Covid, riaperture parziali fino all’11 gennaio: cosa si può fare e non

Da oggi, entra in vigore il nuovo Dpcm varato dal Governo che, fino al 15 gennaio, regola gli spostamenti.

Giovedì 7 e venerdì 8, l’Italia sarà zona gialla, consentendo non solo gli spostamenti all’interno della propria regione, ma anche l’apertura di bar e ristoranti fino alle 18 e asporto fino alle 22, ora in cui scatta il coprifuoco. I negozi sono aperti fino alle 20, stessa cosa per i centri commerciali. Aperti anche parrucchieri e centri estetici.

Nel weekend, invece, varranno le regole della zona arancione: non si può uscire dal proprio Comune, eccezion fatta per i Comuni di meno di 5 mila abitanti, con autocertificazione. Da bar e ristoranti si può ordinare da asporto fino alle 22, ora in cui parte il coprifuoco.

Dall’11 al 15 gennaio, le varie regioni saranno divise in colori in base ai risultati del monitoraggio dell’8 gennaio: Se l’Rt è sotto l’1, si è in fascia gialla; se pari a 1 in fascia arancione e se a 1,25 si entra in fascia rossa.

Ogni governatore potrà firmare ordinanze più restrittive rispetto a quelle del governo su scuole, aperture dei negozi e centri commerciali, altre attività o spostamenti. I sindaci, inoltre, potranno chiudere piazze e strade per evitare gli assembramenti. Vietati gli spostamenti fra regioni.

Inoltre, in questo lasso di tempo, è consentito spostarsi una sola volta al giorno, per un massimo di due persone, verso una sola abitazione del proprio Comune.

Alla persona – o alle due persone – che si spostano, potranno accompagnarsi i figli minori di 14 anni (o altri minori di 14 anni sui quali le stesse persone esercitino la potestà genitoriale) e le persone disabili o non autosufficienti che con queste persone convivono. In fascia arancione lo spostamento per la visita a parenti e amici è consentita all’interno della regione.

Per quanto riguarda le Scuole, con la nuova ordinanza firmata dal presidente f.f. Nino Spirlì, gli studenti delle Superiori rientreranno in classe il 31 gennaio, mentre sono sospese tutte le attività didattiche in presenza e le attività scolastiche di ogni ordine e grado – servizi educativi dell’infanzia esclusi – dal 7 al 15 gennaio 2021 e, solo per le scuole secondarie di secondo grado e per quelle di formazione professionale, didattica a distanza estesa fino al prossimo 31 gennaio. (rrm)

Il nuovo Dpcm: Natale e Capodanno a casa, gli altri giorni coprifuoco dalle 22 alle 5

Firmato ieri sera il nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che entrerà in vigore in vigore dalla mezzanotte di oggi (4 dicembre) e resterà valido fino al 6 gennaio.

COPRIFUOCO
Dalle ore 22 alle ore 5 non saranno consentiti gli spostamenti nemmeno all’interno dello stesso comune se non per motivi di salute, lavoro, comprovate necessità. Il coprifuoco sarà mantenuto anche nei giorni della Vigilia, di Natale e di Capodanno, dalle 22 alle 7.

SCUOLA
I licei rimangono chiusi fino al 7 gennaio. Nelle zone arancioni le scuole continueranno a rimanere aperte fino alla terza media compresa, nelle zone rosse fino alla prima media.

REGIONI
L’11 dicembre sono attese novità sul passaggio delle regioni da una zona di rischio a un’altra con regime più o meno restrittivo.

RISTORANTI, BAR, PASTICCERIE, ETC
Nelle zone gialle potranno rimanere aperti con servizio al tavolo fino alle 18, dopo quest’ora sono consentiti l’asporto e le consegne a domicilio. La Lombardia è ancora in zona arancione e quindi sono consentiti solo asporto e consegne a domicilio.

NEGOZI
I negozi possono rimanere aperti tutti i giorni fino alle 21. Centri commerciali e grandi magazzini resteranno aperti anche nei fine settimana.

CINEMA E TEATRI
Resteranno chiusi per tutte le festività.

MESSE
Le funzioni religiose saranno celebrate il 24 e il 25 dicembre durante tutta la giornata: devono concludersi in orario da permettere il rientro entro le ore 22.

PRANZO E CENA DI NATALE, CENONE DI FINE ANNO
Nessun divieto, solo raccomandazioni. Festeggiare solo con i conviventi. Nei giorni di Natale, Santo Stefano e di Capodanno sono vietati gli spostamenti tra diversi comuni anche della stessa regione, salvo movimenti per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute. Tra i casi di necessità rientra l’assistenza a persone non autosufficienti. Nella serata di San Silvestro negli alberghi, vietati cene e veglioni, per i clienti solo servizio in camera.

FESTE
È vietato organizzare feste nei locali pubblici e nei luoghi privati. I sindaci, con apposita ordinanza, potranno chiudere strade e piazze.

SPOSTAMENTI
Dal 21 dicembre al 6 gennaio sono vietati spostamenti tra Regioni, anche se di fascia gialla. È consentito il rientro alla residenza o al domicilio e il ricongiungimento delle coppie.

SECONDE CASE
È consentito andare nelle seconde case solo se nella stessa regione e in zona gialla.

IMPIANTI SCIISTICI
Gli impianti e le piste da sci resteranno chiusi dal 4 dicembre al 6 gennaio per evitare file e assembramenti in coda e nelle funivie.

VIAGGI ALL’ESTERO
Dal 20 dicembre chiunque andrà all’estero al rientro dovrà stare in quarantena per 10 giorni. Sono sospese le crociere.

Scarica da qui il modulo di autocertificazione

DPCM E COVID: LA CALABRIA ZONA ROSSA
IL DRAMMA VERO DI INVISIBILI ED ESCLUSI

di SANTO STRATI – Un bollettino ufficiale della Regione corretto di corsa tarda sera, dove – ops! – si scopre che i ricoverati in terapia intensiva sono solo dieci e non 26. Ma come si può tollerare che avvengano errori di questo genere che sconvolgono la valutazione che sta alla base delle decisioni sul lockdown regionale? Di fatto, la Calabria è stata dichiarata ieri sera in diretta dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte “zona rossa”: un provvedimento più a titolo cautelativo che dettato dalla situazione dei contagi che sono ancora abbastanza limitati rispetto ad altre parti d’Italia. E in più ogni giorno di più registriamo norme arruffate e confuse, dpcm che si susseguono senza che nessuno cerchi di omogeneizzare le disposizioni con chiarezza per non far cadere nello sconforto gran parte della popolazione. C’è comunque una categoria che nello sconforto vive ormai dal 10 marzo scorso, dall’inizio del primo lockdown: quella dei cosiddetti invisibili e degli esclusi, ovvero tutti coloro che non rientrano tra i provvedimenti di ristoro delle perdite e di aiuto finanziario perché il loro codice Ateco (la classificazione burocratica delle categorie produttive) non figura nei provvedimenti del Governo. E non parliamo di invisibili riferendoci a quanti fanno lavoro in nero (e sono ugualmente tanti e lasciati, anche loro, alla più totale disperazione per cercare vie di sopravvivenza), ma di imprenditori e lavoratori autonomi che pagano le tasse, versano i contributi, occupano dipendenti. Semplicemente, come per gli “esclusi”, poiché il loro codice Ateco non è tra quelli previsti non hanno beccato un centesimo di aiuto e non lo riceveranno neanche adesso, alla vigilia dell’inevitabile (sperando parziale) lockdown. In altre parole, la burocrazia vince ancora una volta sul buon senso e i provvedimenti via via varati rivelano che a compilare i vari dpcm (mica li scrive il premier Conte) siano algidi funzionari che vivono in un’altra realtà, non conoscono le dinamiche dell’economia reale, ignorano totalmente come funziona la filiera produttiva in Italia.

Quando si bloccano, per esempio, i locali per i ricevimenti (abitualmente destinati ai ricevimenti nuziali) non si ferma solo l’attività del gestore del locale che, in ogni caso, ha dipendenti (cuochi, camerieri, lavapiatti, etc) e fornitori da pagare, ma si elimina ogni forma di reddito a chi produce e confeziona bomboniere, a parrucchieri, fotografi, fiorai, tipografi (le partecipazioni), musicisti e via discorrendo. Si chiama filiera, ma i nostri diligenti funzionari di Palazzo Chigi, probabilmente, lo ignorano. E lo stesso discorso vale per il bar, il ristorante, la pasticceria, la pizzeria a taglio: per ognuno di loro c’è un esercito di “invisibili” che non ha alcuna tutela. I menu da stampare, la manutenzione dei registratori di cassa, di frigoriferi e attrezzature, fiorai (per chi fa trovare un apprezzato fiore reciso nel minivaso sul tavolo), le agenzie di pubblicità che producono biglietti e volantini, agenti di commercio, etc.

Insomma, nel momento in cui il Governo decide – come ha fatto nella prima fase della pandemia – di chiudere e fermare le attività lavorative, deve necessariamente provvedere a ristorare, prima di imporre le chiusure, le perdite a tutti coloro che le subiscono. E quando si dice tutti si deve intendere tutti non solo quelli individuati dal codice Ateco. L’esperienza dei mesi marzo/aprile è stata davvero infelice, anzi diciamo meglio, disastrosa. E, purtroppo, il Governo sembra intenzionato a proseguire su questa strada, dimenticando per strada migliaia e migliaia di imprese e di lavoratori. L’esecutivo continua a rassicurare che gli aiuti «arriveranno a tutte le categorie interessate dalle misure restrittive» ma ha stanziato appena 50 milioni come fondo d’emergenza, pur avendo a disposizione 20 miliardi di extradeficit che non sono stati ancora utilizzati. Ebbene, il dl Ristori ha individuato 53 codici Ateco che devono ricevere gli aiuti, dimenticando chi magari, ha più bisogno degli altri: quella massa, appunto, di invisibili ed esclusi che, per intenderci, valgono qualcosa vicina a qualche decina di miliardi di fatturato aggiuntivo. Quindi, oltre al danno della cessazione forzata dell’attività si deve aggiungere la beffa di non poter contare neanche su un centesimo di aiuto. Si sono dimenticati completamente degli ambulanti e dei rappresentanti di commercio che sono rimasti praticamente fermi: niente bancarelle, niente ordini da trattare, ricevere, trasmettere alle aziende fornitrici. Un esercito di gente che lavora sulla propria pelle e che, molto spesso, non ha nemmeno coperture previdenziali e assicurative contro le malattie. Come si può tollerare tutto ciò?

Hanno promesso dal Governo che i soldi questa volta arriveranno “subito” (a partire dal 15 novembre), ma i più smaliziati sono già rassegnati ad aspettarsi il solito balletto di rito, col rimpallo delle responsabilità, senza che nessuno provveda a interrompere lo scempio. Servono soldi veri, non promesse né crediti di imposta (su quali tasse se l’attività non opera?), occorre una seria politica di intervento a favore di tutte le categorie coinvolte nelle chiusure obbligate: lo chiamino lockdown o come diavolo meglio credano, ma i nostro governanti non possono immaginare di ripetere l’insulso copione dei mesi primaverili. La lezione non è servita, non hanno imparato nulla e, anzi, la situazione rischia di diventare esplosiva non soltanto dal punto di vista sanitario, ma soprattutto sul piano sociale. C’è una sorta, perversa, di “induzione alla povertà” nei provvedimenti fin qui varati: si premia chi chiude e manda a casa i dipendenti (prende di più) rispetto a chi, ad ogni costo, tiene duro e cerca di superare la burrasca (prende di meno): è una politica di suicidio assistito delle aziende che non porterà a niente di buono, perché, nel momento in cui, cessano le attività finiscono anche le entrate dello Stato, questo è evidente. Eppure si continua a ipotizzare una distribuzione di “elemosine” a imprenditori coraggiosi che hanno investito nella propria attività, hanno creato ricchezza sul territorio, hanno offerto occupazione e benessere, e pagano tasse e contributi. A questi operatori viene negato ogni aiuto, a partire dal famoso decreto liquidità che le banche hanno utilizzato a proprio piacimento, negando il credito ad aziende che avevano bisogno di superare la crisi o dilatando oltre ogni ragionevole sopportazione i tempi di valutazione ed erogazione. Già perché, nonostante la crisi, in banca si continua a parlare di “valutazione” del rischio, nonostante i prestiti (ricordiamoci che sono prestiti, non sono soldi che non andranno restituiti) siano interamente garantiti dallo Stato. Significherà pure qualcosa che a fronte del tetto massimo di 30 mila euro “subito” l’erogazione media non non ha mai superato i due terzi, ovvero sempre al di sotto dei 20mila, perché i burocratici conteggi in percentuale previsti per accedere al credito non hanno tenuto conto che il 2019 non è stato un anno brillante.

E, invece, l’aiuto previsto a fondo perduto (soldi da non restituire) non basta a mantenere in piedi un’attività che già è stata duramente messa alla prova dai 70 giorni di lockdown primaverile. E, come se non bastasse, ricordiamoci quanto hanno speso i vari ristoratori, esercenti di bar e pasticceria, i negozianti, per dotarsi dei dispositivi di distanziamento imposti dai vari dpcm; per la fortuna delle aziende che lavorano il plexiglas e producono il gel antibatterico o altri dispositivi: divisori trasparenti, separé per dividere i tavoli, adeguamenti igienici e dispensatori di gel. C’è chi ha fatto miracoli di architettura, tagliando posti a sedere, pur di garantire il servizio ai clienti e cercare di tenere in piedi l’attività e, soprattutto, non mandare a casa alcuno dei dipendenti. A questi imprenditori, con una faccia tosta da politico navigato, il presidente Conte, a nome dell’esecutivo che guida ha detto semplicemente «abbiamo scherzato», neanche fosse una partita a poker. Qui si sta giocando, però, col futuro di centinaia di migliaia di persone, da cui dipendono molte altre centinaia vite e famiglie, che improvvisamente si ritrovano senza lavoro e senza reddito. Non basta indignarsi, le Regioni devono battere i pugni sul tavolo, ma la terza Camera dello Stato (la conferenza Stato-regioni è chiaramente schierata contro il Mezzogiorno e la Calabria sconta più di tutti un divario ormai sempre più incolmabile nei servizi, nella sanità, nell’occupazione, nello sviluppo).

Allora c’è solo da immaginare un colpo d’ala, un cambiamento repentino di rotta, dove le valutazioni su chi bisogna aiutare non siano affidati a una ricerca sul database delle attività codificate dall’Ateco, bensì siano frutto della ragionevolezza e del contributo di idee di chi vive ogni giorno le difficoltà del mondo produttivo: Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato possono fornire le cifre reali del disagio di quanti si ritrovano, dalla sera alla mattina, privati della loro dignità di lavoratori e di un reddito sudato giorno dopo giorno. Siamo in guerra con un nemico insidioso e che non solo distrugge vite umane, ma sta minando l’intero impianto della società civile e dei suoi attori principali, i lavoratori, siano essi dipendenti o imprenditori, la barca è in comune per tutti: senza aiuti reali, immediati e concreti, non si va da nessuna parte. E pensare che i soldi ci sono, il Governo è autorizzato sforare il deficit per salvare il Paese. Probabilmente sarebbe utile un “gabinetto di guerra” con la partecipazione di tutti: maggioranza e opposizione per prendere coraggiosi provvedimenti per fermare la nuova povertà che avanza a ritmi spaventosi e salvare il Paese da un disastro che appare comunque evitabile. Ma a Palazzo Chigi e dintorni, nei Palazzi del potere, non si decide, si impone, come se i cittadini fossero improvvisamente diventati. sudditi cui infliggere persino lo stato di “schiavitù” intellettuale: è questo il problema, oggi, del Paese. Non abbiamo governanti, ma dilettanti allo sbaraglio che si muovono per improvvisazione e qualunque cosa facciano producono danni, perché non cercano e soprattutto non ascoltano le competenze e le capacità che sicuramente non mancano in un Paese che sta smarrendo se stesso, irrimediabilmente. (s)

Nella foto di copertina: lo speciale dedicato da Mattino 5 ieri mattina alla situazione della sanità in Calabria. A destra il prof. Raffaele Bruno infettivologo calabrese del San Matteo di Pavia, il prof. Matteo Bassetti del San Martino di Genova e dott. Antonio Talesa responsabile del 118 calabrese durante il collegamento su Canale 5

Il settore dello Spettacolo scende in piazza a Cosenza: il comparto è in sofferenza

È a Piazza XI Settembre, a Cosenza, che i lavoratori della cultura e dello spettacolo si sono dati appuntamento per protestare contro il nuovo Dpcm, esattamente come tanti altri operatori in tutta Italia. Tra i presenti Brunori Sas, che, com’è noto, è originario di Cosenza, il quale ha espresso con convinta partecipazione il “grido di dolore” di tutto il settore, gravemente penalizzato dlla chiusra di teatri e luoghi di spettacolo.

Slc Cgil Calabria, Fistel Cisl e Uilcom Uil hanno ribadito che «tutto il settore dello spettacolo è stato colpito dai provvedimenti per arginare l’epidemia da Covid-19 che devono trovare il giusto equilibrio tra la sicurezza per lavoratori e pubblico e una spinta più decisa ed innovativa verso il rilancio delle attività. Purtroppo dopo il blocco iniziale, la ripartenza non ha prospettive di rientro a breve verso la normalità, stante i limiti sulla presenza del pubblico e la paura generata dalla situazione negativa».

«Tutto il comparto, quindi – si legge in una nota delle segreterie – è in grandissima sofferenza e troppi lavoratori non hanno ancora ricevuto gli ammortizzatori o le indennità e sono ancor oggi senza tutele garantite, nonostante le promesse. I dati sulla crescita del contagio, il fatto che per lunghi mesi, non si potrà tornare alla normalità, richiedono di individuare con certezza sostegni per i lavoratori e per le imprese per un periodo lungo a partire da un piano di rilancio utilizzando anche le risorse del Recovery Fund». (rcs)

 

 

Siclari (FI): Il Governo si assuma la responsabilità di eseguire i provvedimenti emanati

Il senatore di Forza ItaliaMarco Siclari, a seguito dell’emanazione del nuovo Dpcm, ha sottolineato come «il compito di dare attuazione alle nuove disposizioni non possa che essere demandato al Governo stesso».

Per il senatore forzista, infatti, «se le misure disposte sono necessarie ed adeguate per prevenire la diffusione della pandemia, allora è necessario che Conte, in primis, e tutto il Governo si assumano la responsabilità di portare ad esecuzione i provvedimenti emanati con l’utilizzo di adeguati mezzi sia in termini di risorse economiche che di risorse umane».

«Vista la capillarità degli interventi – ha aggiunto – con possibile chiusura anche di piazze e vie, sarà necessario l’esercito o comunque il dispiegamento massiccio di un contingente numerosissimo di forze dell’ordine, interforze. Si faccia se il Governo è convinto delle proprie decisioni. Ma non si cerchi di scaricare tutto sui Sindaci che, dopo anni di taglio sui trasferimenti statali, non hanno risorse adeguate per affrontare e risolvere, secondo i dettami del Dpcm, le situazioni di criticità».

«Come ha rilevato L’Anci – ha proseguito Siclari – è impensabile che i migliaia di comuni italiani e soprattutto quelli piccoli e piccolissimi, quelli montani o disagiati, possano attuare misure così particolari e dettagliate che necessiteranno di un monitoraggio continuo del territorio e di un controllo continuo e capillare di 60 milioni di italiani». (rp)