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D'Alema

L’OPINIONE / Filippo Veltri: Pd, ha vinto di nuovo D’Alema

di Filippo Veltri – Sono bastate poche righe per sancire in pratica il ritorno alla casa madre, cioè il Pd, dette da Massimo D’Alema ad inizio del 2022 che è venuto giù il diluvio. Su giornali, sui social, in tv si è scatenato il solito putiferio quando parla baffino. Il quale non ha detto nulla di stratosferico, un paio di cose anche ovvie sul Pd e sull’autoproposta di Draghi per il Quirinale, ma tanto è bastato per far venire giù un mare di polemiche.

L’ uomo, come è noto, è divisivo, suscita odi e amori (più i primi forse) ma una cosa è certa: non dice mai banalità da FB e in un mondo dove prevale questo è del tutto ovvio lo scatenamento delle divisioni. Ma a noi interessa andare un po’ nel profondo delle discussioni suscitate dall’ultima uscita di D’Alema e prendere a riferimento due dei blog più seguiti dalla sinistra italiana.

Il primo è Strisciarossa, tutti o quasi ex colleghi dell’Unità e quindi ex Pci. L’imminente scioglimento di Articolo 1 e il ritorno nella “casa madre” del Pd – da sancire nei prossimi mesi in un congresso – pone fine a una delle tante scissioni a sinistra – hanno scritto. «È una buona notizia, anche se ampiamente scontata. Nella comune esperienza di governo – nell’esecutivo giallorosso prima e ancor più in quello di “unità nazionale” guidato da Mario Draghi – l’agire e le prese di posizione dei due partiti erano ormai perfettamente sovrapponibili: sui vaccini, sul green pass, sulla manovra di bilancio, persino su aspetti particolarmente scomodi a sinistra come lo sciopero della Cgil e della Uil contro il governo di cui fanno parte. Restano sfumature diverse sul tema delle alleanze, e in particolare sul rapporto con i 5 Stelle che il piccolo partito di Bersani ha arruolato da tempo al mondo della sinistra. Ma appunto sono sfumature: e a dirla tutta, non è che il Pd abbia messo grandi distanze con il populismo di Conte e seguaci. Più marcate le differenze rispetto al passato e in particolare sulla stagione renziana».

Più interessante e impegnativo è a questo punto la questione dellaprospettiva del partito che riunisce di nuovo la sinistra riformista e di governo. Il segretario del Pd ha individuato nelle cosiddette “agorà democratiche” l’appuntamento chiave per disegnare la fisionomia e il rilancio democratico: una grande campagna di ascolto e di discussione in rete per accogliere spunti e suggerimenti dal più vasto mondo della sinistra. Proprio le “agorà” sono di fatto lo strumento per consentire il ritorno a casa della truppa bersaniana, senza tante abiure ma anche senza cedere all’iniziale richiesta di Articolo Uno di costruire assieme al Pd e ad altri movimenti un soggetto del tutto nuovo.

I limiti di questo percorso sono però evidenti. Il Pd è un partito e non può adottare tout court il “modello Sardine”. Va bene ascoltare e confrontarsi, ma poi deve essere capace di esprimere una posizione e un pensiero autonomo sulle varie questioni, anche in contrasto con altre spinte e pressioni esistenti a sinistra. È innanzi tutto questa la responsabilità di un gruppo dirigente: scegliere ed esercitare un’egemonia nel proprio mondo. «Semplificando: non è proprio questo che accadde all’epoca del compromesso storico, nonostante i rischi iniziali diimpopolarità? Innanzi tutto a Letta e al gruppo dirigente democratico spetta insomma definire i caratteri di una identità di un moderno partito di sinistra, riformista e di governo, uscendo finalmente dagli aspetti di vaghezza e fumosità attuali. Solo dopo verrà il tema delle alleanze. Il “campo largo” proposto dal segretario del Pd è una necessità, tanto più con la legge elettorale in vigore, ma andrebbe forse ripensato con una certa circospezione».

Fin qui dunque gli ex Pci.

C’è però un’altra lettura che proviene dall’Linkiesta secondo cui nel rapporto con i 5 Stelle, un recente sondaggiodovrebbe far riflettere sia il Pd che – finché ci sarà – Articolo uno: la maggior parte dei rispettivi elettorati riconoscerebbe le posizioni dei grillini più lontane dalle proprie anche rispetto a quelle di Renzi e di Calenda. E se si aggiungono gli strani movimenti del gruppo di Conte in stile giallo-verde sul super green pass o sull’imminente voto per il Quirinale, ce n’è abbastanza per far prevalere la cautela. Ma questa è una questione che potranno definire, una volta per tutte, solo le urne.

«Massimo D’Alema – scrive il blog – ha dunque ragione, e ora darà il suo modesto colpo di barra allo scafo pilotato da Enrico Letta nella direzione di un partito più tradizionalmente di sinistra, post-diessino (lasceremmo stare espressioni di ben altra portata quali comunista, socialista o socialdemocratico), su una linea più sensibile a Landini-L’Espresso-Gruber che ai riformisti interni, più sensibile a Tomaso Montanari che a Sabino Cassese, con una spruzzata di manettarismo del patriota Travaglio, un vago movimentismo ambientalista, una sorta di populismo democratico buono – le Agorà – e molto professionismo di ex quadri dei Ds, incomparabilmente più efficace e smaliziato di quello degli ex renziani rimasti nel Pd a far la guardia al bidone. Questi ultimi sono indispettiti dal ritorno nel partito di uno come D’Alema che li ha insultati per anni e che continua a farlo definendo il renzismo una «malattia» (rimembranza leniniana dell’ex segretario del Partito democratico della sinistra), una volgarità a cui ha dovuto per forza rispondere Letta non meno di 24 ore dopo che lo aveva fatto Filippo Sensi, deputato democratico ex portavoce di Renzi e di Paolo Gentiloni».

Per Linkiesta «la questione è un’altra: come mai a D’Alema quello che finora faceva schifo adesso piaciucchia? Non essendo cambiato lui (se non nel senso di un sempre crescente radicalizzazione del suo pensiero), è chiaro che a essere cambiato è il partito di Letta: e che questo spostamento a sinistra – diciamo così per brevità – sia avvenuto all’ombra di un ex democristiano aggiunge al tutto un pizzico di paradosso. Vedremo se ci sarà un qualche segno di vitalità degli ex renziani annidati nei ministeri e nei gruppi parlamentari: si sente perfino parlare di congresso. Quello che si può dire fin d’ora è che il vecchio disegno del Lingotto di Walter Veltroni, cioè l’idea di una nuova sintesi delle tre culture riformiste, quella socialista, quella liberal-democratica è quella cattolico democratica, già mai davvero inveratosi, sembra definitivamente saltato per aria. Si torna a casa. Ha vinto Massimo D’Alema, chapeaù». (fv)