambientali non possono più essere rimandate: è tempo di adottare politiche sostenibili che promuovano uno sviluppo equilibrato e rispettoso delle generazioni future.

 La cultura della legalità

La nostra terra è ferita dalla criminalità organizzata, una piaga che mina il tessuto sociale ed economico. La lotta alla ‘ndrangheta  e all’illegalità non è solo un compito delle forze dell’ordine, ma una responsabilità culturale e politica.

La legalità, come ci ricorda Don Tonino Bello, non è una semplice formalità, ma un principio che orienta ogni azione verso una società più giusta e libera. Ogni vostro gesto deve contribuire a costruire una cultura della legalità, che si nutre di educazione, coraggio e trasparenza.

Investire nel futuro

La politica deve guardare lontano, investendo in settori strategici come l’educazione, la formazione e l’innovazione. Il nostro territorio ha un potenziale straordinario nell’agricoltura, nel turismo e nelle energie rinnovabili. È necessario valorizzare queste risorse per creare opportunità di lavoro e trattenere i giovani nella nostra terra.

Un invito alla collaborazione

Come Chiesa, siamo al vostro fianco per costruire una comunità coesa, solidale e rispettosa. La politica, come dice Papa Benedetto XVI, è un’arte nobile che deve sempre essere orientata al bene comune. La collaborazione tra politica e Chiesa può diventare una risorsa preziosa per affrontare le sfide del nostro tempo, coniugando competenze diverse al servizio delle persone.

Conclusione

Vi auguro che il vostro impegno politico possa essere illuminato dalla luce del Natale, guidato dalla giustizia e animato dall’amore per il prossimo. Che ogni vostra scelta possa portare speranza, pace e sviluppo a tutte le comunità.

Con la benedizione di Cristo Bambino, vi invito a vivere la vostra missione con coraggio, fedeltà e visione, trasformando la politica in uno strumento autentico di servizio e carità. (fs)

[Mons. Francesco Savino è vescovo di Cassano allo Ionio]