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Il regista Michelangelo Frammartino con una delle attrici del film

10 minuti di applausi alla Biennale di Venezia per il film “Il buco” girato nel Pollino calabrese

Il film “calabrese” di Michelangelo Frammartino Il Buco girato a San Lorenzo Bellizzi e nel Parco del Pollino sull’Abisso del Bifurno, in gara alla Biennale Cinema di Venezia, ha raccolto dieci minuti di applausi dal pubblico. È la Calabria bella che emerge da un film che non è documentario e non è fiction: è il racconto filmato di contrasto evidente per quegli anni tra Nord e Sud (era il 1961) dove la metafora del “buco” rappresenta il simbolo della possibilità, della sfida. Quella che ancora oggi migliaia di calabresi, costretti a lasciare la propria terra, devono continuamente affrontare per vincere pregiudizi ancora esistenti.

Il bel film racconta l’avventura (reale) di un gruppo di 12 speleologi che nel 1961 andò nel Pollino Calabrese, a Cerchiara di Calabria, per affrontare l’abisso del Bifurto, conosciuto come “fossa del lupo”, ai tempi la seconda grotta naturale più profonda al mondo (oltre 700 metri). Mentre partivano i nostri emigranti per Milano (ai tempi dell’inaugurazione del Pirellone) il gruppo di speleologi decide invece di viaggiare al contrario e andare in Calabria per una sfida con la natura.

Frammartino ha origini calabresi per parte del padre. Aveva già girato nel Pollino il film Quattro volte. Per il cast del film il regista ha scelto degli esperti speleologi, ma per il resto ha utilizzato  gente del luogo, figuranti eccezionali che hanno mostrato nei loro volti, nelle loro abituali pose (e non da cinema), la grande umanità della gente calabrese. Pastori, contadini, gente della terra, che ama il luogo che li ha visti nascere e considera “tesoro” tutto ciò che li circonda, nell’autentica calabresità che risiede nei loro cuori. Un bell’affresco della nostra regione, che porta un’immagine, per lo più inedita, di straordinari paesaggi di sogno e incantevoli montagne e vallate. Il film ha avuto il sostegno della Calabria Film Commision.

Bello il commento dello scrittore Gioacchino Criaco affidato a Facebook: «Un percorso al contrario, fisico pure, dentro la magia della creazione. La luce che si cala nel buio, per riemergerne diversa. Non un passo indietro, diecimila passi avanti. L’equivoco di una modernità ingannevole che sfida il cielo sbattendogli a pugno il Pirellone a Milano. La disattenzione su una modernità diversa, più vera, di un viaggio più pauroso perché dentro le verità oscure, ma più dolce perché indirizzato a conquiste durevoli, appaganti, forse risolutive. Avremmo avuto una Milano diversa, una Nazione differente se fossimo andati dietro agli uomini che penetravano il Bifurto. Invece di applaudire il cemento e l’acciaio che violentavano il cielo del boom economico. La nostra gente era il mandriano pacifico che accompagnava vacche al pascolo sul bordo dell’Abisso, ed era un Abisso che non faceva paura: non era quella la voragine che si sarebbe ingoiata l’umanità di mari e monti antichi. Il Buco si stava aprendo a Milano col coltello di grattacielo che aveva fame di pastori, che avrebbe immolato gli spiriti. Continuiamo ad avere un rapporto equivoco, subalterno, rispetto a una modernità che non è la nostra. L’importanza di Michelangelo è la necessità di un punto di vista, di un confronto col Sud come interlocutore, unico, culturale. Un raffronto che non c’è mai stato, se non incidentalmente, così ne è nata una modernità monca. È un equivoco pensare al bisogno di modernità della Calabria. L’Occidente ha bisogno di modernità, una modernità diversa che mantenga i legami magici con la Natura. La mancata comprensione, da parte soprattutto dello strapuntino intellettuale, dell’irreparabile dramma che l’Umanità ha subito con i fuochi d’Aspromonte, spiega che siamo in una modernità sbagliata, in ginocchio di fronte a modelli sociali non nostri e non buoni. Che questa lezione hanno cercato di impartirci i Levi, gli Alvaro, gli Sciascia. L’Esistenza di Anime come Frammartino, che qualcuno si affretterà a definire anti-moderno, è speranza. Una certa modernità, così una certa concezione del successo, della letteratura, sono solo omologazione, subalternità, collaborazionismo. In realtà abbiamo moltissimo bisogno di capre».

Ha scritto in un post Gianvito Casadonte, direttore del Magna Graecia Film Festival di Catanzaro: «La Calabria e i suoi talenti hanno conquistato un posto di rilievo alla Mostra di Venezia. Ancora una volta ad incantarci, 11 anni dopo “Le quattro volte”, è lo sguardo profondo e poetico di uno straordinario regista come Michelangelo Frammartino. E chiunque ami il Cinema con la C maiuscola, non può non amare la bellezza e la ricercatezza delle immagini offerte da Michelangelo. Con un pizzico di orgoglio, senza provincialismo, possiamo esaltare la vera “calabresità”, perchè Frammartino porta nel mondo lo spirito, il sentire, il cuore, che batte forte, della nostra terra. Sono davvero felice per Michelangelo, che ha realizzato un altro capolavoro con il dono dell’arte, e spero che presto il suo lavoro potrà essere visto e apprezzato nella magia della sala. La Calabria, con la forza delle proprie radici, può guardare al futuro riscoprendo i suoi tesori». (rs)