di SANTO STRATI – La “scorribanda” sulla Papa Mobile la domenica di Pasqua, fra i fedeli a Piazza San Pietro, ci aveva fatto illudere, dopo tanti giorni di grande apprensione, che la crisi fosse superata e Papa Francesco stesse recuperando in maniera formidabile. È stato un momento di grandissima emozione che il sommo pontefice ci ha avuto donare, forse perché aveva intuito o capito che la fine era ormai prossima.
Abbiamo sofferto e pregato tutti dal primo giorno del suo ricovero al Gemelli e in più di un’occasione s’era temuto il peggio. Poi il rientro in Vaticano e le uscite estemporanee, con un filo di voce, a far sentire che il Papa erà lì, a rappresentare la Chiesa nel mondo, nel minuscolo, ma fondamentale, Stato Vaticano, una voce discorde sulla guerra inarrestabile. Ovunque essa fosse. Ben 66 i conflitti in corso e Francesco soffriva per la popolazione inerme e pregava contro la stupidità degli uomini.
È stato il papa che ha meglio interpretato il senso francescano della carità e della solidarietà. Ha mostrato un percorso da seguire invitando tutti a prendersi cura degli altri (cura comune, la cosiddetta “concuranza” – termine coniato dalll’accademico pontificio Mauro Alvisi) che spinge al bisogno di fratellanza e amore.
Il suo è un messaggio di pace e fraternità che dovrà scuotere i grandi della Terra. (s)