Reggio deve svegliarsi: lo slogan era sbagliato le motivazioni giuste

Uno slogan sbagliato per una causa giusta. Hanno partecipano oltre 500 reggini alla manifestazione “spontanea” di sabato per chiedere le dimissioni dell’amministrazione comunale, che gli organizzatori avevano pubblicizzato con un logo discutibile: “Reggio è morta”. Reggio non è morta perché se così fosse bisognerebbe resuscitarla, invece va rimessa in sesto, rianimata, riportata ai valori normali di “esistenza in vita”. E di questo si discuteva durante la tradizionale processione che ha accompagnato la Madonna della Consolazione alla sua sede naturale, il Convento dell’Eremo, dopo i mesi trascorsi nella Cattedrale. Il ritorno della Madonna alla Chiesa dell’Eremo doveva avvenire la settimana scorsa, ma l’inclemenza del tempo aveva suggerito il rinviio.

Sulla manifestazione di sabato è intervenuto il presidente della Fondazione Mediterranea Enzo Vitale: «Non si è partecipato alla manifestazione di piazza del 4 dicembre non perché non se ne condividesse lo spirito ma per un motivo che, apparentemente banale, per una persona di cultura non lo è. Si è sempre tentato di dare un peso alle parole e rispettarle per quello che sono o meglio che dovrebbero essere: dei segni, simboli di un’idea o di un progetto o di un modo di pensare.
Lo slogan “Reggio è morta” è senza significato: se vi è un qualcosa di definitivo e non modificabile è la morte, quindi, se Reggio è morta non ha senso lottare per un qualcosa che non c’è più. Questa proposizione sarà pure un’ovvietà che non tiene conto della presa sul pubblico di uno slogan forte, ma qualcosa di forte dev’essere per forza illogico? Si sarebbe potuto dire che Reggio è moribonda, quindi dare una speranza di rinascita una volta che la città sia uscita dal tunnel del degrado.
Comunque sia, la manifestazione è riuscita e non se ne può che essere sinceramente contenti. Ne escono mortificati i nostri amministratori, sia di maggioranza che di opposizione, e soprattutto i loro epigoni, in specie quelli su facebook: uno dei quali ha dedicato molta passione alla titanica impresa di contare i partecipanti uno per uno fino ad arrivare al numero di 74. Non so come li abbia contati perché già a un’occhiata superficiale delle foto sembravano molti di più e, alla fine, il loro numero era sul mezzo migliaio: ottimo risultato per gli organizzatori, tenendo conto del tempo instabile e del demotivante rinvio. Ma non è questo il punto. Il fatto significante è che la manifestazione ci sia stata e sia stata partecipata. Un forte segnale.
Nota conclusiva. In occasione del conferimento del Premio Russell al direttore della Gazzetta Alessandro Notarstefano, la discussione è caduta anche sulle parole e sul loro uso, prospettando due tipi di utilizzo: quello giornalistico, in cui la parola dev’essere descrittiva ovvero chiara e inequivoca; quello letterario, in cui la stessa parola può anche assumere significati diversi a seconda del contesto narrativo e della storia personale del lettore. Senza scendere nei dettagli, vi è anche la parola della politica, che a volte non significa nulla e che viene spesso usata solo come slogan o bon mot (“Reggio è morta” docet). (rrc)

L’OPINIONE / Enzo Vitale: I vecchi attracchi del Porto di Reggio non vanno demoliti

di ENZO VITALE – Quello del porto di Reggio, comunque destinato alla subalternità rispetto allo storico e naturale dirimpettaio, il falcato zancleo, è un caso forse unico nella storia della moderna portualità: sottoutilizzato fino all’inedia in uno stretto di mare che dovrebbe fornirgli un’inesauribile rendita di posizione.

Questo trend, fatto di miopi politiche di sviluppo e di grossolani errori gestionali, con l’avvento dell’Autorità di sistema portuale dello Stretto sembra essersi interrotto. Osteggiata inizialmente dalla politica, che la vedeva come una perdita di potere, con unica voce a favore quella della Fondazione Mediterranea, la nuova Autorità sta facendo quello che si sarebbe dovuto da tempo fare: sviluppo delle potenzialità di approdo per le navi da crociera di medie dimensioni; creazione di una molto remunerativa base di appoggio per le barche da diporto di grandi dimensioni; realizzazione ex novo a nord, nella zona extraportuale antistante l’attuale circolo nautico, di un porto turistico per il diporto di piccolo e medio cabotaggio.

Spostamento extraportuale, a nord della Capitameria, degli approdi della Caronte; eventuale collegamento della stazione ferroviaria di Santa Caterina con il terminal degli aliscafi; rimozione dei silos della Cementir; riqualificazione dell’ex Onda Marina; apertura del porto alle compagnie marittime e ai loro business. Resta una perplessità, anzi due: l’inibizione dell’avvicinamento alla banchina dei non addetti ai lavori, che di fatto ne impedisce l’uso ai reggini per le attività ludiche e di fitness; la prevista demolizione dei vecchi attracchi dei traghetti.

È questo secondo punto il più dolente, fermo restando che il primo è difficilmente risolvibile per motivi di sicurezza. Gli attracchi, infatti, rappresentano la memoria storica di come si svolgevano nel secolo scorso i trasporti di passeggeri e mezzi e carri ferroviari sullo Stretto, un esempio di modernariato e tra non poco di archeologia industriale che sarebbe peccato perdere.

La soluzione ci sarebbe, prospettata all’Autorità e ai vertici amministrativi cittadini dalla Fondazione Mediterranea: spostamento della struttura nell’edificando Museo del Mare, che avrà peraltro il problema di riempire vasti spazi interni, come perno di una sezione e dedicata alla storia dei trasporti frontalieri nell’area dello Stretto.