A Reggio una giornata di studio dopo la “bocciatura” della Legge Calderoli

È stata una giornata di studio molto interessante e ricca di spunti, quella promossa dall’Associazione fra ex consiglieri regionali della Calabria e dall’Associazione ex Parlamentari della Repubblica Italiana, incentrata su “Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sull’autonomia differenziata, quali autonomie e quale sanità per i cittadini?”.

Svoltasi a Palazzo Campanella, l’iniziativa è stata moderata da Dalila Nesci, che guida il Coordinamento della Calabria degli ex parlamentari, Già Sottosegretario di Stato per il Sud.

Sono intervenuti illustre personalità, come Renato Balduzzi, docente dell’università Cattolica di Milano, presidente dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti e già ministro della Salute, Stefano Ceccanti, docente dell’università La Sapienza di Roma, e Antonino Spadaro, docente dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, ha sottolineato come la scelta della città dello Stretto non è stata casuale.

«La Calabria, per l’arretratezza delle sue condizioni strutturali e il decennale commissariamento della Sanità, con la legge Calderoli avrebbe pagato il prezzo più alto, tra le stesse regioni meridionali», ha sottolineato Nesci.

il Prof. Ceccanti, nella sua relazione, ha richiamato opzioni di metodo e di merito partendo da un assunto: «Non si dovrebbe riformare prescindendo del tutto dalle elaborazioni del passato come in una sorta di anno zero».

«Una sentenza storica e magistrale – ha insistito il prof. Spadaro  perché la Corte insegna come vada inteso il Regionalismo differenziato. La Corte non ha dichiarato l’illegittimità della legge Calderoli, in realtà l’ha demolita. Se il Governo e la maggioranza vorranno riproporre questa forma di regionalismo senza che  provvedimenti non si atterranno alle indicazioni della Corte saranno impugnabili per violazione del giudicato costituzionale”.  

Il prof. Balduzzi, invece, ha definito la sentenza della Corte «davvero straordinaria, può essere condivisa o meno ma certamente, di fatto, ha dato una lezione alla classe politica».

«Una differenziazione tra le regioni in realtà c’è già da tempo nel nostro ordinamento. Una ulteriore differenziazione — ha spiegato ancora Balduzzi —, potrebbe significare cambiare non il rapporto Stato-Regioni ma l’assetto del servizio sanitario nazionale che attualmente, pure con le criticità, è universalistico, fondato sulla globalità, sull’accessibilità, sulla portabilità del diritto, a prescindere dalle località di residenza».

«La sanità è certamente un punto delicatissimo – ha concluso – Ciò che conta, ai fini del diritto alla salute, è che gli standard si uniformino da regione a regione. Su questo c’è ancora tanto da lavorare”.

Durante i lavori non sono mancati i Saluti del sindaco di Reggio Giuseppe Falcomatà, del Presidente della Regione Roberto Occhiuto. Tra i presenti relatori gli on. Giuseppe Soriero, Mario Tassone, Federica Dieni e Gino Alaimo.

A chiusura dei lavori, Dalila Nesci ha annunciato che le due Associazioni pubblicheranno gli atti del dibattito e «li metteranno a servizio dei parlamentari in carica e di quanti vorranno impegnarsi nel confronto politico perché la legge sul regionalismo differenziato, sia riscritta secondo i canoni della Costituzione». (rrc)

AUTONOMIA, DECISIONE DELLA CONSULTA
LASCIA PERPLESSI: QUALI LE PROSPETTIVE

di ERNESTO MANCINIIl 20 gennaio scorso la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo della legge Calderoli sull’autonomia differenziata. In attesa del deposito della sentenza la Corte ha emesso, come è prassi da qualche anno, un comunicato stampa che riassume i motivi principali di tale inammissibilità. 

Il quesito referendario, a dire del Giudice delle Leggi, non è chiaro e lo stesso referendum si trasformerebbe, se con esito abrogativo, in una sostanziale abrogazione dell’art. 116, terzo comma della Costituzione che ammette ulteriori forme di autonomia; il che, a dire della Consulta, non è ammissibile in quanto il referendum può avversare una legge ordinaria ma non una norma costituzionale.

1) I motivi su cui si fonda la decisione della Corte non convincono.

Quanto alla non chiarezza del quesito va detto che esso conteneva espressamente “l’abrogazione totale della legge” e cioè una formula chiarissima ed inequivocabile, peraltro emessa in data 13 dicembre 2024 dalla Corte di Cassazione competente a deliberare il testo definitivo del quesito anche ai fini di massima chiarezza.

Quanto all’implicita abrogazione dell’art. 116 terzo comma va detto che il quesito attaccava le modalità con le quali il “legislatore Calderoli” aveva inteso dare applicazione, ovviamente a modo suo, a tale parte della Costituzione. Ora, non è che avversando la legge ordinaria si avversa la Costituzione bensì si avversa il modo con il quale essa è stata attuata.

Si è trattato di un modo abusivo perché la legge avrebbe imposto un regionalismo competitivo ed egoistico in luogo di quello cooperativo e solidale, avrebbe creato ulteriori diseguaglianze tra i cittadini, spezzato l’unità della Repubblica, differenziato in modo ingiusto i vari territori. La legge inoltre avrebbe privato lo Stato di poteri sovraordinati in tema di istruzione, sanità, ambiente ed altre delicatissime materie, avrebbe frammentato in tante piccole repubbliche un ordinamento unitario creando caos istituzionale, avrebbe violato le prerogative del Parlamento. Ciò a tacer d’altro. 

L’elenco delle scelleratezze (più sobriamente dette “illegittimità costituzionali”) è ancora più lungo ed al riguardo basta leggere con un po’ di attenzione la sentenza n. 192 di novembre scorso con la quale la Corte Costituzionale aveva demolito tale normativa. Si è trattato di una “massiccia demolizione” come la stessa Corte di Cassazione del 13 dicembre scorso aveva espressamente detto alla pag. 32 della propria decisione in sede di definizione del quesito referendario.

Ora, in attesa del testo integrale della sentenza sull’inammissibilità del referendum, non è possibile fare ulteriori commenti. Si spera che il testo integrale fornisca motivazioni convincenti rispetto al recente comunicato.  Solo così i sostenitori del referendum potranno accettare l’esito con serenità. Altrimenti la delusione per la sentenza di gennaio sarà pari all’opposto entusiasmo per quella di novembre.

2) Le prospettive 

Bisogna ora chiedersi cosa farà il “legislatore Calderoli”. Egli è il dominus della partita in quanto finora Governo e maggioranza parlamentare gli hanno lasciato mano completamente libera. E così, stanti i patti della maggioranza (premierato, magistratura, autonomia differenziata), c’è da credere che ciò accadrà anche per il prossimo futuro.

Le ipotesi possono riassumersi come segue tenuto conto che la legge allo stato è inapplicabile perché svuotata dei suoi contenuti principali; tuttavia, rimane formalmente in piedi per le parti residue.

2.1) La revisione formale della legge e la revisione di fatto. 

Può darsi che Calderoli revisioni il testo della legge copiando materialmente i princìpi stabiliti dalla Corte Costituzionale ed incollandoli con destrezza giuridica nelle parti rimaste vuote per effetto del dictum della Corte medesima. 

Presenterà pertanto al Parlamento una legge revisionata perché purgata dalle illegittimità precedenti ed invece inclusiva dei princìpi dettati dalla Corte. Potrà dire che in questo modo ha dato perfetta applicazione al titolo V della Costituzione e che nessuna obbiezione può pertanto farsi al riguardo. 

Vi è però che il personaggio, così come ha violato la Costituzione con un’applicazione scellerata, eluderà la legge revisionata con la stessa attitudine. Ciò potrà fare proprio nella sede delle pre-intese con i Presidenti delle Regioni del Nord tuttora trattanti (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria). Formalmente non trasferirà a queste Regioni intere materie ma solo funzioni (come vuole il Giudice delle leggi) salvo a farlo “a modo suo” e cioè trasferendo funzioni che di fatto equivalgono ad intere materie o alle parti principali di esse, funzioni non specifiche ma generali, non tipiche di un territorio ma comuni ad altri e così via. Insomma, un modo solo apparente di applicare i princìpi dettati dalla Corte Costituzionale.

Il nostro non è un processo alle intenzioni poiché il personaggio è recidivo ed è capacissimo di reiterare il malfatto. 

L’altra ipotesi è che il Calderoli lasci la legge così com’è per non avere ulteriori “fastidi” procedimentali e si presenti in Parlamento con un disegno di legge che approvi le pre-intese nel frattempo negoziate con le regioni del Nord. Egli potrà dire che le pre-intese sono il frutto del combinato disposto tra il testo residuo rimasto vigente della legge ed i princìpi stabiliti dalla Corte che costituiscono già diritto vigente. Giuridicamente ciò è possibile anche perché la sentenza della Corte Costituzionale in gran parte è autoapplicativa e cioè non necessità di altri interventi.

Anche qui non si tratta di un processo alle intenzioni visto che il personaggio ha candidamente dichiarato che va avanti lo stesso. 

Sulle capacità emendative o di rifiuto del Parlamento non c’è da aspettarsi nulla vista la schiacciante maggioranza fondata sui patti di cui si è detto. 

3) Cosa si potrà fare per opporsi ai possibili artifizi e raggiri?

Per fortuna i Comitati No AD contro l’autonomia differenziata di Calderoli e gli stessi partiti e formazioni sociali componenti il Comitato Promotore, continuano nella loro determinazione nonostante la botta subita dalla dichiarazione di inammissibilità del referendum. Essi faranno la dovuta vigilanza e le dovute pressioni per prevenire ulteriori abusi. Vigileranno sulle pre-intese e ne denunceranno le illegalità che già si prospettano.

Lo stesso Giudice delle Leggi nella sentenza n.192 del 2024, quasi prevedendo questo possibile contenzioso, si è “riservato il giudizio sulla legittimità costituzionale delle singole leggi attributive di maggiore autonomia a determinate regioni…”.  Tale giudizio di legittimità potrà attivarsi, come precisa la stessa Corte, in via principale od in via incidentale. Nel primo caso perché alcune Regioni faranno ricorso contro le leggi di approvazione delle intese; nel secondo caso perché davanti ad un Tribunale ordinario od amministrativo singoli cittadini o associazioni chiederanno che venga sollevata dal Giudice adìto questione di legittimità costituzionale per risolvere controversie cui hanno interesse.

Ne discende che dopo la clamorosa e tuttora preziosa vittoria dei Comitati contro l’Autonomia differenziata si prospetta ora una lunga e tormentata fase di resistenza contro questo disegno nelle piazze e se del caso nei tribunali perché c’è da credere che il dominus dell’abuso costituzionale continuerà imperterrito nel suo disegno “criminoso”. 

“Resistere, resistere, resistere !!” si è detto in altre occasioni. Ora si tratta della più dannosa e pericolosa legge di riforma dal 1948 ad oggi. (em)

 

AUTONOMIA, 10 DOMANDE E 10 RISPOSTE
IN ATTESA DELL’ESITO DELLA CONSULTA

di ERNESTO MANCINIIl prossimo 20 gennaio la Corte Costituzionale deve decidere in via definitiva se ammettere o meno il referendum per l’abrogazione della legge Calderoli sull’autonomia regionale differenziata. La decisione, in senso favorevole allo svolgimento del referendum, appare molto probabile ma non scontata.

È infatti accaduto che la legge Calderoli sia stata molto rimaneggiata dalla precedente sentenza della stessa Corte del 14 novembre scorso che aveva dichiarato incostituzionali parti essenziali di tale normativa cancellandole dall’ordinamento giuridico oppure imponendo, come vedremo di qui a poco, interpretazioni ed applicazioni costituzionalmente orientate.

Ed è perciò che il quesito referendario originario formulato con la raccolta delle firme l’estate scorsa (“volete voi abrogare la legge n. 86 del 26 giugno 24 sull’autonomia regionale differenziata?”) è stato riformulato a cura dell’Ufficio per il Referendum della Corte di Cassazione sentito il Comitato promotore, nel seguente modo: (“volete voi abrogare la legge n. 86 del 26 giugno 24 sull’autonomia regionale differenziata come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 192/94? – Abrogazione totale) 

D’altra parte, la Corte Costituzionale non può non prendere atto che con le firme raccolte l’estate scorsa a cura del Comitato promotore del referendum (ben 1.300.000 firme) si chiedeva l’integrale abrogazione e non quella parziale. 

In vista dell’imminente decisione del Giudice Costituzionale conviene riepilogare qui di seguito come stanno ad oggi le cose. Seguiremo il metodo F.A.Q. – Frequently Asked Questions – cioè domande e risposte frequenti per una rapida conoscenza degli aspetti principali della fattispecie in esame.

 

1) Perché la legge Calderoli sull’autonomia regionale differenziata è stata definita “legge spezza Italia”?

La legge Calderoli è stata definita “legge spezza Italia” perché si propone di trasferire alle Regioni in modo differenziato, e segnatamente alle regioni più ricche, poteri che spettano allo Stato, con ciò minando l’unitarietà e la indivisibilità della Repubblica. Questo giudizio è pressoché unanime da parte di costituzionalisti, economisti, esperti di regionalismo e di finanza pubblica. Anche importanti istituzioni, centri di studio ed associazioni si sono espressi nettamente contro; tra questi: Banca d’Italia, Confindustria, Ufficio Parlamentare di Bilancio, Svimez, Anci, Acli, Anpi, Conferenza Episcopale, Sindacati maggiormente rappresentativi, e così molti altri.

2) Qual è il ruolo svolto dalla Corte Costituzionale nei confronti di tale legge?

La Corte Costituzionale è un organo di vertice dello Stato a cui spetta giudicare se una legge sia illegittima o meno e cioè se essa contrasti o meno con i princìpi della Costituzione. Va ricordato che la Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica cioè una legge sovraordinata a tutte le altre sicché nessuna legge ordinaria può contrastare con essa. Quando vi è contrasto, come avviene con la legge Calderoli, la Corte Costituzionale ne dichiara la illegittimità e la cancella in tutto od in parte dall’ordinamento. 

3) Su quali premesse la Corte Costituzionale fonda il proprio giudizio di illegittimità sulla legge Calderoli?

Nella premessa della motivazione la Corte afferma che qualsiasi legge che riguardi il regionalismo italiano non può derogare ai princìpi fondamentali di unitarietà ed indivisibilità della Repubblica nonché di solidarietà ed uguaglianza dei cittadini. Si tratta di princìpi molto chiari così come vengono codificati dagli articoli 2, 3 e 5 della Costituzione. Già di per sé questa affermazione della Corte impedisce di poter differenziare i poteri delle Regioni quando tale differenziazione, come nel caso della legge Calderoli, comporta frammentazione e competizione anziché unità e cooperazione.

4) Qual è la principale censura che la Corte Costituzionale muove alla legge Calderoli sull’autonomia differenziata? 

La Corte dichiara illegittima la legge Calderoli perché consente di trasferire alla competenza esclusiva di alcune regioni più “materie”, cioè poteri pubblici sia legislativi che amministrativi. Si tratta di materie fondamentali dell’agire pubblico quali, per esempio, la pubblica istruzione, la sanità, la tutela dell’ambiente, i trasporti, l’energia ecc. ecc. (in tutto 23). Per tali materie lo Stato non avrebbe più avuto, stante la devoluzione esclusiva a singole regioni, una posizione di sovra ordinazione rispetto ad esse. Lo Stato, in altri termini, sarebbe stato estromesso da ogni competenza, perfino quella di indirizzo e di controllo dell’operato regionale.

5)  Qual è la differenza tra il regionalismo originario e quello voluto dalla legge Calderoli? 

Il regionalismo italiano fu voluto dai Padri e dalle Madri Costituenti fin dal 1948, e poi attuato negli anni ’70 come sistema che valorizzasse le autonomie territoriali e la partecipazione dei cittadini alle istituzioni a loro più vicine. La legge Calderoli, però, tradisce la volontà originaria dei Costituenti perché spinge il regionalismo al punto di dargli consistenza di separatismo e, comunque, di differenziazione esasperata ed egoistica in ragione della maggiore ricchezza di alcune regioni rispetto ad altre. La conseguenza è il disordine istituzionale, la frammentazione ed il caos nel funzionamento di tutte le attività legislative e di pubblica amministrazione e ciò a danno dei cittadini, delle imprese e di qualsiasi altra componente sociale. 

6) È vero che la legge Calderoli, come sostengono i suoi fautori, non fa altro che applicare il nuovo titolo V della Costituzione così come introdotto nel 2001?

Non è vero. La legge Calderoli tradisce anche il nuovo Titolo V della Costituzione introdotto nel 2001. Tale normativa, infatti, pur prevedendo la possibilità di attribuire più autonomia, giammai consente, neppure implicitamente, la possibilità di trasferire intere materie alle regioni svuotando lo Stato delle competenze originarie attribuitegli. E su ciò la Corte Costituzionale è stata molto chiara impedendo, come si è detto, che alle regioni fossero trasferite disinvoltamente ed in via esclusiva le materie e cioè i poteri legislativi ed ammnistrativi dello Stato.

7) Il Giudice delle Leggi esclude la devoluzione delle “materie legislative ed amministrative” ma ammette la possibilità del trasferimento di alcune “funzioni”. Cosa significa?

Intanto significa che i poteri dello Stato rimangono inalterati poiché su tutte le materie che il Titolo V già prevede col sistema della concorrenza (rectius: cooperazione) Stato/Regione (istruzione, sanità, ambiente, trasporti, ecc.) rimane allo Stato il potere di legiferare sui principi fondamentali da cui le Regioni non possono discostarsi. Per esempio: la scuola resta statale e non può diventare regionale, il Servizio Sanitario rimane Nazionale e continuerà ad articolarsi nelle regioni da un punto di vista organizzativo, come già avviene per effetto della Riforma Sanitaria del 1978 (legge n.833/78).

Inoltre, per la devoluzione di singole  funzioni la Corte stabilisce che per specifiche esigenze possono trasferirsi singole funzioni  (non materie) ma ciò deve essere adeguatamente giustificato, deve essere preceduto da adeguata istruttoria , deve riguardare specifiche esigenze del territorio, deve  essere fatto ex parte populi e non ex parte principis; in altri termini non deve essere un mero trasferimento di potere dallo Stato a singole Regioni solo per accrescere il potere di queste a danno di quello ovvero a danno delle altre regioni e, più in generale,  a danno della Repubblica considerata come soggetto unitario. Per esempio, la “funzione assistenza ospedaliera” che fa parte della “materia sanità” è comune a tutte le regioni e non specifica di alcune per cui non può configurarsi alcuna differenziazione di poteri di una regione rispetto ad un’altra. 

8) In che cosa consistono i princìpi del bene comune e della sussidiarietà richiamati dalla Corte?

Il principio del c.d. “bene comune” comporta che non si dovrà avere riguardo solo all’interesse della singola regione bensì all’interesse pubblico che è interesse comune a tutti. Afferma al riguardo la Corte che la differenziazione non deve essere un fattore di disgregazione dell’unità nazionale e della coesione sociale, ma uno strumento al servizio del bene comune della società e della tutela dei diritti degli individui e delle formazioni sociali.

Ma non basta. La Corte insegna altresì che tutte le scelte devono applicare anche il c.d. “principio di sussidiarietà”. Si tratta del principio per cui una funzione pubblica può essere collocata verso il basso o verso l’alto (Comuni, Regione, Stato e addirittura Unione Europea) allorché si stabilisca che il modo più adeguato per svolgere tale funzione appartenga all’uno od all’altro di questi livelli secondo un principio di corretta distribuzione delle competenze per una maggiore efficacia delle politiche di riferimento. In materia di tutela ambientale, per esempio, è di tutta evidenza che interventi efficaci devono farsi a livello sovranazionale non essendo più sufficiente, secondo il principio di sussidiarietà, il livello nazionale. L’Unione Europea si avvarrà, nei limiti della propria competenza, dello Stato e questo delle Regioni per l’organizzazione dei servizi di tutela ambientale come già avviene da tempo.

9) Quali altre censure di illegittimità ha dichiarato la Corte riguardo alle Legge Calderoli.

È presto detto: a) è illegittimo che la decisione sostanziale sull’autonomia differenziata venga lasciata al Governo emarginando il ruolo invece essenziale del Parlamento. Tutta la procedura va in conseguenza rivista; b) è illegittimo che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e non un atto legislativo a determinare i livelli essenziali delle prestazioni. È attraverso tali livelli che si potranno misurare le differenze territoriali e determinare i relativi finanziamenti per cui è assolutamente necessaria una legge del Parlamento quale massimo organo decisionale della Repubblica; c) è ugualmente illegittimo che sia un decreto interministeriale e non un atto legislativo a stabilire quali siano i proventi delle imposte da mantenere alla singola regione riducendo pertanto la quota che va allo Stato per ogni esigenza nazionale della finanza pubblica; d) è inoltre illegittimo che le Regioni siano semplicemente facoltizzate e non obbligate a concorrere agli obbiettivi della finanza pubblica con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà ed unità della Repubblica.

Vi sono altre norme della legge che la Corte non ha dichiarato incostituzionali ma, beninteso, alla condizione tassativa che vengano interpretate in modo “costituzionalmente orientato” senza il quale ogni atto successivo diventa illegale. Le condizioni, per ogni aspetto, sono: a) che l’iniziativa legislativa per ogni eventuale differenziazione non venga riservata unicamente al Governo; b) che la legge di differenziazione non è legge di mera approvazione dell’intesa Governo/Regioni (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento (modifica, integrazione, rigetto) da parte delle Camere. c) quando si tratta di materie cosiddette “non Lep”, che cioè non riguardano livelli essenziali delle prestazioni, le relative funzioni sono trasferibili purché non si tratti di prestazioni concernenti diritti civili e sociali. Anche in questi casi si dovranno prima attendere la determinazione ed i finanziamenti dei Lep e non devolvere sbrigativamente come voleva fare il Governo. d) le risorse destinate alle funzioni trasferite non dovranno essere determinate sulla base della spesa storica ma con riferimento a costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza. Se, per esempio nella tale regione del  Nord vengono garantite risorse per dieci asili nido ogni 100mila abitanti e nel tal altra regione del Sud risorse per tre asili nido ogni 100 mila abitanti, i finanziamenti dovranno essere conseguenti per garantire parità di livello delle prestazioni. La spesa storica, invece, non fa altro che cristallizzare le differenze.

10) Quali sono le conclusioni che si possono trarre dopo la sentenza della Corte Costituzionale? Ed il referendum abrogativo è ancora necessario?

Tutti gli osservatori qualificati sono concordi nel dire che la legge Calderoli n.86 del 26 giugno 24 è stata “demolita” o “svuotata” dalla Corte Costituzionale con la sentenza n 192 del 14.11.24. Addirittura, la suprema Corte di Cassazione (che è ben di più di un osservatore) parla di “massiccia demolizione” nell’ordinanza del 12 dicembre 24 (pag.32) con la quale ha dichiarato l’ammissibilità del referendum abrogativo e, come si è visto,  ha riformulato il quesito referendario. Sono infatti rimaste in piedi alcune parti della legge, invero non essenziali, che tuttavia non possono ostacolare la volontà referendaria di abrogare tutta la legge sia pure con i rifacimenti sostanziali operati dal Giudice Costituzionale. 

Va detto che da un punto di vista di legalità costituzionale i Comitati contro l’autonomia differenziata hanno già vinto la loro battaglia. Ora, con il referendum, la lotta si sposta sul piano politico affinché nessuno, con artifizi e raggiri messi in atto da governi e ministri compiacenti, insista ancora su questa partita che, così come era stata impostata, aveva creato, a dire di eminenti costituzionalisti, una legge “eversiva”, “indebitamente appropriativa” ed “incostituzionale nell’anima”.

Ecco, le cose stanno nei termini coma sopra esposti. Non rimane che attendere il giudizio definitivo della Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum per l’abrogazione totale anche di ciò che rimane della legge Calderoli. (em)

 

AUTONOMIA: LA CONSULTA HA BOCCIATO
UN’IDEA SBAGLIATA DELLO STATO ITALIANO

di ERNESTO MANCINI – L’insegnamento della Corte Costituzionale in tema di autonomia regionale differenziata, così come sintetizzato nel comunicato stampa emesso dalla medesima Corte il giorno 14 u.s., è chiarissimo.

La Corte, nell’incipit della propria decisione, afferma “che l’art. 116 terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana”.

Tale forma di Stato, dice la Corte, “riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”.

Dunque, autonomia sì, quanto possibile – e ciò va condiviso da chi, come il sottoscritto, è autonomista convinto – ma non fino al punto da stravolgere la forma di Stato introducendo un regionalismo competitivo ed egoistico in luogo di quello solidale e cooperativo nonché in violazione dei princìpi di unità della Repubblica e di uguaglianza dei diritti così come voluti dai Padri Costituenti del 1948. (artt. 2, 3 e 5 Cost.)

La Corte enuncia ben sette motivi di incostituzionalità della legge Calderoli svuotandola dei suoi contenuti essenziali; si può dire perciò che questa legge non esiste più se non solo formalmente o comunque non è più eseguibile (sul punto la valutazione dei costituzionalisti è pressoché unanime).

Tra i sette punti di incostituzionalità ci si deve soffermare sul primo sia per motivi di tempo necessario per gli ulteriori approfondimenti sia perché, ammesso che si possa fare una graduatoria di gravità incostituzionale, questo motivo primeggia e assorbe tutti gli altri.

Dice la Corte: «è incostituzionale (…) la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione trasferisca materie o ambiti di materie, laddove la devoluzione deve riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e deve essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà».

Ciò significa: che non possono trasferirsi dallo Stato alle Regioni intere materie (es.: istruzione, sanità, ambiente, lavoro, energia, ecc.); che possono trasferirsi solo specifiche funzioni legislative od amministrative; ma ciò, in ogni caso…; b.1) …deve avere una specifica giustificazione (“dimostrazione” –  “motivazione”) in relazione alla singola regione…; b.2)  .e, comunque, deve osservarsi il principio di sussidiarietà.

Così, per esempio, la “materia sanità” non è trasferibile in via esclusiva alla singola regione né può trasferirsi la “funzione assistenza ospedaliera rientrante in tale materia” perché non è specifica della singola regione ma comune a tutte le altre.

Può invece trasferirsi, continuando nella necessaria esemplificazione, la funzione legislativa ed amministrativa (prendiamo in prestito un esempio ricorrente nel dibattito degli scorsi mesi) relativa alle cave di Toscana (Carrara-Volterra) perché specifiche di quel territorio, sempre che se ne dimostri la convenienza per lo Stato e che vi sia pertinenza col principio di sussidiarietà (es.: specificità locale, dimostrazione che a livello locale si può svolgere meglio la funzione rispetto alla competenza concorrente tra Stato e Regione, costi-benefici, criticità, opportunità, ecc. ecc.).

Con la sentenza qui in esame, dunque, la Corte chiarisce una volta per tutte come deve intendersi l’espressione usata nella riforma del 2001 all’art. 116 della Costituzione: “ulteriore forme e condizioni particolari di autonomia”.

Al riguardo il Giudice delle Leggi demolisce la possibilità che singole regioni “ricche” si approprino disinvoltamente, con la collaborazione di un Ministero compiacente, di intere, grandi e strategiche materie e di molteplici funzioni; impedisce che le Regioni entrino in competizione tra loro, che lucrino sui relativi proventi indebolendo simmetricamente il resto della finanza pubblica, che estromettano lo Stato da ogni potere, pregiudicandone  la prerogativa di stabilire i principi fondamentali della materia stessa ed impedendogli di creare un quadro normativo di base comune per tutti i territori.

Con tutto ciò creando piccole repubblichette l’una contro le altre armata e “tutte insieme appassionatamente” contro lo Stato.

Va da sé che qualsiasi correzione della legge che non ottemperi al principio affermato dalla Corte sarà costituzionalmente illegittimo. Calderoli deve ridisegnare la legge ma in modo esattamente opposto a come l’aveva concepita e non gli sarà perciò congeniale.

Le pre-intese non sono più attuali ed anzi contrarie alle regole ora imposte dalla Corte Costituzionale; lo stesso referendum può non essere più attuale votandosi su una legge che è ben lontana, direi svuotata, rispetto a quella avversata con la raccolta delle firme.

Degli altri sei motivi di incostituzionalità, come eccepiti dal Giudice delle Leggi, se ne può parlare in altro momento per non appesantire il lettore non giurista che in questa materia deve avere molta pazienza.

Per il momento il pericolo è scampato ma le vie della prepotenza, degli attacchi alla Costituzione e della involuzione sono infinite. La guardia deve perciò restare alta. (emn)

SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
REGOLA I LIVELLI ESSENZIALI ASSISTENZA

di ETTORE JORIO – Una sentenza della Corte costituzione, la n. 233 del 21 novembre 2022 (red. Antonini), cui non è stato dato il giusto e meritato risalto. Ciò perché non si è bene compreso il senso RIGUARDA L’ASPETTO DEI FINANZIAMENTI  e delle sue pesanti ricadute sul sistema del finanziamento della salute. Sulle sue regole e sui divieti. Tutto questo è avvenuto nonostante la sentenza sia da considerarsi uno strumento di pregio assoluto di esaltazione dei Lea e, con questo, dell’ineludibile rispetto della finalità di utilizzo della quota del Fondo sanitario nazionale destinata al loro finanziamento.

Al di là Lea non si passa
La sentenza, invero molto articolata, mette la parola fine accogliendo una eccezione sollevata dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in speciale composizione, relativamente alla legge di stabilità regionale per il 2016 della Regione Sicilia. Più precisamente, ne sancisce l’incostituzionalità nella parte in cui prevedeva per il sessennio 2016-2021 il ricorso a una quota del Fondo sanitario nazionale per estinguere un prestito contratto con lo Stato da utilizzare nel convenuto piano di rientro sanitario. Rilevando al riguardo una chiara alterazione interpretativa di un importante precetto della regolazione di armonizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci regionali.

Più esattamente, del principio di cui all’art. 20, comma 1, del d.lgs. 118/2011 – peraltro in contrasto con la delega di cui alla legge nr. 42/2009 – che sancisce e pretende che nel bilancio delle Regioni/Province autonome ci debba essere «un’esatta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del proprio servizio sanitario regionale».

Da considerarsi in senso stretto.
A ben vedere, una prescrizione rigida, perché indispensabile per «consentire la confrontabilità immediata fra le entrate e le spese sanitarie iscritte nel bilancio regionale e le risorse indicate negli atti» di programmazione finanziaria sanitaria.
Per pervenire a tale interessante e dettagliata narrativa, la Consulta ha tratto i suoi anzidetti convincimenti, di non potere assolutamente distogliere, foss’anche un euro, risorsa alcuna destinata a finanziare i Lea. Ciò nella considerazione che con i quattrini destinati alla cura delle persone non si possono effettuare pagamenti di altro. Ciò in senso assoluto.
Non è la prima volta che lo dice. Nell’arrivare a una siffatta pregiata conclusione la Corte costituzionale ha fatto tesoro di due suoi precedenti specifici nella materia.
Quanto alla copertura erogativa assoluta dei Lea, la Consulta ha preso atto di quanto sancito nella sentenza nr. 132/2021 (red. Modugno) nella quale è stata ribadito che la loro tutela erogativa non è esposta ad alcuna deroga, tanto da sottolineare che un tale invalicabile limite risiede nella distinzione legislativa tra le prestazioni sanitarie per i Lea e le altre prestazioni sanitarie.

Un distinguo severo, questo, che è ricavabile dal divieto di destinare «risorse correnti, specificamente allocate in bilancio per il finanziamento dei Lea, a spese, pur sempre di natura sanitaria, ma diverse da quelle quantificate per la copertura di questi ultimi». Da qui, la previsione specifica insediata nell’art. 20 del d.lgs. 118/2011 che «stabilisce condizioni indefettibili nella individuazione e allocazione delle risorse inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni». Una asserzione, questa, cristallizzata nella sentenza n. 197/2019 (red. Orione).

Ciò con l’unica eccezione, contenuta nel successivo art. 30, comma 1, terzo periodo, a favore di quelle Regioni/province autonome virtuose, capaci di erogare i Lea ai livelli più dignitosi realizzando risparmi gestori. In quanto tali liberi di essere destinati a finalità diverse, sempre sociosanitarie.

Oltre la lettera, c’è ben altro
A ben leggere la sentenza viene a maturarsi una interpretazione innovativa che è nelle corde del Giudice delle leggi, che certamente influenzerà il giudicato del Giudice contabile, sia in sede di parificazione dei rendiconti regionali che in sede di controllo.
Considerato, infatti, che nessuna Regione/provincia autonoma, prescindendo se in piano di rientro o meno, sia nella condizioni ipotizzate nel suddetto art. 30 del d.lgs. 118/2011 di assicurare i Lea nella loro dimensione qualitativa ideale e generare, nel contempo, risparmi di gestione da destinare ad altra attività sanitaria extra Lea, il divieto va ben oltre il pagamento del mutuo di cui alla sentenza in esame.

Ma qualora foss’anche rinvenibile, per una sorta di illusione ottica, ogni risparmio dovrà essere ove mai “investito” in prestazioni socio sanitarie che vadano oltre i Lea ma giammai in sopportazione di oneri finanziari. Sarebbe come pagare le rate di un leasing con le spese di cura di una epatite ovvero con una diagnostica per immagini salvavita negata.

Istruzioni per tutti, anche per revisori e giudici dei conti
Ma il discorso va ben oltre. La chiara lettura che fa la Corte costituzionale della disciplina retributiva dei Lea, da essere garantiti su tutto il territorio nazionale uniformemente, impone una profonda esegesi delle regole. Con il principio fissato dal Giudice delle leggi, di divieto assoluto e di suprema indisponibilità dei finanziamenti per coprire ciò che non sia Lea, si arguisce una ulteriore regola di divieto.
Il problema (grave e frequente) si pone anche in relazione a pagamento dei debiti pregressi consolidati, ovverosia non soddisfatti con quelle quote del Fsn destinate, per competenza (si badi bene!), all’erogazione dei Lea, dei quali gli anzidetti debiti erano a essi strumentali. Ciò avuto riguardo, in senso però favorevole e dunque derogatorio, – a detta del Giudice delle leggi – per quei debiti comunque irrisolti rientranti nel perimetro sanitario, sempreché gli stessi sia provati in tal senso da una corretta contabilità analitica, in verità molto infrequente. Una distinzione, questa, che sembra emergere dalla sentenza n. 233/2022, difficile da condividere sul piano della regolazione contabile.

Infatti, non si riesce a capire il perché di questa differenza di trattamento, nel senso di vietare – da una parte – il pagamento di un mutuo attraverso il quale si sono saldati debiti accumulati e –dall’altra – consentire la corresponsione della debitoria pregressa, purché insediata nel perimetro. Delle due, una: o si vieta di distogliere, comunque e in ogni modo, i quattrini destinati i Lea oppure non lo si consente solo in favore di un mutuo bancario. L’egualitarismo reale non sarebbe affatto d’accordo.
Ma si sa nel nostro Paese, capita anche questo. Per non parlare della ricaduta che avrà il dictum costituzionale in quelle Regioni ove si è più abusato nel non rendere esigibili i Lea e nell’accumulare allegramente debito (figuriamoci in quelle commissariate). Un problema, finora troppo trascurato spesso anche da parte di alcune Sezioni regionali di controllo. (ej)

Sentenza Corte, Sainato (FI): Modificare impostazioni commissariamento sanità

Il consigliere regionale Raffaele Sainato, in merito alla sentenza della Corte Costituzionale, ha fatto suo e rilanciato l’appello della Corte, «affinché, in tempi brevissimi, venga posto in essere un intervento che comporti una incisiva sostituzione della struttura inefficiente con personale altamente qualificato».

«”lo Stato non può limitarsi a un mero avvicendamento del vertice, senza considerare l’inefficienza dell’intera struttura sulla quale tale vertice è chiamato a operare in nome dello Stato”. Queste parole, nette – si legge in una nota – contenute nella sentenza 168/2021, con la quale la Corte Costituzionale ha parzialmente bocciato l’ultimo intervento legislativo, voluto dal governo giallo-rosso, sul commissariamento della sanità in Calabria, confermano, qualora ce ne fosse stato bisogno, le ragioni di quanti, da tempo, contestano l’impostazione scelta, da oltre un decennio, per risolvere le criticità del sistema sanitario regionale. Le censure mosse dalla Consulta sono chiare e dovrebbero portare a superare, rapidamente e in profondità, l’attuale impostazione commissariale, che come abbiamo più volte denunciato, non sta risolvendo alcun problema, ma tanti ne sta aggravando».

«È gravissimo – ha detto Sainato – e dovrebbe far riflettere, conducendo a soluzioni immediate quello che esprimono i giudici costituzionali, laddove affermano, in modo perentorio, che il commissariamento della sanità in Calabria sta generando “un effetto moltiplicatore di diseguaglianze e privazioni in una Regione che già sconta condizioni di sanità diseguale”». (rrc)

La Corte Costituzionale boccia la legge regionale su integrazione degli ospedali di Catanzaro

L’Ospedale Pugliese-Ciaccio e l’Aou Mater Domini di Catanzaro non potranno essere integrati. È quanto deciso dalla Corte Costituzionale che ha bocciato la legge regionale che prevedeva l’integrazione dei due ospedali catanzaresi.

Per i giudici costituzionali, infatti, «la riportata formulazione attesta, in modo inequivoco, che si è in presenza di una fusione realizzata tramite la costituzione di una nuova Aou e non già attraverso l’incorporazione della azienda ospedaliera nella preesistente Aou catanzarese. Difatti, il previsto subentro nelle funzioni e nei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo ad entrambe le preesistenti aziende ospedaliere non risulta compatibile con un processo di “integrazione” attraverso la fusione per incorporazione, che riguarderebbe solo l’azienda incorporata».

Per la Corte Costituzionale, inoltre, «la disposizione regionale ignorerebbe sia gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi che, in forza del decreto del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera), debbono presiedere all’organizzazione e alla riorganizzazione della rete assistenziale ospedaliera; sia l’assegnazione del ruolo di spoke attribuito, con decreto del commissario ad acta 5 luglio 2016, n. 64 di riorganizzazione delle reti assistenziali, alla struttura ospedaliera di Lamezia Terme – Dea (Dipartimento di emergenza-urgenza e accettazione di primo livello), ossia di centro ospedaliero periferico di riferimento dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro».

La Corte, poi, censura la legge 1/2020 della Regione Calabria nella parte in cui inserisce, tra i sottoscrittori del protocollo d’intesa successivo all’integrazione, anche il presidente della Giunta regionale, oltre al Rettore dell’Università di Catanzaro e al commissario della sanità calabrese: questa previsione, per la Consulta, «costituisce una oggettiva interferenza da parte del legislatore regionale con le funzioni e i compiti demandati al commissario ad acta, in violazione dell’articolo 120, secondo comma, Costituzione».

Soddisfazione è stata espressa dai deputati del Movimento 5 StelleGiuseppe d’IppolitoPaolo Parentela: «la Corte costituzionale ha stabilito che è illegittima la legge regionale sull’integrazione tra l’ospedale e il policlinico universitario, come noi avevamo sostenuto ben prima che fosse approvata, restando inascoltati dalla maggioranza e dall’opposizione della precedente legislatura regionale, nonché dall’allora presidente della giunta, Mario Oliverio».

«Oggi – hanno aggiunto – leggiamo che di quella legge la Corte costituzionale ha censurato aspetti che avevamo già contestato con forza sul piano tecnico e politico. Il governo ricorse all’impugnazione su nostra iniziativa. Oggi i fatti ci danno ragione, ma non possiamo affatto gioire per questo».

«Infatti si è perso troppo tempo – hanno osservato i parlamentari del Movimento 5 Stelle – e resta sempre in piedi il problema del corrispettivo oltre il tetto di legge che la Regione dà al policlinico universitario, che dunque va riportato a norma nell’interesse dei calabresi. Inoltre, adesso la struttura commissariale deve risolvere in via definitiva la questione del protocollo d’intesa tra la Regione e l’Università di Catanzaro per l’assistenza fornita dal policlinico dell’ateneo».

«Questa specie di contratto – hanno concluso D’Ippolito e Parentela – deve prevedere che le risorse regionali siano rapportate alle prestazioni effettivamente rese. Il principio è che non si può regalare niente a nessuno e che per tutelare la salute si deve assicurare un’attività costante, con il Pronto soccorso e l’emergenza-urgenza. Ci auguriamo, quindi, che da adesso ci sia nel policlinico universitario discontinuità rispetto al passato e che la struttura sia pienamente operativa nell’interesse dei malati calabresi». (rcz)