di FRANCO BARTUCCI – Il Tar Calabria sui ricorsi presentati dai Comuni di Cosenza, Castrolibero e Luzzi, come dalle Associazioni contrari alla fusione dei Comuni di Rende, Cosenza e Castrolibero in “città unica”, non ha dato, come noto, la sospensiva aprendo la strada verso il referendum del 1° dicembre prossimo, indetto dal Presidente della giunta regionale, Roberto Occhiuto, a seguito del disegno di legge approvato dal Consiglio regionale nello scorso mese di luglio.
Il fronte del no ha annunciato la presentazione di un nuovo ricorso al Consiglio di Stato, mentre i favorevoli al sì hanno aperto la loro campagna promozionale perché il referendum abbia successo facendo primeggiare la loro posizione mirata a creare la fusione. Una fusione strumentale a quanto si chiedono i fautori del no?
Una cosa è certa che il disegno di legge per la fusione dei tre comuni penalizza fortemente i confini territoriali dell’Università della Calabria, che come diffusamente riportato attraverso i miei servizi giornalistici nell’arco degli ultimi tre anni apparsi su Calabria.Live e il Quotidiano del Sud, togliendole il diritto di potersi sviluppare sui territori dei Comuni di Rende e Montalto Uffugo come fu deciso nell’estate del 1971 dal Comitato Tecnico Amministrativo, presieduto dal Rettore Beniamino Andreatta, nel rispetto della legge istitutiva 12 marzo 1968 n. 442 (firmatario il presidente Aldo Moro), della delibera Cipe del 3 luglio 1970, accolta e approvata dal Consiglio dei Ministri, con Presidente Emilio Colombo, nella seduta del 16 febbraio 1971, avendo come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, l’on. Dario Antoniozzi, nonché del Decreto del Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, datato 16 aprile 1971, che stabilisce quale sede della prima università statale calabrese la zona di Cosenza.
Da questi provvedimenti legislativi scaturisce e porta il Comitato Tecnico Amministrativo dell’Università della Calabria con la delibera sopra riportata dell’estate 1971 a decidere la collocazione dell’Università a Nord di Cosenza sui territori di Rende e Montalto Uffugo e precisamente su un asse lungo 3 km e 400 metri partendo dall’incrocio della Statale 107 Crotone/Cosenza/Paola fino ad incrociare l’asse ferroviario Cosenza/Paola collocato a Settimo di Montalto Uffugo con l’incrocio ferroviario che porta sullo Jonio e particolarmente a Sibari luogo storico meritevole di attenzione (almeno in quell’epoca) da parte della nascente Università della Calabria. Una sede universitaria, tra l’atro costeggiata dall’autostrada Salerno Reggio Calabria, con lo svincolo di Quattromiglia (Nord di Cosenza) ed il nuovo, in fase di eterna elaborazione da parte dell’Anas, che dovrà essere realizzato proprio nell’area di Settimo, per non parlare della stazione ferroviaria prevista sull’asse dal progetto Gregotti dell’Università della Calabria.
Con questo contesto ambientale e anche storico viene predisposto un disegno di legge “città unica”, che può essere eccelso per i proponenti, ma non per chi ha memoria di quel progetto UniCal, ben definito e chiaro, che guardava con il suo sviluppo alla creazione di una “Grande Cosenza”, quale opportunità di crescita economica, sociale e culturale di un intero territorio, non solo del posto, ma dell’intera Calabria.
In attesa degli sviluppi del possibile ricorso al consiglio di stato, come detto in precedenza, i favorevoli del si alla fusione hanno cominciato la loro propaganda referendaria politica, come oggi sul quotidiano messinese che riporta un servizio nel quale viene lanciato l’appello di alcuni parlamentari moderati quali: Mario Occhiuto, Simona Loizzo, Fausto Orsomarso e Alfredo Antoniozzi. Nel loro appello scrivono: «La grande città servirà ad affermare la grandezza del capoluogo e di una grande provincia. Servirà a realizzare nuove infrastrutture, a garantire un futuro a generazioni che non devono essere destinate a una sorta di emigrazione dovuta».
Un referendum, dunque, per rimettere insieme quell’idea di unità e poi «non ci interessa nemmeno ribattere al protezionismo residuale di piccoli gruppi ma affermare l’esigenza di una nuova, grande città che sia luogo di sapienza, ricerca, lavoro, di una identità che raccolga ogni esperienza valorizzandone il significato e la potenza culturale».
Parole e pensieri generici che contrastano su quanto accade nella realtà di oggi sul campo, mentre parlano dello spirito di grandezza e della promessa realizzativa di opere strutturali a garanzia di bloccare l’emigrazione dei giovani. Poi nella seconda parte si evidenzia lo spirito dello stare insieme per “quell’idea di unità” e poi il fuoco di artificio finale in cui si mostra la visione di un luogo di sapienza, ricerca, lavoro e l’esplosione di una potenza culturale.
Ma guardando nella realtà del progetto di città unica che estromette Settimo di Montalto Uffugo scippando all’uniCal il diritto di svilupparsi su quel territorio scelto e indicato dal Comitato Tecnico Amministrativo, con la firma di approvazione pure del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Dario Antoniozzi, ne scaturisce un quadro desolante di menomazione, con meno opere infrastrutturali previste nel progetto e con meno occupazione, sia per la fase impiantistica, che gestionale permanente e a tempo indeterminato, portando quindi i giovani ad emigrare.
Che dire poi della “grande città”, quale luogo di sapienza, ricerca, lavoro e potenza culturale, come si parla nell’appello dei quattro parlamentari di cui sopra, se questa si costruisce tagliando le ali all’ Istituzione che più di ogni altra sul territorio, come l’Università della Calabria, in questi anni ha mostrato, pur se menomata dalla indifferenza politica e contrasti impostale (vedi di quanto sta accadendo in questa circostanza), di saper produrre ed offrire alla comunità calabrese quanto di meglio si potesse avere in termini di valori culturali, scientifici e di formazione, per essere fonte di sapienza per innumerevoli giovani, oggi uomini e professionisti qualificati sparsi nel mondo.
La città unica di cui si parla ed il suo spirito di unità non lo è certamente in questo momento sul campo a dimostrazione del fatto della mobilitazione che si è creata con la presentazione dei vari ricorsi avverso la fusione, che doveva essere di un trapasso naturale ed indolore frutto di conoscenza e saggezza che doveva essere manifestata da chi oggi governa questa Regione sfortunata, brava ad autodistruggere le cose belle che le sono state offerte e presentate sul piatto, come l’Università della Calabria.
A chiusura di questo servizio è il caso di sottolineare che in questa vicenda, in base alla ricerca ed analisi fatta dalla prof.ssa Rosanna Nisticò e Anna Rita Ferrara per il libro “Tra benessere e fragilità comunale: Cosenza e la sua “corona” urbana”, la cui relazione è stata pubblicata domenica scorsa dal Domenicale di Calabria.Live, dal punto di vista demografica ed economica dell’intera area, ne esce un quadro chiaro e netto, che il soggetto forte rispetto a tutti i comuni che ne fanno parte non è altro che Montalto Uffugo, di fronte al calo demografico di Cosenza e Castrolibero.
Con ciò torno a ripetere che non è la “Città Unica” la salvezza dell’area, ma la “Grande Cosenza” che ci ha disegnato a suo tempo 53 anni addietro il Rettore Beniamino Andreatta auspicando un’area unica più grande attorno al progetto dell’Università della Calabria, per creare la nuova grande città della Media Valle del Crati, punto di riferimento europeo e dell’area Mediterranea. Il non fare adesso in questa circostanza, in cui è stata tolta dalla naftalina il progetto, rinviando il tutto a tempi migliori, significa per i promotori del disegno di legge di essere “soggetti fuori dal tempo”. (fb)