L’OPINIONE / Luigi Sbarra: Occorre rivoluzionare il vecchio modello sanitario

Bisogna mettere intorno ad un tavolo Regioni, istituzioni locali, imprese e sindacati per considerare le criticità maggiori e valutare con attenzione ogni singola risorsa disponibile e quelle ulteriormente attivabili. Occorre rivoluzionare il vecchio modello sanitario focalizzato sulla patologia e disegnarne uno nuovo centrato sulla salute e sulla prevenzione.

Dobbiamo ripensare l’assistenza, puntando allo sviluppo di una rete di servizi mirati, in grado di rispondere ai bisogni specifici delle persone. Sul terreno dei diritti e della tutela della salute delle persone non accetteremo compromessi al ribasso nella prossima legge di bilancio.

Di fronte alle enormi sfide poste dalle grandi transizioni in atto, da quella demografica a quella climatica e a quella tecnologica, bisogna considerare la spesa sociale orientata a soluzioni durevoli come un vero e proprio investimento. Dobbiamo voltare pagina e recuperare il terreno perduto. Vanno sbloccate assunzioni e stabilizzazioni, sviluppare i servizi socio-sanitari, estendere la medicina di prossimità, azzerare le liste di attesa, rilanciare gli investimenti su telemedicina e ricerca, digitalizzare i servizi, ammodernare strumentazioni e plessi ospedalieri, garantire la sicurezza nei posti di lavoro.

Vanno rinnovati i Ccnl per la Sanità pubblica e privata. Va supportata la non autosufficienza, che a livello nazionale coinvolge quasi 4 milioni di persone, non solo anziani. (ls)

[Luigi Sbarra è segretario nazionale della Cisl]

L’OPINIONE / Giusy Iemma: Feltri chieda scusa a Catanzaro e alle donne

di GIUSY IEMMA – L’affermazione di Vittorio Feltri riguardo Ilaria Salis, descritta come “vestita come una cameriera di Catanzaro”, mi indigna molto come donna, come cittadina di Catanzaro e rappresentante delle Istituzioni.

Commento oltremodo offensivo e basato su stereotipi negativi sia riguardo le cameriere che le donne di Catanzaro. Quello del sig Feltri è un giudizio sprezzante e classista, che non tiene conto della dignità e del valore del lavoro delle cameriere e del patrimonio culturale e di civiltà della città di Catanzaro. Mi si consenta di esprimere orgoglio per la mia città e per le professioni che le donne svolgono, incluse quelle nell’industria dei servizi. Il lavoro delle cameriere è onorevole e meritevole di rispetto al pari di tutti gli altri.
Esprimo forte solidarietà verso Ilaria Salis e sono accanto alle tante donne che hanno difeso e continueranno a difendere il loro diritto di vestirsi come preferiscono senza essere giudicatE in base a stereotipi o commenti sessisti.
Faccia Vittorio Feltri l’unica cosa che in questo momento gli rimane da fare: esprima delle scuse pubbliche a Ilaria Salis, alle donne ed alla città di Catanzaro.
Saremo sempre in prima linea in un più ampio contesto di lotta contro i pregiudizi di genere e di classe, per affermare il rispetto e la valorizzazione di tutte le professioni e delle diverse realtà locali. (gi)
[Giusy Iemma è vicesindaca di Catanzaro]

L’OPINIONE / Franco Cimino: Vittorio Feltri, padano, te la do io Catanzaro, ma il problema non sei tu!

di FRANCO CIMINO – In rete corre da ieri (sabato 29 giugno ndr) alla velocità della luce, un video dell’ineffabile Vittorio Feltri. Dura venti secondi e perciò tutti l’hanno divorato. È sempre lui, dietro la stessa scrivania, lo stesso studio, la stessa casa, dalla quale, passando di sera al divano del suo elegante salotto, pontifica a reti unificate. Tutti lo chiamano, nonostante dica grandi scemenze ingessato nei suoi abiti sempre uguali pur se ne ha molti e di qualità di alta sartoria. Ne ha dette tante. E non da ieri. Tante che non sai se ci è o ci fa. Io sinceramente penso, come il tale di “Quelli della notte”, la prima. Per aver iniziato e lavorato a lungo con Indro Montanelli, su Il Giornale da lui fondato per opporsi al predominio editoriale di Berlusconi, il nostro è stato sempre super valutato. Un semplice giornalista alla corte dell’affermato maestro, è stato considerato un suo allievo, quando i fatti dicono, purtroppo, che, forse anche per colpa sua, il mitico direttore di allievi non ne abbia avuti e di eredi neppure l’ombra.

Tra l’altro, anche per eccesso di considerazione del suo Io gigante, non ne ha designato neanche uno. Forse perché uno dei primi, ironizzo evidentemente, criteri di valutazione era l’altezza fisica, in rapporto a quella considerevole dell’uomo alto e magrissimo dagli occhi celesti. Per la vicinanza quotidiana a Montanelli, ex fascista di adozione “politica”, ma liberale di formazione culturale, l’idea che il giovane Veltri ha saputo abilmente dare di sé stesso era che fosse un liberale convinto, anche se il suo anticomunismo e anti tutto ciò che poi non fosse berlusconismo, più di qualche sospetto del contrario l’avesse prodotto, se pur non colto dai più. Per il suo scrivere netto e asciutto, come imponeva il fondatore de Il Giornale, fu considerato esageratamente ottima penna. E per qualche articolo, magari in qualche modo interessante, pure un grande giornalista. Per il suo stile apparentemente elegante e il suo eloquio fine, in quella erudizione ostentata, è stato considerato un intellettuale profondo.

La fotografia che ne è stata fatta, è quella, pertanto, riassumiamo, di un giovane elegante, brillante, giornalista libero, pensatore profondo dalla più profonda culturale liberale. Quanto di più assurdo si potesse già lontanamente immaginare. Aggiungiamo “democratico”, la parola più rappresentativa di quel suo tutto, e già da quel tempo lontano, non sai se piangere o ridere. Com’è potuto verificarsi tutto ciò é, oggi, pur se tardivamente, facile capirlo. Va intanto ricordato che era da tempo iniziata l’era dell’indebolimento progressivo di tutte le forme espressive del più alto pensiero. Sia nell’ambito degli studi e delle accademie diverse, sia in quello della Politica, sia in quello dell’economia. Ambiti tutti nei quali via via, per strade e meccanismi diversi, scompariva la migliore, pur con le contraddizioni e i limiti ben noti, classe dirigente della storia del nostro Paese.

Il resto l’ha fatto il “nuovo” sistema del berlusconismo, mutuato da fuori per quello interno, il sistema democratico, che aveva ormai perso ogni qualità e sostanza. L’unica struttura rimasta, nel Paese del post Tangentopoli, strumentalmente utilizzato per la più ingannevoli delle “rivoluzioni”, è la Democrazia e la sua Costituzione, le due entità “sovrane”, non a caso da tempo attaccate dal “nostro”, quale guerriero di una battaglia dai grandi poteri nascosti portata nell’Italia delle volute fragilità. Una persona così non può essere presa sul serio se negli anni che sul suo equilibrio mentale pesano come una pietruzza sulla formica, afferma una stupidaggine. Siccome non è la prima volta che dice di noi e del Sud le peggiori parole, come ben noto è che lui sia rozzamente nordista e antimeridionalista, razzista e anti immigrati (lo sanno pure le formiche), io ripeterei l’invito già rivolto in passato, non dategli retta. Ogni reazione, pur legittimamente dura, a questo poveretto suonerà come un complimento.

La prova provata della sua esistenza in vita. Non facciamogli questo favore. Questa volta, però, è non perché mi ha toccato nel vivo della carne – l’insulto alla “cameriera di Catanzaro, la cosa più bassa che si possa immaginare” – ma perché sia chiamato, almeno una volta, a pagare per l’uso, questo sì veramente offensivo, della libertà di parola. La parola è bella, la libertà è sacra. Non vanno abusate. Non vanno sfregiate. Trovo, pertanto, giusto che il Capoluogo lo quereli e lo chiami, senza condizione riparatrice alcuna, a pagare per le offese alla Città. E in solido, ché questi volgarotti falsamente borghesi se li tocchi nella tasca piangeranno davvero.

Poi, c’è il terreno squisitamente politico, che, oltre alla indignazione, deve sollevare un caso politico. Un caso che va aggiunto non alla legge sull’Autonomia, che, al di là dei propagandismo di maniera, non passerà per la volontà popolare che la spazzerà via come il vento fa con le foglie d’autunno. Va aggiunto alla questione, che, volutamente inosservata, sta prendendo corpo nella società e forma delle istituzioni. È, questa, prettamente culturale prima che politica, democratica prima che morale. Personale, mi azzardo a dire, prima che sociale. È la stessa che riguarda i silenzi dell’attuale classe di governo del Paese, quando ministri e militanti della destra storica fanno dichiarazioni strane sulla parità sociale, sull’eguaglianza tra cittadini e sugli immigrati. E dichiarazioni reticenti sull’antifascismo o molto striminzite, quando non ambigue, sulla natura antifascista della nostra Costituzione.

E sulla Democrazia, la nostra particolare perché nata dalla Resistenza! Questo silenzio oggi non vale. Sull’insulto grave perpetrato nei confronti di Catanzaro il silenzio di(li elenco tutti), Giorgia Meloni e del suo partito, di Tajani e del suo partito, dei ministri dell’interno e di quello della Cultura, il silenzio dei gruppi parlamentari di quei partiti e del Governo in generale, non è tollerabile, perché, aggiungendosi a quelli di cui sopra, confermerebbe il sospetto che il percorso di revisione ideologica della destra italiana non sia per nulla avvenuto. Confermerebbe pure che l’uso delle istituzioni democratiche, cui si è costretti momentaneamente dai ruoli istituzionali ricoperti, potrebbe apparire, se non del tutto essere, strumentale alla conquista piena del potere, dalla quale la successiva progressiva, indolore, modificazione del nostro sistema democratico.

Dei due presidenti della Calabria, Giunta e Consiglio, Roberto OcchiutoFilippo Mancuso, come del Sottosegretario calabrese all’Interno, Wanda Ferro, non sollecito alcunché, immaginando che essi, intanto informalmente, avranno già fatto sentire la loro vice di protesta. E, allora, onorevole presidente del Consiglio, dica all’Italia la sua indignazione per le dichiarazioni di quel giornalista di Milano. Lo inviti a tacere. E rifiuti il suo personale sostegno politico.

Ne va della sua dignità politica e della sua credibilità di persona. Soprattutto della sua bellezza di donna, ché le donne sono tutte belle. Quelle del Sud di più. Le donne di Catanzaro, poi, come la loro Città, le più belle del mondo. (fc)

L’OPINIONE / Raffaele Malito: Le differenze di scelte e missioni politiche di Matteotti e Berlinguer

di RAFFAELE MALITOCinquecento anni fa Machiavelli aveva distinto la politica come sfera di pensiero e di azione, del tutto indipendente e autonoma da altri campi  d’indagine, sia pure concettualmente contigui, quali l’etica e la religione. Secondo questa  visione  che  ha  le radici nella riflessione di  Benedetto Croce, Machiavelli avrebbe fissato uno dei presupposti  del pensiero moderno, distinguendo e separando la politica  dalla morale, dalla religione, dal mito. Il tempo e la storia dei grandi fatti umani, come l’illuminismo, la rivoluzione francese, il suffragio universale, le guerre mondiali, la guerra fredda  hanno cambiato i comportamenti umani trasformando masse informi dominate dal Principe, in popoli consapevoli.

E l’azione e le scelte politiche, anche se non contrapposte alle regole morali, devono essere giudicate per quello che riescono a produrre  di positivo sulle strutture economiche e sociali, nella capacità di garantire  il benessere e la pace, la democrazia e la libertà personale e collettiva. Questa  premessa per riflettere sulla propensione – che sembra apparire in alcuni scritti e frettolose argomentazioni – a dimenticare le differenze delle scelte e missioni politiche fondamentali di personaggi della nostra storia, ritornati attuali in occasione della celebrazione di anniversari che li ricordano: Giacomo Matteotti con i suoi cento anni dalla sua uccisione, per decisione di Mussolini, ed Enrico Berlinguer, morto 44 anni fa, subito dopo un comizio, a Padova l’11 giugno 1984. Il rischio della santificazione è incombente, come recita un saggio di Marcello Sorgi, per il capo del Pci.                                                                                                                  

Protagonisti della moralità politica sono stati definiti, senza sottolineare la sostanziale diversità politica, concettuale, ideale, programmatica, missionaria di questi due grandi personaggi della nostra storia: socialista riformista,  eroe e martire  della democrazia parlamentare, del diritto delle libertà personali e collettive, sempre, contro ogni forma autoritaria di governo, Giacomo Matteotti; Enrico Berlinguer, comunista, senza mai rompere, per un lungo periodo, con l’Unione Sovietica e le sue degenerazioni dittatoriali e imperialistiche, confermate da ben due invasioni militari, con i carri armati, di paesi satelliti, l’Ungheria nel 1956, la Cecoslovacchia, nel 1968. E solo nel 1976, la celebre intervista nella quale si dichiarava più sicuro sotto l’ombrello della Nato e sceglieva le democrazie occidentali, rompendo con le aberrazioni comuniste sovietiche, che si sarebbero espresse, ancora una volta, con il colpo di stato in Polonia del 1981. Il grande tema della moralità politica di cui si fa interprete Berlinguer con un complesso di superiorità,  non solo etica ma anche politica, che, nel tempo, il Pci  aveva sempre preteso e mostrato verso tutti gli altri partiti, con  una qualche,  particolare, predilezione negativa verso i socialisti, si è espressa sulla questione della corruzione – che egli sosteneva – della politica e dell’occupazione immorale degli apparati dello Stato portata al degrado, fino all’esplosione di Tangentopoli.         

Tutti corrotti, tutti ladri, concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione. A questo grande tema, Berlinguer ha dedicato la sua predicazione morale accusando i partiti governativi occupare i gangli del sistema  Paese, salvando ed escludendo solo il Pci.                   In una recente intervista rilasciata al Corriere della Sera, rimasta, curiosamente senza  echi e reazione, da parte degli eredi della storia Pci-Pds, Giovanni Pellegrino, senatore dal ’90 al 2001, per il Pci e il Pds, avvocato, presiedeva, nel 1992, quando scoppiò Tangentopoli e si materializzava la rivoluzione giudiziaria del pool Mani Pulite di Milano, la Giunta per le immunità del Senato, ha detto cose sconvolgenti sulla questione morale di quel tempo.

Tutti i partiti – ha rilevato Pellegrino – erano dentro il sistema delle tangenti e godevano di finanziamenti irregolari, compreso il Msi che era all’opposizione. Alla domanda del giornalista, Francesco Verderami, sul Pci-Pds, ecco la risposta di Pellegrino: «apparentemente il mio partito non prendeva soldi. Però nella cordata vincitrice di ogni appalto c’era sempre una cooperativa rossa. Dal 10 al 15%. Rivedo ancora i nostri congressi dove campeggiavano i cartelloni pubblicitari delle cooperative. Era chiaro il meccanismo di contabilizzazione  dei finanziamenti irregolari. Ed era altrettanto chiaro che  anche noi facevamo parte del sistema: una sorta di costituzione materiale del Paese. 

Quando ne chiedemmo conto, con altri nostri senatori, al segretario Occhetto ne avemmo una risposta  irritata: disse di non saperne nulla. Ed ecco la spiegazione di Pellegrino:  in parte era vero: il modello di finanziamento del Pci era stato ideato da Togliatti, lasciando la dirigenza  fuori dalla gestione dei fondi. Ma le imprese erano il vero polmone economico del partito, specie quelle che avevano  rapporti commerciali con l’Unione Sovietica. Insomma – concludeva Pellegrino – le forze di governo erano finanziate dalla Cia e da Confindustria, mentre il Pci era finanziato  dal Kgb e dalle società che gli appartenevano. E quando i finanziamenti russi cessarono, il Pci iniziò ad essere alimentato dalle cooperative che partecipavano agli appalti pubblici. Infine Pellegrino spiega perché l’onda giustizialista decapitò tutta la classe politica lasciando indenne solo il Pci-Pds e rivela: «Luciano Violante, definito la voce della magistratura nel partito, aveva ricevuto garanzie da Mani Pulite che non ci sarebbero state azioni contro di noi. Spiegai, in un colloquio con d’Alema, che l’obiettivo di Mani Pulite non era quello di colpire la corruzione amministrativa ma il  finanziamento irregolare della politica per svuotare di forza i partiti. Tutti i partiti. Per renderli deboli finanziariamente e politicamente». E per realizzare, così, il primato del potere giudiziario. Insomma, quasi un progetto di colpo di stato, in qualche modo prefigurato da Borrelli che non escludeva che il secolo sarebbe potuto essere quello del primato della giurisdizione sugli altri poteri del sistema politico e costituzionale.                                                                                               

La predicazione morale di Berlinguer aveva  avuto questo incredibile  sbocco autoritario. Contro questa deriva parlò, in un’atmosfera da crinale storico del Paese, Bettino Craxi, il 3 luglio del 1992, alla Camera dei deputati: «tutti sanno – disse – che buona parte del finanziamento della politica è irregolare o illegale. Se questa materia deve essere considerata  puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe criminale. Nessuno, in quest’aula, responsabile politico, può alzarsi e giurare in senso contrario. Presto o tardi, concluse Craxi, i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro».                                                                                

Nessuno si alzò. Tacque anche chi aveva sventolato la bandiera della questione e della diversità morale. I protagonisti della moralità politica, di cui si celebrano gli anniversari  e che si accostano con troppa approssimazione, le missioni politiche  – Matteotti e Berlinguer – erano, e sono stati, diversi. Perché la loro storia, umana e politica, era diversa: Matteotti non escludeva ed era aperto alle forze politiche democratiche, che credevano nei valori delle libertà personali e collettive. Berlinguer pensava ed agiva nella convinzione che tutti gli altri fossero corrotti e moralmente inidonei a servire il Paese. (rm)

L’OPINIONE / Flavio Stasi: L’assenza di una pianificazione del Porto di Corigliano Rossano dovrebbe preoccupare tutti

di FLAVIO STASI  – L’esigenza di garantire ed anzi attrarre investimenti, espressa dai sindacati confederali, è totalmente condivisa anche dall’Amministrazione Comunale. È necessario solo qualche precisazione rispetto alle “questioni giuridiche e procedurali” a cui fanno viene fatto riferimento.

Intanto l’assenza di una pianificazione del porto, denunciata fin dal primo giorno solo dall’Amministrazione Comunale, è una questione che dovrebbe preoccupare tutti, anche le rappresentanze sindacali, in quanto è sinonimo di totale mancanza di prospettive di sviluppo e visione dell’Autorità Portuale nei confronti del sorgitore.

Pur comprendendo l’approccio pragmatico dei sindacati, non è possibile – per chi governa il territorio – sostituire la pianificazione con un “il primo che arriva, si insedia”. Lo abbiamo detto più volte: sarà un tema poco accattivante, ma la pianificazione non è un orpello burocratico, bensì il principale strumento di sviluppo a disposizione del territorio.

Secondariamente la eventuale lacuna procedurale sollevata non è assimilabile ad un grigio appiglio burocratico, come un difetto di notifica o la scadenza di un termine, bensì all’assenza di un percorso autorizzativo chiaro in relazione alla conferenza dei servizi. Si tratta di un tema di trasparenza amministrativa che credo debba stare a cuore anche alle rappresentanze sindacali.

Fatte queste precisazioni non rifuggiamo a discussioni di merito. Ritengo che tutto il territorio sia concorde nel non voler rinunciare all’investimento; tuttavia, credo sia necessario approfondire e condividere quanto chiesto da più parti, compresa l’Amministrazione Comunale, ovvero la valutazione dell’insediamento al di fuori del perimetro portuale, con un vettore di trasporto ed accesso alla banchina dedicato ed al servizio della zona industriale.

È ben chiaro che si tratterebbe di una soluzione meno conveniente per l’investitore, me le istituzioni e le forze sociali esistono per contemperare ed equilibrare degli interessi diversi, ed il nostro ruolo ci impone – per il contesto geografico, urbano e paesaggistico dato – di lavorare affinché lo stabilimento si insedi nella sua collocazione naturale, ovvero la zona industriale. Sarebbe utile se a questo obiettivo lavorassimo tutti insieme ed ovviamente l’Amministrazione Comunale resta disponibile in tal senso. (fs)

[Flavio Stasi è sindaco di Corigliano Rossano]

L’OPINIONE / Domenico Mazza: La Superstrada Cosenza-Sibari, l’ennesima incompiuta

di DOMENICO MAZZA – Ho avuto modo di leggere una nota della Provincia di Cosenza nella quale si dava comunicazione dell’imminente conclusione lavori lungo la SP197. Per chi avesse poca dimistichezza con le sigle, la SP197 è la lingua d’asfalto meglio conosciuta come “strada della diga”. Non nascondo il mio stupore nell’aver letto alcune approssimazioni delle quali a breve illustrerò. Nondimeno, devo constatare che le superficialità di approccio all’argomento in questione qualificano, da almeno due lustri, l’Ente intermedio autore del dispaccio.

La vicenda della famosa “Via del Crati” (così fu battezzata l’opera durante la sua presentazione) risale al 2011 quando a presiedere il massimo livello amministrativo provinciale era l’on. Mario Oliverio. Quella del già Governatore regionale fu l’ultima Presidenza provinciale a suffragio universale. Poi intervenne la Delrio e le Province furono trasformate in Enti di secondo livello. Alla guida dell’Assise, da allora, si sono succeduti Mario Occhiuto (al tempo sindaco di Cosenza), Franco Iacucci (già Sindaco di Aiello) e l’attuale Primo cittadino di San Giovanni in Fiore, Rosaria Succurro.

Tredici anni fa, durante una conferenza stampa, venne presentata la nuova superstrada Cosenza-Sibari come una delle principali infrastrutture presenti nel piano delle grandi opere pensate dalla Provincia di Cosenza. L’asse stradale faceva parte di una pianificazione infrastrutturale di tutto rispetto: “Sibari-Sila”, “strada di collegamento tra gli estinti comuni di Corigliano e Rossano (ex 106 lato monte)”, “velocizzazione itinerario A2 svincolo di Castrovillari-centro Città”, solo per citarne alcune…

La Cosenza-Sibari gemmò come un articolato intevento, di parziale adeguamento e nuova opera in variante, del più complessivo disegno di percorrenza della valle del Crati. Il progetto prevedeva la congiunzione della SS106 radd. (Corigliano-Rossano, loc. Salice) con la SS107 (Cosenza, area ex Carrefour), con intersezione allo svincolo di Tarsia sull’A2. La nuova strada di categoria C1 (extraurbana secondaria), una volta ultimata, avrebbe raccordato in circa 40 minuti il Capoluogo, i Comuni della destra Crati e la piana di Sibari. L’opera pubblica, pertanto, almeno nella parte iniziale, avrebbe dovuto rappresentare una valida alternativa al tracciato autostradale.

Da allora il progetto è stato più volte rimaneggiato e riproposto come un più modesto collegamento Tarsia-Cantinella. Del resto il centralismo che storicamente connota la provincia di Cosenza non è certo nuovo a queste cose. Credo, in tutta onestà, che pochi altri Enti in Italia siano riusciti a trasformare il concetto di trasversale in un più generico appellativo di rabberciata traversa. Da questo punto di vista le varie revisioni al ribasso di progetti come la Sibari-Sila e la Sila-Mare potrebbero fare scuola.

Tuttavia, gli Amministratori jonici dovrebbero quanto meno indignarsi nell’apprendere che la parziale apertura del non ultimato secondo lotto funzionale (svincolo Terranova – diga del Crati), venga promosso come “Intervento realizzato per incrementare la sicurezza e collegare in maniera rapida i Comuni della valle del Crati con quelli dello Jonio cosentino”. Vieppiù, con l’aggravante che il primo lotto funzionale (svincolo Tarsia A2 – diga del Crati), a distanza di oltre 13 anni dalla posa della prima pietra risulta parzialmente adeguato a categoria C1 e con un contenzioso che dal 2013 inibisce l’apertura della galleria “Cozzo Castello” e dei due viadotti di collegamento alla stessa.

Forse, Popolazioni e classi dirigenti joniche dovrebbero porsi delle domande…

Non fosse altro che per evitare di farci considerare alla strega di una tribù con l’anello al naso. Capisco che la politica sia fatta anche da parate e attimi di giubilo, tra l’altro, talvolta, neppure richiesti. Tuttavia, vendere come “lavoro finito” l’insufficiente imbastitura di un abito pensato e mai seriamente realizzato mi sembra troppo anche per un popolo, da sempre, trattato alla stregua di coloni. (dm)

L’OPINIONE / Amalia Bruni: Sistema sanitario calabrese sottofinanziato e a rischio

di AMALIA BRUNI – Il titolo che avete scelto per questa due giorni di approfondimento, “Sanità pubblica a rischio: priorità e sicurezza delle cure, quale riforma della colpa professionale medica?”, ci impone accurate riflessioni e strategie d’intervento. Da buoni medici non possiamo individuare la giusta terapia da mettere in campo se prima non condividiamo la diagnosi. Per deformazione professionale sono sempre partita dai dati, dai riscontri analitici, dagli indicatori: e sulla base di quelli che abbiamo a disposizione possiamo pienamente affermare che ormai da tempo il nostro Sistema sanitario nazionale attraversa la crisi più profonda dalla sua istituzione.

Il Forum delle 75 società scientifiche dei Clinici ospedalieri e universitari italiani ha lanciato un appello con cui denuncia la carenza di personale, cittadini sfiduciati, emigrazione ospedaliera. È necessario aumentare la spesa sanitaria.

Attualmente, l’Italia spende molto meno rispetto ad altri paesi europei come Germania e Francia. Questo divario si riflette in una drammatica rinuncia alle cure da parte di circa 4 milioni di persone, il 7,2% della popolazione italiana, secondo l’ultimo rapporto Istat: una percentuale che è ancora più alta in Calabria. I dati sulla nostra sanità non potranno andare a migliorare se la spesa sanitaria pubblica in relazione al Pil invece di aumentare si riduce.

Ad oggi siamo ben lontani dai principi ispiratori della legge 833/1978 con cui è stato istituito il Sistema sanitario nazionale: parliamo di una legge per cui si rende necessario un aggiornamento normativo alla luce della nuova domanda di salute e del mutato scenario sanitario. I commissariamenti e i piani di rientro sono sentenze di morte per il nostro sistema sanitario. Per garantire risorse stabili e adeguate alla sanità sono imprescindibili due proposte nel quadro nazionale: l’innalzamento della spesa sanitaria almeno al 7,5% del Pil e il superamento dei vincoli attuali di spesa sul personale, visto che il “tetto” all’assunzione di medici e professionisti sanitari e sociosanitari con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato o con contratti flessibili è imposto da una legge che risale al 2004.La mancanza di risorse umane adeguate rende difficile gestire il carico di lavoro: il peso grava sugli operatori sanitari, considerati eroi durante la pandemia ma ora dimenticati.

E nonostante l’urgenza di aumentare le risorse da mettere a disposizione del sistema sanitario, la Camera ha bocciato la proposta di legge della segretaria nazionale del Pd Elly Schlein sull’aumento delle risorse per la sanità: perché “senza copertura”, si è giustificata la maggioranza. Eppure con un’evasione fiscale di 90 miliardi e profitti esorbitanti delle aziende farmaceutiche non tassati, le risorse potrebbero essere reperite se ci fosse la volontà politica.

Mancano i servizi, manca l’efficientamento, manca l’innovazione tecnologica, mancano investimenti in ricerca e formazione, ma mancano addirittura le cose più ovvie e indispensabili come i posti letto. Diminuisce anche il numero degli ospedali e in Calabria l’insieme della rete ospedaliera non offre le attività previste producendo una disarticolazione della risposta che spinge i cittadini verso la sanità privata. All’elenco delle carenze aggiungiamo la prevenzione, sempre poco rilevante nella programmazione socio-sanitaria registra inadeguate fonti di finanziamento: eppure il 60% del carico della malattia, in Europa e in Italia, è riconducibile a fattori di rischio che potrebbero essere modificabili con l’adozione di stili di vita salutari e una diagnosi precoce.

Dove stiamo andando? Il fondo lo abbiamo già toccato e la nostra responsabilità deve scuotere le nostre coscienze: non possiamo accettare che la legge sull’autonomia differenziata possa ancora più ingigantire i già enormi divari esistenti tra Nord e Sud. È necessaria una mobilitazione collettiva che su più fronti possa spingere verso una presa in carico innovativa, misurata e determinante della sanità pubblica: se c’è necessità di tagli nel nostro Paese, tutto può essere toccato, tranne che la sanità. (ab)

[Amalia Bruni è consigliera regionale del Pd]

L’OPINIONE / Filippo Veltri: La sanità iperdifferenziata

di FILIPPO VELTRIQuesti giochini tattici, i distinguo in punta di penna, le fandonie che si stanno leggendo a due settimane dal voto in Parlamento per cercare di giustificare lo scempio che si consumerà sull’autonomia differenziata hanno, in verità, stancato. Ora che Mattarella ha promulgato la legge sarebbe l’ora di pensare a che fare.

  La maggioranza di governo (che intanto in Calabria è già andata sotto ai ballottaggi di domenica e lunedì a Vibo, dopo essere stata ridicolizzata al primo turno a Corigliano-Rossano, ed è già un segnale per chi vuol capire) è invece testarda ma i fatti lo sono ancora di più. Pochi giorni dopo l’approvazione dell’autonomia differenziata emerge, infatti, in tutta evidenza la realtà di un’Italia già ammalata di regionalismo e che avrebbe bisogno, semmai, di maggiore coesione. Ci pensano però diversi istituti di ricerca a dimostrare dove porta la narrazione del Ddl Calderoli: l’Italia della salute si presenta, ad esempio, già fratturata in più punti con il federalismo che c’è e quello che verrà rischia di spaccarla definitivamente con la Calabria fanalino di coda.

Il rapporto del Centro per la ricerca economica applicata in Sanità dell’università di Tor Vergata, presentato a Roma, parla chiaro: la mappa che ne riassume il contenuto si mostra in verde al di sopra dell’Umbria, gialla dal Lazio in giù e tristemente rossa in Basilicata, Calabria e Sicilia. I colori rispecchiano le performance di salute, sintetizzate in un indice che tiene conto di equità, esiti, appropriatezza e innovazione del servizio sanitario.

«La valutazione 2024 delle Performance regionali in tema di opportunità di tutela socio-sanitaria offerta ai propri cittadini – si legge nel rapporto – oscilla da un massimo del 60% (fatto 100% il risultato massimo raggiungibile) a un minimo del 26%: il risultato migliore lo ottiene il Veneto e il peggiore la Calabria». Desolante la conclusione: «Il divario fra la prima e l’ultima Regione è decisamente rilevante: un terzo delle Regioni non arriva a un livello pari al 40% del massimo ottenibile».

Se «sembra essersi registrato una significativa riduzione delle distanze in termini di opportunità di tutela della salute fra Meridione e Settentrione», spiega il rapporto, è perché le Regioni con le performance migliori hanno smesso di migliorare «probabilmente a indicare l’esistenza di limiti strutturali nell’attuale assetto del sistema sanitario».

 Un altro rapporto, quello dell’Istat, conferma in «Noi Italia 2024» pubblicato 5 giorni fa con un capitolo su «sanità e salute». Anche l’Istat mostra che l’Italia è fatta da più Paesi in uno. Gli abitanti di Calabria e Campania, ad esempio, dispongono di 2,2 e 2,5 posti letto in ospedale ogni mille abitanti e la Calabria è quella che ne ha tagliati di più tra il 2020 e il 2022 (-17%). In Emilia-Romagna (3,6) e in Trentino (3,7) sono quasi il doppio e in entrambe le Regioni si è registrato un aumento di posti letto del 7% in un biennio.

Il risultato in termini clinici è crudo quanto diretto: nel Nord-est il tasso di mortalità evitabile è di 16,9 decessi per diecimila abitanti e nel sud di 21,8, quasi 5 in più. Campania, Molise e Sicilia sono le regioni in cui si muore di più sia per patologie trattabili (cioè che potrebbero essere curate con un’assistenza migliore) che per quelle prevenibili con interventi su stili di vita e vaccinazioni. Persino la mortalità infantile del mezzogiorno (3,2 ogni mille nati vivi) è più alta rispetto alla media nazionale (2,6).

La mobilità sanitaria, cioè il numero di pazienti che si spostano da una regione all’altra per le cure, infine è in aumento. La regione più ricercata è l’Emilia-Romagna, dove l’immigrazione sanitaria è in costante aumento dal 2018 e il saldo tra chi arriva e chi parte supera anche quello della Lombardia. Dopo la lettura dei dati assumono un significato sinistro le parole con cui il ministro della salute Schillaci commenta l’impatto della riforma sul diritto universale alla salute: «L’autonomia differenziata già esiste in sanità – ha provato a rassicurare il radiologo –. Le Regioni hanno grande autonomia e in questo settore cambierà poco».   In peggio ovviamente. Questi, dunque, sono i fatti, il resto chiacchiere. (fv)

L’OPINIONE / Nicola Fiorita: Strada maestra per contrastare autonomia è ricorso a Corte Costituzionale

di NICOLA FIORITA – Fuga in avanti? Semmai è l’Anci a rischiare di restare indietro. Il dado è tratto perché non è più il momento della melina, dell’ambiguità, dei documenti edulcorati. La strada maestra per contrastare la legge Calderoli è il ricorso alla Corte Costituzionale. Se non dovesse bastare, andremo al referendum abrogativo.

È la presidente Rosaria Succurro a dovere prendere atto che 120 sindaci, e la lista si allunga di giorno in giorno, con tutte le grandi città in prima fila , hanno espresso una posizione forte. Le ho riconosciuto, in pubblico e in privato di avere coraggiosamente cambiato idea sull’Autonomia Differenziata, ma ora dimostri, aderendo al nostro appello, di essere la presidente di tutti i Comuni e non di una piccola Anci timorosa e fin troppo ossequiosa al potere politico.

In occasione dell’assemblea regionale dell’Associazione dovranno essere valutate  le ragioni dell’appello “Una sola Italia”, augurandomi così che la voce della Presidente possa diventare la voce di tutti i Sindaci della Calabria. (nf)

[Nicola Fiorita è sindaco di Catanzaro]

L’OPINIONE / Mariaelena Senese: Autonomia allontanerà Calabria dal resto del Paese

di MARIAELENA SENESE – Una riforma scriteriata che allontanerà la Calabria dal resto del Paese. Una mancia politica ad un alleato di Governo che segnerà, ancora di più, il destino delle calabresi e dei calabresi. Questo è, ma purtroppo non solo, l’autonomia differenziata. Per questo esprimiamo profonda preoccupazione per questa riforma che potrebbe avere conseguenze devastanti per settori chiave come la sanità e l’istruzione, aggravando ulteriormente le già evidenti disparità regionali e, come fatto in tempi non sospetti, chiediamo un immediato ripensamento del legislatore.

Per questo saremo presenti nei luoghi di lavoro, nelle assemblee territoriali per spiegare la nostra scelta di essere tra i promotori per indire il referendum abrogativo di questa legge ingiusta. Per questo la Uil, coerentemente con le sue impostazioni e sempre pronta al dialogo e al confronto anche quando questo si fa aspro, non si sottrarrà ai tavoli regionali che verranno convocati sul tema e su questo chiediamo alla Regione Calabria di aprire una interlocuzione in tempi ristretti, ma contrasterà con tutte le sue forze e in tutte le forme democratiche a disposizione l’applicazione di questa Legge, anche attraverso un impegno diretto nella costituzione di Comitati referendari per la sua abrogazione. Incrocerà in questo modo l’azione di altre forze sindacali, sociali e politiche che ritengono l’unità del Paese, l’universalità dei diritti, la dignità delle persone, elementi irrinunciabili per un Paese che vuol essere unito, faro della democrazia e soggetto forte per l’affermazione di questi principi nel contesto europeo e mondiale.

Non bisogna dimenticare, infatti, che la manovra economica 2024, in discontinuità con la precedente Legge di bilancio, non determina le risorse economiche in conto corrente finalizzate a garantire, attraverso l’istituto del fondo di perequazione, l’omogeneità in tutto il Paese dei diritti sociali e di cittadinanza. Questo, poi, quando il Governo ha già scelto di tagliare le rimesse destinate al fondo di perequazione che è stato prosciugato e fatto passare dagli oltre 4 miliardi di euro a poco più di 800 milioni.

Uno dei settori più colpiti dalla riforma dell’autonomia differenziata sarà inevitabilmente la sanità. Con l’autonomia differenziata, le regioni più ricche potrebbero decidere di aumentare i finanziamenti e migliorare i servizi sanitari a livello locale, lasciando le regioni meno abbienti, come la Calabria, indietro. Questo scenario porterà alla creazione di un sistema sanitario a due velocità, dove i cittadini del Sud avranno accesso a servizi di qualità inferiori rispetto a quelli del Nord.

In Calabria, la situazione sanitaria è già critica, con strutture ospedaliere spesso carenti e tempi di attesa per le prestazioni mediche inaccettabilmente lunghi. La riforma dell’autonomia differenziata aumenterà il turismo sanitario verso le regioni del Nord, dove i servizi saranno migliori. Questo flusso migratorio di pazienti non solo rappresenta un costo aggiuntivo per le famiglie calabresi, ma indebolisce ulteriormente il sistema sanitario locale, creando un circolo vizioso difficile da spezzare.

Il tutto mentre la medicina del territorio stenta a decollare e, anche quando gli ospedali e le case di comunità dovessero vedere la luce, il sistema rischia di non funzionare per la grave carenza di personale che già interessa il nostro Sistema sanitario regionale per il quale è necessaria e non più rinviabile una iniezione di giovani professionalità.

L’istruzione, poi, è un altro settore che rischia di subire gravi conseguenze. La Calabria può e vuole farcela da sola ma i continui tagli alle istituzioni scolastiche, gli accorpamenti che riducono gli spazi dell’offerta formativa, penalizzando ancora di più le aree interne della nostra regione, e il mancato potenziamento professionale rischiano di demolire quello che è uno dei pilasti della comunità educante calabrese.

La Uil Calabria chiede un immediato ripensamento della riforma dell’autonomia differenziata e ritiene necessario intervenire, a livello istituzionale, per bloccare i nefasti effetti di questa norma. È fondamentale che le politiche nazionali promuovano l’equità territoriale e garantiscano pari opportunità a tutti i cittadini, indipendentemente dalla regione di residenza. La Calabria ha bisogno, fra le altre cose, di infrastrutture moderne ed efficienti, di investimenti mirati, di una sanità efficiente e di un sistema educativo all’altezza delle sfide moderne. Solo così si potrà ridurre il divario tra Nord e Sud e costruire un futuro di sviluppo e prosperità per tutto il Paese. (ms)

[Mariaelena Senese è segretaria generale di Uil Calabria]