In Cittadella regionale il “Recruiting Day” della Seas Srl

Domani mattina, in Cittadella regionale, dalle 9.30, si terrà il “Recruiting Day” promosso da South East Aviation Services (Seas) Srl.

L’attività rientra nell’ambito delle iniziative intraprese dalla Giunta Regionale e dal Dipartimento Lavoro con le aziende interessate a investire e assumere in Calabria e sulla scia di quanto già svolto nei mesi precedenti.

L’obiettivo dell’attività del Recruiting è quello di selezionare circa 20-25 candidati per un corso di formazione altamente specializzante della durata di 24 mesi nella sede di Azzano San Paolo (BG) della Aircraft Engineering Academy, ente formativo del gruppo SEAS accreditato Enac, ai fine di conseguire la Licenza per Manutentore Aeronautico cat. B1.1 (Aeroplani con motore a turbina). L’inizio del corso è previsto indicativamente dal mese di marzo 2025. La retta per la frequenza del corso, pari a circa 16.000 Euro, sarà interamente a carico dell’azienda.

La società Seas Srl è una società di servizi aeronautici specializzata nella manutenzione della flotta di aerei di Ryanair con sede all’Aeroporto di Bergamo dove gestisce 5 hangar che, nel quadro dell’espansione di Ryanair negli scali calabresi e delle iniziative di supporto sviluppate dalla Giunta, ha previsto l’apertura di una base operativa di manutenzione degli aeromobili nello scalo di Lamezia Terme, ad oggi in fase di realizzazione.

Nello specifico, l’azienda offre: corso di 24 mesi gratuito per il conseguimento della LMA; contratto di assunzione a tempo indeterminato, con qualifica di manutentore aeronautico, al termine del corso di formazione (previsto nel 2027); sede di lavoro iniziale a Bergamo e successivo trasferimento in Calabria al completamento della base operativa.

I requisiti di partecipazione definiti dall’aziendasono: età minima 18 anni; diploma di scuola superiore di secondo grado in ambito tecnico/meccanico o, in alternativa, diploma di secondo grado in altri ambiti ma esperienza professionale nella meccanica; livello di conoscenza della lingua inglese B1; patente di guida cat. B; residenza in Calabria; non aver subito condanne penali e/o restrittive della libertà personale; attitudine ai lavori manuali. (rcz)

CARI POLITICI, BISOGNA RISPONDERE CON
CORAGGIO ALLE SFIDE DEL NOSTRO TEMPO

Mons. Francesco Savino, Vescovo di Cassano allo Jonio, nonché vicepresidente della Conferenza Episcopale, ha inviato un messaggio ai politici della sua Diocesi, il cui contenuto vale per l’intera Calabria.

di MONS. FRANCESCO SAVINO – Carissimi, in questo tempo di preparazione al Natale, desidero rivolgermi a voi con un messaggio che unisce gratitudine e sollecitudine.

Purtroppo, gli impegni che scandiscono le vostre giornate e il mio Ministero non hanno permesso che ci incontrassimo di persona, e di questo sono sinceramente dispiaciuto. Tuttavia, non potevo lasciar passare questa occasione senza farvi giungere i miei auguri più sentiti e un pensiero che nasca dalla riflessione sul tempo che stiamo vivendo.

Gratitudine, per l’impegno che quotidianamente dedicate al servizio delle nostre comunità; sollecitudine, perché mai come oggi il ruolo della politica è chiamato a rispondere con coraggio e visione alle sfide del nostro tempo. Il Natale, nella sua profondità, ci ricorda la luce della speranza e della carità, richiamandoci all’urgenza di metterci al servizio del bene comune, con dedizione e responsabilità.

La nostra Diocesi, custode di una storia intrecciata di cultura e fede, incarna tanto le bellezze quanto le sfide che caratterizzano questa terra. Viviamo in un contesto segnato da potenzialità straordinarie, ma anche da ferite che richiedono risposte concrete e immediate. La politica, se vissuta nella sua autentica vocazione di servizio, può diventare il mezzo privilegiato per costruire una società più giusta, solidale e rispettosa della dignità di ogni persona.

La sfida della speranza

Molti, soprattutto i giovani, guardano al futuro con disillusione, prigionieri di un contesto che sembra non offrire prospettive concrete. La speranza sembra essersi smarrita e con essa la fiducia in chi ha il compito di guidare le scelte politiche. È vostro dovere restituire speranza alle comunità, non solo attraverso promesse, ma con azioni capaci di trasformare i sogni in realtà.

Come ci ricorda Gustavo Gutiérrez, «la speranza cristiana non è passiva, ma un motore per l’azione concreta». Ogni vostro gesto, ogni vostra decisione può diventare un segno tangibile di questa speranza. La nostra terra, pur segnata da difficoltà ataviche, è anche una terra di potenzialità inespresse. È compito della politica liberare queste energie e orientarle verso un autentico sviluppo sociale ed economico.

Il bene comune come guida della politica

Papa Francesco, nelle sue esortazioni, ci ricorda che la politica è una delle forme più nobili di carità, un’arte che richiede visione, sacrificio e coraggio. Ogni vostra scelta dovrebbe essere orientata al bene comune, non inteso come la somma degli interessi individuali, ma come una visione più alta che abbraccia giustizia, pace e solidarietà.

Papa Benedetto XVI, nell’enciclica Caritas in Veritate, sottolinea che il bene comune implica il riconoscimento della dignità di ogni persona, in una comunità solidale e giusta. Questo principio deve guidare ogni iniziativa legislativa e amministrativa, affinché nessuno si senta escluso o invisibile.

La giustizia sociale e la lotta alla povertà

La povertà è una delle sfide più urgenti della nostra terra. La Calabria continua a registrare tassi di disoccupazione tra i più alti del Paese, con giovani costretti a lasciare il proprio territorio in cerca di opportunità altrove. Questo fenomeno non è solo una crisi economica, ma una ferita sociale che richiede risposte immediate.

Vi esorto a promuovere politiche che favoriscano l’inclusione sociale, il lavoro dignitoso e l’accesso ai diritti fondamentali. Gandhi ci ricorda che «la povertà è la peggior forma di violenza».

Non possiamo accettare che la dignità umana sia calpestata. La giustizia sociale richiede un cambio di mentalità, una trasformazione che metta al centro la persona, con i suoi bisogni e le sue aspirazioni.

Famiglia e diritti dei bambini

La famiglia è il cuore pulsante della società, il luogo dove nascono e si custodiscono i valori fondamentali. Ogni vostra decisione politica dovrebbe mirare a sostenere le famiglie, offrendo strumenti concreti per conciliare lavoro e vita familiare, protezione sociale e sostegno ai genitori in difficoltà.

Allo stesso modo, è fondamentale garantire che ogni bambino possa crescere in un ambiente sano e sicuro, lontano da situazioni di povertà o disagio. La tutela dei più piccoli è la misura di una società giusta e proiettata verso il futuro.

Ecologia integrale: prendersi cura della Casa Comune

Le questioni ambientali sono ormai al centro delle sfide globali e locali. Papa Francesco, nell’enciclica Laudato Sì, ci invita a considerare l’ecologia non solo come cura della natura, ma come attenzione integrale alla persona e alla società. Ogni vostra scelta politica, sia essa legata all’urbanizzazione, alla gestione dei rifiuti o alla mobilità, dovrebbe riflettere questa visione ecologica.

Il nostro territorio, ricco di risorse naturali, deve essere tutelato e valorizzato, soprattutto di fronte al grave problema dell’inquinamento che minaccia la sua bellezza e il benessere delle comunità, richiamandoci a un impegno concreto per la salvaguardia del creato.

Dunque, le sfide ambientali non possono più essere rimandate: è tempo di adottare politiche sostenibili che promuovano uno sviluppo equilibrato e rispettoso delle generazioni future.

 La cultura della legalità

La nostra terra è ferita dalla criminalità organizzata, una piaga che mina il tessuto sociale ed economico. La lotta alla ‘ndrangheta  e all’illegalità non è solo un compito delle forze dell’ordine, ma una responsabilità culturale e politica.

La legalità, come ci ricorda Don Tonino Bello, non è una semplice formalità, ma un principio che orienta ogni azione verso una società più giusta e libera. Ogni vostro gesto deve contribuire a costruire una cultura della legalità, che si nutre di educazione, coraggio e trasparenza.

Investire nel futuro

La politica deve guardare lontano, investendo in settori strategici come l’educazione, la formazione e l’innovazione. Il nostro territorio ha un potenziale straordinario nell’agricoltura, nel turismo e nelle energie rinnovabili. È necessario valorizzare queste risorse per creare opportunità di lavoro e trattenere i giovani nella nostra terra.

Un invito alla collaborazione

Come Chiesa, siamo al vostro fianco per costruire una comunità coesa, solidale e rispettosa. La politica, come dice Papa Benedetto XVI, è un’arte nobile che deve sempre essere orientata al bene comune. La collaborazione tra politica e Chiesa può diventare una risorsa preziosa per affrontare le sfide del nostro tempo, coniugando competenze diverse al servizio delle persone.

Conclusione

Vi auguro che il vostro impegno politico possa essere illuminato dalla luce del Natale, guidato dalla giustizia e animato dall’amore per il prossimo. Che ogni vostra scelta possa portare speranza, pace e sviluppo a tutte le comunità.

Con la benedizione di Cristo Bambino, vi invito a vivere la vostra missione con coraggio, fedeltà e visione, trasformando la politica in uno strumento autentico di servizio e carità. (fs)

[Mons. Francesco Savino è vescovo di Cassano allo Ionio]

 

DUE CALABRIE CHE SI FRONTEGGIANO ALLA PARI: UNA BENESTANTE, L’ALTRA POVERA

di DOMENICO CERSOSIMO E ROSANNA NISTICÒ – I più recenti dati medi nazionali segnalano, pur in un quadro di sostanziale stabilità della povertà assoluta, un’incoraggiante riduzione dell’incidenza degli italiani a rischio di povertà o di esclusione sociale (Istat 2024).

Questa brezza congiunturale positiva, tuttavia, non rinfresca in modo uniforme il paese: alcune aree, segnatamente diverse regioni del Nord, beneficiano di correnti comparativamente più favorevoli; altrove, la situazione è stagnante o addirittura in peggioramento. La media, come spesso accade, spiega poco: nasconde le differenze tra i territori dove la povertà è un fenomeno fisiologico, contenuto, e quelli in cui invece assume caratteri acuti e persistenti.

La Calabria è l’estremo: una regione nel vortice di un processo di polarizzazione e sfaldamento sociale, con una popolazione spaccata in due metà quantitativamente equivalenti, per metà benestanti e metà poveri o a rischio di povertà-esclusione; due realtà scollate tra loro che tendono a configurare una non-società.

Guardando all’insieme delle regioni d’Europa, nelle prime 50 posizioni della graduatoria ordinata in senso decrescente per incidenza del rischio povertà-esclusione sociale, si collocano, ad eccezione della Basilicata, tutte le regioni meridionali, e di contro, nelle ultime 50 posizioni tutte le regioni del Nord, ad eccezione della Liguria: un’asimmetria acuta che fa dell’Italia il paese Eu con le disparità interne più pronunciate (Eurostat 2024).

La Calabria è la regione europea, ad esclusione delle “ultraperiferiche”, con la più alta quota di poveri-vulnerabili sulla popolazione complessiva (48,6%), a fronte di valori pari a poco più di un quinto nella media italiana, del 5,8% nella provincia di Bolzano e del 7,4% in Emilia-Romagna. Anche all’interno del Mezzogiorno, il gap è notevole: addirittura 24 punti in più in Calabria rispetto al Molise e oltre 21 nei confronti della Basilicata.

Allarmante è il trend recente: tra il 2022 e il 2023, il rischio povertà-esclusione sociale dei calabresi subisce una drastica impennata, dal 42,8 al 48,6%, a fronte di un calo generalizzato nelle altre regioni, anche meridionali.

Anche con riferimento al sub-indicatore “rischio di povertà”, il picco calabrese è elevatissimo: 41 calabresi su 100 vivono in famiglie con un reddito netto equivalente inferiore al 60% di quello mediano, un’incidenza più che doppia rispetto a quella nazionale, dieci volte superiore a quella della Provincia di Bolzano e sette volte più alta di quella dell’Emilia-Romagna.

Allargando lo sguardo all’Europa, la Calabria raggiunge il tetto più elevato, seguita dalla Sicilia (38%) e dalla Campania (36,1%); al lato opposto della distribuzione, solo 9 regioni hanno un’incidenza delle persone a rischio di povertà più bassa o uguale al 7,5%, tra cui tre italiane: la provincia Autonoma di Trento, quella di Bolzano e l’Emilia-Romagna. Ne segue che il divario interregionale dell’Italia risulta il più ampio, segnando 35 punti percentuali di differenza tra la Calabria e la Provincia autonoma di Bolzano.

Rispetto agli altri due sotto-indicatori che concorrono a definire la popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale, la quota di calabresi che deve fronteggiare una “grave deprivazione materiale e sociale” (20,7%) è pressoché uguale e quella dei soggetti caratterizzati da “bassa intensità lavorativa” (20,9%).

Dunque, più di un quinto della popolazione regionale, tra 350 mila e 400 mila persone (circa il 15% del totale nazionale), è costretto a fare i conti con severe e plurime privazioni materiali e sociali: essere in arretrato con il pagamento di bollette, affitti, mutui; non poter sostenere spese impreviste; riscaldare adeguatamente la casa; sostituire mobili danneggiati o abiti consumati; non potersi permettere un pasto adeguato almeno a giorni alterni, due paia di scarpe in buone condizioni per tutti i giorni, una piccola somma di denaro settimanale per le proprie esigenze personali, una connessione internet utilizzabile a casa, un’automobile, di incontrare familiari o amici per mangiare insieme almeno una volta al mese. Nella media nazionale, gli italiani costretti a così gravi deprivazioni sono il 4,7% ma in Emilia-Romagna sono meno dell’1%.

Più di un quinto sono anche i calabresi tra 18 e 64 anni che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (soprattutto quelle più numerose e con più figli), ossia che hanno lavorato meno del 20% del loro tempo potenziale, e che conseguentemente percepiscono retribuzioni insufficienti per uscire dal rischio povertà.

Ancora. La Calabria è l’unica regione italiana a subire, nel biennio 2022-23, un incremento-peggioramento di tutti e tre i sub-indicatori. Peggiora poco l’indicatore “bassa densità lavorativa”, che passa dal 19,6 al 20,9% (dal 9,8 all’8,9% in Italia), ma che tuttavia segnala che è in aumento la frazione, già elevata, di famiglie con forme estese di sottooccupazione, a testimonianza tanto del deficit strutturale della domanda di lavoro locale quanto del fatto che il lavoro di per sé non è in grado di tutelare da situazioni di grave difficoltà economica, soprattutto nel caso dei lavoratori dipendenti a tempo parziale e con basse retribuzioni.

Ben più consistente è l’incremento dei calabresi a “rischio di povertà”, che passa dal 34,5 al 40,6% e di quelli con “grave deprivazione materiale e sociale”, che nel giro di un solo anno quasi raddoppiano (dall’11,8 al 20,7%), contro una sostanziale stabilità nella media nazionale (dal 4,5 al 4,7%), e di una leggera flessione in oltre la metà delle regioni, anche in tutte quelle del Sud, ad eccezione della Puglia.

Insomma, come in nessuna altra regione italiana, i dati configurano in modo evidente due società, due Calabrie, due gruppi di cittadini profondamente dissimili e slegati tra loro. Da un lato, ci sono i calabresi che godono di redditi, patrimoni, consumi, stili di vita analoghi a quelli medi nazionali. Singoli e famiglie a cui fa capo la quasi totalità della ricchezza netta regionale, reale e finanziaria.

Appartengono a questa “prima” Calabria anche i calabresi, per lo più dipendenti della pubblica amministrazione, con redditi medi ma sufficienti per condurre una vita decorosa, e che, seppure a fatica, riescono a districarsi nelle maglie sconnesse dei servizi pubblici essenziali e ad evitarne gli effetti perversi ricorrendo al proprio bagaglio di amicizie e conoscenze personali. Accanto a questi, si ritrovano anche i calabresi, inquilini del privilegio, che possono permettersi consumi opulenti, dalle auto alla cosmesi, come qualunque altro ricco di qualunque società urbana d’Europa, e che possono influenzare le politiche pubbliche a loro favore.

Nell’insieme, sono calabresi che si sostengono tra loro attraverso reti relazionali sia di natura interpersonale che associativa, come, ad esempio, i club Lyons o Rotary, gli Ordini professionali, le Associazioni di commercianti, industriali, agricoltori, artigiani, i circoli massonici palesi e occulti, le reti informali di comparatico, le aggregazioni politico-elettorali strumentali, temporanee, trasversali. In aggiunta, non va trascurata l’incidenza dell’estremo del capitale sociale “cattivo”, ovvero quei circuiti di ‘ndranghetisti e di soggetti criminali che costruiscono il loro benessere distruggendo quello di cittadini e imprenditori, consumando futuro all’intera comunità regionale.

Pur prescindendo dalle derive delinquenziali di questi ultimi e di coloro che vivono nell’illegalità perenne dell’evasione fiscale e dello sfruttamento dei lavoratori, si percepisce l’esistenza nella sfera dei benestanti di una Calabria della densità orizzontale, delle cooptazioni, delle arene a geometria variabile dello scambio e della reciprocità particolaristica, clientelare, professionale, e che può aspirare, individualmente, a qualche forma di mobilità sociale ascendente.

Sono i calabresi “estrattivi”, che traggono benefici dallo status quo, dalla politica come “motore primo” degli standard di vita, dai bonus pubblici, dalla dipendenza macroeconomica della regione dal respiratore artificiale della spesa pubblica, che intercetta e beneficia della quasi totalità dei trasferimenti pubblici nazionali ed europei e dei grandi programmi di intervento pubblico destinati allo sviluppo locale. Cittadini che hanno sviluppato speciali abilità di torsione dei provvedimenti pubblici, centrali e locali, alle logiche di riproduzione dei propri benefici, anche degli interventi che astrattamente avrebbero potuto destabilizzare la legittimazione delle loro rendite di posizione; che diffidano dei progetti di trasformazione sociale in nome di una sorta di “apologia del quietismo”.

Cittadini concentrati, nelle parole di Mauro Magatti, soprattutto a “consumare benessere” piuttosto che a creare sviluppo e ad affrontare le sfide strutturali (organizzative, produttive, innovative) che esso comporta. Ottimati della rendita e della disuguaglianza polarizzata, tesi a mantenere o catturare nuovi vantaggi individuali e non interessati al bene comune. A prendere piuttosto che a contribuire al benessere della collettività.

Poi c’è la “seconda” Calabria, di dimensioni simili alla prima ma radicalmente diversa: quella dei sommersi, dei rimossi, dei precari, degli occultati che, in quanto tali, non disturbano l’estetica della “prima” Calabria.

Poveri con deprivazioni materiali estreme, con disagi quotidiani e persistenti, con difficoltà ad alimentarsi con pasti adeguati, a vestirsi in modo decoroso, a dormire sotto un tetto sicuro. Sono tantissimi e in crescita: poveri di “partenza”, ascritti dalla nascita. Anche questo gruppo è fortemente composito. Si tratta di anziani soli con pensioni sociali al minimo; lavoratori occasionali e per lo più sommersi, riders, camerieri a ore, operatori di call center, che contribuiscono alla tenuta e alla riproduzione di un’economia locale minuta, informale, e con salari così bassi da non consentire l’uscita dalla trappola della povertà assoluta; giovani, spesso descolarizzati, che perseguono l’autonomia familiare ma che sono imprigionati in lavoretti dequalificati e con salari striminziti; disabili rimasti senza famiglia, con sostegni pubblici assenti o inadeguati; disoccupati scoraggiati che hanno rinunciato a cercare un’occupazione perché hanno perso la speranza di trovarlo; immigrati con difficoltà di integrazione che riescono a racimolare pochi euro al giorno con lavoretti in nero o con espedienti vari; giovani imprigionati nell’eterno limbo del non lavoro, non studio, non formazione. Un catalogo infinito di soggetti, ad evidenza che, parafrasando Lev Tostoj in “Anna Karenina”, ogni povero è povero a modo suo.

Un altro buon quinto di calabresi è, come si è detto, a rischio povertà per la bassa intensità occupazionale: singoli e famiglie spesso alle prese con lavori precari, a tempo, con contratti di part-time involontario, e, di conseguenza, con redditi ben al di sotto della soglia media di un lavoratore a tempo pieno. Sovente, poveri di “arrivo”, “risultato” di politiche assenti o controproducenti.

Ne fanno parte famiglie numerose con occupati per poche ore alla settimana che racimolano un reddito monetario complessivo al di sotto della soglia per soddisfare i consumi essenziali; famiglie di immigrati con difficoltà di integrazione e con percettori di reddito di pochi euro all’ora, soprattutto in agricoltura, in edilizia e nel multiforme e crescente “proletariato dei servizi” a bassa qualificazione.

Sono singoli e famiglie che rischiano un ulteriore impoverimento quando la congiuntura diventa avversa per la perdita dell’occupazione oppure per la contrazione dei trasferimenti pubblici alle famiglie e ai singoli in difficoltà, come l’abolizione del reddito di cittadinanza, favorendo ulteriormente lo scivolamento verso la condizione di grave depauperazione materiale.

A differenza della prima, questa seconda Calabria è atomizzata, sbriciolata; più fragile e indifesa, composta da calabresi isolati gli uni dagli altri, senza legami né rappresentanza né voce, senza sovrastrutture. Scie disperse e spesso divergenti, senza sciame. Calabresi che praticano, quando possono, relazioni “verticali” individuali: con la Caritas, con la parrocchia, con i servizi comunali di welfare, con il gruppo di volontariato, con l’impresa di terzo settore, con la mensa sociale. Calabresi silenziati, privi di mezzi e strumenti, senza occasioni per parlare di sé.

A questa Calabria sembra non pensare nessuno. Non solo perché sommersa e difficile da incrociare se non si hanno sguardi sensibili, adeguati, interessati, ma anche perché è la Calabria degli outsider, del non-voto, che non protesta, che non fa rumore, che non urla, che non ha né trattori né vernici né gilets jaunes né protettori; che non minaccia l’ordine dominante.

I partiti-residui continuano a guardare alla prima Calabria, a quella dei garantiti, degli insider, delle rare imprese di “successo”, delle micro-esperienze socio-produttive locali puntiformi, spesso “cartolinizzate”; a vagheggiare su una mai definita altra Calabria e su narrazioni aneddotiche consolatorie; dimenticando che la somma di micro-esperienze positive disperse, seppure importanti di per sé, non è sufficiente per determinare un cambiamento di sistema; che non basta guardare “dall’alto” per decifrare le sofferenze e il declassamento sociale della Calabria praticata “dal basso”. (dn e rn)

[Courtesy Etica ed Economia]

IL SUD UN FUTURO CE L’HA, MA BISOGNA
CREARE E GARANTIRE I DIRITTI ESSENZIALI

di PIETRO MASSIMO BUSETTAEsistono dei diritti costituzionalmente garantiti che però hanno realizzazione diversa nelle varie parti del Paese. In particolare il diritto al lavoro, a una buona formazione, alla salute, alla mobilità.     

Le 100.000 persone che ogni anno si trasferiscono dal Sud al Nord, con un costo per le regioni di provenienza di oltre 20 miliardi, considerato che portare una persona a livello di scuola media superiore costa già 200.000 €, e che la maggior parte di coloro che si trasferiscono hanno invece una laurea, rappresentano una sconfitta per il Paese. 

Tale costo, cosiddetto di “allevamento”, viene utilizzato dalle regioni di destinazioni, alcune volte dal Paesi esteri, ogni qual volta tale capitale umano non viene valorizzato nelle stesse realtà nelle quali si è formato. 

Ed è inutile strombazzare successi ed aumenti di occupazione senza tener conto dei dati macroeconomici che riguardano tutto il Mezzogiorno. Una realtà che, se fosse una nazione dell’Unione Europea a se stante, avrebbe nella graduatoria dei Paesi  europei una dimensione demografica che la posizionerebbe tra i primi  dieci. Prima di tanti Paesi importanti, come per esempio l’Olanda. E che con i suoi poco meno di venti milioni di abitanti ha un numero di occupati, compresi i sommersi, che si avvicina ai sei milioni e quattrocentomila. Lontano dal rapporto uno a due delle realtà a sviluppo compiuto.

E poiché è noto che il sommerso nella realtà poco sviluppate ha una dimensione più ampia di quanto non l’abbia nella realtà a sviluppo compiuto, per un effetto di smarcamento dovuto alla mancanza di lavoro, se le possibilità alternative non sono numerose o addirittura inesistenti c’è più facilità che chi ha bisogno di lavorare e non vuole spostarsi, accetti un lavoro a qualunque condizione. 

Peraltro, tale evidenza emerge chiaramente dal costo del lavoro più basso, pur in presenza di contratti di lavoro collettivi simili e in assenza di gabbie salariali. 

Fin quando tale gap di mancanza di posti di lavoro non sarà colmato sarà impossibile frenare quel flusso dovuto ad un modello di sviluppo che continua a creare posti di lavoro nelle realtà nelle quali il mercato è saturo e si manifestano tutte le difficoltà a trovare capitale umano formato. 

Ma le persone non si spostano soltanto alla ricerca di un’occupazione che consenta di immaginare un progetto di vita. E spesso non sono solo i giovani che si trasferiscono perché dietro loro alcune volte, sempre più spesso, le famiglie di origine sono tentate di  seguirli per fornire un aiuto nella tenuta dei figli, considerato che in genere nella coppia si cerca di lavorare entrambi, anche perché è l’unico modo per avere un reddito minimo di sussistenza. 

Peraltro l’altro diritto negato o meglio non garantito adeguatamente è quello alla salute. Per cui i cosiddetti viaggi della speranza continuano ad aumentare alimentando il sistema del Nord che ormai si è organizzato per supportare e supplire alle carenze del sistema sanitario meridionale, che malgrado i tanti interventi effettuati anche a livello centrale, vedasi il commissariamento della sanità calabrese, non riesce a fornire un livello di servizi adeguati ad un paese civile e in ogni caso paragonabili a quelli che si possono avere disponibili nelle aree settentrionali. 

E anche se non mancano eccellenze sanitarie riconosciute universalmente, il sistema complessivo denuncia carenze non più tollerabili, dovute ad una carenza di risorse che riguarda tutto il Paese, ma che si manifesta maggiormente nelle aree meridionali.  

Un altro diritto fondamentale negato è quello alla formazione. Le carenze che si registrano nei sistemi formativi meridionali hanno portato a tassi di dispersione scolastica non degni di un paese civile, soprattutto in alcune aree periferiche delle grandi città meridionali, che arrivano ad avere percentuali vicine al 30%. 

Il danno della perdita di questi ragazzi, che spesso non completano nemmeno le scuole elementari è inestimabile. 

Infatti un primo elemento riguarda la perdita di un capitale umano che potrebbe, se ben formato, fornire anche eccellenze importanti che in questo modo vanno sprecate. Un secondo aspetto da non trascurare è l’incidenza che una base elettorale non adeguatamente acculturata può rappresentare nella scelta della classe dirigente che viene eletta. Tali gruppi non adeguatamente formati rappresentano un pericolo per la democrazia, perché facilmente possono essere manipolati ed indirizzati, vista la loro mancanza di consapevolezza civica. 

La mancanza di tempo pieno a scuola, poi diventa un ulteriore elemento che porta a livelli di istruzione non competitivi. 

Un ultimo diritto inalienabile e che è alla base di ogni sviluppo economico e quello alla mobilità. Diritto negato come si vede dai tentativi goffi di superarli con treni della speranza e delle feste, organizzati nei periodi natalizi o con sconti sulle tratte aeree per raggiungere le parti più isolate dello stivale e delle Isole. 

Purtroppo l’inesistenza della concorrenza tra aereo e ferrovia in alcune zone porta ad un incremento di costi delle tratte insopportabile, che diventa molto più evidente nei periodi in cui il ritorno a casa di molti emigranti porta le compagnie aeree a seguire la legge della domanda dell’offerta, che fa incrementare il costo del volo. 

L’insieme di questa mancanza di diritti porta la gente a pensare che le realtà meridionali siano senza futuro e che il detto per cui per poter avere successo nella vita bisogna andarsene trova una conferma nel diverso approccio e comportamento delle istituzioni nei confronti del Sud.

Tale convinzione diventa ulteriore elemento di impoverimento perché se ormai in tanti cominciano a non credere che esista un futuro nelle realtà di origine, la conseguenza non potrà che essere lo spopolamento e la desertificazione.

Cambiare tale convinzione e proporre un paradigma diverso necessita  di molte conferme che ancora la gente non vede. 

Ma tale cambiamento è indispensabile non soltanto per le aree meridionali ma per tutto il Paese, che ha bisogno di mettere a regime una realtà periferica, che necessita di una seconda locomotiva, che faccia aumentare i tassi di sviluppo insufficienti per assicurare quel welfare al  quale siamo abituati o in alcuni casi che si desidera, e infine anche che eviti l’affollamento di alcune aree che non può portare tanto danno come si vede. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

IN CALABRIA L’ECONOMIA CRESCE, MA IL
RITMO È LENTO E PERMANE INCERTEZZA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Cresce a ritmi lenti e discontinui l’economia in Calabria: nel primo semestre del 2024, infatti, si è registrato un aumento del +0,4% del Pil. È quanto emerso dal Report della Banca d’Italia sull’economia calabrese, in cui viene evidenziata una crescita moderata, nei primi nove mesi dell’anno, per il fatturato delle imprese calabresi, mentre la redditività e la liquidità aziendale sono rimaste sui livelli elevati dello scorso anno.

Il report, poi, ha rilevato come «l’industria in senso stretto ha mostrato segnali di ripresa, sospinta principalmente dal comparto alimentare, che ha tratto vantaggio anche dall’aumento della domanda estera. Nel settore delle costruzioni è proseguita la fase espansiva del segmento delle opere pubbliche, che ha beneficiato degli interventi legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr); l’edilizia privata ha invece risentito del ridimensionamento degli interventi di riqualificazione connessi al Superbonus. L’espansione del settore terziario è stata frenata dalle difficoltà nel commercio al dettaglio».

I livelli occupazionali in regione hanno continuato a crescere, «sebbene a un ritmo inferiore rispetto alla media nazionale – dice il report – alimentati dalla componente del lavoro alle dipendenze».

«Secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat – si legge – nella media dei primi sei mesi dell’anno in corso il numero degli occupati in Calabria è aumentato dell’1,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023. L’incremento risulta tuttavia inferiore rispetto a quello osservato in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno (rispettivamente 1,5 e 2,5 per cento)».

«Il tasso di occupazione – continua il report – ha raggiunto il 44,3 per cento (era il 43,5 nello stesso periodo del 2023, per effetto anche dalla riduzione della popolazione in età da lavoro (15-64 anni), diminuita dello 0,4 per cento rispetto al primo semestre del 2023; il divario del tasso di occupazione regionale dalla media nazionale è rimasto comunque ampio e costante (pari a 17 punti percentuali)».

«L’aumento del numero di occupati si è associato ad una riduzione delle persone in cerca di un impiego; il tasso di disoccupazione è, quindi, diminuito al 15,4 per cento – emerge dal report –pur confermandosi superiore alla media del Mezzogiorno e doppio rispetto a quello nazionale. La partecipazione al mercato del lavoro è invece rimasta stabile: il tasso di attività si è attestato al 52,6 per cento, un valore analogo a quello del primo semestre 2023».

Importante il dato che riguarda l’incremento dell’occupazione, che ha riguardato prevalentemente le donne, con una conseguente riduzione del differenziale fra il tasso di occupazione maschile e quello femminile a 23,6 punti percentuali (era 24,9 nello stesso periodo dell’anno precedente). È stato, inoltre, alimentato dalla componente del lavoro alle dipendenze mentre il numero dei lavoratori autonomi è tornato a contrarsi, seguendo la riduzione del numero di imprese individuali attive riscontrata nel corso del semestre.

L’incremento dell’occupazione ha contribuito a sostenere i redditi delle famiglie calabresi, aumentati anche in termini reali grazie alla crescita contenuta dei prezzi. Ciononostante i consumi delle famiglie si sono leggermente ridotti, risentendo ancora dell’ampia perdita del potere d’acquisto accumulatasi nel biennio 2022-23; è rimasto elevato il ricorso al credito al consumo».

La dinamica del credito bancario al settore privato non finanziario è divenuta lievemente negativa; la contrazione ha interessato i finanziamenti alle famiglie per l’acquisto dell’abitazione e soprattutto i prestiti alle imprese di piccola dimensione. La domanda è stata ancora frenata dall’elevato costo del credito, seppur in lieve calo; l’atteggiamento degli intermediari è stato improntato a una maggiore cautela.

Il tasso di deterioramento dei crediti alle imprese è aumentato di poco, mantenendosi su livelli storicamente contenuti. Dopo la riduzione dello scorso anno, i depositi bancari delle famiglie sono tornati a crescere; è risultato ancora alto l’interesse verso le forme di risparmio maggiormente remunerative, soprattutto titoli di Stato e obbligazioni bancarie.

Andando più nel dettaglio, per il settore dei trasporti, i passeggeri transitati per gli aeroporti regionali nei primi nove mesi dell’anno sono cresciuti del 2,3 per cento. Al calo della componente domestica si è contrapposto l’aumento dei flussi esteri, che è stato favorito dall’incremento dei voli internazionali (di circa un quinto), riferibile in gran parte alle nuove rotte introdotte nello scalo di Reggio Calabria. Per il Porto di Gioia Tauro, invece, continua il trend positivo di crescita iniziata nel 2019: la movimentazione di container nei primi nove mesi dell’anno è salita del 10,5 per cento rispetto al corrispondente periodo dell’anno scorso (era cresciuta del 5 per cento nel 2023).

Tasso negativo, invece, per il «tasso di natalità» delle imprese individuali e per le società di persone, che è negativo, mentre quello generale ha registrato un risultato pari allo 0,4%, in linea con la media italiana e con il dato del periodo corrispondente del 2023.

Per quanto riguarda la situazione reddituale delle imprese, queste hanno continuato a mantenere ampie disponibilità liquide, prevalentemente nella forma di depositi a vista. Nel primo semestre il grado di liquidità, misurato come il rapporto tra la somma di depositi e titoli quotati e l’indebitamento finanziario a breve, è rimasto sostanzialmente stabile su valori elevati.

La crescita delle esportazioni di merci, in atto dal 2021, è proseguita anche nel primo semestre dell’anno in corso. Le vendite a prezzi correnti sono aumentate del 18 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2023.

L’incremento ha interessato i principali settori di specializzazione regionale, soprattutto i prodotti dell’industria alimentare e le sostanze e prodotti chimici, che insieme rappresentano oltre il 60 per cento delle esportazioni. Con riguardo ai mercati di sbocco, l’aumento ha riguardato gli scambi verso i paesi extra UE, in particolare quelli asiatici. (ams)

IL LAVORO IN CALABRIA E AL MEZZOGIORNO
COSTERÀ DI PIÙ PER I TAGLI A FINANZIARIA

di PABLO PETRASSO – Il lavoro in Calabria costerà di più: la manovra del governo stoppa – su input dell’Unione europea – la decontribuzione Sud. Un bel risparmio che il Mezzogiorno rischia di pagare in termini di occupazione.

Non si tratta solo di una revisione della spesa. Oltre ai tagli lineari ai ministeri e ai definanziamenti come quello che colpisce il fondo per l’automotive, il disegno di legge di Bilancio per il 2025 recupera risorse anche eliminando la decontribuzione Sud, l’esonero contributivo del 30% introdotto durante la pandemia per i datori di lavoro situati in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Questo aiuto era valido non solo per le nuove assunzioni ma anche per i lavoratori già in forza.

L’agevolazione, che Giorgia Meloni aveva dichiarato di voler rendere “strutturale”, sarà abolita dal 2025 perché Bruxelles non ha rinnovato l’autorizzazione al maxi aiuto di Stato. Il ministro Raffaele Fitto aveva promesso che Roma avrebbe introdotto “misure analoghe”, ma la nuova agevolazione prevista nella manovra ha un costo molto inferiore.

Indipendentemente dall’efficacia di quell’incentivo, discutibile dato che più della metà degli sgravi è stata utilizzata per incentivare assunzioni a termine e stagionali, spesso part-time, si tratta di un’operazione di taglio mascherato che – secondo le letture più critiche – il governo avrebbe fatto passare sotto silenzio. Anche perché la conferenza stampa di Giorgia Meloni per illustrare la finanziaria e rispondere alle domande dei giornalisti, annunciata da Giancarlo Giorgetti per il 21 ottobre, non si è mai tenuta, senza che Palazzo Chigi abbia fornito spiegazioni.

Il taglio emerge chiaramente dalla memoria depositata alla Camera dall’Ufficio parlamentare di bilancio durante l’audizione sul disegno di legge. «Le spese si riducono soprattutto per effetto del definanziamento della cosiddetta decontribuzione Sud, pur tenendo conto della contestuale istituzione di un fondo per interventi volti a mitigare il divario nell’occupazione e nello sviluppo dell’attività imprenditoriale nelle aree svantaggiate del Paese e della proroga per il 2025 del credito di imposta Zes», scrive l’organismo indipendente commentando le misure dedicate alle imprese.

All’agevolazione nata nel 2020 erano destinati, ricorda l’Upb, 5,9 miliardi nel 2025, 3 miliardi nel 2026 e 4,4 miliardi nel 2027, per un totale di 13,3 miliardi nel prossimo triennio. Il nuovo Fondo destinato a finanziare politiche per il Mezzogiorno, che potrà concedere agevolazioni per l’acquisizione di beni strumentali da parte delle aziende del Sud, avrà invece “solo” 2,45 miliardi per l’anno prossimo, 1 miliardo nel 2026 e 3,4 miliardi nel 2027: in totale 6,85 miliardi, poco più della metà. Sommando gli 1,6 miliardi del credito di imposta per la Zona economica speciale per il Mezzogiorno si arriva a 8,45 miliardi: quasi 5 miliardi in meno rispetto alla dotazione della Decontribuzione. Questi fondi vengono utilizzati per coprire altre spese previste nella manovra.

A bocciare questo approccio è il capogruppo del M5S in decima commissione Senato Orfeo Mazzella: «Questa decisione, che penalizza le regioni del Mezzogiorno, rappresenta un grave passo indietro per lo sviluppo economico delle aree già fragili. Pertanto, reputo fondamentale che il Governo ripristini misure adeguate di sostegno al Meridione: voltarsi dall’altra parte vuol dire continuare a incrementare il gap Nord-Sud». (pp)

[Courtesy LaCNews24]

CHIAMATELA «CALABRIE», NON CALABRIA:
LA NOSTRA REGIONE È “SPACCATA” IN DUE

di DOMENICO MAZZA – Un tempo, l’attuale territorio calabrese era conosciuto con l’appellativo di Calabrie. L’accezione si riferiva alla classificazione Citra e Ultra che porzionava i confini regionali in un contesto del nord e un’area centro-meridionale. Gli alvei dei fiumi Neto e Savuto rappresentavano il confine tra i due ambiti territoriali. Successivamente, l’area Ultra fu ripartita tra Ultra 1 e Ultra 2 e nel 1970, infine, la Calabria venne riconosciuta come Ente amministrativo unico. Tuttavia, per l’estrema punta dello stivale, il decorso dell’ultimo cinquantennio non può certo definirsi omogeneo.

L’acuirsi della fenomenologia centralista, infatti, ha marchiato sempre più una terra caratterizzata da un’iniqua spartizione del potere politico tra i tre Capoluoghi storici: Cosenza, Catanzaro e Reggio. A ben poco valse l’istituzione di due nuove Province che nei primi anni ’90 furono staccate dall’ambito madre di Catanzaro. L’impercettibilità territoriale e la succinta dimensione demografica non hanno consentito la piena espressione politica dei due gemmati contesti. Quindi, le scelte programmatiche, susseguitesi negli anni (Pacchetto Colombo, Legge Obiettivo, Pnrr, ecc.), hanno favorito il contesto di ponente a scapito di quello di levante. Il Tirreno e la dorsale valliva, negli anni, hanno visto la fioritura di un tessuto infrastrutturale di tutto rispetto (ferrovia doppio binario, autostrada, università, aeroporti di Lamezia e Reggio, porto di Gioia Tauro).

A est, invece, ancora oggi, si viaggia lungo l’unica arteria stradale nota alla cronaca per essere un olocausto di Stato: la tristemente nota SS106. La mobilità ferroviaria, inoltre, si declina lungo un asse monobinario e per buona parte non elettrificato. Sul pianoro di Sant’Anna, esiste anche uno scalo aeroportuale che resta, però, puntualmente fuori da ogni tipologia di investimento e, a oggi, risulta ancora irraggiungibile al suo naturale alveo di riferimento: l’Arco Jonico. La conta delle infrastrutture joniche, si completa con i porti di Crotone e Corigliano-Rossano. Entrambi, purtroppo, innaturalmente legati all’Autorità di Bacino di Gioia Tauro e sconnessi dalla rete ferroviaria, risultano estranei ad un reticolo infrastrutturale che ne declini la piena funzionalità.

Chiaramente, un’impostazione così marcatamente iniqua dal punto di vista della mobilità e dei servizi ha favorito lo sviluppo di economie diverse tra l’est e l’ovest della Regione. Mentre sugli ambiti vallivo-tirrenici si è sviluppato lavoro legato all’indotto dello Stato e al terziario, lungo l’Arco Jonico il settore primario e, per un certo periodo, quello secondario, hanno rappresentato l’indotto prevalente.

Squilibri strutturali e processi diseconomici marcano le differenze tra est e ovest della Regione

Oggi, la condizione jonica si è ulteriormente aggravata. L’agricoltura, rimasta ancorata alle sole produzioni e commercializzazioni senza il necessario processo di lavorazione dei prodotti, sta iniziando a dare concreti segnali di cedimento del sistema. Il poco lavoro a disposizione si manifesta sempre più a carattere stagionale e non offre prospettive interessanti ai giovani del territorio. L’industria, invece, con la chiusura degli opifici crotonesi e la più recente dismissione della ex centrale Enel a Corigliano-Rossano, rappresenta sempre più un vago ricordo. A fianco la triste descrizione su riportata, poi, la costante spoliazione dei servizi e delle ramificazioni periferiche dello Stato, centralizzate nei Capoluoghi storici e in quelle località da sempre in simbiotico rapporto con i primi (Castrovillari, Lamezia), ha portato le aree della Sibaritide e del Crotonese a essere sempre più lande desolate e depresse.

Nel Crotonese, ancora, le recenti scelte operate in tema di bonifica ambientale hanno disatteso le aspettative della Comunità locale. Le modifiche attuate al Paur (Procedimento Autorizzatorio Unico Regionale) hanno acuito il senso di abbandono del territorio da parte delle Istituzioni.

In area sibarita, invece, la mancata attuazione degli investimenti per il rilancio dell’ex sito Enel e l’abbandono della prospettata pianificazione industriale di BH nel porto, hanno delineato un futuro sempre più fosco per Corigliano-Rossano e le contermini Comunità.

Politiche infrastrutturali ossequiose solo ai dettami centralisti 

Scelleratamente inique le scelte operate negli anni in campo infrastrutturale. Ancora oggi, d’altronde, non si mettono in campo politiche finalizzate a colmare il gap tra Jonio e Tirreno. Il tracciato della nuova linea AV, all’indomani del probabile abbandono del nodo di Tarsia, sembra essere soltanto un affare tirrenico. La mobilità su gomma, invece, nei brevi segmenti in cui si prevede l’upgrade a 4 corsie della jonica, predilige percorsi centrifughi da KR a CZ e da Corigliano-Rossano verso Sibari. I 100km che distanziano Crotone da Corigliano-Rossano sono sempre più abbandonati a loro stessi e privi di una pianificazione progettuale che consenta di immaginare un ammodernamento funzionale del tracciato.

Il corridoio merci Gioia Tauro-Bari è stato instradato sulla direttrice Lamezia-Paola-Sibari, lasciando i porti di Corigliano-Rossano e Crotone fuori dal percorso. Infine, i lavori di elettrificazione della ferrovia jonica, ormai ciclicamente rimandati alle calende greche, probabilmente verranno terminati quando ormai il treno non rappresenterà più un mezzo di trasporto per Paesi emancipati. Insomma, lungo l’area jonica, decenni di inefficienza politica sono riusciti a dilatare i tempi di percorrenza tra territori che neppure la geografia aveva inquadrato come distanti.

Necessario individuare processi di governance regionali che appianino le disomogeneità territoriali 

Il sistema politico locale dell’ultimo cinquantennio non ha saputo rispondere alle sciagurate azioni di matrice centralista attuate a scapito degli ambiti jonici. È, altresì, risultato inidoneo a intravedere il plumbeo futuro che si sta prospettando per i contesti sibariti e crotoniati, salvo poi stracciarsi le vesti a misfatto attuato, inveendo contro altri e mai con il proprio pressapochismo. Se davvero vogliamo cambiare la narrazione che, insindacabilmente, connota l’Arco Jonico come l’Altra Calabria, bisognerà declinare un nuovo paradigma che concorra a cambiare l’approccio prospettico di un territorio dalle innate potenzialità, ma spesso dimenticato. Non una Regione delle tre macroprovince di emanazione Sabauda, ma l’inedita Calabria che non guarda indietro e si slancia verso le sue periferie, recuperandone protagonismo ed inespresse potenzialità.

L’idea di un nuovo ambito d’area vasta lungo il perimetro della Sibaritide e del Crotoniate potrebbe concorrere sinergicamente ad un rinnovato approccio di governance regionale. Chiaramente, un’operazione di tale levatura non può essere confusa o assimilata a effimeri tentativi di distacco amministrativo nella sola area della Provincia cosentina. Decenni di cristallizzate geometrie centraliste, non si demoliscono con il semplice scorporo di una porzione territoriale (la Sibaritide) che rappresenta meno di 1/3 dell’intera demografia cosentina. Le piccole Province hanno dimostrato tutti i loro limiti e non solo in terra di Calabria.

Creare un ambito forte, politicamente ancor prima che amministrativamente, lungo il Marchesato crotonese e la Piana di Sibari serve alla Calabria, ancor prima che allo Jonio. Il Crotonese e la Sibaritide dovranno candidarsi a essere il nuovo asse di sviluppo poliedrico della Regione. Il richiamato asse dovrà fondarsi sulla bonifica e rilancio produttivo del sito Sin (Crotone-Cassano-Cerchiara) e dell’ex stabilimento Enel a Corigliano-Rossano che, insieme alla Zes, dovranno rilanciare la piattaforma logistica e intermodale dei porti jonici sul Mediterraneo orientale. La descritta operazione dovrà essere eseguita senza macchiarsi di sterili e improduttivi campanilismi, ma con spirito di solidarietà e di coesione territoriale.

Il rilancio dei territori non può esulare da una nuova visione infrastrutturale 

Bisognerà, altresì, intessere strategie volte al miglioramento dei livelli essenziali delle prestazioni che, indissolubilmente, viaggiano in parallelo con la crescita infrastrutturale omogenea di ogni singolo angolo del territorio. Continuare a guardare con visioni miopi e deviate, focalizzate sempre e solo alla crescita di un versante a scapito dell’altro, non condurrà questa Regione ad uscire dal pantano in cui versa. Sarà necessaria un’iniezione di massiccia fiducia che non potrà essere soddisfatta con qualche specchietto per le allodole. Di rotonde, guardrail, plinti metallici arrugginiti che sostituiscono alberi come posa per volatili, porti ridotti a bagnarole e scali aerei non messi in condizione di esprimere le proprie potenzialità, lo Jonio non sa che farsene. Così come, di ospedali resi sempre più scatole vuote, dove, in alcuni casi, restano solo cartelli consumati dal tempo a indicarne la destinazione d’uso.

Avviare attività di programmazione interdisciplinari e territoriali

Particolare attenzione andrà destinata alla programmazione. Quest’ultima, invero, non dovrà più essere frutto delle progettualità dei singoli Comuni, ma basarsi su fondamenti interdisciplinari e territoriali.

Serve un sussulto! Se vogliamo che questa Regione, e soprattutto l’estrema area di levante, non perseveri nel far scappare le menti che sforna, bisognerà darsi da fare. Soprattutto, sarà necessario avviare azioni straordinarie concorrenti a rompere l’immobilismo programmatico e la nullità delle attuali strategie di sviluppo. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

L’OPINIONE / Michele Sapia: Prevenzione e lavoro ambientale per superare la cultura dell’emergenza»

di MICHELE SAPIASono bastati pochi giorni di piogge intense per mettere in ginocchio un’intera regione. Assistiamo in queste ore ad alluvioni e frane, strade, vie di collegamento ed edifici distrutti, territori e campi allagati a causa dell’eccezionale portata delle precipitazioni che hanno colpito la Calabria.

Non è però questo il momento delle polemiche e delle accuse, ma è l’ora della responsabilità, di sostenere un confronto tra istituzioni, autorità e parti sociali per una vera e propria pianificazione regionale per contrastare il dissesto idrogeologico, mettendo al centro la prevenzione, il lavoro ambientale-forestale, il valore del presidio umano e la multifunzionalità del bosco. 

Sono indispensabili responsabilità e consapevolezza che tali fenomeni atmosferici, così violenti, sono destinati ad aumentare, come diretta conseguenza dei cambiamenti climatici in atto.

La soluzione più adeguata, per arginare le continue emergenze in un territorio come la Calabria che, come rileva l’Ispra, ha il primato di essere la regione italiana più esposta ai fenomeni alluvionali, è quella di ingenti investimenti in prevenzione.

Occorre una pianificazione trentennale che consideri la vulnerabilità del territorio calabrese, la sua particolare conformazione, segnata da ripidi pendii e migliaia di corsi d’acqua, che con le piogge possono rapidamente ingrossarsi, ma anche contrastare la cementificazione selvaggia, evitando di costruire in aree a rischio.

Fondamentale sarà inoltre un piano di riforestazione in quelle aree danneggiate, la manutenzione e il controllo dei corsi d’acqua, migliorare le infrastrutture ambientali esistenti e costruirne di nuove progettate per resistere a questi eventi atmosferici estremi, per garantire la sicurezza di popolazioni e attività produttive. 

Ma tali propositi rischiano di restare soltanto sulla carta, se non sarà valorizzato in Calabria il lavoro nei comparti del sistema ambientale e agricolo, con i lavoratori che dovranno essere i veri protagonisti di queste politiche di prevenzione e tutela del territorio calabrese, al centro di quella necessaria transizione ambientale e sostenibile, che dovrà garantire prima di tutto sicurezza e presidio umano, recupero di intere aree abbandonate, sviluppo e miglioramento delle opere infrastrutturali, nel solco di quanto fatto a partire dalla metà degli anni Cinquanta dagli operai forestali e addetti alla bonifica: interventi di sistemazione idraulica, consolidamento di terreni franosi, rimboschimento, realizzazione di infrastrutture civili con conseguente miglioramento della qualità della vita delle popolazioni, tutti interventi che hanno generato sicurezza, servizi e opportunità.

Il dissesto idrogeologico in Calabria rappresenta una delle principali sfide ambientali e sociali e come tale va affrontata, attivando sinergie che favoriscano il dialogo tra i soggetti interessati, con l’ausilio di università e centri di ricerca, sostenendo l’importante lavoro di chi opera per la messa in sicurezza del territorio e favorendo un indispensabile ricambio generazionale per immettere nuove energie, nuovi profili professionali e competenze, tecnologie e intelligenza artificiale al servizio dell’uomo e delle comunità. 

Solo insieme, in un’ottica partecipata e in una visione lungo periodo sarà possibile interrompere la “cultura dell’emergenza”, consapevoli che le risorse per la prevenzione e il lavoro agro-ambientale rappresentano investimenti per un futuro del territorio più sicuro, meno vulnerabile a fenomeni di erosione, frane e alluvioni, più green e sostenibile, aperto ad occasioni di sviluppo, specie per le future generazioni. (ms)

[Michele Sapia è segretario generale Fai Cisl Calabria]

 

Scalese (Cgil Area Vasta): Bene delibera Comune di Vibo per migliorare contratti negli appalti

Il Comune di Vibo, guidato da Enzo Romeo, ha deciso di mettersi in prima linea per qualificare i suoi appalti e affrontare il tema del lavoro povero. La delibera approvata, infatti, offre un’indicazione salariale netta e la sua attuazione dal punto di vista contrattuale sarà oggetto di un confronto fondamentale.

«Questa scelta, lungi dall’essere un atteggiamento comune, rappresenta una svolta significativa nel panorama attuale, in cui la liberalizzazione degli appalti ha spesso portato a un abbassamento dei costi a discapito dei diritti dei lavoratori», ha detto Enzo Scalese, segretario generale della Cgil Area Vasta Catanzaro, Crotone., Vibo Valentia.

«Dal punto di vista tecnico, abbiamo la necessità di capire come si realizza l’obiettivo di migliorare i contratti di lavoro negli appalti. E come migliorarli applicando i contratti nazionali – ha sottolineato Scalese –. È fondamentale affrontare la questione in un’ottica contrattuale, lasciando spazio alla contrattazione preventiva per individuare i contratti più appropriati e definire le condizioni di lavoro più favorevoli per i lavoratori».

Per il sindacalista «i confronto dovrebbe partire già da subito, con le parti sindacali, per costruire le condizioni necessarie a varare un regolamento degli appalti che preveda la disapplicazione del subappalto a cascata».

Un passo importante, quindi, per garantire trasparenza e sicurezza nei cantieri.

Il settore degli appalti è stato a lungo sotto l’attenzione delle istituzioni, a causa delle infiltrazioni della criminalità organizzata, del lavoro nero e della mancata applicazione dei contratti collettivi.

«La legalità è il primo presidio affinché possa svilupparsi una corretta dinamica concorrenziale tra soggetti economici», ha detto ancora Scalese, sottolineando l’importanza di una collaborazione tra istituzioni pubbliche e parti sociali.

Il segretario generale della CGIL Area Vasta Catanzaro-Crotone-Vibo, in conclusione, evidenzia che la delibera del Comune di Vibo Valentia rappresenta un’opportunità importante per migliorare le condizioni di lavoro e garantire una maggiore sicurezza per i lavoratori.

«È fondamentale – ha concluso – che tutte le parti coinvolte si impegnino a lavorare insieme per raggiungere questi obiettivi, affinché la concorrenza assuma un valore sostanziale e contribuisca allo sviluppo del settore degli appalti, tutelando al contempo i diritti dei lavoratori». (rcz)

OCCUPAZIONE REALE, STABILE E DI QUALITÀ
IL LAVORO IN CALABRIA RIPARTE DA QUI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – È con “Padel”, il Piano delle Politiche attive del lavoro, che il presidente della Regione, Roberto Occhiuto e l’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Calabrese rispondono «a tutte le incertezze» in un territorio in cui «il lavoro per poter vivere in una regione come la nostra è fondamentale e importante».

Un programma, quello di Padel, stilato con grande anticipo – ha spiegato Calabrese nel corso della conferenza stampa – «attraverso una serie di avvisi importanti che metteremo in campo entro il prossimo anno», ha detto Calabrese, sottolineando il cambio di passo da parte del Governo regionale, «un approccio culturale diverso nell’affrontare queste problematiche».

Sono 13, infatti, gli interventi in programma per l’occupazione, per un totale di 183 milioni di euro.

«Il nostro obiettivo – ha sottolineato l’assessore Calabrese – è quello di raggiungere 10 mila persone con le misure di politica attiva del lavoro: questo sarebbe un grande segnale di cambiamento per far restare i nostri giovani in Calabria».

Ma un primo cambiamento c’è già stato, per il presidente Occhiuto: «credo che questo governo regionale sia l’unico nella storia degli ultimi 30 anni a non aver ampliato il bacino dei precari, anzi ad aver lavorato per contenerlo, per assorbirlo con iniziative rivolte alla stabilizzazione».

«Con questo Piano – ha aggiunto Occhiuto – abbiamo voluto programmare, con fondi PR Calabria Fesr-Fse+ 2021 – 2027, nuovi interventi, 13 per la precisione, raggruppati in quattro tipologie con interventi rivolti all’autoimprenditorialità, all’occupazione, formazione e competenze, servizi per il lavoro, la maggior parte dei quali in avvio entro fine 2024 e alcuni nei primi 6 mesi del 2025».

«Mi piace che una parte di queste risorse – ha aggiunto – siano state destinate a sviluppare percorsi per incentivare il lavoro da remoto, che diventa anche un modo per rigenerare i nostri borghi che rischiano di morire perché non c’è più la presenza dei giovani».

Padel, infatti, è uno strumento, nuovo e strategico, concepito in sinergia tra Dipartimenti Lavoro e Programmazione Unitaria della Regione, con l’obiettivo di garantire nuove forme di lavoro in Calabria, ma non solo: è «un Piano pensato per i giovani, le donne e i lavoratori svantaggiati con una serie di importanti misure dirette a migliorare l’inserimento e il reinserimento nel mondo del lavoro, a promuovere un lavoro di qualità, a potenziare l’integrazione pubblico-privato e le competenze digitali e verdi», ha ribadito Occhiuto.

«Un altro nostro obiettivo di cui si tiene conto in questo Piano – ha proseguito il Governatore – è quello di far diventare l’immigrazione una circostanza, un’occasione, per creare un tessuto di lavoro diffuso sul territorio, attraverso lo stimolo verso iniziative di cooperazione per i tanti migranti che la Calabria accoglie».

Ma non solo: «La nostra priorità – ha evidenziato Calabrese – è quella di fare in modo che i calabresi possano rimanere in Calabria attraverso un lavoro vero, attraverso una formazione di qualità andando a risolvere le problematiche serie che vengono dal passato e soprattutto programmando in base alle esigenze delle aziende calabresi».

Occhiuto, concludendo il suo intervento, ha ringraziato l’assessore Calabrese e i dipartimenti regionali Lavoro e Programmazione, con i dirigenti generali, Fortunato Varone, Maurizio Nicolai – presenti alla conferenza stampa – «per il lavoro svolto, per la stesura di un Piano che prevede incentivi anche per l’auto-imprenditoria femminile e per l’economia sociale». Dello stesso parare Calabrese che, ringraziando Nicolai e Varone, ha ribadito come «insieme si sta portando avanti l’indirizzo politico del presidente Occhiuto e del governo regionale».

«È un momento importante e di grande soddisfazione», ha sottolineato Calabrese, spiegando l’iter di Padel, «frutto di uno studio approfondito della situazione economica calabrese».

«Finalmente  – ha aggiunto – si inizia a programmare e non più a lasciare al caso avvisi sporadici. Siamo di fronte ad una programmazione importante che nasce anche dal confronto con le associazioni di categoria e con i sindacati, dalla concertazione al Tavolo per il lavoro».

«Siamo partiti da zero – ha continuato – da un momento in cui non c’era nulla, mancava anche una norma di riferimento e con l’approvazione della legge sulle politiche del lavoro, con la costituzione del Tavolo, con l’agenzia per il lavoro, oggi siamo arrivati a presentare questo Piano che prevede risorse importanti per 183 milioni di euro attraverso una serie di misure che siamo certi e convinti porteranno occupazione seria, reale e di qualità in Calabria».

«Abbiamo anche previsto – ha spiegato – misure per il lavoro in smart working con l’obiettivo di ripopolare le aree interne, abbiamo una gamma di strumenti importanti a 360 gradi che possono rappresentare le esigenze di tutte le aziende».

I 13 interventi sono stati illustrati da Varone, sottolineando come «per la prima volta si realizza un Piano che prevede una pianificazione di numerosi interventi con una tempistica certa e con la maggior parte degli avvisi a sportello, per dare la possibilità a tutti di partecipare e di trovare sempre uno strumento utile per lavoratori e imprese».

Tra questi, spicca “Lavoro Giovani Calabria”, con cui si punta al miglioramento dell’accesso al mercato del lavoro dei giovani calabresi under 35 e a contrastare la fuga dei talenti.

«L’intervento – si legge nel bando – finanzia tirocini formativi e di orientamento nei settori dell’S3, in particolare: tecnologie Digitali, terziario innovativo; ambiente, economia circolare e biodiversità; edilizia ecosostenibile, energia e clima; blue economy; turismo e cultura; scienza della vita. I tirocini hanno una durata minima di 6 mesi e massima di 12 mesi; nel caso di destinatario giovane con disabilità, la durata complessiva arriva fino a 24 mesi. A conclusione del tirocinio, l’impresa ospitante potrà beneficiare di un incentivo una tantum per ogni assunzione a tempo determinato o indeterminato».

Interessante, poi, la Certificazione della Parità di Genere, che vuole sostenere le micro, piccole e medie imprese calabresi nel conseguimento della Certificazione di Parità di genere, disciplinata dalla legge 162/2021 e dalla legge 234/2021, che accompagna e incentiva nel promuovere percorsi finalizzati a ridurre il divario di genere e garantire pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo.

«La procedura – si legge nel bando – prevede l’erogazione di voucher per le imprese che si doteranno della certificazione di genere e l’erogazione di un voucher per il mantenimento della certificazione per ulteriori tre anni, per le imprese già in possesso della certificazione».

Spazio, anche, alla formazione continua per le aziende, concedendo incentivi per le attività di formazione dei propri dipendenti, anche neoassunti, per cui sono stati stanziati 5 mln di euro. Nel bando, poi, è stata data attenzione anche al verde e alla transizione digitale, per cui sono stati stanziati 4 mln e che promuove l’offerta di formazione permanente per gli adulti, finalizzata all’aggiornamento/acquisizione delle competenze chiave, in particolare quelle verdi e digitali.

Tra gli interventi, 4.5 milioni sono stati stanziati per il recupero delle tradizioni artigianali, al trasferimento delle competenze tra generazioni e all’incremento del livello occupazionale; così come sono previsti tirocini Ue realizzati mediante il supporto specialistico della rete Eures presente nei CPI, prevede: promozione del tirocinio; orientamento professionale; assistenza e accompagnamento nella definizione del progetto formativo legato all’attivazione dei percorsi di tirocinio; erogazione di un contributo per la partecipazione al percorso di tirocinio in mobilità; validazione e certificazione delle competenze acquisite. (ams)