«Trovo affascinante che molta gente pianifichi le proprie vacanze con maggior cura di quanto facciano per la propria esistenza. Forse è perché evadere è più facile di cambiare».
Il giudizio caustico dello scrittore americano Jim Rohn ben descrive lo stato d’animo col quale, ai giorni nostri, ci si prepari alle ferie e le si intenda: fuga da tutto e tutti, come fossero orpelli di cui liberarsi finanche gli affetti all’apparenza più cari, almeno nella quotidianità. Una situazione indice di un cambiamento epocale, consumatosi nel volgere di mezzo secolo appena: i nonni di oggi, bimbi di ieri, ricorderanno certo come una volta non si andasse in vacanza. Al massimo, si tornava ai luoghi di origine per fermarsi lì per una settimana, al massimo due, con nonni e zii. Poi, sapientemente ricercata e costruita, si aprì la stagione del benessere e le vacanze, da roba da ricchi che erano, si trasformarono in accessorio quasi universale. E così oggi, quando pensiamo a spiagge e laghi e monti e luoghi esotici, subito saltano alla mente tutte quelle persone e quegli impegni dai quali ci si allontanerà ritenendoli, più o meno implicitamente, un fastidio. E questo ancor più in estate, vista come il tempo perfetto per dimenticare tutto, dato che l’idea di staccare la spina reca con sé la necessità impellente di distaccarsi dai consueti pensieri prendendo le distanze da tutto. Dio compreso.
Se così è, non vuol dire che così sia sempre stato o che sempre, ora, così debba essere. La vacanza è uno spazio: in tale spazio, stare insieme può significare riaccorgersi della prodigiosa presenza dell’altro. Ecco perché essa è qualcosa – molto – di più di un semplice ozio, anche dell’anima, fine a se stesso. Al contrario, può (e deve) divenire periodo per una prova di libertà, per capire cosa significhi essere autenticamente liberi e di quale libertà abbia davvero bisogno l’uomo.
Come ricordava già Papa Giovanni Paolo II nel 1996, le vacanze «non devono essere viste come una semplice evasione, che impoverisce e disumanizza, ma come momenti qualificanti dell’esistenza stessa della persona». Dunque, il periodo che inizia può rappresentare per ognuno l’opportunità per interrompere i ritmi quotidiani, che affaticano e stancano fisicamente e spiritualmente; per prendere coscienza del fatto che il lavoro sia un mezzo e non il fine della vita, e che è ancora possibile scoprire la bellezza del silenzio come occasione per ritrovare se stessi e considerare con occhi diversi la propria esistenza e quella degli altri.
Insomma, sempre secondo la riflessione di Papa Woytila, «è un’esperienza, questa, che apre ad un’attenzione rinnovata verso le persone vicine, a cominciare da quelle di famiglia». Una traccia interessante, da non lasciar cadere nel vuoto, per fare delle vacanze il tempo della presenza, e non più dell’assenza, dando spazio a se stessi ed a ciò che conta. E anche a Dio.
+ Vincenzo Bartolone
Presidente Conferenza Episcopale Calabra
Arcivescovo Diocesi Catanzaro-Squillace