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Giovambattista Caligiuri con Jole Santelli, Fulvia Caligiuri e Luigi De Rose

Gli uomini di Berlusconi in Calabria. A colloquio con Gegè Caligiuri

di PINO NANO – Ma è morto davvero Silvio Berlusconi? 

Non c’è telegiornale pubblico o privato, italiano o straniero, che non ci riproponga da ieri mattina la sua voce, il suo sorriso, la sua forza mediatica e l’immagine carismatica che aveva. 

Avvolgente, sornione, geniale, affascinante, lo sguardo felino e lo stile dei grand Commis di Stato, Silvio Berlusconi lascia in ogni italiano l’immagine di uno statista che, nel bene e nel male, ha attraversato la storia del Paese e ha segnato profondamente la crescita dell’Italia. 

In Calabria lui aveva un amico del tutto speciale, che ieri sono andato a cercare, Giovambattista Caligiuri. Era il suo braccio destro a Pubblitalia prima ancora che nascesse Forza Italia e che Berlusconi si dedicasse alla politica, ed era il numero uno di Forza Italia in Calabria una volta nato il partito, un uomo a cui Berlusconi aveva delegato la nascita di Forza Italia in Calabria e a cui aveva affidato le sorti del Movimento. 

Diventa presidente del Consiglio regionale della Calabria, ma lascia l’incarico nel 2001 quando viene eletto alla Camera dei deputati. Sottosegretario al Ministero delle Attività Produttive nel Governo Berlusconi III (tra il 2005 e il 2006), nel 2008 viene eletto al Senato della Repubblica, candidato nelle liste del Popolo della Libertà in Calabria, ma prima ancora era stato anche Presidente della Giunta regionale, nominato nella seduta dell’11 agosto 1998 dopo la crisi che aveva portato alle dimissioni della Giunta guidata dallo stesso Pino Nisticò.

– Presidente Caligiuri, lei e Berlusconi, è una storia molto antica…

«Berlusconi lo conoscevo già da giovanissimo, ho condiviso con lui per dodici anni la casa di Via dell’Anima. Io stavo al piano di sopra e lui al piano di sotto. Anni bellissimi, indimenticabili, pieni di vita, ma perché lui era impastato di energia e di entusiasmo. Il Paese perde un grande statista».

– Presidente ha un ricordo particolare di Berlusconi in Calabria?

«Ne ho tantissimi. Silvio Berlusconi è venuto in Calabria tantissime volte diverse, ha sempre voluto chiudere in Calabria le sue campagne elettorali più delicate e più difficili, e non aveva mai smesso di capire come mai questa regione non riuscisse a decollare».

– Ne parlavate spesso?

«Ogni qualvolta lo incontravo mi chiedeva cosa avessimo immaginato per la crescita di questa nostra regione? E ricordo che un giorno, io allora Presidente del Consiglio regionale della Calabria, lo portai a fare un giro sulla città di Reggio Calabria in elicottero perché si rendesse conto do cosa fosse la città dello Stretto, e lui rimase scioccato dai tanti palazzi in costruzione e mai finiti che si vedevano dall’alto. Era segno di degrado e di miseria per un imprenditore come lui abituato a vivere ad Arcore e nella Milano Due. Dall’alto su Reggio Calabria si rese conto che siamo ancora molto indietro in termini di sviluppo e di crescita complessiva, e questo gli poneva il problema di costruire una classe dirigente che potesse un giorno essere utile alla Calabria e ai calabresi».

– Presidente se lei dovesse oggi dare un giudizio dell’uomo, rispetto alle cose che ha fatto cosa direbbe?

«Che era un innovatore. A suo modo un rivoluzionario. Non conosceva limiti nella sua vita, nel senso che aveva sempre mille orizzonti diversi da guardare, ma era profondamente un uomo buono. Non ho mai vvconosciuto un uomo così generoso e così geniale insieme, così espansivo e così cortese. Era un uomo elegante, e la sua era una eleganza solenne, perché era prima di tutto uno stato dell’anima più che il suo aspetto fisico. Mi creda, con lui se ne va uno degli italiani più illustri della nostra storia».

– Presidente immagino andrà domani ad Arcore ai suoi funerali?

«Francamente ci sto ancora pensando. Lo deciderò nelle prossime ore. Forse si, forse no, forse in compagnia di qualche vecchio amico comune. Anche per me è difficile accettare di arrivare a Milano e guardare un feretro chiuso, mi diventa davvero difficile pensare che la sua vita si un uomo come lui, sempre piena di mille corde tese, sia finita in questo modo».

– Cosa cambierà dopo di lui in politica?

«Non crede sia ancora prematuro parlare del dopo? Lui è ancora qui tra di noi, e lo sarà ancora per molti anni dopo, e questo influenzerà il processo di cambiamento del partito di Forza Italia e della storia stessa del Paese».

– Se fosse ancora vivo cosa si sentirebbe di dirgli?

«Gli direi grazie per le cose che ha insegnato ad ognuno di noi, per lo stile che ha impresso nella vita politica italiana, per aver educato intere generazioni che è ancora possibile sognare in Italia, e per aver convinto i piuù scettici che dalle crisi più profoinde ci si può sempre rialzare e crescere. Questa è la grande lezione storica che ci viene da Silvio Berlusconi».

– Cosa ha lasciato la sua azione politica ai calabresi?

«Le novità di un cambiamento reale, radicale, articolato. E poi l’esperienza importante e reale dei suoi uomini migliori».

– A chi allude Presidente?

«Come fa a dimenticare che in trent’anni di impegno politico e di vita amministrativa Silvio Berlusconi ha dato ai calabresi almeno quattro Presidenti di Regione? Uomini e donne scelti da lui personalmente, fortemente voluti da lui, dopo una analisi profonda che solo lui sapeva fare con i suoi uomini e sui suoi uomini. Ricordo quando scelse come Presidente della Regione Pino Nisticò, un grande farmacologo amato in tutto il mondo ma in cui nessuno credeva, senza nessuna esperienza politica, e lui vinse con Nisticò una delle sue scommesse più difficili. Ma ricordo anche la vittoria debordante di Peppe Scopelliti, questo giovane campione di basket educato alla politica e che piaceva moltissimo a Berlusconi. Fu un trionfo politico anche il suoı».

– Poi arrivò una donna?

«La grande e indimenticabile Jole Santelli. Lui l’adorava, sapeva che avrebbe cambiato il volto della regione e aveva visto giusto, una donna che credeva nello stato come pochi sanno fare e che aveva il senso della modestia. Anche lì Berlusconi decise da solo e ha vinto un’altra delle sue scommesse. Poi la vita è andata come è andata, Jole si è ammalata e se nè andata per sempre e per Berlusconi è stato un grande dolore».

–Ma non finisce qui Presidente?

«No, perché poi è arrivato Roberto Occhiuto, anche lui uno dei pupilli di Berlusconi, un professionista educato alla politica e al rispetto dei ruoli, che in parlamento ha dimostrato di essere un numero uno e che, quando c’è stato bisogno di lui non si è mai tirato indietro. Anche lui, come Jole, come tutti gli altri, con uno spirito di servizio e un senso della vita all’insegna del rispetto e della quotidianità. Ma erano questi i valori di fondo che il Presidente rincorreva».

Non so se si può raccontare, ma devo oggi al Presidente Giovambattista Caligiuri un grazie molto speciale per avermi lui permesso di vivere almeno per un giorno l’illusione di poter diventare Senatore della Repubblica.

Febbraio 1994, dunque 30 anni fa. 

Per un giorno, certamente, mi sono sentito Senatore della Repubblica di Forza Italia. Scelto e voluto personalmente da Silvio Berlusconi. Berlusconi aveva chiesto di incontrarmi e di conoscermi a Palazzo Grazioli, e dove io fui accompagnato personalmente dall’allora Presidente della Regione, prof. Pino Nisticò, e dall’allora numero-uno di Forza Italia Gegè Caligiuri.

Il ricordo di quei giorni è poi diventato un capitolo del libro del giornalista Attilio Sabato, storico Direttore di Teleuropa Network, Potere e Poteri e in cui il famoso giornalista televisivo racconta il back stage della politica calabrese.

«Ricordo che Silvio Berlusconi ci accolse in maniche di camicia, abbigliamento inusuale per un uomo della sua eleganza. Ci venne incontro sorridente, quanto mai affabile e avvolgente, proprio come eravamo abituati a vederlo in televisione. Mi colpì molto il carisma dell’uomo, e soprattutto quella sua carica umana, senza pari e difficile da descrivere. Un leone pieno di vigore e di certezze.  Ricordo che con me non usò mezzi termini, fu schietto, diretto, immediato, andò dritto al cuore del problema. Mi disse che Gegè Caligiuri gli aveva parlato tantissimo di me, e che i sondaggi già fatti sul mio nome davano a Forza Italia la certezza assoluta della vittoria nel collegio senatoriale di Cosenza. 

Ero confuso, la sicumera con la quale il Cavaliere aveva affrontato l’argomento mi aveva lasciato senza parole. Tuttavia, però, mi feci forza, anche perché avevo necessità di capire come avrei dovuto muovermi sul piano pratico, e chiesi a Berlusconi: “Presidente, ma chi organizzerà di fatto la campagna elettorale?”. Lui mi guardò dritto negli occhi, accennò ad un sorriso, mi abbracciò e rivolgendosi a Giuseppe Nisticò disse: “Da questo momento in poi pensa tu a Pino Nano” e, poi guardando Gegè Caligiuri, aggiunse: “È tutto vostro”. Uscii quella mattina da quel colloquio con mille pensieri che mi ronzavano per la testa. Avvertivo dentro di me che stavo per dare un cambio di traiettoria alla mia vita, è vero! ma nello stesso tempo non riuscivo ad essere perfettamente consapevole di ciò che stava accadendo. Ma la mia giornata a Palazzo Grazioli era appena all’inizio. 

Ricordo che per me seguirono ore di grande tormento interiore. In realtà ero al tempo stesso affascinato dall’idea, ma non del tutto convinto di lasciare ciò che allora facevo in RAI e che allora mi appagava in maniera assoluta. Dopo una notte insonne mollai tutto in un istante. Il mattino seguente chiamai il Presidente Nisticò per dirgli: “Presidente, non me la sento! “ Feci la stessa cosa con Caligiuri che, a dire il vero, tentò in tutti i modi di dissuadermi pregandomi di non gettare via quella opportunità. Al telefono mi disse con tono di voce alterato, come mai fino ad allora mi era capitato di sentirlo: “I sondaggi ti danno già Senatore, è un peccato, lo capisci che è un peccato?”.

“La rinuncia di Pino Nano – scriverà poi Attilio Sabato nel suo saggio politico – costrinse Caligiuri a spostare il tiro e individuare un altro profilo che potesse garantire gli “azzurri”. La scelta cadde sul presidente degli industriali, Ernesto Marano, ma anche questa volte Gegè non riuscì a chiudere la casella. I vertici di Confindustria convinsero Marano a declinare l’invito…”. 

Fece lo stesso Giorgio Tenuta, ma avevano ragione i sondaggisti di Silvio Berlusconi, per Forza Italia quella tornata politica fu un trionfo elettorale senza pari. (pn)