SUI LIVELLI ESSENZIALI DI PRESTAZIONE
SI GIOCHERÀ LA PARTITA DELL’AUTONOMIA

Sui livelli essenziali di prestazione si gioca la partita dell’autonomia differenziata, anche se – è bene osservarlo – si è buttato un quarto di secolo discutendo male di un problema serio, confondendo spesso il federalismo fiscale con il regionalismo differenziato. Il prof. Ettore Jorio dell’Unical, ripercorre gli ultimi avvenimementi del Comitato Lep (CLEP) e indica luci e ombre di questo fondamentale argomento.

di ETTORE JORIO – Il due agosto, i 56 componenti il Clep – rimasti tali  dopo le dimissioni di Amato, Bassanini, Gallo e Pajno – hanno trasmesso al ministro Calderoli la prima relazione sul lavoro effettuato. Il suo contenuto avrebbe dovuto, in un Paese normale, rianimare il dibattito sul come la Nazione percepirà i diritti civili e fiscali. Invece, no. Si vivacizza quello sul regionalismo differenziato, confondendo spesso i fischi con i fiaschi e non fregandosene su come, per esempio, il calabrese farà propri i diritti che sino ad oggi non ha visto neppure da lontano.

Una idea di fondo, quella messa su carta dal Comitato per i Lep, condivisibile escludendo la conclusione cui è pervenuto il Sottogruppo n. 9 (Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario). Che è poi l’eccezione che ha riempito per giorni, immediatamente successivi al ferragosto, le “rotative” dell’informazione. Però, solo di quella specializzata.

Nel ripercorrere le anzidette affermazioni, ci si rende conto che i rilievi mossi sembrano essere indirizzati avverso la Costituzione. Meglio, verso l’individuazione metodologica sulla quale poggia il finanziamento del sistema autonomistico, così come novellato il 2001. Un po’ come avviene oggi avverso l’art. 116, comma 3, in tema di regionalismo asimmetrico.

Il riferimento è stato infatti criticamente mosso sugli esiti prospettici del criterio che affida alla compartecipazione al gettito di tributi erariali riferiti ai relativi territori. Un rilievo su come il sistema funziona oggi. Più esattamente, addirittura dal 2000 a seguito del D.lgs. n. 56 attuativo della legge delega n. 133/1999. E stante la lettera costituzionale, è così che dovrà essere, a meno di cambiare l’art. 119, comma 2, della Costituzione.

Non si comprendono pertanto le critiche, persino con riferimenti impropri, atteso che il sistema compartecipativo attuale incide sulla maggiore imposta diretta, l’Iva, e non già su quelle indirette riferibili ai redditi prodotti e godute in alcune regioni, più esattamente in quelle più ricche.

Una imposta indiretta, quella compartecipata e goduta dalle Regioni ad oltre il 70% del gettito nazionale, che nella sua attuale dimensione regola e finanzia la sanità. Lo fa finanziando quel Fondo sanitario nazionale che con il federalismo fiscale applicato non ci sarà più, perché sostituito dal

Fabbisogno standard nazionale che è tutt’altra cosa. Dunque, criticarne il funzionamento futuro, perché a rischio di pericolose sperequazioni, significa criticare il metodo che la Costituzione impone. Se ne proponga quindi la modifica mediante una revisione ex art. 138 della Carta.

Al riguardo, è appena il caso di precisare che la soluzione per rendere a tutti i Lep, in egual misura, non risiede sulle differenze finanziarie in godimento ordinario alle Regioni (tributi ed entrate proprie e quote di compartecipazione). Essa la si realizza accelerando – sempre art. 119, ma comma quarto, alla mano – la costituzione fisica e il funzionamento del fondo perequativo ordinario indispensabile per compensare le differenze tra quanto percepito direttamente dalle autonomie territoriali, al lordo delle quote compartecipative, e quanto sarà loro necessario per garantire i Lea.

Non impegnarsi su questo e pensare ad altro si continuerà a fare quanto oramai dura da 22 anni. Il nulla.

Un altro tema importante, evidenziabile dalla relazione del Clep, è quello della individuazione dei Lep, pre-rendicontati dal medesimo solo in riferimento alle materie oggetto di eventuale differenziazione, ex art. 116, comma 3.

La causa di ciò è certamente risalente alla lettura della legge di bilancio per il 2023. Più esattamente, del comma 793 dell’art. 1, nella parte in cui si riferisce alla determinazione dei Lep.

Ebbene, nello svolgimento di un tale fondamentale compito si è elusa la individuazione dei Lep riferibili alle materie di competenza residuale, supponendo di affidare un tale compito ad un altro sottogruppo. Per l’esattezza, il Sottogruppo nr. 11 del Clep, anticipato dal ministro Calderoli nel corso del question time del 13 luglio, cui sarà affidato il compito di individuare i Lep riconducibili alle materie non differenziabili.

Al di là della lettura parziale del disposto del comma 793 della legge 197/2022, che sembra essere riferibile alla ricognizione principalmente delle normative vigenti, sarebbe stata provvidenziale l’emersione dei Lep riferibili altresì alle materie di competenza esclusiva regionale. Si sarebbero evitate alcune lacune che renderanno difficile l’andare avanti e portare a conclusione il lavoro per fine anno. Solo per fare un esempio, nella relazione del Sottogruppo n. 5 (Tutela della salute, più altro), è mancata l’opportunità al sotto-organismo di riferirsi ai Lep afferenti all’assistenza sociale che è materia residuale. Con questo è venuta a determinarsi una analisi/ricognizione molto parziale, anche perché con il Dpcm del 12 gennaio 2017 i Liveas sono stati “cancellati” perché inseriti nelle 71 pagine ove sono scanditi i Lea.

A proposito dell’importante e difficile mission affidata al Clep, basta immaginare quanto sia importante l’individuazione dei Lep – solo per far due esempi –  afferenti alla assistenza sociale e al turismo di competenza residuale delle Regione, così come molti altri di quelli riferibili alle restanti 18 materie di competenza esclusiva regionale.

Omettere di fare ciò – a proposito del quale se si dovesse ritenere una incompletezza della norma della legge n. 197/2022 ne occorrerebbe una nuova pensata a sua integrazione e non già supporre di correggere con un atto amministrativo – sarebbe grave, ed ogni ritardo nel risultato determinerebbe danni enormi per l’utenza che attende la soluzione a ciò dal 2001.

Ebbene sul tema, poche le considerazioni della politica fondate su una reale consapevolezza del problema. Anche il sistema universitario, al di là di qualche isolato intervento, sta facendo poco o nulla nell’affrontare l’applicazione sul federalismo fiscale e il tema dell’autonomia differenziata, ma legislativa. Di certo molto meno di quanto abbia fatto a seguito della revisione costituzionale del 2012, introduttiva del “pareggio di bilancio”.

Si diceva, male i partiti e i sindacati impegnati più in una disputa politica che nel confronto necessario ad un provvedimento attuativo della Costituzione.

Del resto, si sapeva che era comprensibilmente difficile mantenere la barra dritta sull’argomento. Ciò perché per affrontarlo con la dovuta consapevolezza significava avere ben digerito, in combine, gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, la legge delega 42/2009, almeno cinque dei nove decreti delegati, il Dpcm del 12 gennaio 2017, la legge di bilancio per il 2022, nella parte in cui introduce i Leps. Non ultime, per tenere in conto le diversità ideologiche che però non apparivano, le due ipotesi di attuazione dell’art. 116, comma 3, della Costituzione elaborate dai già ministri Boccia e Gelmini. Non solo. Occorre mettere in linea con il Ddl Calderoli, quanto deciso ai commi 791/804 della legge di bilancio per il 2023 che, invero, qualche guaio interpretativo lo stanno determinando.

Si è buttato via un quarto di secolo, discutendo male di un problema serio, confondendo spesso il federalismo fiscale con il regionalismo differenziato.

Non solo nelle discussioni “di strada” ma anche negli ambienti di studio e riflessione politica. Ciò certamente a causa di un Paese che ha trascorso 22 anni senza interessarsi di come risolvere il problema generato dalla

revisione costituzionale del 2001, cui è stata data attuazione dal 2009 al 2011 per poi ricadere in un irresponsabile silenzio.

E dire che in mezzo c’erano i Lep, cui la Costituzione ha affidato – all’art. 117, comma 2, lett. m) – l’esigibilità egualitaria in tema di diritti civili e sociali.

Il risultato di tutto questo grave immobilismo del legislatore e della mancata iniziativa stimolante di partiti e sindacati in tal senso si è tradotto nella colpevole persistenza, per inerzia beninteso, della spesa storica a governare l’economia pubblica e finanziare i fabbisogni territoriali. Quei fabbisogni che incrementano progressivamente mantenendo in coda alla classifica dell’esigibilità dei diritti gli abitanti del Mezzogiorno nell’esigibilità dei diritti fondamentali. Maglia nera, la Calabria.

La lettura della anzidetta complessa e copiosa relazione a firma del prof. Cassese, soprattutto del “Quadro sinottico delle materie Lep”, ha generato tuttavia una perplessità di troppo, atteso che sono in esso rappresentate le materie, fatta eccezione di quelle residuali regionali, con a fianco un sì ovvero un no, rispettivamente riconducibili o meno a Lep. Ciò è accaduto a causa della lettera legislativa di fine 2022 (comma 793, lett. c), che sotto certi aspetti offre una incertezza su cosa siano i Lep, dal momento che li cerca ne “le materie o ambiti di materie che sono riferibili ai Lep”, quasi a volerli individuare per ogni materia ovvero per frammenti di esse.

I Lep hanno una unica certezza in termini di corretta esigibilità, devono rintracciare la loro esistenza nella trasversalità delle materie: tra quelle di competenza dello Stato (32), quelle concorrenti (20) e quelle che sono residuali (ben oltre 20). Da qui la ineludibilità di estendere, diversamente da come ha fatto sinora il Clip, alle materie di competenza esclusiva regionale.

Tutto questo perché non si può, infatti, neppure pensare a ripetere la stessa sottovalutazione che si fece con i Lea con il Dpcm 29 novembre del 2001 (senza prevedere in esso i Liveas) e che si è continuato a fare con le 71 pagine allegate a quello del 12 gennaio 2017. Assicurare i livelli di assistenza alla salute significa individuare lo standard erogativo nel massimo della indissolubile trasversalità. Altrimenti che welfare sarebbe?

Cioè senza escludere i Leo compositi riferibili anche: alla assistenza sociale, ai trasporti pubblici locali, alla agricoltura, all’alimentazione e all’urbanistica di competenza regionale, ovviamente includendo l’ambiente, produttore di salubrità e non di fattori inquinanti, e l’istruzione, magari prevedendo l’insediamento dell’educazione sanitaria come materia curricolare nella scuola dell’obbligo. Tutte materie e dunque ambiti di esse, ma da leggersi in senso non affatto restrittivo, tutt’altro. (ej)

BASTA PENSARE ALL’AUTONOMIA, CI SI
CONCENTRI DI PIÙ SU SVILUPPO DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTALa forza dei fatti è contro il caterpillar Calderoli. Ce l’ha messa tutta ma, come dice il Vangelo, quando non parleranno le persone parleranno le pietre.
E quello che oggi dicono le pietre è che i Lep non sono, come forse ha ritenuto il Ministro, un fatto tecnico ma un fatto economico.

Mettere insieme una commissione di oltre 60 elementi era chiaro che sarebbe stato inutile, perché una volta calcolati i livelli essenziali di prestazioni poi bisognava trovare il modo di realizzarli.

Non posso credere che il Ministro in realtà fosse così ingenuo da pensare che le motivazioni di diversi diritti alla salute, alla mobilità, alla scuola, derivassero da incapacità tecniche! Troppo navigato per non capire che il tema era essenzialmente economico. Evidentemente sperava di potersi limitare all’individuazione di essi, cosa più semplice della loro attuazione.

Ma il giocattolo gli è sfuggito di mano. Una mobilitazione ha portato ad una raccolta di oltre 100 mila firme per una legge di iniziativa popolare che mettesse in discussione la modifica dell’articolo 5 voluta, inopinatamente e con scarsa visione politica, dal Pd.

Si sono mobilitati i sindacati ma anche le organizzazioni datoriali, giustamente preoccupati degli effetti dirompenti della statuizione dell’esistenza di due paesi, con cittadini di serie A e B.

Molti consigli comunali si sono espressi contro e le preoccupazioni dell’anima centralista di Fratelli d’Italia ha cominciato a nutrire preoccupazioni sugli effetti di una riforma che rafforzava enormemente i governatori a scapito di Palazzo Chigi.

Peraltro anche molti governatori di Forza Italia, che avevano votato a favore della riforma in Conferenza delle Regioni, come Occhiuto e Schifani, hanno poi manifestato in riunioni di partito tutte le loro perplessità su una riforma che stabilisce la cristalizzazione della spesa storica. 

Forse il vero tema sul quale concentrarsi sarebbe quello dello sviluppo del Sud, unico modo perché ognuno si tenga le risorse che produce. Se vuoi evitare di aiutare i tuoi figli l’unico modo è che guadagnino abbastanza per mantenersi autonomamente. Sembra un principio banale che in realtà stenta a diventare patrimonio condiviso.

Un modello di sviluppo che vede una parte che continua a diventare sempre più povera e peggio servita e un’altra che procede, anche se più lentamente di realtà analoghe dei competitor europei.

Una parte che continua ad antropizzarsi sempre più, nella quale si spostano i meridionali in cerca dei diritti di cittadinanza negati nelle loro terre, oltre quelli al lavoro anche quelli ad una sanità adeguata, una mobilità possibile e a un progetto di futuro per i propri figli, mancante totalmente nelle loro aree di origine, con le conseguenze di un utilizzo del suolo sempre più intenso, con l’esigenza di infrastrutturazioni sempre più invasive, come le terze e quarte corsie autostradali.

Probabilmente a livello teorico il principio della convenienza per tutti viene accettato ma poi è quando vi devono essere i comportamenti conseguenti che tutto diventa più difficile.    

Se non si affronta la problematica della sottoutilizzazione del capitale umano del Sud, dove lavora solo una persona su quattro quando il rapporto fisiologico sarebbe perlomeno una persona su due, rimarrà sempre l’esigenza di assistenza di un’area che rimarrà non autonoma ma dipendente a livello economico di quella più ricca, pur avendo servizi molto contenuti e limitati. L’obiettivo è quello di avere la consapevolezza condivisa che una locomotiva non è sufficiente per fare viaggiare ad una velocità adeguata tutto il treno del Paese.

È chiaramente un cambio di paradigma rispetto alle politiche attuate dall’Unità d’Italia in poi. Che prevedono che si sposti l’asse di interesse verso le aree più deboli. A cominciare delle più facili e banali come individuare le città del Sud per i grandi eventi, che servano da date catenaccio per avere certezza sulla definizione dei tanti lavori necessari.

Bisogna convincersi che il Sud non è una palla al piede, ma come la ex Ddr per la Germania, un tesoro da valorizzare con un doppio risultato: quello di non pesare più sul Nord ma anche quello di contribuire alla formazione della ricchezza complessiva. E deve essere chiaro che rispetto a questo progetto non vi è il piano B che aveva immaginato Calderoli, se non si vuole spaccare il Paese. Opzione illogica in un momento in cui già l’Unione Europea è già troppo piccola rispetto ai colossi che si confrontano a cominciare da Usa, Cina e India. (pmb)

[Courtesy Il Quodiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

FEDERALISMO FISCALE E DEFINIZIONE DEI LEP
IL BINOMIO CHE SERVE A SUD E ALLA CALABRIA

di ETTORE JORIO – Essere favorevole a quanto sancito dalla Costituzione è regola di ogni cittadino, studioso o meno che sia. Dire sì al federalismo fiscale che manda in soffitta la spesa storica che ha ucciso la Calabria fiscale è da saggi e previdenti. Fare il tifo a che vengano, finalmente, definiti i Lep per materia da garantire a tutti è da cittadino esemplare e benpensante.

Proprio per questo motivo è da apprezzare il contenuto della dichiarazione resa da Vito Grassi, nel corso dell’audizione del 30 maggio scorso presso la Commissione Affari costituzionali del Senato. Il tema era il regionalismo differenziato, meglio il testo del Ddl Calderoli.

Si è venuto quindi a concretizzare, da parte del numero due della Confindustria, un consenso, ancorché sub condicione, sull’attuazione dell’art. 116, comma terzo, della Costituzione, da farsi pertanto con cautela e con qualche aggiustamento, soprattutto in tema di perequazione. Non solo. Fissando delle priorità, senza le quali potrebbe generarsi il caos istituzionale.

La sostenibilità amministrativa

Alla sostenibilità finanziaria del sistema autonomistico territoriale, destinato a cambiare con uno Stato che dovrà cedere alcune prerogative legislative, il vice presidente della Confindustria con delega alla Regioni ha dichiarato l’ineludibile esigenza di assicurare, oltre a quella economica, la «sostenibilità amministrativa».

Da qui, un importante consenso all’iniziativa legislativa in corso, ma seriamente subordinato ad un elemento fondamentale per esercitare il meglio della sussidiarietà istituzionale, di cui all’art. 118, comma primo, della Costituzione. Ben vengano dunque i Lep, individuati per materie o ambiti di esse, benintese per quelli scomponibili in livelli essenziali di prestazioni.

D’accordo, quindi: sulla determinazione dei costi standard per le materie diverse da quelle erogabili attraverso funzioni fondamentali da finanziare con i fabbisogni standard di cui al d.lgs. nr. 216/2010, anche essi da valorizzare con grande accortezza; sulla definizione dei fabbisogni standard, diversi da quelli anzidetti, da assicurare alle diverse aree regionali del Paese, garanti della copertura dei fabbisogni espressi dalle rispettive comunità; sulla necessità di formalizzare la disciplina e le risorse con le quali, rispettivamente, sancire le regole della perequazione ordinaria e assicurarne il contributo agli enti territoriali di cui all’art. 119, comma terzo, della Costituzione a garanzia di esigibilità dei Lep ovunque; sulla individuazione delle risorse necessarie ad assicurare l’esercizio delle funzioni amministrative per ogni materia, eventualmente ceduta alle Regioni differenziate, da valorizzare con senso segnatamente pratico e differenziato per territori sulla base delle loro disponibilità strutturali.

Applicazione progressiva e valutata nella prassi

A valle di tutto questo, è stata manifestata l’opportunità di pervenire ad una applicazione «graduale e sperimentale» dell’autonomia legislativa differenziata, da doversi escludere tuttavia per quelle materie che avranno ricadute strategiche e, dunque, bisognose di una gestione assolutamente unitaria, del tipo infrastrutture energetiche e di trasporto nonché servizi a rete e commercio con l’estero (Grassi, dixit). Quella che solo la competenza e la regolamentazione esclusiva statale può garantire.

Di conseguenza, visto il lasciapassare del massimo organismo rappresentativo della imprenditorialità e quelli eventuali da acquisire dalle altre rappresentanze associative e sindacati, può ben programmarsi la stagione dell’esame parlamentare del Ddl Calderoli, presagendo nel suo corso una pioggia di emendamenti, soprattutto in materia perequativa, in perfetta continuità con la legge 42/2009 e dei decreti delegati nn. 216/2010, 23, 68 e 88 (perequazione infrastrutturale) del 2011.

Nel contempo, grande attenzione concomitante sui lavori della Cabina di regia, istituita con la legge di bilancio per il 2023 (art. 1, commi 791-801), per l’appunto destinati alla preparazione delle bozze dei Dpcm individuativi dei Lep e degli strumenti finanziari destinati alla loro sostenibilità, anche amministrativa.

Dunque, un’attuazione del regionalismo fiscale senza fretta, che darebbe modo di mettere preventivamente a terra i Lep e l’applicazione del federalismo fiscale, al lordo della perequazione.

Un ulteriore decisivo impegno condizionante

A proposito di quest’ultima, che sembra essere la condizione più rilevante posta dalla Confindustria oltre alla perequazione nonché alla esclusione di alcune materie dalla differenziazione, si renderà necessario, nel prosieguo più immediato, un grande impegno aggiuntivo della anzidetta Cabina di regia.

La stessa dovrà infatti – definiti i Lep e determinati i costi/fabbisogni standard – valorizzare gli oneri finanziari da sopportare per l’esercizio delle funzioni amministrative “cedute” alle diverse Regioni, che di conseguenza dovranno accollarsene il corrispondente peso economico, sulla base delle materie differenziate e dei trasferimenti statali necessari. Il tutto nel rispetto della sostenibilità dei loro bilanci, naturalmente accresciuti della relativa spesa esonerata allo Stato e, in quanto tale, finanziata in incremento nell’ambito della metodologia finanziaria sancita dal federalismo fiscale, caratterizzata da costi e fabbisogni standard perequati così determinati per garantire «alle Regioni di finanziare integralmente le funzione pubbliche loro attribuite» (art. 119, comma quarto, Cost.). (ej)

SANITÀ BOCCIATA DALLA CORTE DEI CONTI
IN CALABRIA LIVELLI DI ASSISTENZA A ZERO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria i servizi sanitari sono inadeguati. Un fatto molto ben conosciuto, ma che diventa ancora più tangibile – e che dovrebbe far riflettere di più – se a metterlo in nero su bianco è la sezione di controllo della Corte dei Conti della Calabria, nella relazione per il giudizio di parifica del Rendiconto 2021 della Regione, che boccia, completamente, la sanità calabrese.

Quello che emerge dal report, infatti, è sconfortante: nell’ultimo monitoraggio i Lea – Livelli Essenziali di assistenza del maggio 2021 in Calabria si sono posizionati all’ultimo posto, totalizzando un punteggio pari a 125 contro il minimo che è di 160. Un trend in negativo, se si considera che, rispetto al 2020, il punteggio ottenuto era di 162.

«La Giunta regionale della Calabria – si legge nel report – negli anni non ha mai approvato il bilancio di esercizio consolidato del servizio sanitario regionale in aperta violazione della legge. La mancata approvazione del documento contabile non pone alcuna certezza in ordine alle modalità di impiego delle risorse e dei risultati conseguiti dal servizio sanitario».

Nella relazione orale della consigliera Ida Contino, è stato evidenziato come «la Giunta regionale della Calabria, negli anni, non ha mai approvato il bilancio di esercizio consolidato del SSR in aperta violazione dell’art. 32 del d.lgs 118/2011. La mancata approvazione del documento contabile non pone alcuna certezza in ordine alla modalità di impiego delle risorse e dei risultati conseguiti dal servizio sanitario, e viola, tra gli altri, il principio di accountability in ragione del quale gli amministratori che impieghino risorse pubbliche hanno il dovere di rendicontarne l’uso sia sul piano della regolarità dei conti che dell’efficacia della gestione».

In assenza di bilancio, la sezione ha svolto l’analisi della gestione sanitaria avendo come riferimento i dati del IV trimestre 2021 che «come è noto, sono in continua evoluzione e, soprattutto, non sono attestati come veritieri da alcun organo che se ne assuma la responsabilità» è stato evidenziato nella relazione, in cui viene spiegato che «nell’esercizio 2021, la “Missione 13 – tutela della salute“ del bilancio regionale ha visto l’assunzione di impegni per circa 4,098 miliardi di euro cui sono seguiti pagamenti di competenza per 3,214 miliardi di euro. Anche il rendiconto 2021 della regione Calabria conferma che la spesa corrente sanitaria (€ 3.939.587.413,70) costituisce la componente principale di quella regionale (€ 4.954.832.616,90) con una incidenza pari al 79,51%».

«Nel riparto delle disponibilità finanziarie per l’anno 2021 – si legge – la Regione ha ricevuto a titolo di fondo sanitario indistinto la somma di oltre 3,650 miliardi di euro con un incremento, in termini percentuali, del 2,8% rispetto al 2019. Ha ottenuto altresì oltre 70,605 milioni di euro quale quota del Fondo sanitario regionale vincolato e oltre 31,118 milioni di euro quale quota premiale. Le somme testè indicate sono tutte comprensive delle risorse finanziarie ottenute per il contrasto all’emergenza covid-19».

Inoltre, è stato rilevato come «oltre ai flussi finanziari provenienti dal SSN, la Sanità regionale è stata finanziata dalle entrate extra-fondo (€ 192.252.446,00) e dalle entrate proprie; queste ultime, invero, in riduzione negli ultimi due esercizi. I dati evidenziano, infatti, che in Calabria la compartecipazione dei cittadini al servizio sanitario (attraverso il pagamento dei tickets) si è ridotta, dal 2019 al 2021, del 13,2%», come si è ridotto il saldo derivante dalle attività svolte in regime libero-professionale (intramoenia) che ha subìto un decremento consistente passando da 1,921 mln di euro del 2019 a 1,579 milioni di euro del 2021, con una riduzione pari al 17,81 %».

La sezione di Controllo, invece, ha rilevato come la Regione dimostri uno «scarso indice di attrattività sanitaria, fronte di una elevatissima mobilità passiva di chiaro stampo patologico. Circa il 20% dei ricoveri dei residenti calabresi risulta effettuato presso strutture collocate al di fuori del territorio regionale, a fronte di una media nazionale della mobilita’ passiva pari all’83%. Nel 2021 il saldo della mobilità interregionale è pari a -242 milioni di euro».

«Tuttavia – viene evidenziato – il fenomeno della mobilità incide sui cittadini calabresi molto più di quanto rilevato dal saldo finanziario. Una valutazione complessiva dell’impatto economico della emigrazione sanitaria richiederebbe, infatti, anche la quantificazione dei costi sostenuti dai pazienti e dai familiari per gli spostamenti nonché i costi indiretti per assenza dal lavoro dei familiari, permessi retribuiti ecc».

Rilevato, poi, un sottodimensionamento dei posti letto e personale: «i posti letto del servizio sanitario regionale – viene evidenziato – sono complessivamente, tra strutture pubbliche e private accreditate, n. 5.850, di cui n. 1.967 presso le quattro aziende ospedaliere, n. 1.988 (quindi un numero superiore) presso le case di cura accreditate, n. 1.836 presso gli ospedali a gestione diretta e n. 59 presso gli istituti di ricovero a carattere scientifico. I posti letto, dunque, sono sottodimensionati (di n .654) rispetto a quanto previsto nel Programma operativo 2019-2021, ove ne erano stati programmati n. 6.504, in ragione del DCA 64/2016».

«È stato accertato, negli ultimi cinque anni, infatti – si legge nel rapporto – un sensibile decremento della consistenza del personale di ruolo: nel 2017, il numero complessivo delle unità lavorative era di 20.315 e nel 2021, invece, il numero è di 18.121 al netto delle unità assunte per il contrasto al covid, pari a 1.150 unità. Nell’ambito del comparto, poi, il decremento maggiore riguarda il personale medico che passa da 4.361 a 3.951; nonché del personale assunto a tempo indeterminato».

Un altro problema rilevato riguarda il fatto che la Calabria è tra le regioni che presentano maggiori difficoltà di accesso alla diagnostica strumentale: «Dalle tipologie considerate (acceleratori lineari, angiografi, gamma camera computerizzati, mammografi, risonanze magnetiche) sul territorio calabrese – è stato evidenziato – ne sono presenti 213 di cui 120 in uso presso le strutture pubbliche e 93 in uso nelle strutture private».

«I valori che destano più sospetto – si legge – sono quelli relativi alle risonanze magnetiche, soprattutto ove si rilevi che su un totale di 55 apparecchi, 36 sono in uso a strutture private e 19 in strutture pubbliche. Tra queste ultime ci sono voluti più di nove anni tra l’acquisto e il collaudo di una risonanza magnetica alla azienda universitaria di Catanzaro e più di sei anni e mezzo tra l’acquisto e il collaudo alla azienda ospedaliera di Cosenza e più di cinque anni tra l’acquisto e il collaudo di due risonanze magnetiche all’Asp di Cosenza e tre alla’Asp di Reggio Calabria».

Quelle che emerge, dunque, che è «solo il 19% delle grandi attrezzature in uso in Calabria, dunque, non è obsoleto se si considera che un apparecchio complesso è tale già dopo cinque anni di anzianità».

Inoltre, «la regione Calabria, nel conto economico consolidato al IV trimestre 2021, presenta un risultato di gestione pari ad 26,596 milioni di euro. Con il conferimento di € 119 mln di euro (a titolo di aliquote fiscali, di “quota sociale” delle prestazioni socio-sanitarie presente sul Bilancio regionale 2021 e aggiornamento delle stime fiscali sulle manovre pregresse) il risultato di gestione al 31.12.2021 è pari a +146,001 mln di euro». In poche parole, significa che, considerando «le perdite pregresse al 31.12.2020, pari a -77,443 mln di euro, al 31.12.2021 residua un avanzo di gestione pari a 68,558 mln di euro. Questa sembrerebbe una buona notizia e tuttavia è necessario svolgere alcune considerazioni per leggere correttamente il dato», sottolinea la Corte dei Conti.

Questo perché la copertura del disavanzo «pregresso è stata possibile grazie a una maggiore disponibilità di risorse ottenute per la gestione della pandemia (oltre 251,911 milioni di euro); ma, soprattutto, è stata possibile grazie al ritardo degli interventi che avrebbero dovuto essere messi in atto per l’erogazione dell’assistenza sanitaria».

In sostanza, la Regione i soldi li ha, ma continua a fare debito inutilmente, con conseguente incremento dei costi finanziari.

Inoltre, è importante sottolineare come, per la prima volta, è stata svolta una indagine conoscitiva dalla sezione della Corte dei Conti sugli immobili rientranti nel patrimonio delle aziende sanitarie calabresi, ritenendo che un’attenta valorizzazione dell’ingente patrimonio immobiliare possa rappresentare un passo idoneo per avviare un corretto programma di risanamento.

Infatti, in base ai dati forniti dagli Enti, ci sono 363 apprezzamenti di terreno, o (per un’estensione pari a 4.888,62 are) con un valore di mercato pari a circa 10 milioni di euro; e di 69 fabbricati (per un totale di mq 22.322,00), con un valore di mercato pari a oltre € 11.000.000. Ciò è stato rilevato sono evidenti criticità nella gestione del patrimonio, per il cui esame dettagliato si rinvia alla relazione annessa al giudizio di parificazione. In questa sede sinteticamente si evidenzia che vi sono molti terreni già usucapiti o in corso di giudizio, immobili non accatastati, occupazioni abusive da parte di terzi, inutilizzo di immobili, mancati rinnovi contrattuali, e una non corretta iscrizione del valore dei canoni dei fitti attivi nel conto economico.

Per quanto riguarda, poi, la gestione dell’emergenza covid, la Corte dei Conti ha parlato di «un risultato sconfortante»: «Nonostante la Regione abbia ricevuto, negli anni 2020 e 2021, risorse finanziarie per oltre 251,911 milioni di euro, ad oggi – rileva la Corte dei Conti della Calabria – il 67% della somma (pari a euro 170,227 milioni di euro) non e’ stata ancora trasferita agli enti sanitari».

«Tale dato deve essere letto unitamente – si legge nel rapporto – allo stato degli interventi del piano operativo covid realizzati in Calabria, al 31 dicembre 2021: 12 posti letto in Ti rispetto ai 134 programmati e finanziati; 11 posti letto in Tsi rispetto ai 136 programmati e finanziati; 3 ambulanze rispetto alle 9 programmate e finanziate; nessuna area movimentabile, rispetto alle finanziate; nessun intervento di riorganizzazione e ristrutturazione dei Ps, rispetto ai 18 programmati e finanziati; nessuna rendicontazione da parte delle cinque aziende provinciali del Ssr in merito alle azioni intraprese per l’implementazione dei servizi di assistenza domiciliare integrata».

«La conclusione è evidente – si legge – anche nella gestione della pandemia, nonostante la presenza di cospicue risorse in cassa, il servizio sanitario ha prodotto debiti. Tale anomalia, per come chiarito anche dal Dipartimento della salute, scaturisce da altra ancora più grave: le spese sostenute dagli Enti sanitari per il contrasto del covid non sono state ancora dai medesimi Enti puntualmente rendicontate».

La Corte dei Conti, poi, ha preso atto delle dichiarazioni rilasciate dal commissario ad acta, Roberto Occhiuto,  in merito al quadro delle azioni per affrontare le criticità rilevate, spiegando che «sono stati istituiti gruppi di lavoro con l’ausilio della Guardia di Finanza per la ricognizione del debito; che è stato avviato il processo di circolarizzazione delle posizioni debitorie con l’apertura di una piattaforma e l’invio di 20.000 pec a tutti i fornitori del Ssr per poter concludere la ricognizione della massa debitoria 34 entro il 31 dicembre;; che sono state previste, nella manovra d’autunno, una serie di interventi per rendere più attrattivo il lavoro nel sistema sanitario calabrese; che sono stati avviati importanti investimenti del Pnrr; che è stato predisposto un piano per la dotazione delle tecnologie per ospedali».

Per quanto riguarda i Fondi Comunitari, la sezione «dà evidenza di un preoccupante ritardo nell’attuazione del Programma, che pone a rischio obiettivi di sviluppo e crescita, con conseguente potenziale perdita di risorse comunitarie. È necessario, perciò, dare impulso ed accelerare tutto il processo di spesa per scongiurare la perdita di importanti e significative risorse (rischio calcolato nella misura presunta del 9%),rilevanti per tutto il sistema economico calabrese. Occorre infine, intercettare tempestivamente le economie di progetto maturate o maturabili per riorientare risorse su Assi/azioni più performanti».

Quello che è emerso è un quadro preoccupante, che fa comprendere, ancora di più, quanto sia urgente intervenire sulla sanità calabrese a 360 gradi. Criticità e problemi che sono stati riconosciuti dal presidente della Corte dei Conti, Guido Carlino, intervenuto al giudizio di parificazione della Regione Calabria. Carlino ha assicurato che «l’attenzione della Corte dei Conti è notevole, ovviamente noi faremo la nostra parte per venire incontro alle esigenze degli uffici calabresi».

Anche il presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso, ha assicurato che «laddove sono state rilevate incongruenze e disfunzioni, si agirà per porvi rimedio».

«Il Consiglio regionale – ha detto – non mancherà di riservare, nell’amministrazione delle risorse pubbliche, un supplemento di responsabilità. L’intenzione è di continuare ad avere con la corte dei Conti un dialogo di costante e leale collaborazione in ossequio ai principi di trasparenza, controllo e risparmio».

«Sono rilievi importanti – ha dichiarato Occhiuto – perché la Corte dei Conti dà contezza di quello che va fatto per migliorare i conti e la qualità dei servizi. Per cui, sono molto soddisfatto dell’esito del giudizio di parifica che per fortuna non produce conseguenze sui documenti contabili che abbiamo approvato, essendoci correzioni nell’ordine di 4 milioni di euro».

«Sono molto soddisfatto – ha proseguito Occhiuto – dell’esito del giudizio di parificazione, che per fortuna non produce conseguenze sui documenti contabili che abbiamo già approvato: ci sono delle piccole correzioni nell’ordine dei 4 milioni di euro, è andata molto meglio dell’anno scorso a esempio. Soprattutto abbiamo raccolto molte osservazioni che diventano una traccia di lavoro per il futuro. Il Rendiconto 2021 contiene in qualche modo la somma di tutte le questioni che si sono cristallizzate e stratificate nella Regione e che piano piano, attraverso risorse coraggiose e strutturali, dovremo affrontare e risolvere».

«Sono impegnato a rifondare un sistema sanitario che ho raccolto in macerie. Non sarà semplice – ha aggiunto Occhiuto – non sarà un’attività che concluderemo nell’arco di qualche settimana o di qualche mese ma sarà un’attività che concluderemo dimostrando che anche la sanità in Calabria può essere governata».

«Nei livelli essenziali di assistenza – ha rilevato – siamo ultimi. Ho detto che il fatto che oggi siamo in avanzo di amministrazione e che questo avanzo è dovuto al fatto che abbiamo riconciliato i conti degli anni precedenti con i ministeri vigilanti non è una buona notizia, perché significa che nelle casse delle aziende sanitarie e del sistema sanitario regionale ci sono le risorse e queste risorse non vengono spese, per cui credo che già dai prossimi giorni approfondiremo anche le questioni legate al governo delle aziende sanitarie e ospedaliere della nostra regione». (ams)