IL RITORNO DEL “BON TON” ISTITUZIONALE
OCCHIUTO-FALCOMATÀ: ORA LE DELEGHE

di MIMMO NUNNARIForse il degrado della politica e il chiassoso cicalio del dibattito odierno, a livello nazionale e locale, ci hanno disabituati alle buone maniere e al confronto civile, certo è che le parole garbate, cordiali, del presidente della Giunta Regionale Roberto Occhiuto dopo la decisione con cui la Cassazione ha annullato la condanna al sindaco di Reggio Giuseppe Falcomatà nell’ambito del processo ‘Miramare’, hanno fatto tirare un sospiro di sollievo a chi detesta il linguaggio volgare e approssimativo della politica  di oggi.

Ha detto Occhiuto: «Nonostante le distanze politiche che esistono tra di noi, sono umanamente felice per Falcomatà, che con questa sentenza archivia un calvario giudiziario durato a lungo e che ha inciso nella storia della città di Reggio Calabria».

A stretto giro è arrivata la risposta dello stesso tono di Falcomatà: «Percepisco un elemento politico nelle sue parole, la volontà di stabilire un dialogo istituzionale tra la Regione Calabria e la città metropolitana di Reggio Calabria, e questo per me è un qualcosa dal quale non si può prescindere. Io ho apprezzato le parole ufficiali del presidente, che mi ha anche telefonato. Nei prossimi giorni gli chiederò un incontro, non soltanto per risalutarlo da sindaco reinsediato, ma anche per affrontare alcune questioni che per la città metropolitana sono di preminente importanza».

Le parole di Occhiuto e quelle di Falcomatà, fanno bene alla buona politica e consentono di fare una riflessione sul valore originario dei princìpi su cui si basa oggi il nostro lessico politico, negli ultimi tempi scaduto verso la chiacchiera banale, perfino volgare e molesta.

Gli esempi non mancano e come sappiamo quelle parole pronunciate nel confronto politico e nel dibattito si esauriscono quasi sempre in quel complesso gioco finalizzato al raggiungimento di uno sperato misero punto in più di consenso, lasciando fuori sostanza e  concretezza degli argomenti trattati.

Espressioni di  facile effetto, che attirano like e condivisioni sui social; parole, che i politici hanno imparato a maneggiare e piegare alle loro esigenze propagandistiche, sono preferite all’argomentare e alle discussioni sui contenuti e sulle idee orientate al bene comune; ad un linguaggio rispettoso e non ostile.

Se la Calabria, che non è estranea al “linguaggio viziato” della politica, con l’aggravante di un tasso elevato di conflittualità tra territori, alimentato da amministratori locali con una visione a volte provinciale del futuro, cambiasse, adottando toni e stili pragmatici, nei confronti e nei dibattiti, ne guadagnerebbe l’intera regione, che ha bisogno di convergenze e solidarietà, per affrontare le dure battaglie che l’attendono.

Di Calabria, percepiamo che si discute di più negli ultimi tempi, e in positivo. Molte cose si muovono, in una pluralità di campi: dall’impresa alla scuola e all’università, dalla sanità alla cultura, ma quel che continua a difettare è ciò che si può definire “l’incrocio virtuoso”  tra poche appropriate, ben finalizzate, ottimamente condotte in tempi certi, operazioni progettuali e sistematiche del Governo centrale, da connettere con i piani di sviluppo regionale.

Si vince, sappiamo, con una narrazione diversa della Calabria, ma si vince se nel racconto incide un linguaggio rinnovato della politica che, fuori da dualismi, conflitti, talvolta rancore, sappia mettere insieme impegno, risorse, azioni efficaci, coesione sociale, nell’interesse dell’intera regione e non di una o di un’altra parte. Occorre una virata, che può arrivare anche col cambiamento del linguaggio. Ecco perché, le parole di Occhiuto e quelle di Falcomatà, sono da salutare come l’inizio di un possibile cambiamento di confronto nella politica calabrese.

La Calabria ha bisogno di unità, di riconciliarsi col resto del Paese e prima di tutto al suo interno. E le parole, quelle “giuste”, possono essere determinanti. Il potere del linguaggio è immenso, può tanto compiere gesti positivi quanto discriminare, rafforzare stereotipi e rapporti di potere.

Se impariamo a usarlo bene e a stare uniti possiamo vincere.

«Dove c’è unità, c’è sempre la vittoria», diceva un antico filosofo.  (mnu)