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Parco eolico a San Vito, la posizione di chi si oppone

Parco eolico a San Vito, la posizione di chi si oppone

Sono tantissimi, tra Associazioni, scrittori, archeologi, registi, docenti, Pro Loco, Forum, società e movimenti, a ribadire il loro no all’eolico selvaggio. In particolare al progetto del Parco Eolico a San Vito.

«Come mai – scrivono – ci sono persone che si oppongono alle pale eoliche, laddove avanzano a scapito di ettari di bosco e di suolo libero dal cemento?  Perché il suolo e gli alberi assolvono funzioni indispensabili alla sopravvivenza della specie umana, e queste persone, prendendo le distanze dalla barbarie economica che affligge la nostra epoca, esprimono attaccamento alla vita, pensano che la salute collettiva – e in ultima istanza la loro stessa pelle – sia più importante di qualche miserabile affare finanziario riservato a pochi». 

«E come mai, allora – continuano – esistono tante altre persone favorevoli alla realizzazione di centrali eoliche anche nei luoghi in cui il bilancio ecologico dell’operazione risulta nettamente negativo, come accade nelle Serre calabresi?».

«Semplicemente perché – spiegano – costoro ritengono, in certi casi persino in buona fede, che la cosiddetta transizione ecologica possa ridursi a una mera transizione energetica,  e non debba invece perseguire soprattutto la rigenerazione dell’ecosistema terrestre (cioè della casa malandata in cui stiamo abitando) attraverso l’abbandono il più possibile rapido di un sistema economico fondato sullo spreco di risorse, sulla loro ingiusta distribuzione e su un eccesso di produzione responsabile dell’alterazione dei cicli geochimici e dell’avvelenamento dell’ambiente. Sotto le insegne del cambiamento queste persone, in altri termini, sono alla ricerca di espedienti per continuare a fare quello che stavamo già facendo, intendono munirsi di strumenti all’avanguardia per segare meglio il ramo su cui siamo seduti, e con sguardo svelto e fiducioso  colgono nel dramma dell’uomo contemporaneo un risvolto positivo: il loro punto di vista è sintetizzato da Massimo Beccarello della Confindustria,  il quale considera l’ambiente un grande driver della crescita delle aziende».

«L’imperversante isteria da approvvigionamento energetico – continuano – è in sostanza un gran polverone che punta a eludere la necessaria messa in discussione degli attuali assetti economici e sociali, e in questo quadro noi esponenti della società civile calabrese, mentre salutiamo con soddisfazione la  ragionevole e confortante bocciatura  da parte del Dipartimento Territorio e Tutela dell’Ambiente  regionale del progettato impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica denominato Carbonaio che voleva abbattersi su un’area forestale del comune di Monterosso Calabro (fa il paio, si noti bene, con il diniego ministeriale al progetto Primus di qualche anno fa), e mentre ringraziamo il delegato per la Calabria del WWF Angelo Calzone per il suo impegno sul fronte legale, sottoponiamo all’opinione pubblica alcune semplici domande».

  1. In una regione come la Calabria, martoriata dal dissesto idrogeologico e al contempo già super produttrice di energia, con un’eccedenza addirittura del 180%, è sensato dedicarsi alla ulteriore produzione energetica passando per le stragi di alberi e suoli che generano ulteriore dissesto idrogeologico? È cosa buona e giusta per le tartassate tasche dei cittadini? Oppure forse è solo un beneficio per le capaci tasche di chi realizza gli impianti?
  2. Considerando che 70 GigaWatt è la nuova potenza energetica da fonti rinnovabili da installare in Italia entro il 2030 e valutando il calcolo dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale secondo il quale utilizzando i tetti (esclusi quelli dei centri storici) e le aree già impermeabilizzate e da bonificare si potrebbe genenrare una potenza da fotovoltaico di 77 GigaWatt, perché si insiste ancora sulla devastazione dei boschi e dei terreni utili a produrre cibo, per favorire quali interessi particolari in conflitto con l’interesse generale?
  3. È logico concepire una produzione, anzi, per parlare alla moderna, un hub energetico in Calabria mentre l’energia serve a mille chilometri di distanza per realizzare quei frigoriferi e quelle lavatrici dall’obsolescenza programmata di cui vediamo poi le carcasse nei nostri torrenti, nei nostri mari e nelle nostre innumerevoli e abominevoli discariche abusive? Non sarebbe più giusto usare meno energia, prodotta magari nel centro del sistema piuttosto che nella colonia, per costruire prodotti durevoli, come quei frigoriferi degli anni cinquanta venuti fuori dall’industria italiana, ancora attivi in alcune nostre case e reduci da un percorso biografico immune da guasti e inefficienze?
  4. Perché non si affronta seriamente il problema della dissipazione di energia prima di distruggere gli alberi e i suoli, infrastrutture di salute pubblica? Segnaliamo, per fare un esempio tra i tantissimi possibili, che in provincia di Reggio Calabria,  a San Lorenzo e a Condofuri,  il collettore della fogna , collocato con lungimiranza e sensibilità ambientalista nel cuore dell’ecosistema costiero, è pure posizionato contropendenza: si devono costruire pale eoliche pagate  in parte dai cittadini per alimentare pompe di sollevamento pagate in toto dai cittadini oppure è  meglio progettare una cloaca meno scellerata e risparmiare così energia e denaro pubblico?
  5. E, inoltre, se è vero che il 10% degli italiani più ricchi emette in media 18 tonnellate di co2 pro capite l’anno mentre il 40% dei più poveri ne emette in media solo 4, e se è vero che a livello mondiale il 10% della popolazione è responsabile del 50% delle emissioni climalteranti e il 50% della popolazione povera ne è responsabile per il 7%, possiamo porci a cuor leggero l’obbiettivo di incrementare l’energia rinnovabile senza affrontare il nesso tra la crisi ecologica e l’ingiustizia sociale? Possiamo quindi dare per scontata e considerare legittima l’attuale fame di energia lasciando inalterato il dislivello dei consumi energetici? Non è bene che la crisi ecologica venga affrontata in primo luogo ridimensionando le possibilità di acquisto di quelli che in larga misura la stanno perpetuando invece di flagellare e mortificare beni comuni che, con la loro capacità di assorbire co2 e fornire ossigeno,   aiutano tutti noi in questo difficile frangente?
  6. Possiamo ancora ammettere infine l’agricoltura e l’allevamento industriali, energivori e inquinanti? Le pale eoliche nelle Serre sono un danno per la collettività anche perché, peggiorando la qualità del territorio, vanificano gli sforzi di chi – a beneficio di tutti- si dedica alle filiere corte di un’agricoltura sana fondata su antichi prodotti locali e al turismo responsabile, come quello connesso al percorso del trekking Coast to coast.

«La protezione dell’ambiente naturale e della biodiversità – usiamo parole di Paolo Cacciari – consiste nella cura di una precondizione della vita non disponibile, non negoziabile, non mercificabile, non monetizzabile. Ma bisogna aprire gli occhi e contribuire alla chiarezza visto che siamo entrati nella furbesca fase in cui tanti hanno imparato a cavalcare “l’onda verde” per fare soldi con l’ambiente e di conseguenza, come scrive Miguel Amoros, l’adozione del lessico ecologista da parte degli imprenditori accompagna logicamente questo processo, perché oggi il linguaggio ecologista è il linguaggio della politica e pertanto la lingua degli affari. Tuttavia le parole non riescono a nascondere i fatti: i progetti vandalici di un tempo continuano imperterriti il loro compito distruttivo gomito a gomito con quelli nuovi, solo che tale compito si auto qualifica come “verde”. Gli interessi dominanti continuano a essere quelli della classe dominante, quantunque legittimati come affari di Stato e in difesa dell’ambiente: dietro TAV, linee ad alta tensione, dighe e autostrade previste nei loro piani, si manifestavano potenti interessi industriali e finanziari, gli stessi che oggi promuovono i parchi eolici o le centrali fotovoltaiche».

«Sorretti da questa lucidità daremo filo da torcere al progetto che continua a incombere sul comune di San Vito – concludono – e i venti di morte, speriamo, non avranno la meglio anche in questo caso sui palpiti di vita».