L’OPINIONE / Franco Cimino: Francesca Prestia e Carlo Muratori, “U santa Natala” e la chiesa di San Giovanni

Lasciatemela dire tutta, che io non so trattenermi nel dire di ciò che vedo. E ciò che penso e sento. Specialmente del bello, fatti e azioni, persone e luoghi. L’altro ieri parecchia di questa bellezza l’ho vista. In chiesa, quella stupenda chiesa che, anch’essa, trova insieme antichità e architettura, arte e cultura, spirito religioso e sentimento.

È la Chiesa di San Giovanni, il monumento maestoso che apre e guida il cammino del nostro bellissimo Corso, il flessuoso lungostrada che quasi tutti vorremmo restasse chiuso al traffico, fino al suo punto terminale della stupenda balconata della Bellavista sul mare. Catanzaro è bellissima, no? Sì che lo è, nonostante noi.

Al San Giovanni, serata di chiusura della terza edizione di Cuore Cantastorie, rassegna di “Cunti e Canti” delle diverse tradizioni popolari, la nostra in particolare, ideata e diretta da Francesca Prestia, donna che ha studiato e studia tanto e la cui fantasia applicata alla capacità organizzativa la stanno portando a fare buona compagnia ad altre due donne, le nostre magnifiche Chiara Giordano e Tonia Santacroce.

Donne di grandi capacità su questo terreno, quello della promozione dell’arte e della cultura. Alle ventuno e trenta, quasi esatte, nell’incantevole scenario del luogo va in scena “U Santu Natala”, un’opera scritta a più mani. Quelle dalla Prestia e di Carlo Muratori, cantastorie siciliano, studioso attento di quella cultura e ricercatore delle parole e delle melodie più nascoste nel tempo e dall’ignoranza. Io ci sono andato e non solo perché la Chiesa, della mia parrocchia tra l’altro, è proprio sotto casa, attraverso i dieci metri del Corso.

Salgo i sedici gradini della sua scala, ed eccomi dentro una meraviglia, che affascina sempre e ispira di suo. Ci sono andato, come nelle altre due sere del Festival, perché sono un cultore appassiona di musiche e balli e canzoni popolari. E poesie e storie, giunte a noi dalla narrazione orale dei nostri vecchi. Uomini e donne semplici e poverissimi, che hanno posseduto, di strumentale, soltanto la voce e la parola. E quegli strumenti rudimentali realizzati dalle loro mani, dei quali ci ha nuovamente parlato e cantato, ieri sera, anche Andrea Bressi, figlio del grandissimo Silvestro, storico della cultura popolare e della musica popolare, che in tutte le parti del pianeta ci invidierebbero e qui, ancora trascurato, rischia di essere solo il padre di Andrea, nonostante anche i tanti scritti che ha, studiando moltissimo, consegnato al patrimonio letterario calabrese.

Andrea, accompagnato da un altro “ sonatura”, che lo segue, insieme alla voce della moglie, (“ ho fatto un affare a sposarla”) in giro per la Calabria e il mondo, ha iniziato, occupandola con maestria per un bel po’, la serata speciale. Per tornare a me e alle mie passioni: ciò che è popolare e “vecchio”, mi attira. Mi riporta alla mia storia, che è nella vita dei padri e delle madri. A quella della mia Città. Alla mia terra, a cui tutto ritorna perché da lei tutto muove, come teatro di ciò che vive e nasce. E mai muore oltre noi. Sopra di noi. Nella cultura popolare e nelle sue arti, la canzone e il ballo soprattutto, si trova l’anima del popolo, il suo cammino indomito, tra gioia e dolore, fatica e tormento, disperazione e speranza, preghiera e bestemmia, favola e poesia, vino e sudore, acqua e lacrime, pane e miseria, solitudine e compagnia, campi d’arare e osteria, sole cocente e pioggia torrenziale, caldo soffocante e freddo gelido, ubbidienza e ribellione, schiena piegata due volte, scarpe consumate e piedi scalzi, ‘mbasciata e pettegolezzo, fidanzamento acconzatu e matrimonio. E sposalizio “affollato” di parenti intorno alla tavola lunga anticipata dai liquori fatti in casa e di colori accesi (giallo verde, rosso bruno, giallo). Il suo cammino, del popolo, verso il sogno non sognato e le vittorie che vedranno chi non le ha lottate. Religiosità tra fede e superstizione.

Attesa ma non rassegnazione. Riti e tradizione. Feste in piazze e stornellate per la via. E serenate lontanissime dagli inesistenti balconi dell’amata, ché le case del popolo erano sempre basse e più “ bassi dei bassi napoletani”. E il Natale, che era più del Santo Natale. Era preghiera collettiva, l’Avvento di un tempo nuovo. Era messaggio di speranza e speranza diffusa. Era incontro. Nella famiglia. Tra compaesani. Incontro del perdono, donato e ricevuto. Promessa di fratellanza. Il Natale era anche musica. Bellissima. Resistente ad ogni modernità. Zampogne zampognari. Era poesia. La più intensa e immediata, portata dalla più bella lingua, quella dei padri. La lingua dimenticata, ma che ritorna forte se qualcuno ce la fa tornare. Potrei continuare senza fine, ma questo già basta. Per dire che questo Natale e questa cultura, questo popolo antico in movimento, questo uomo solo e questa donna sola e, poi, insieme come famiglia e come comunità che condivide e sostiene la vita del luogo e l’amore per la terra e il mare, il dovere della fatica e del coraggio, l’abbiamo incontrato al San Giovanni, nel concerto spettacolo donato dal duo artistico, tanto particolare quanto grande, Prestia-Muratori. La Calabrese e il Siciliano, nella costruzione, questa sì ben riuscita, del ponte più prezioso tra Calabria e Sicilia, due regioni e due popoli in una e in uno, pur se separati dal mare e da una montagna di storie particolari e di sensibilità diverse. La nostra Francesca, invero, ha già sperimentato questa formula. L’anno scorso. E con un altro grande artista siciliano, quel famoso Angelo Sicilia, studioso e continuatore dell’antica tradizione dei pupi siciliani, lui Puparo stesso.

Con Sicilia hanno scritto e portato in giro per l’Italia due spettacoli contro la mafia. Uno ancora più incisivo e commovente, quello dedicato a Felicia, la coraggiosa mamma di Peppino Impastato. Quest’ultimo lavoro, tutto preparato è messo in scena, ieri sera, con Muratori, è davvero molto bello. In ognuno dei suoi molteplici aspetti. Ne tratto solo alcuni. Il tempo e il ritmo. Ambedue indovinati e ben accostati. Sessanta minuti senza interruzioni inutili e vuoti d’attesa assai fastidiosi. I due artisti davanti all’altare, distanti e vicinissimi tra loro. Seduti per tutto il tempo. Chitarra per Carlo e l’immancabile flauto e uno strumento, che sembra un piccolo organo( mi scuso dell’imprecisione) per Francesca, che ieri ha fatto riposare la sua chitarra battente. Due voci che si sono alternate tra canti e racconti, su musiche e parole bellissime.

I testi, armoniosi nella loro melodie poetiche, sono coerenti con la narrazione religiosa e le scritture antiche. Il suono delle parole, come quello della musica, accompagnano un messaggio che va oltre quello proprio del Natale, costruire la Pace respingendo il male e il suo mezzo preferito, la violenza. Tutta la violenza, in particolare quella contro la donna e i portatori di ogni diversità, in essa compresa la fragilità. Nel loro racconto c’è il Natale di un tempo, che tanti di noi abbiamo felicemente vissuto, dove l’attesa della Notte Santa era la gioia e i doni erano la tavola ricca e le piccole cose che i bambini desideravano. Piccole davvero. Il Natale del Presepio, della Messa dell’Avvento, del Gesù Bambino adorato come figlio di Dio, per i credenti. E come un valore universale per l’Umanità che rinasce dalla sua bellezza dimenticata. Uno spettacolo che scorre lungo la sua stessa poesia, che, come per miracolo, nasce dal silenzio che avvolge lo spettatore( ieri eravamo in tanti), e dalla sintonia tra pubblico e artisti. Un unico respiro. Che si interrompe con il lungo applauso finale, che scuote l’emozione che ha preso tutti.

L’augurio che mi sento di fare è che questo spettacolo, per il suo messaggio universale, vada oltre il periodo natalizio e faccia il giro dell’Italia, partendo dalle scuole e raggiungendo i teatri e le piazze diverse. Sono contento di esserci andato. Ho rivisto anche due artisti di assoluto valore. Francesca Prestia, sta continuando a studiare e a crescere notevolmente. Elabora testi importanti, ne elabora di nuovi e nuova musica crea per quella tendenza alla contaminazione positiva della tradizione popolare con la cultura musicale grecanica e siciliana. Operazione, questa, che possono consentirsi solo coloro che le diverse sensibilità artistiche conoscono profondamente. Anche sul piano prettamente storico culturale. Dopo la scomparsa dell’immenso Otello Profazio, il già valore artistico di questa artista è divenuto ancora più importante è prezioso. Come la sua voce, una delle più interessanti del vasto panorama canoro nazionale. Carlo Muratori mi era già noto. E da tempo dei miei studi e della mia passione anche per la cultura e la storia della musica popolare siciliana. È un grande artista. Ha studiato tutta una vita. Conosce la musica, tutta. Ed è un grande musicista lui stesso. Usa la chitarra come parte del suo corpo.

Mani e chitarra fanno parte della sua anima. Quando le muove a quel ritmo, che solo con pochi altri possono agitare, tutto di lui arriva al pubblico. Muratori oltre ad essere una grande voce è anche un ricercatore di canti e musiche siciliani instancabile e rigoroso. Suoi sono tantissime cose emerse dall’antichità e dalla dimenticanza. Suo é anche il lavoro, non certo facile, di sistemare le scoperte in un quadro culturale e artistico ordinato e coerente. Carlo è un artista colto. Dotato di quella cultura vasta, anche umanistica, che gli consente di trovare testi popolari finemente poetici e di produrne di suoi. L’Opera andata in scena ieri con la ricchezza poetica che abbiamo conosciuto, ha respirato anche di questo suo sentire profondo. Chi ieri non é venuto, ha perso davvero una cosa bella. La chiamo così perché, non essendo un esperto su nulla di specificamente artistico, non so trovare termini adatti. Ho solo il mio sentire e questa mia parola che su di esso naviga e non si ferma. È questo mio sentire che mi fa chiudere la riflessione con una frase contenuta nell’ultimo canto, che la voce di Francesca ha sussurrato.

Basterebbe solo questa per dire oltre la chiusura del racconto. E per riflettere tra la gioia e la melanconia. È bellissima. Parla Giuseppe, marito di Maria e padre di Gesù. Sembra che parli ai e dei padri di tutto il mondo: «Ahiu fattu quantu potti, chiù non potti spusa mia». (fc)

Storie di lotta e di anarchia, a cura di Piero Bevilacqua

di  FILIPPO VELTRI – Storie di lotta e di anarchia in Calabria è un libro che dovrebbe girare nelle scuole calabresi, dalla media in su. L’ha edito Donzelli ed è stato presentato in varie parti della nostra amata terra durante l’estate e in questo inizio d’autunno. Perché dovrebbe girare? Perché è la memorie di cui siamo stati noi, in anni passati ma anche più recenti, resistendo e lottando per cambiare lo stato delle cose. E tutti i calabresi che quegli anni non li hanno vissuti o non li ricordano devono sapere.

Il libro, dunque, che ha prefazione di uno storico importante come Piero Bevilacqua e nasce da una proposta della bravissima cantautrice Francesca Prestia: un progetto da costruire in memoria di uomini, donne, lotte sociali, che hanno lasciato un segno profondo nella storia della Calabria novecentesca. Ricostruzioni storiche, canzoni dedicate, itinerari e incontri nei luoghi teatro dell’azione di oscuri, ma generosi e straordinari personaggi, figli del popolo, sono i tasselli di un Progetto volto a far emergere o a dare nuova luce a episodi, momenti, figure di una Calabria subalterna, priva di diritti e oppressa, che si batte per una società più giusta e moderna.

Un manipolo di studiosi, di esperti e cultori di storia calabrese, di testimoni, ricostruisce così un panorama vario che, pur mutando nello svolgersi dei decenni, ha al centro moti per il riscatto sociale alimentati da idealità forti, o anche estreme, che si consumano nel grande gesto eroico, ma capaci di proporre il più delle volte, anche col sacrificio della vita, alternative di società. È il caso delle lotte per la terra nel secondo dopoguerra, quando il grande scontento bracciantile e contadino del Mezzogiorno d’Italia, che si incontra col movimento sindacale, democratico, social comunista, ricostruiti dopo la liberticida parentesi fascista, sfocia nell’occupazione dei latifondi, di decine di migliaia di ettari di terre incolte possedute in Calabria da un pugno di agrari.  I nomi di Giuditta Levato (Calabricata) o di Angelina Mauro (Melissa), sono diventati mitici ed evocativi di una battaglia epocale e corale contro le disuguaglianze stridenti di allora e per la distribuzione delle terre ai contadini.

«I saggi brevi e incisivi di questo volume – dice Armando Vitale, presidente della Fondazione IMES Catanzaro – non hanno però alcun intento agiografico, hanno spessore scientifico e taglio analitico, ci restituiscono i contesti economico-sociali, politici e istituzionali, in cui ogni vicenda si dipana’».

Compaiono sulla scena, accanto ai subalterni, ai braccianti, ai salariati, agli operai delle saline (Lungro), i proprietari terrieri avidi e arroccati, gli amministratori di società privi di scrupolo e di umana pietà, le rappresentanze dello Stato corrive e schierate in difesa degli interessi precostituiti. Questo agile libro propone perciò al lettore il volto di un mondo che perpetua da un lato plurisecolari rapporti sociali, che è solcato dall’altro da movimenti e lotte dotati di una dirompente potenzialità trasformatrice. Ma ci sono squarci diversi e parimenti interessanti. Si veda il racconto della vicenda drammatica della Brigata Catanzaro, della cinica decimazione di un reparto di giovani catanzaresi impegnati nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, premiati prima al valor militare e poi fucilati per cieca follia burocratica e militarista. O si legga la storia dell’attentato dell’anarchico calabrese Malara al Presidente del New Deal americano F.D. Roosevelt, consumato per un’estrema fede in idealità di giustizia incapaci però di misurarsi con la complessità della vita reale e di discernere la via di una ragionevole e produttiva lotta politica.

E si guardi ancora alla lucida e sintetica narrazione delle vicende della rivolta di Reggio Calabria (1970) per il capoluogo, o al racconto efficace della manifestazione di solidarietà dei sindacati metalmeccanici che comprendono la grande partita della minaccia eversiva e antidemocratica che si gioca a Reggio, dove arrivano in massa sfidando pericoli e segnando un punto decisivo a favore della democrazia repubblicana. Anche mettendo a fuoco questi eventi e casi speciali, il libro tratteggia lo scontro fra restaurazione-reazione e progresso.

«Il lavoro dei ricercatori – dice ancora Vitale – che hanno composto il mosaico suggestivo di questo libro, ci offre dunque uno spaccato vivo ed eloquente della Calabria novecentesca, con le tensioni al rinnovamento che la caratterizzano, la dura permanenza di vecchi equilibri, i tentativi di ricostituzione di un vecchio ordine sociale e politico. I canti e le musiche di Francesca Prestia, che fanno da suggestivo commento sonoro ad ogni saggio del libro, lo arricchiscono di speciali e appassionate vibrazioni emotive. Con “Storie di lotte e di anarchia” crediamo di aver proposto un lavoro di alta divulgazione storica, destinato ad un pubblico ampio e vario, anche oltre i confini regionali, di cittadini, giovani, studenti, curiosi. È il nostro modo di contribuire al civismo diffuso, alla formazione della vasta coscienza democratica di cui l’Italia, il Mezzogiorno, la Calabria, hanno un grande bisogno. La fase che attraversiamo, di crisi pandemica che sconvolge e destruttura rapporti sociali e umani, creando nuove, crescenti e aspre disuguaglianze, ha bisogno di un’aggiornata consapevolezza del “mondo grande e terribile” che abbiamo alle spalle e in cui ancora viviamo».

La realizzazione del progetto non sarebbe stata possibile senza la disponibilità degli autori, il lavoro del consiglio di amministrazione e dei collaboratori della Fondazione, il contributo della Regione Calabria e l’adesione degli Enti Locali coinvolti. (fv)

STORIE DI LOTTA E ANARCHIA
a cura di Piero Bevilacqua, con una ricerca musicale di Francesca Prestia
Donzelli Editore, ISBN 9788855222112

A Tindari successo per “Felicia, una donna contro la mafia” con la cantastorie Francesca Prestia

Grande successo di pubblico e critica per lo spettacolo di Pupi e Pupe antimafia dal titolo Felicia, una donna contro la mafia, dedicato a Felicia Bartolotta, madre di Peppino Impastato, andato in scena al Teatro Greco di Tindari.

Angelo Sicilia, il puparo palermitano padre dei pupi antimafia, e Francesca Prestìa, prima donna cantastorie calabrese, hanno coniugato due forme d’arte popolari nel segno dell’impegno e della memoria suscitando emozioni e grande interesse.

La suggestiva cornice del Teatro Greco di Tindari, in una splendida serata di fine agosto  ha accolto la coraggiosa e tenera storia di una madre e di un figlio impegnati entrambi nella lotta alla mafia e  ispirati a ideali di giustizia e libertà.

Lo spettacolo ha visto in scena i due artisti affiancati sullo stesso palco dei pupi antimafia animati dalla Marionettistica Popolare Siciliana di Palermo e recitati da Sicilia e Prestìa; le musiche che corredano la rappresentazione sono composte ed eseguite dal vivo da Francesca Prestìa con la sua voce ed i suoi strumenti musicali, e comprendono due brani inediti scritti da Giancarlo Pitaro(rrm)

La Bibbia di Chagall e i “cunti” di Francesca Prestia a Catanzaro

Suggestivo incontro a Catanzaro su L’arte di Chagall, la spiritualità e la tradizione musicale e gastronomica ebraica, ospitato nel chiostro del Complesso San Giovanni, nell’ambito del progetto espositivo dedicato alla Bibbia di Chagall promosso dagli assessorati alla Cultura e al Turismo del Comune di Catanzaro con il sostegno della Regione Calabria.

Protagonista la rabbina della sinagoga di Serrastretta, Barbara Aiello, che in una conversazione con Domenico Piraina, direttore del Palazzo Reale di Milano e curatore della mostra, ha raccontato le testimonianze storiche della presenza ebraica in Calabria con interessanti aneddoti. Con l’ausilio di oggetti, arredi e utensili tipici della cucina ebraica (“kosher”) sono stati illustrati gli aspetti più caratteristici, e ancora poco conosciuti, di questa tradizione, in stretta correlazione con i temi religiosi e spirituali che sono anche al centro della mostra al San Giovanni.

I “canti e cunti” di Francesca Prestia hanno fatto da cornice all’incontro in un ideale connubio con l’identità popolare calabrese, arricchito dall’integrazione delle diverse lingue ebraica, greco-calabra, occitana, arberesh.

La serata si è, quindi, conclusa con la visita alla mostra alla presenza della guida d’eccezione di Domenico Piraina. (rcz)

Una giornata storica: finalmente Reggio beve l’acqua del Menta

Il sito celebrativo della Diga del Menta

Come funziona l’impianto ?

I discorsi dell’inaugurazione

28 ottobre 2018 – La giornata di oggi resterà nella memoria storia della Città di Reggio, ma anche di tutta la Calabria: l’apertura della Diga del Menta che, dopo trent’anni di attesa, rifornirà di acqua potabile Reggio rappresenta sicuramente un segnale che, se c’è la volontà politica, le cose si possono fare. Per questo oggi a Reggio si festeggia: la città per lunghissimi anni – soprattutto d’estate – ha sofferto una crisi idrica senza precedenti, con acqua non solo scarsa ma addirittura “sporca”, ovvero imbevibile.
I lavori della Diga del Menta, che ricade nel comune di Roccaforte del Greco, sembra non avrebbero mai trovato fine. Bisogna dare atto alla Regione e al suo presidente Mario Oliverio di un impegno concreto, in tandem con il sindaco della Città Metropolitana Giuseppe Falcomatà che, in quest’occasione, ha mostrato la determinazione necessaria per portare a termine il progetto. Un’opera di alta ingegneria – una delle più imponenti di tutto il Meridione, la più grande opera pubblica nell’ambito dell’acqua mai realizzata negli ultimi 40 anni in Calabria – che sarà in grado di trattare 1250 litri d’acqua al secondo, con 17,9 milioni di metri cubi d’acqa alla massima regolazione. Finalmente cesserà la sete di Reggio?
Occorre ricordare che i lavori sospesi da tempo erano ripresi nel 2015 e in appena tre anni l’opera è arrivata al traguardo dell’operatività completa.


«Un fondamentale impegno, assunto con i cittadini di Reggio Calabria fin dal mio insediamento, è stato onorato – ha detto il Presidente Mario Oliverio. La vicenda della Diga del Menta è uno delle metafore, forse la più significativa, della mia esperienza di governo regionale. Ho ereditato la sfascio, un cantiere fermo e vandalizzato, ho programmato le risorse e seguito la redazione dei progetti e dei lavori. Sono stato più volte sui cantieri. Un lavoro spesso nascosto, che oggi produce fatti. Sono tante le situazioni di opere incompiute o abbandonate che sono state recuperate e riattivate come, per citare le più significative, l’apertura della cardiochirurgia, i cantieri di adeguamento sismico delle scuole, la strada Gallico-Gambarie, il finanziamento della metropolitana, i finanziamenti sul rischio idrogeologico e così via. Per questi motivi il 28 ottobre sarà una data storica e un’occasione di festa per la città di Reggio Calabria».
Il sindaco Falcomatà ha annunciato la fine della grande sete di Reggio: «Con l’apertura del nuovo sistema idrico della Diga sul Menta finalmente si risolve in maniera definitiva un problema che esiste da sempre nella nostra Città. Siamo davvero di fronte ad un passaggio epocale, una sorta di “rivoluzione copernicana” che inciderà in maniera determinante nella vita quotidiana dei reggini che, finalmente, avranno la possibilità di utilizzare l’acqua in casa secondo i propri bisogni domestici senza dover “sperare” che non manchi. Quando ci siamo insediati il cantiere della diga risultava fermo e vandalizzato. Sono serviti anni di duro lavoro, costante e silenzioso, nella proficua sinergia attivata con il Presidente Oliverio e con Sorical, per arrivare a questo punto. Nulla di tutto ciò era scontato, ma oggi possiamo finalmente affermare che l’acqua della Diga non è più un miraggio».


Per dovere di cronaca bisogna riferire di un allarme lanciato dai deputati pentastellati Paolo Parentela e Luigi D’Ippolito relativo a una discarica vicina alla diga che conterrebbe pericolosi inquinanti su cui la Sorical ha chiesto interventi di bonifica. Circostanza smentita dal commissario liquidatore della Sorical, Luigi Incarnato: «Indagini, analisi e approfondimenti fatti per tempo dagli organi competenti – ha detto Incarnato – hanno escluso ogni collegamento tra la problematica sollevata dai rappresentanti del Movimento 5 Stelle e l’utilizzazione dell’acqua della Diga del Menta. La fornitura idrica è garantita, tra l’altro, da un impianto di potabilizzazione tra i più avanzati d’Italia, soprattutto nel campo del monitoraggio, controllo e sicurezza». (rrm)

Il programma degli eventi celebrativi di oggi: alle 11 ad Armo di Gallina la benedizione degli impianti da parte dell’arcivescovo di reggio Giuseppe Giorini Morosini e avvio della fornitura idrica, con la partecipazione del presidente della Regione Mario Oliverio, del sindaco Giuseppe Falcomatà e del commissario Sorical Luigi Incarnato.

Alle 16 riattivazione della fonte delle Tre Fontane, alimentata dall’acqua che proviene dalla Diga del Menta. Don Giacomo D’Anna, parroco della Chiesa di San Paolo, ha benedetto il complesso. E’ la prima fontana pubblica di Reggio Calabria che viene alimentata direttamente con l’acqua della Diga del Menta. I tantissimi cittadini presenti, nonostante l’inclemenza del tempo, muniti di borracce appositamente prodotte per l’evento, hanno potuto e voluto constatare personalmente, insieme agli amministratori e ai rappresentanti istituzionali, l’alta qualità e la bontà del prezioso liquido. Inutile aggiungere che è stato un momento di grande partecipazione e gioia collettiva a cui hanno partecipato, con suoni di clacson, anche gli automobilisti che in quel momento si sono trovati a transitare per la zona. Grande soddisfazione hanno espresso con i loro volti e attraverso gli abbracci soprattutto gli anziani, molti dei quali mai avrebbero creduto di poter vedere riattivata questa antica e storica fontana.

Alle 17.30 il convegno a Palazzo San Giorgio “Dalla Diga del Menta al sistema idrico integrato dell’acqua a Reggio Calabria” con la partecipazione del sindaco Falcomatà, del presidente Oliverio, di Luigi Incarnato, Paolo Brunetti, Domenico Penna (sindaco di Roccaforte del Greco) e Domenico Creazzo (presidente f.f. del Parco d’Aspromonte).
Le manifestazione si sono chiuse con un concerto al Teatro Cilea diretto dal m° Alessandro Tirotta con l’Orchestra e il Coro del Teatro Cilea (quest’ultimo diretto da Bruno Tirotta). Lo spettacolo previsto in piazza Italia di Otello Profazio e Francesca Prestia è stato rinviato per maltempo. (rrc)