IN CALABRIA L’ECONOMIA CRESCE, MA IL
RITMO È LENTO E PERMANE INCERTEZZA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Cresce a ritmi lenti e discontinui l’economia in Calabria: nel primo semestre del 2024, infatti, si è registrato un aumento del +0,4% del Pil. È quanto emerso dal Report della Banca d’Italia sull’economia calabrese, in cui viene evidenziata una crescita moderata, nei primi nove mesi dell’anno, per il fatturato delle imprese calabresi, mentre la redditività e la liquidità aziendale sono rimaste sui livelli elevati dello scorso anno.

Il report, poi, ha rilevato come «l’industria in senso stretto ha mostrato segnali di ripresa, sospinta principalmente dal comparto alimentare, che ha tratto vantaggio anche dall’aumento della domanda estera. Nel settore delle costruzioni è proseguita la fase espansiva del segmento delle opere pubbliche, che ha beneficiato degli interventi legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr); l’edilizia privata ha invece risentito del ridimensionamento degli interventi di riqualificazione connessi al Superbonus. L’espansione del settore terziario è stata frenata dalle difficoltà nel commercio al dettaglio».

I livelli occupazionali in regione hanno continuato a crescere, «sebbene a un ritmo inferiore rispetto alla media nazionale – dice il report – alimentati dalla componente del lavoro alle dipendenze».

«Secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat – si legge – nella media dei primi sei mesi dell’anno in corso il numero degli occupati in Calabria è aumentato dell’1,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023. L’incremento risulta tuttavia inferiore rispetto a quello osservato in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno (rispettivamente 1,5 e 2,5 per cento)».

«Il tasso di occupazione – continua il report – ha raggiunto il 44,3 per cento (era il 43,5 nello stesso periodo del 2023, per effetto anche dalla riduzione della popolazione in età da lavoro (15-64 anni), diminuita dello 0,4 per cento rispetto al primo semestre del 2023; il divario del tasso di occupazione regionale dalla media nazionale è rimasto comunque ampio e costante (pari a 17 punti percentuali)».

«L’aumento del numero di occupati si è associato ad una riduzione delle persone in cerca di un impiego; il tasso di disoccupazione è, quindi, diminuito al 15,4 per cento – emerge dal report –pur confermandosi superiore alla media del Mezzogiorno e doppio rispetto a quello nazionale. La partecipazione al mercato del lavoro è invece rimasta stabile: il tasso di attività si è attestato al 52,6 per cento, un valore analogo a quello del primo semestre 2023».

Importante il dato che riguarda l’incremento dell’occupazione, che ha riguardato prevalentemente le donne, con una conseguente riduzione del differenziale fra il tasso di occupazione maschile e quello femminile a 23,6 punti percentuali (era 24,9 nello stesso periodo dell’anno precedente). È stato, inoltre, alimentato dalla componente del lavoro alle dipendenze mentre il numero dei lavoratori autonomi è tornato a contrarsi, seguendo la riduzione del numero di imprese individuali attive riscontrata nel corso del semestre.

L’incremento dell’occupazione ha contribuito a sostenere i redditi delle famiglie calabresi, aumentati anche in termini reali grazie alla crescita contenuta dei prezzi. Ciononostante i consumi delle famiglie si sono leggermente ridotti, risentendo ancora dell’ampia perdita del potere d’acquisto accumulatasi nel biennio 2022-23; è rimasto elevato il ricorso al credito al consumo».

La dinamica del credito bancario al settore privato non finanziario è divenuta lievemente negativa; la contrazione ha interessato i finanziamenti alle famiglie per l’acquisto dell’abitazione e soprattutto i prestiti alle imprese di piccola dimensione. La domanda è stata ancora frenata dall’elevato costo del credito, seppur in lieve calo; l’atteggiamento degli intermediari è stato improntato a una maggiore cautela.

Il tasso di deterioramento dei crediti alle imprese è aumentato di poco, mantenendosi su livelli storicamente contenuti. Dopo la riduzione dello scorso anno, i depositi bancari delle famiglie sono tornati a crescere; è risultato ancora alto l’interesse verso le forme di risparmio maggiormente remunerative, soprattutto titoli di Stato e obbligazioni bancarie.

Andando più nel dettaglio, per il settore dei trasporti, i passeggeri transitati per gli aeroporti regionali nei primi nove mesi dell’anno sono cresciuti del 2,3 per cento. Al calo della componente domestica si è contrapposto l’aumento dei flussi esteri, che è stato favorito dall’incremento dei voli internazionali (di circa un quinto), riferibile in gran parte alle nuove rotte introdotte nello scalo di Reggio Calabria. Per il Porto di Gioia Tauro, invece, continua il trend positivo di crescita iniziata nel 2019: la movimentazione di container nei primi nove mesi dell’anno è salita del 10,5 per cento rispetto al corrispondente periodo dell’anno scorso (era cresciuta del 5 per cento nel 2023).

Tasso negativo, invece, per il «tasso di natalità» delle imprese individuali e per le società di persone, che è negativo, mentre quello generale ha registrato un risultato pari allo 0,4%, in linea con la media italiana e con il dato del periodo corrispondente del 2023.

Per quanto riguarda la situazione reddituale delle imprese, queste hanno continuato a mantenere ampie disponibilità liquide, prevalentemente nella forma di depositi a vista. Nel primo semestre il grado di liquidità, misurato come il rapporto tra la somma di depositi e titoli quotati e l’indebitamento finanziario a breve, è rimasto sostanzialmente stabile su valori elevati.

La crescita delle esportazioni di merci, in atto dal 2021, è proseguita anche nel primo semestre dell’anno in corso. Le vendite a prezzi correnti sono aumentate del 18 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2023.

L’incremento ha interessato i principali settori di specializzazione regionale, soprattutto i prodotti dell’industria alimentare e le sostanze e prodotti chimici, che insieme rappresentano oltre il 60 per cento delle esportazioni. Con riguardo ai mercati di sbocco, l’aumento ha riguardato gli scambi verso i paesi extra UE, in particolare quelli asiatici. (ams)

IL LAVORO IN CALABRIA E AL MEZZOGIORNO
COSTERÀ DI PIÙ PER I TAGLI A FINANZIARIA

di PABLO PETRASSO – Il lavoro in Calabria costerà di più: la manovra del governo stoppa – su input dell’Unione europea – la decontribuzione Sud. Un bel risparmio che il Mezzogiorno rischia di pagare in termini di occupazione.

Non si tratta solo di una revisione della spesa. Oltre ai tagli lineari ai ministeri e ai definanziamenti come quello che colpisce il fondo per l’automotive, il disegno di legge di Bilancio per il 2025 recupera risorse anche eliminando la decontribuzione Sud, l’esonero contributivo del 30% introdotto durante la pandemia per i datori di lavoro situati in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Questo aiuto era valido non solo per le nuove assunzioni ma anche per i lavoratori già in forza.

L’agevolazione, che Giorgia Meloni aveva dichiarato di voler rendere “strutturale”, sarà abolita dal 2025 perché Bruxelles non ha rinnovato l’autorizzazione al maxi aiuto di Stato. Il ministro Raffaele Fitto aveva promesso che Roma avrebbe introdotto “misure analoghe”, ma la nuova agevolazione prevista nella manovra ha un costo molto inferiore.

Indipendentemente dall’efficacia di quell’incentivo, discutibile dato che più della metà degli sgravi è stata utilizzata per incentivare assunzioni a termine e stagionali, spesso part-time, si tratta di un’operazione di taglio mascherato che – secondo le letture più critiche – il governo avrebbe fatto passare sotto silenzio. Anche perché la conferenza stampa di Giorgia Meloni per illustrare la finanziaria e rispondere alle domande dei giornalisti, annunciata da Giancarlo Giorgetti per il 21 ottobre, non si è mai tenuta, senza che Palazzo Chigi abbia fornito spiegazioni.

Il taglio emerge chiaramente dalla memoria depositata alla Camera dall’Ufficio parlamentare di bilancio durante l’audizione sul disegno di legge. «Le spese si riducono soprattutto per effetto del definanziamento della cosiddetta decontribuzione Sud, pur tenendo conto della contestuale istituzione di un fondo per interventi volti a mitigare il divario nell’occupazione e nello sviluppo dell’attività imprenditoriale nelle aree svantaggiate del Paese e della proroga per il 2025 del credito di imposta Zes», scrive l’organismo indipendente commentando le misure dedicate alle imprese.

All’agevolazione nata nel 2020 erano destinati, ricorda l’Upb, 5,9 miliardi nel 2025, 3 miliardi nel 2026 e 4,4 miliardi nel 2027, per un totale di 13,3 miliardi nel prossimo triennio. Il nuovo Fondo destinato a finanziare politiche per il Mezzogiorno, che potrà concedere agevolazioni per l’acquisizione di beni strumentali da parte delle aziende del Sud, avrà invece “solo” 2,45 miliardi per l’anno prossimo, 1 miliardo nel 2026 e 3,4 miliardi nel 2027: in totale 6,85 miliardi, poco più della metà. Sommando gli 1,6 miliardi del credito di imposta per la Zona economica speciale per il Mezzogiorno si arriva a 8,45 miliardi: quasi 5 miliardi in meno rispetto alla dotazione della Decontribuzione. Questi fondi vengono utilizzati per coprire altre spese previste nella manovra.

A bocciare questo approccio è il capogruppo del M5S in decima commissione Senato Orfeo Mazzella: «Questa decisione, che penalizza le regioni del Mezzogiorno, rappresenta un grave passo indietro per lo sviluppo economico delle aree già fragili. Pertanto, reputo fondamentale che il Governo ripristini misure adeguate di sostegno al Meridione: voltarsi dall’altra parte vuol dire continuare a incrementare il gap Nord-Sud». (pp)

[Courtesy LaCNews24]

CHIAMATELA «CALABRIE», NON CALABRIA:
LA NOSTRA REGIONE È “SPACCATA” IN DUE

di DOMENICO MAZZA – Un tempo, l’attuale territorio calabrese era conosciuto con l’appellativo di Calabrie. L’accezione si riferiva alla classificazione Citra e Ultra che porzionava i confini regionali in un contesto del nord e un’area centro-meridionale. Gli alvei dei fiumi Neto e Savuto rappresentavano il confine tra i due ambiti territoriali. Successivamente, l’area Ultra fu ripartita tra Ultra 1 e Ultra 2 e nel 1970, infine, la Calabria venne riconosciuta come Ente amministrativo unico. Tuttavia, per l’estrema punta dello stivale, il decorso dell’ultimo cinquantennio non può certo definirsi omogeneo.

L’acuirsi della fenomenologia centralista, infatti, ha marchiato sempre più una terra caratterizzata da un’iniqua spartizione del potere politico tra i tre Capoluoghi storici: Cosenza, Catanzaro e Reggio. A ben poco valse l’istituzione di due nuove Province che nei primi anni ’90 furono staccate dall’ambito madre di Catanzaro. L’impercettibilità territoriale e la succinta dimensione demografica non hanno consentito la piena espressione politica dei due gemmati contesti. Quindi, le scelte programmatiche, susseguitesi negli anni (Pacchetto Colombo, Legge Obiettivo, Pnrr, ecc.), hanno favorito il contesto di ponente a scapito di quello di levante. Il Tirreno e la dorsale valliva, negli anni, hanno visto la fioritura di un tessuto infrastrutturale di tutto rispetto (ferrovia doppio binario, autostrada, università, aeroporti di Lamezia e Reggio, porto di Gioia Tauro).

A est, invece, ancora oggi, si viaggia lungo l’unica arteria stradale nota alla cronaca per essere un olocausto di Stato: la tristemente nota SS106. La mobilità ferroviaria, inoltre, si declina lungo un asse monobinario e per buona parte non elettrificato. Sul pianoro di Sant’Anna, esiste anche uno scalo aeroportuale che resta, però, puntualmente fuori da ogni tipologia di investimento e, a oggi, risulta ancora irraggiungibile al suo naturale alveo di riferimento: l’Arco Jonico. La conta delle infrastrutture joniche, si completa con i porti di Crotone e Corigliano-Rossano. Entrambi, purtroppo, innaturalmente legati all’Autorità di Bacino di Gioia Tauro e sconnessi dalla rete ferroviaria, risultano estranei ad un reticolo infrastrutturale che ne declini la piena funzionalità.

Chiaramente, un’impostazione così marcatamente iniqua dal punto di vista della mobilità e dei servizi ha favorito lo sviluppo di economie diverse tra l’est e l’ovest della Regione. Mentre sugli ambiti vallivo-tirrenici si è sviluppato lavoro legato all’indotto dello Stato e al terziario, lungo l’Arco Jonico il settore primario e, per un certo periodo, quello secondario, hanno rappresentato l’indotto prevalente.

Squilibri strutturali e processi diseconomici marcano le differenze tra est e ovest della Regione

Oggi, la condizione jonica si è ulteriormente aggravata. L’agricoltura, rimasta ancorata alle sole produzioni e commercializzazioni senza il necessario processo di lavorazione dei prodotti, sta iniziando a dare concreti segnali di cedimento del sistema. Il poco lavoro a disposizione si manifesta sempre più a carattere stagionale e non offre prospettive interessanti ai giovani del territorio. L’industria, invece, con la chiusura degli opifici crotonesi e la più recente dismissione della ex centrale Enel a Corigliano-Rossano, rappresenta sempre più un vago ricordo. A fianco la triste descrizione su riportata, poi, la costante spoliazione dei servizi e delle ramificazioni periferiche dello Stato, centralizzate nei Capoluoghi storici e in quelle località da sempre in simbiotico rapporto con i primi (Castrovillari, Lamezia), ha portato le aree della Sibaritide e del Crotonese a essere sempre più lande desolate e depresse.

Nel Crotonese, ancora, le recenti scelte operate in tema di bonifica ambientale hanno disatteso le aspettative della Comunità locale. Le modifiche attuate al Paur (Procedimento Autorizzatorio Unico Regionale) hanno acuito il senso di abbandono del territorio da parte delle Istituzioni.

In area sibarita, invece, la mancata attuazione degli investimenti per il rilancio dell’ex sito Enel e l’abbandono della prospettata pianificazione industriale di BH nel porto, hanno delineato un futuro sempre più fosco per Corigliano-Rossano e le contermini Comunità.

Politiche infrastrutturali ossequiose solo ai dettami centralisti 

Scelleratamente inique le scelte operate negli anni in campo infrastrutturale. Ancora oggi, d’altronde, non si mettono in campo politiche finalizzate a colmare il gap tra Jonio e Tirreno. Il tracciato della nuova linea AV, all’indomani del probabile abbandono del nodo di Tarsia, sembra essere soltanto un affare tirrenico. La mobilità su gomma, invece, nei brevi segmenti in cui si prevede l’upgrade a 4 corsie della jonica, predilige percorsi centrifughi da KR a CZ e da Corigliano-Rossano verso Sibari. I 100km che distanziano Crotone da Corigliano-Rossano sono sempre più abbandonati a loro stessi e privi di una pianificazione progettuale che consenta di immaginare un ammodernamento funzionale del tracciato.

Il corridoio merci Gioia Tauro-Bari è stato instradato sulla direttrice Lamezia-Paola-Sibari, lasciando i porti di Corigliano-Rossano e Crotone fuori dal percorso. Infine, i lavori di elettrificazione della ferrovia jonica, ormai ciclicamente rimandati alle calende greche, probabilmente verranno terminati quando ormai il treno non rappresenterà più un mezzo di trasporto per Paesi emancipati. Insomma, lungo l’area jonica, decenni di inefficienza politica sono riusciti a dilatare i tempi di percorrenza tra territori che neppure la geografia aveva inquadrato come distanti.

Necessario individuare processi di governance regionali che appianino le disomogeneità territoriali 

Il sistema politico locale dell’ultimo cinquantennio non ha saputo rispondere alle sciagurate azioni di matrice centralista attuate a scapito degli ambiti jonici. È, altresì, risultato inidoneo a intravedere il plumbeo futuro che si sta prospettando per i contesti sibariti e crotoniati, salvo poi stracciarsi le vesti a misfatto attuato, inveendo contro altri e mai con il proprio pressapochismo. Se davvero vogliamo cambiare la narrazione che, insindacabilmente, connota l’Arco Jonico come l’Altra Calabria, bisognerà declinare un nuovo paradigma che concorra a cambiare l’approccio prospettico di un territorio dalle innate potenzialità, ma spesso dimenticato. Non una Regione delle tre macroprovince di emanazione Sabauda, ma l’inedita Calabria che non guarda indietro e si slancia verso le sue periferie, recuperandone protagonismo ed inespresse potenzialità.

L’idea di un nuovo ambito d’area vasta lungo il perimetro della Sibaritide e del Crotoniate potrebbe concorrere sinergicamente ad un rinnovato approccio di governance regionale. Chiaramente, un’operazione di tale levatura non può essere confusa o assimilata a effimeri tentativi di distacco amministrativo nella sola area della Provincia cosentina. Decenni di cristallizzate geometrie centraliste, non si demoliscono con il semplice scorporo di una porzione territoriale (la Sibaritide) che rappresenta meno di 1/3 dell’intera demografia cosentina. Le piccole Province hanno dimostrato tutti i loro limiti e non solo in terra di Calabria.

Creare un ambito forte, politicamente ancor prima che amministrativamente, lungo il Marchesato crotonese e la Piana di Sibari serve alla Calabria, ancor prima che allo Jonio. Il Crotonese e la Sibaritide dovranno candidarsi a essere il nuovo asse di sviluppo poliedrico della Regione. Il richiamato asse dovrà fondarsi sulla bonifica e rilancio produttivo del sito Sin (Crotone-Cassano-Cerchiara) e dell’ex stabilimento Enel a Corigliano-Rossano che, insieme alla Zes, dovranno rilanciare la piattaforma logistica e intermodale dei porti jonici sul Mediterraneo orientale. La descritta operazione dovrà essere eseguita senza macchiarsi di sterili e improduttivi campanilismi, ma con spirito di solidarietà e di coesione territoriale.

Il rilancio dei territori non può esulare da una nuova visione infrastrutturale 

Bisognerà, altresì, intessere strategie volte al miglioramento dei livelli essenziali delle prestazioni che, indissolubilmente, viaggiano in parallelo con la crescita infrastrutturale omogenea di ogni singolo angolo del territorio. Continuare a guardare con visioni miopi e deviate, focalizzate sempre e solo alla crescita di un versante a scapito dell’altro, non condurrà questa Regione ad uscire dal pantano in cui versa. Sarà necessaria un’iniezione di massiccia fiducia che non potrà essere soddisfatta con qualche specchietto per le allodole. Di rotonde, guardrail, plinti metallici arrugginiti che sostituiscono alberi come posa per volatili, porti ridotti a bagnarole e scali aerei non messi in condizione di esprimere le proprie potenzialità, lo Jonio non sa che farsene. Così come, di ospedali resi sempre più scatole vuote, dove, in alcuni casi, restano solo cartelli consumati dal tempo a indicarne la destinazione d’uso.

Avviare attività di programmazione interdisciplinari e territoriali

Particolare attenzione andrà destinata alla programmazione. Quest’ultima, invero, non dovrà più essere frutto delle progettualità dei singoli Comuni, ma basarsi su fondamenti interdisciplinari e territoriali.

Serve un sussulto! Se vogliamo che questa Regione, e soprattutto l’estrema area di levante, non perseveri nel far scappare le menti che sforna, bisognerà darsi da fare. Soprattutto, sarà necessario avviare azioni straordinarie concorrenti a rompere l’immobilismo programmatico e la nullità delle attuali strategie di sviluppo. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

L’OPINIONE / Michele Sapia: Prevenzione e lavoro ambientale per superare la cultura dell’emergenza»

di MICHELE SAPIASono bastati pochi giorni di piogge intense per mettere in ginocchio un’intera regione. Assistiamo in queste ore ad alluvioni e frane, strade, vie di collegamento ed edifici distrutti, territori e campi allagati a causa dell’eccezionale portata delle precipitazioni che hanno colpito la Calabria.

Non è però questo il momento delle polemiche e delle accuse, ma è l’ora della responsabilità, di sostenere un confronto tra istituzioni, autorità e parti sociali per una vera e propria pianificazione regionale per contrastare il dissesto idrogeologico, mettendo al centro la prevenzione, il lavoro ambientale-forestale, il valore del presidio umano e la multifunzionalità del bosco. 

Sono indispensabili responsabilità e consapevolezza che tali fenomeni atmosferici, così violenti, sono destinati ad aumentare, come diretta conseguenza dei cambiamenti climatici in atto.

La soluzione più adeguata, per arginare le continue emergenze in un territorio come la Calabria che, come rileva l’Ispra, ha il primato di essere la regione italiana più esposta ai fenomeni alluvionali, è quella di ingenti investimenti in prevenzione.

Occorre una pianificazione trentennale che consideri la vulnerabilità del territorio calabrese, la sua particolare conformazione, segnata da ripidi pendii e migliaia di corsi d’acqua, che con le piogge possono rapidamente ingrossarsi, ma anche contrastare la cementificazione selvaggia, evitando di costruire in aree a rischio.

Fondamentale sarà inoltre un piano di riforestazione in quelle aree danneggiate, la manutenzione e il controllo dei corsi d’acqua, migliorare le infrastrutture ambientali esistenti e costruirne di nuove progettate per resistere a questi eventi atmosferici estremi, per garantire la sicurezza di popolazioni e attività produttive. 

Ma tali propositi rischiano di restare soltanto sulla carta, se non sarà valorizzato in Calabria il lavoro nei comparti del sistema ambientale e agricolo, con i lavoratori che dovranno essere i veri protagonisti di queste politiche di prevenzione e tutela del territorio calabrese, al centro di quella necessaria transizione ambientale e sostenibile, che dovrà garantire prima di tutto sicurezza e presidio umano, recupero di intere aree abbandonate, sviluppo e miglioramento delle opere infrastrutturali, nel solco di quanto fatto a partire dalla metà degli anni Cinquanta dagli operai forestali e addetti alla bonifica: interventi di sistemazione idraulica, consolidamento di terreni franosi, rimboschimento, realizzazione di infrastrutture civili con conseguente miglioramento della qualità della vita delle popolazioni, tutti interventi che hanno generato sicurezza, servizi e opportunità.

Il dissesto idrogeologico in Calabria rappresenta una delle principali sfide ambientali e sociali e come tale va affrontata, attivando sinergie che favoriscano il dialogo tra i soggetti interessati, con l’ausilio di università e centri di ricerca, sostenendo l’importante lavoro di chi opera per la messa in sicurezza del territorio e favorendo un indispensabile ricambio generazionale per immettere nuove energie, nuovi profili professionali e competenze, tecnologie e intelligenza artificiale al servizio dell’uomo e delle comunità. 

Solo insieme, in un’ottica partecipata e in una visione lungo periodo sarà possibile interrompere la “cultura dell’emergenza”, consapevoli che le risorse per la prevenzione e il lavoro agro-ambientale rappresentano investimenti per un futuro del territorio più sicuro, meno vulnerabile a fenomeni di erosione, frane e alluvioni, più green e sostenibile, aperto ad occasioni di sviluppo, specie per le future generazioni. (ms)

[Michele Sapia è segretario generale Fai Cisl Calabria]

 

Scalese (Cgil Area Vasta): Bene delibera Comune di Vibo per migliorare contratti negli appalti

Il Comune di Vibo, guidato da Enzo Romeo, ha deciso di mettersi in prima linea per qualificare i suoi appalti e affrontare il tema del lavoro povero. La delibera approvata, infatti, offre un’indicazione salariale netta e la sua attuazione dal punto di vista contrattuale sarà oggetto di un confronto fondamentale.

«Questa scelta, lungi dall’essere un atteggiamento comune, rappresenta una svolta significativa nel panorama attuale, in cui la liberalizzazione degli appalti ha spesso portato a un abbassamento dei costi a discapito dei diritti dei lavoratori», ha detto Enzo Scalese, segretario generale della Cgil Area Vasta Catanzaro, Crotone., Vibo Valentia.

«Dal punto di vista tecnico, abbiamo la necessità di capire come si realizza l’obiettivo di migliorare i contratti di lavoro negli appalti. E come migliorarli applicando i contratti nazionali – ha sottolineato Scalese –. È fondamentale affrontare la questione in un’ottica contrattuale, lasciando spazio alla contrattazione preventiva per individuare i contratti più appropriati e definire le condizioni di lavoro più favorevoli per i lavoratori».

Per il sindacalista «i confronto dovrebbe partire già da subito, con le parti sindacali, per costruire le condizioni necessarie a varare un regolamento degli appalti che preveda la disapplicazione del subappalto a cascata».

Un passo importante, quindi, per garantire trasparenza e sicurezza nei cantieri.

Il settore degli appalti è stato a lungo sotto l’attenzione delle istituzioni, a causa delle infiltrazioni della criminalità organizzata, del lavoro nero e della mancata applicazione dei contratti collettivi.

«La legalità è il primo presidio affinché possa svilupparsi una corretta dinamica concorrenziale tra soggetti economici», ha detto ancora Scalese, sottolineando l’importanza di una collaborazione tra istituzioni pubbliche e parti sociali.

Il segretario generale della CGIL Area Vasta Catanzaro-Crotone-Vibo, in conclusione, evidenzia che la delibera del Comune di Vibo Valentia rappresenta un’opportunità importante per migliorare le condizioni di lavoro e garantire una maggiore sicurezza per i lavoratori.

«È fondamentale – ha concluso – che tutte le parti coinvolte si impegnino a lavorare insieme per raggiungere questi obiettivi, affinché la concorrenza assuma un valore sostanziale e contribuisca allo sviluppo del settore degli appalti, tutelando al contempo i diritti dei lavoratori». (rcz)

OCCUPAZIONE REALE, STABILE E DI QUALITÀ
IL LAVORO IN CALABRIA RIPARTE DA QUI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – È con “Padel”, il Piano delle Politiche attive del lavoro, che il presidente della Regione, Roberto Occhiuto e l’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Calabrese rispondono «a tutte le incertezze» in un territorio in cui «il lavoro per poter vivere in una regione come la nostra è fondamentale e importante».

Un programma, quello di Padel, stilato con grande anticipo – ha spiegato Calabrese nel corso della conferenza stampa – «attraverso una serie di avvisi importanti che metteremo in campo entro il prossimo anno», ha detto Calabrese, sottolineando il cambio di passo da parte del Governo regionale, «un approccio culturale diverso nell’affrontare queste problematiche».

Sono 13, infatti, gli interventi in programma per l’occupazione, per un totale di 183 milioni di euro.

«Il nostro obiettivo – ha sottolineato l’assessore Calabrese – è quello di raggiungere 10 mila persone con le misure di politica attiva del lavoro: questo sarebbe un grande segnale di cambiamento per far restare i nostri giovani in Calabria».

Ma un primo cambiamento c’è già stato, per il presidente Occhiuto: «credo che questo governo regionale sia l’unico nella storia degli ultimi 30 anni a non aver ampliato il bacino dei precari, anzi ad aver lavorato per contenerlo, per assorbirlo con iniziative rivolte alla stabilizzazione».

«Con questo Piano – ha aggiunto Occhiuto – abbiamo voluto programmare, con fondi PR Calabria Fesr-Fse+ 2021 – 2027, nuovi interventi, 13 per la precisione, raggruppati in quattro tipologie con interventi rivolti all’autoimprenditorialità, all’occupazione, formazione e competenze, servizi per il lavoro, la maggior parte dei quali in avvio entro fine 2024 e alcuni nei primi 6 mesi del 2025».

«Mi piace che una parte di queste risorse – ha aggiunto – siano state destinate a sviluppare percorsi per incentivare il lavoro da remoto, che diventa anche un modo per rigenerare i nostri borghi che rischiano di morire perché non c’è più la presenza dei giovani».

Padel, infatti, è uno strumento, nuovo e strategico, concepito in sinergia tra Dipartimenti Lavoro e Programmazione Unitaria della Regione, con l’obiettivo di garantire nuove forme di lavoro in Calabria, ma non solo: è «un Piano pensato per i giovani, le donne e i lavoratori svantaggiati con una serie di importanti misure dirette a migliorare l’inserimento e il reinserimento nel mondo del lavoro, a promuovere un lavoro di qualità, a potenziare l’integrazione pubblico-privato e le competenze digitali e verdi», ha ribadito Occhiuto.

«Un altro nostro obiettivo di cui si tiene conto in questo Piano – ha proseguito il Governatore – è quello di far diventare l’immigrazione una circostanza, un’occasione, per creare un tessuto di lavoro diffuso sul territorio, attraverso lo stimolo verso iniziative di cooperazione per i tanti migranti che la Calabria accoglie».

Ma non solo: «La nostra priorità – ha evidenziato Calabrese – è quella di fare in modo che i calabresi possano rimanere in Calabria attraverso un lavoro vero, attraverso una formazione di qualità andando a risolvere le problematiche serie che vengono dal passato e soprattutto programmando in base alle esigenze delle aziende calabresi».

Occhiuto, concludendo il suo intervento, ha ringraziato l’assessore Calabrese e i dipartimenti regionali Lavoro e Programmazione, con i dirigenti generali, Fortunato Varone, Maurizio Nicolai – presenti alla conferenza stampa – «per il lavoro svolto, per la stesura di un Piano che prevede incentivi anche per l’auto-imprenditoria femminile e per l’economia sociale». Dello stesso parare Calabrese che, ringraziando Nicolai e Varone, ha ribadito come «insieme si sta portando avanti l’indirizzo politico del presidente Occhiuto e del governo regionale».

«È un momento importante e di grande soddisfazione», ha sottolineato Calabrese, spiegando l’iter di Padel, «frutto di uno studio approfondito della situazione economica calabrese».

«Finalmente  – ha aggiunto – si inizia a programmare e non più a lasciare al caso avvisi sporadici. Siamo di fronte ad una programmazione importante che nasce anche dal confronto con le associazioni di categoria e con i sindacati, dalla concertazione al Tavolo per il lavoro».

«Siamo partiti da zero – ha continuato – da un momento in cui non c’era nulla, mancava anche una norma di riferimento e con l’approvazione della legge sulle politiche del lavoro, con la costituzione del Tavolo, con l’agenzia per il lavoro, oggi siamo arrivati a presentare questo Piano che prevede risorse importanti per 183 milioni di euro attraverso una serie di misure che siamo certi e convinti porteranno occupazione seria, reale e di qualità in Calabria».

«Abbiamo anche previsto – ha spiegato – misure per il lavoro in smart working con l’obiettivo di ripopolare le aree interne, abbiamo una gamma di strumenti importanti a 360 gradi che possono rappresentare le esigenze di tutte le aziende».

I 13 interventi sono stati illustrati da Varone, sottolineando come «per la prima volta si realizza un Piano che prevede una pianificazione di numerosi interventi con una tempistica certa e con la maggior parte degli avvisi a sportello, per dare la possibilità a tutti di partecipare e di trovare sempre uno strumento utile per lavoratori e imprese».

Tra questi, spicca “Lavoro Giovani Calabria”, con cui si punta al miglioramento dell’accesso al mercato del lavoro dei giovani calabresi under 35 e a contrastare la fuga dei talenti.

«L’intervento – si legge nel bando – finanzia tirocini formativi e di orientamento nei settori dell’S3, in particolare: tecnologie Digitali, terziario innovativo; ambiente, economia circolare e biodiversità; edilizia ecosostenibile, energia e clima; blue economy; turismo e cultura; scienza della vita. I tirocini hanno una durata minima di 6 mesi e massima di 12 mesi; nel caso di destinatario giovane con disabilità, la durata complessiva arriva fino a 24 mesi. A conclusione del tirocinio, l’impresa ospitante potrà beneficiare di un incentivo una tantum per ogni assunzione a tempo determinato o indeterminato».

Interessante, poi, la Certificazione della Parità di Genere, che vuole sostenere le micro, piccole e medie imprese calabresi nel conseguimento della Certificazione di Parità di genere, disciplinata dalla legge 162/2021 e dalla legge 234/2021, che accompagna e incentiva nel promuovere percorsi finalizzati a ridurre il divario di genere e garantire pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo.

«La procedura – si legge nel bando – prevede l’erogazione di voucher per le imprese che si doteranno della certificazione di genere e l’erogazione di un voucher per il mantenimento della certificazione per ulteriori tre anni, per le imprese già in possesso della certificazione».

Spazio, anche, alla formazione continua per le aziende, concedendo incentivi per le attività di formazione dei propri dipendenti, anche neoassunti, per cui sono stati stanziati 5 mln di euro. Nel bando, poi, è stata data attenzione anche al verde e alla transizione digitale, per cui sono stati stanziati 4 mln e che promuove l’offerta di formazione permanente per gli adulti, finalizzata all’aggiornamento/acquisizione delle competenze chiave, in particolare quelle verdi e digitali.

Tra gli interventi, 4.5 milioni sono stati stanziati per il recupero delle tradizioni artigianali, al trasferimento delle competenze tra generazioni e all’incremento del livello occupazionale; così come sono previsti tirocini Ue realizzati mediante il supporto specialistico della rete Eures presente nei CPI, prevede: promozione del tirocinio; orientamento professionale; assistenza e accompagnamento nella definizione del progetto formativo legato all’attivazione dei percorsi di tirocinio; erogazione di un contributo per la partecipazione al percorso di tirocinio in mobilità; validazione e certificazione delle competenze acquisite. (ams)

QUEL PIANO DI BILANCIO INADEGUATO PER
LE REALI ESIGENZE DI CRESCITA DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – È cominciato il rito delle audizioni. Dinanzi alla Camera dei Deputati è stato sentito il 7 ottobre il capo del Dipartimento di Economia e Statistica di Banca d’Italia, Sergio Nicoletti Altimari, per esaminare il Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025 2029, che con un acronimo difficilissimo viene chiamato (PSBMT).

L’8 ottobre, presso la Sala del Mappamondo di Montecitorio, le Commissioni Bilancio di Camera e Senato, nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029, si è svolta l’audizione del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti.    

Si è trattato di illustrare i dati fondamentali per un periodo estremamente lungo: cinque anni. La Commissione Europea vuole vederci chiaro sui progetti dei vari Paesi dell’Unione, dopo la parentesi del Covid, nella quale si è proclamato il “liberi tutti”. I temi fondamentali riguardano il debito pubblico accumulato negli anni e la sua sostenibilità, il deficit annuale, il saldo primario, le riforme necessarie che allineano i percorsi di tutti i Paesi dell’Unione, tipo la Bolkstein, l’incremento atteso del Pil e dell’occupazione. 

È un vero e proprio quadro di cosa sarà il Paese nel  periodo prossimo considerato e quindi alla fine dei cinque anni. Ma non può essere un libro dei sogni perché le poste che si presentano devono essere coerenti tra di loro ed effettivamente realizzabili. Il grande rischio che si corre è, però, che in tutte le audizioni previste ci si addentri  nelle singole poste con molta precisione e si perda di vista il quadro generale. In particolare questo problema esiste per il Mezzogiorno che di questo progetto o piano strutturale vorrebbe conoscere gli elementi fondamentali che riguardano il suo futuro. 

Tra questi quelli che interessano maggiormente sono il numero di posti di lavoro che saranno creati nel periodo considerato nell’area.  Anche in tutto il Paese, cosa altrettanto importante, ma maggiormente nelle realtà meridionali, nelle quali le esigenze sono più importanti.

Infatti la quantità di persone che dovranno andar via per cercare una ipotesi di futuro altrove, i figli e i nipoti che potranno rimanere accanto ai loro genitori e ai loro nonni, dipenderà da quel rapporto occupati popolazione che continua ad essere al Sud di una persona su quattro.

Il 36,2 per cento della domanda di lavoro sarà innescata nelle Regioni del Mezzogiorno, con la Campania (68.194 unita) e la Sicilia (56.031 unita), che coprono il 17,5 per cento della domanda di lavoro generata dal Pnrr. Cosi recita il Piano. 

Ma questa è una dichiarazione di sconfitta assoluta. Perché anche se il numero globale di saldo occupazionale fosse nei cinque anni prossimi vicino ai 500.000, e dalle previsioni del piano siamo assolutamente distanti da questi numeri, saremmo molto lontani dalle esigenze effettive che il Mezzogiorno ha per arrivare a un rapporto popolazione occupati simile a quelle delle aree sviluppo a compiuto. Quel benchmark di riferimento che è l’Emilia-Romagna, nella quale il rapporto é vicino all’uno a due. 

Altimari, per esempio nella sua audizione ha riconosciuto l’importanza del Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029, nel quadro della nuova governance economica europea, approvata nell’aprile 2024, che prevede l’impegno dei Paesi membri con un elevato debito pubblico, come l’Italia, a intraprendere un percorso di riduzione del rapporto debito/Pil. E nessuno può pensare di non concordare su tale importanza. 

Ma vogliamo anche dire che il Piano prevede che, anche in costanza in parte degli effetti del Pnrr, la situazione non muterà  rispetto alla domanda di posti di lavoro necessaria per il Mezzogiorno? 

Vogliamo dire che la Zes unica, succeduta alle otto Zes, nel piano è ritenuta un fallimento visto che l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, per la quale è stata concepita, alla fine non crea quei posti di lavoro che nessuno mai si è azzardato di quantificare adeguatamente? Oppure si ritiene che i vari temi  vadano ognuno per la propria strada e siano indipendenti? Certo il Vangelo dice che è bene che la destra non sappia quello che fa la sinistra, ma in quel caso si parlava di elemosina, di fare del bene. Qui invece si analizzano  tutti gli aggregati macroeconomici, cercando di farli rimanere all’interno del range che l’Unione ritiene opportuno, ma alla fine non vi è una parola chiara sul fatto che con questi dati del Piano si prevede che perduri quel percorso che si è avuto fino ad adesso e che vede piccole crescite sia del Pil che degli occupati, certamente inadeguate rispetto alle esigenze.

Nessun  salto di qualità, nessuna crescita particolare, nessun recupero di ritardo previsto. È tutta la saggistica sul Mezzogiorno batteria d’Europa, sul Mediterraneo centrale per il prossimo futuro, sul Sud nuova opportunità e locomotiva del Paese, rimangono per le prossime grida manzoniane. 

Grida che  serviranno  per le  future campagne elettorali, per illudere i meridionali che qualcosa cambierà finalmente, in termini occupazionali, in termini di diritti. 

Il Piano dice invece quello che effettivamente avverrà con tutti i vincoli dei quali non si può tener conto a cominciare dall’enorme debito pubblico che ci fa pagare interessi importanti che sottraggono risorse agli investimenti possibili. Debito pubblico che, visto lo stato della infrastrutturazione del Mezzogiorno, nasce anche dalle grandi opere che sono state fatte in una sola parte del Paese. O dagli aiuti che sono dati alla parte produttiva che certamente nella sua maggiore dimensione è localizzata al Nord. 

Nemmeno l’opposizione evidenzia in modo adeguato le carenze del Piano, perché segue le logiche delle audizioni, perdendosi spesso nei dettagli e perdendo di vista il quadro complessivo.  

Ma è evidente che il Piano previsto forse è l’unico possibile se si tiene  conto dei condizionamenti esistenti, di realtà consolidate che non possono essere ignorate, di un appesantimento di una struttura amministrativa burocratica centrale che certo non può essere sfoltita e alleggerita in modo rapido.  La cosa più facile è il percorso degli anni passati, andare piano. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

LA CALABRIA È LA REGIONE CON MAGGIORI
DISUGUAGLIANZE TRA I PAESI DELLA UE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Qual è la regione con le maggiori disuguaglianze nell’Unione Europea? Risposta scontata: la Calabria, purtroppo. Secondo i dati di Eurostat, diffusi dalla Cgil, i numeri segnano il risultato più drammatico, in cui emerge non solo una bassa condizione di crescita, ma anche una forte disparità retributiva tra il capitale e il reddito.

Il 20% dei cittadini calabresi ricchi accresce il suo benessere, mentre il 20% povero diventa ancora più indigente non potendo disporre dei basilari mezzi di sussistenza su beni e servizi essenziali.

L’Istituto economico europeo, infatti, certifica la divaricazione della forbice sociale a vantaggio degli strati più ricchi e ne accentua lo stato di povertà, in valore e condizione, assoluta. Tutto ciò mentre la nostra regione sconta una crisi demografica, uno spopolamento delle aree interne ed una emigrazione giovanile senza precedenti che verrà acuita dall’autonomia differenziata.

Per la Cgil Calabria «c’è un tema ineludibile per il Governo nazionale e regionale: quello salariale, del lavoro, degli investimenti che sfuggono dall’orbita di ogni provvedimento emanato dall’esecutivo».

Un fenomeno che, per quanto paradossale, vista la quantità e la finalità di risorse europee, ordinarie e straordinarie, di cui la Calabria oggi dispone, il sindacato ha sempre cercato di evidenziare negli ambiti istituzionali della programmazione europea, richiamando un approccio di indirizzo e di merito basato sulla qualità della spesa in termini di impatto e congruità dei risultati».

Oltre la metà della spesa comunitaria viene assegnata con bonus, incentivi e crediti d’imposta che solo marginalmente determina una premialità negli investimenti su politiche distributive e reddituali, con un basso coefficiente occupazionale. Per quanto evidenti, i fattori dì criticità nella spesa comunitaria vengono spesso concepiti nella necessità di intervento sugli aspetti quantitativi, anziché affrontarli nella complessità delle loro dinamiche distributive per meglio agire processi contestuali di sviluppo e di crescita sia economica che sociale.

In altre parole, «non c’è solo un problema nella capacità di investire i fondi per ridurre i divari territoriali con le altre aree del Paese – ha rilevato il sindacato – ma, di farlo, attraverso mirate politiche sociali ed occupazionali per garantire un generale benessere di tutte le classi sociali che nei territori risiedono. L’indagine dell’Eurostat, sostanzialmente, ci suggerisce di considerare i divari regionali per poter meglio affrontare quelli nazionali».

Sul tema del lavoro, «il contratto è un buon punto di partenza, ma è necessario potenziarne l’azione nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori», ha detto Mariaelena Senese, segretaria generale della Uil Calabria, intervenendo ai lavori del convegno sui 30 anni dell’Ebac a Reggio Calabria, annunciando di aver chiesto «n incontro per migliorare le prestazioni dell’ente bilaterale a favore dei lavoratori e prevedere un sistema di premialità per le aziende di settore, predisposizione di un fondo di incentivo all’occupazione finalizzato ad evitare la fuga dai giovani dalla Calabria, intervenendo anche con progetti mirati nelle scuole prevedendo il supporto dell’Inail regionale. Inail che è sempre stata al fianco della bilateralità attraverso dei progetti mirati che partono proprio dal mondo della scuola».

Ma non sono solo i sindacati a essere impegnati sul tema del lavoro: Anche la Regione Calabria sta facendo la sua parte. È stato approvato, infatti, su proposta dell’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Calabrese, il nuovo schema di Accordo per la realizzazione dell’investimento 1.1 “Piano potenziamento Centri per l’impiego” del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), Missione M5, Componente C1.

L’accordo sarà sottoscritto dalla Regione Calabria – Dipartimento Lavoro, dall’Unità di missione per l’attuazione degli interventi del Pnrr e dalla Direzione generale presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

L’intervento è finalizzato al potenziamento dei Centri per l’impiego, allo scopo di consentire un’efficace erogazione dei servizi per l’impiego e la formazione e, nell’ambito del medesimo, sono previste attività legate al potenziamento dei Cpi tramite il rafforzamento delle competenze del personale e il potenziamento infrastrutturale. L’importo del finanziamento per la Regione Calabria è di 10.593.900,48 euro.

Insomma, c’è grande consapevolezza che nella regione ci sia un grave problema occupazionale a cui, poco a poco, si sta cercando di trovare una soluzione per impedire non solo lo spopolamento dei borghi, ma anche la partenza dei cervelli che, con le loro capacità, potrebbero contribuire a risollevare questa terra dalle grandi potenzialità.

Sicuramente c’è più bisogno di sinergia tra istituzioni, sindacati, Enti e associazioni di categoria per mettere nero su bianco un piano capace di colmare uno dei più gravi e atavici divari della Calabria. I continui report che i sindacati o gli Enti producono, devono indurre la Regione a fare una riflessione seria sul tema e cercare una quadra anche col Governo per mettere a punto una strategia con azioni mirate a rendere la regione un modello virtuoso capace di attrarre, non di indurre a scappare.

SOTTOVALUTARE IL DISAGIO DEL SUD È DA
SUPERFICIALI: STANCHI DEI DIRITTI NEGATI

di PIETRO MASSIMO BUSETTALa mancanza dei diritti fondamentali, dovuti ad un welfare insufficiente, oltre a quello della possibilità di una occupazione adeguata alle skill possedute da ciascuno, costituisce la ragione fondamentale di un processo emigratorio che toglie al Sud ogni possibilità di futuro.

La spesa storica, che sottrae al Mezzogiorno 60 miliardi ogni anno, e porta a una spesa procapite inferiore,  per cui nascere a Sondrio è un privilegio e a Reggio Calabria una disgrazia, porta ad un welfare totalmente differente  tra le due parti. Per cui in una la sanità pubblica é sufficiente nell’altra devi rivolgerti a quella privata e così di seguito per la mobilità, il possesso di un auto é problema di sopravvivenza, o per la formazione scolastica. Peraltro la stretta  sul reddito di cittadinanza ha portato molte famiglie di nuovo nella povertà assoluta, dalla quale lo strumento li aveva affrancati. 

Anche di questi temi si occupa il mio saggio, che viene distribuito in questi giorni nelle librerie e sulle maggiori piattaforme digitali: “la rana bollita”, che completa un ciclo di quattro volumi che inizia con “il coccodrillo si é affogato”, continua con “il lupo e l’agnello”, poi con “la rana scorpione” per completarsi con “la rana bollita”, tutti editi da Rubettino. 

Lo zoo che ho creato in questi ultimi anni ripercorre i luoghi comuni e i mantra più diffusi che hanno caratterizzato il racconto del nostro Sud.  E propone un’interpretazione assolutamente differente rispetto a quella prevalente, che proviene fondamentalmente da chi ha vinto la battaglia economica. Quel Nord bulimico che ritengo abbia avuto in mano il volante del Paese e che ha fallito nel suo primo obiettivo teorico, che era l’unificazione economica dopo quella politica. 

Con questo nuovo lavoro si completa una ricerca che parte nel 2018. E che si compone di quattro saggi.

Nei tre volumi precedenti esploro alcune tematiche con una chiave di lettura personale e stimolante, su alcuni argomenti, ancora di strettissima attualità, riguardanti il Sud. Il primo lavoro è stato Il coccodrillo si è affogato, pubblicato da Rubbettino nel 2018.

In esso si metteva in evidenza come l’esigenza dello sviluppo del Sud non fosse interesse soltanto dei 20 milioni di meridionali, ma una necessità per tutto il Paese. Perché non era pensabile avere dei tassi di crescita consistenti se si lasciava il 33% della popolazione e il 40% del territorio fuori dai processi di sviluppo che attraversano tutta l’Europa.

Il secondo lavoro della quadrilogia, pubblicato nel 2021, sempre dallo stesso Editore, dal titolo Il lupo e l’agnello, rifletteva sull’idea che la colpa del mancato sviluppo del Sud fosse da attribuire allo stesso Sud che, nella vulgata, era stato dissipatore di risorse che i meridionali avevano sprecato con ruberie, sottrazioni, sprechi e incapacità varie.

La metafora della fiaba mette in evidenza come il racconto  fosse praticamente falso e la dimostrazione più evidente il fatto che l’infrastrutturazione, che evidentemente dipendeva dallo Stato centrale, fosse rimasta al palo.

Si parla dell’Alta Velocità Ferroviaria oltre che dell’Autostrada del Sole, che già nella sua concezione si ferma a Napoli, lasciando tutto il Mezzogiorno isolato con la pretesa poi che si sviluppasse.

Con il lavoro più recente, La rana e lo scorpione, Rubbettino 2023, si è cercata la motivazione per la quale non è stata adottata anche dal nostro Paese una politica economica più lungimirante, che hanno invece impostato molti Paesi dell’Unione. In particolare lo ha fatto la Germania e anche la stessa Spagna, tra i Paesi più grandi, ma in realtà tutti quelli che hanno problemi di aree estese a sviluppo ritardato.

La risposta è stata che in realtà un Nord, alcune volte provinciale e bulimico, governato da forze spesso localistiche e miopi, lontane dalle visioni di De Gasperi o di Pasquale Saraceno, abbia imposto politiche molto egoiste. Vedasi cosa ha fatto la Lombardia e lo stesso Veneto, ma non sono state da meno Emilia-Romagna e Toscana, che hanno portato a una distribuzione delle risorse basata sulla spesa storica, che ha sottratto ogni anno al Mezzogiorno oltre 60 miliardi.

In tale  lavoro si faceva anche una riflessione importante e cioè che la problematica non fosse tecnica, che il tema non fosse più quello di trovare come si potesse sviluppare il manifatturiero, il turismo, e la logistica. Ma forse quello di trovare le forze che fossero in grado di imporre al Governo nazionale di andare avanti senza quegli stop and go che hanno portato il Mezzogiorno a essere sempre una realtà statica che, negli ultimi vent’anni, ha aumentato di poche unità i propri addetti, compresi i sommersi.

Guardare i dati dell’occupazione complessiva ci fa capire quale dramma abbia vissuto questa parte del Paese, nella quale lavora una persona su quattro, che ha bisogno di milioni di posti di lavoro nuovi, e che invece al massimo per qualche mese è stata destinataria di risorse assistenziali come il reddito di cittadinanza.

Ma il progetto politico che portasse ad avere voce è stato interpretato in tanti modi e disperso in mille rivoli, per cui non è riuscito a formare una forza parlamentare adeguata a imporre al Paese una linea che non fosse frammentaria e discontinua.

Con questo nuovo lavoro ci si pone la domanda seguente: come mai una Comunità che è stata maltrattata per anni da un Paese rivelatosi ostile, che ha impostato un progetto di sviluppo che si realizza con le migrazioni di oltre 100.000 tra giovani e adulti ogni anno verso il Nord, verso l’Europa e anche verso i Paesi d’oltremare, non si ribella? Visto che ha a disposizione la possibilità di votare periodicamente e manifestare il suo dissenso e la sua opposizione.

Come mai la mancanza di infrastrutturazione, che prevede che la stessa distanza possa essere percorsa in ferrovia in una parte d’Italia in un’ora e in un’altra in tre, non fa scattare reazioni?

E perché subisce una sanità che costringe quelli che se lo possono consentire, nei casi più delicati, a prendere un aereo per poter avere un servizio di eccellenza e gli altri spesso a subire trattamenti inadeguati? E un processo formativo mancante di asili nido, di lotta alla dispersione scolastica, di tempo pieno, non fa reagire pesantemente? E infine l’ultimo schiaffo in pieno viso, quell’autonomia differenziata le cui conseguenze saranno devastanti.

E il rosario dei diritti di cittadinanza negati potrebbe continuare senza soluzione di continuità tanto da far dire ad alcuni che questa parte del Paese è utilizzata come se fosse una colonia.

Su questo tema ci si intrattiene con  l’obiettivo di capire le dinamiche, svegliare le coscienze ed evitare che la conclusione di tali differenze di sviluppo e le ingiustizie subite portino a una rabbia diffusa che sfoci in una richiesta di separazione, già molto sentita da una parte non marginale della popolazione. Probabilmente l’abitudine a vivere in una realtà degradata progressivamente ha portato a non reagire. Mentre l’individualismo, tipico delle realtà meno sviluppate, ha portato a cercare soluzioni personali piuttosto che ad azioni di ribellioni collettive, mediante l’indirizzamento del consenso o anche con mai augurabili azioni violente. Ma nulla è per sempre e forse sottovalutare il disagio del Sud è da superficiali. Completa il lavoro la prefazione del direttore dello Svimez, Luca Bianchi, la postfazione che viene riproposta a fianco di Giuseppe Savagnone e tre commenti di Francesco Saverio Coppola, di Nino Foti e di Nino Germaná(pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

LAVORO, VALORE A QUALITÀ E COMPETENZE
PER IMPEDIRE L’EMIGRAZIONE DEI GIOVANI

di FRANCESCO RAOSecondo uno studio condotto a livello nazionale, il valore del tempo e della vita sta superando quello per il lavoro.  I giovani, muniti di elevate competenze, hanno ben compreso che la loro professionalità può essere espressa in modo circostanziato anche attraverso il lavoro da remoto. Inoltre, l’esperienza acquisita nel breve periodo può generare alti redditi e quindi rimanere chiusi in ufficio per intere giornate per ricevere uno stipendio elevato è un fatto passato. La priorità, per moltissimi giovani, appare indirizzata verso un maggiore controllo del tempo e una migliore qualità della vita. Da queste considerazioni è emerso in un recente studio che nel 70% dei colloqui, sono i giovani a dire “le farò sapere” e non più i datori di lavoro. 

Il paradigma è cambiato: prima viene la soddisfazione del vivere, poi il lavoro dal quale trarre la giusta remunerazione per affrontare la quotidianità e la realizzazione personale e familiare. Molti datori di lavoro iniziano a comprendere tale evidenza a loro spese. Ma la tipologia di risposta, attuata da molti per affrontare questo tipo di criticità, non punta alle competenze e quindi alla qualità, ma è tesa a risolvere la criticità abbassando il livello di competenze e, al contempo, illudendosi di poter competere con i più moderni e avanzati sistemi di produzione, si ricorre a collaborazioni non qualificate e quindi inadatte a processi di lavoro complessi nei quali, il primo requisito per mantenere le tendenze di produzione e consumo è la competenza.

Nel seguire la regola del momento, oltre alla crescente diffusione dell’intelligenza artificiale, la penuria di competenze, tanto nel settore pubblico quanto nel privato, si finisce per proporzionare il risultato finale ponendo in rapporto alla retribuzione e non alla qualità senza considerare che oggi, la qualità la si acquista sulla rete tramite internet. Questa dinamica, naturalmente registrata dagli osservatori già da tanto tempo e puntualmente non accolta dai decisori politici, ha contribuito a generare sia l’acuirsi dell’attuale crisi demografica sia la forte propensione alla mobilità del posto di lavoro, fatto inedito per quanti in passato, ottenuto il posto di lavoro lo abbandonavano soltanto per quiescenza oppure per crisi specifica del settore produttivo. I giovani, attualmente, hanno molte più competenze rispetto ai loro coetanei del secolo scorso e le dinamiche produttive, nel loro complesso, sono sempre più ostaggio non solo dai parametri dettati da un mercato del consumo, fortemente dinamico, ma anche da una tassazione asfissiante.

Tutto ciò non consente ai nostri sistemi produttivi di reggere il rapporto domanda-offerta, sempre più condizionato dall’insieme delle scelte praticate da un mercato fluente, veloce e simmetrico al desiderio cangiante del consumatore, divenuto ormai parte attiva e quindi individuabile come consumAttore, ossia colui che scegliendo nella quotidianità uno o più prodotti, veicolandone le immagini e diffondendo attraverso i social emozioni e stili di vita ad esso riconducibili, riesce a determinare direttamente la visibilità, la pervasività e la diffusione delle mode e quindi dei consumi, divenute ormai non più fasi stagionali, ma circostanze temporanee, attraverso le quali si può stare soltanto dentro o fuori dal circuito e quanti cercano l’alternativa fuori da tali ambiti divengono gli esclusi della situazione. Credo sia evidente la linearità con la quale si stia materializzando la privazione della libertà di scelta.

Quasi tutto è riconducibile alle logiche dettate dal consumismo. Quanti tentando di evitare il sistema prevalente sarà escluso in quanto oggi inizia a venir meno l’identità delle persone in quanto prevale la logica dei numeri.  In questo scenario, contrariamente al passato, le aree demograficamente meno popolate divengono una centrifuga che spinge fuori le giovani generazioni, vittime della disoccupazione e dei consumi ma al contempo in possesso di una cultura medio-alta non esprimibile nel territorio di appartenenza. Oggi non si parte perché manca il pane sulla tavola oppure perché si è tanti in famiglia e il raccolto non basta per soddisfare le esigenze di tutto il nucleo familiare. Si parte per mettere in pratica le proprie competenze in quei luoghi dinamici, veloci e famelici di competenze e voglia di guadagnare in proporzione alla capacità di essere innovatori. Questa è una tra le narrazioni poco affrontate dai decisori politici. L’acuirsi di questa dinamica, forse nei prossimi dieci anni, diverrà uno tra i motivi mediante la quale si determinerà una ulteriore decrescita per il nostro Meridione, sempre più lontano dalla capacità di immaginare il futuro e sempre meno popolato da persone impegnate ad anticiparne le soluzioni, per contenere il divario Nord-Sud e azionare segnali di ripresa.  

Naturalmente, alla crescita della disoccupazione, le località più esposte a tali fenomeni scelgono di far fronte alle necessità delle popolazioni ricorrendo al minor prezzo di beni e servizi, i primi provenienti da mercati esteri nei quali il basso costo della manodopera e l’alta capacità produttiva rende possibili forniture senza limiti, i secondi, ricorrendo a personale con minori competenze e quindi pronte ad accontentarsi di poco. Nell’insieme, inconsapevolmente, si alimentano ulteriori opportunità di malessere e voglia di emigrare. In questo ultimo passaggio, si cristallizza con puntualità quanto previsto da Pier Paolo Pasolini nel secolo scorso attraverso la lungimirante previsione delle nuove instabilità sociali dettate non più dalla sopraffazione, come avvenne nel corso del Ventennio, ma dalla privazione, fenomeno per il quale, parimenti alla dipendenza da sostanze stupefacenti, l’essere umano vive l’astinenza con forte senso di malessere e per potersi liberare da ciò, in assenza di altri rimedi, non sono escluse le devianze e soprattutto non sono esclusi i casi di suicidio e il ritorno alle divisioni sociali, circostanze per le quali verrà generato il miglior territorio utile all’affermazione dell’anomia, già oggetto di studio da parte di uno dei padri della sociologia e oggi poco considerato quale utile lettura in chiave epistemologica di una realtà propensa alla degenerazione.

Ancora una volta, sarà possibile individuare le risposte alla criticità future attraverso la lettura della storia e considerando l’attuale periodizzazione come naturale evoluzione del tempo preso in esame riconducendolo nell’alveo di una società liquida, incessantemente stimolata dal consumismo e dalla crescente mancanza di quel senso della misura donatoci dall’antica civiltà greca, dalla quale noi Calabresi custodiamo ampie risorse individuabili come virtù. (fr)

[Francesco Rao è docente a contratto cattedra di sociologia generale Università “Tor Vergata” – Roma]