FALCOMATÀ RITORNA SINDACO A REGGIO
LA CASSAZIONE: ASSOLUZIONE PER TUTTI

di SANTO STRATI – Finisce il tormento del sindaco sospeso Giuseppe Falcomatà, che dal 2021 per la legge Severino, dopo la sentenza per la vicenda Miramare, continuava a restare fuori da Palazzo San Giorgio nella segreta speranza di veder accolto il suo ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ieri sera non lo ha ritenuto inammissibile e ha espresso un parere favorevole, mandando assolti tutti gli imputati.

Il reato (abuso d’ufficio, un anno di reclusione) è comunque prescritto, e anche nel malaugurato caso di conferma della condanna, niente avrebbe impedito a Falcomatà a finire la sindacatura, salvo che la Cassazione non avesse dichiarato inammissibile il ricorso. In questa fino all’ultimo temuta per quanto remota ipotesi, per Falcomatà finiva lì e per i reggini si prospettavano mesi di commissariamento in attesa di nuove elezioni (la prima fascia utile sarebbe stata quella delle elezioni europee di maggio!).

Invece, Falcomatà ha vinto, ha visto confermata la sua innocenza, e torna alla guida di una città morente e purtroppo strapiena di problemi. E cambia la geografia degli scranni: assolti con lui gli assessori della Giunta del 2014 incriminata per l’affidamento senza concorso degli spazi dell’ex Hotel Miramare a un’associazione privata (il Sottoscala) il cui presidente Paolo Zagarella aveva sostenuto (alla luce del sole) l’amico Falcomatà per le elezioni comunali di quell’anno.

Per la cronaca nel 2014 il figlio dell’indimenticato sindaco della Primavera reggina, Italo Falcomatà, aveva raccolto il 60,99 per cento dei consensi, facendo il bis nel 2020 (alla seconda tornata contro Nino Minicuci) con il 58,36 per centi dei voti. Detto in numeri, avevano detto sì – di nuovo – a Giuseppe Falcomatà 44.069 reggini. Non sappiamo quanto di quei consensi sia rimasto, ma di sicuro molti cittadini continuano a stimare e apprezzare il sindaco “sospeso”. Il cui reato – per la verità –, andava ascritto più a un misto di inesperienza e arroganza infantile che a a un’azione specificamente dolosa. Certo rimane la sofferenza di imputati che aspettano anni per vedersi riconoscere la propria estraneità ai “delitti” che venivano loro contestati.

Con Falcomatà sono stati assolti gli ex assessori dell’epoca dei fatti: Saverio Anghelone, Armando Neri, Rosanna Maria Nardi, Giuseppe Marino, Giovanni Muraca, Agata Quattrone e Antonino Zimbalatti. Tutti, come Falcomatà, avevano subito la sospensione per 18 mesi. Solo che il ritorno di alcuni di loro tra gli scranni di Palazzo San Giorgio apre una serie di scenari che è difficile delineare a caldo.

Di sicuro Giuseppe Falcomatà, in questi mesi, si era fatto un’idea di come azzerare la giunta e modificare gli attuali assetti, mantenendo, comunque, al proprio posto i solidali vicesindaci facenti funzioni Paolo Brunetti (Comune) e Carmelo Versace (Città Metropolitana). La brutta vicenda di Castorina e dei presunti brogli elettorali delle elezioni del 2020 gettano comunque nuove ombre sulla serenità degli anni del ritorno di sindacatura di Falcomatà: su di lui pende l’accusa di omissione d’ufficio (sempre nella vicenda Miramare) per la mancata costituzione del Comune come parte civile  nel processo. Un’altra leggerezza frutto di cattivi consiglieri e probabilmente di inutile spavalderia. Questi mesi di lontananza dal Palazzo lo avranno sicuramente aiutato a riflettere su cosa e come fare “dopo il ritorno”. I risultati di queste “meditazioni” dal chiaro sapore politico li vedremo prestissimo con l’azzeramento della Giunta e l’assegnazione delle deleghe a vecchi e nuovi assessori. Il toto-nomine è già iniziato ieri sera, a Roma, all’uscita dalla Cassazione. (s)

Marcello Manna: la legge Severino punisce gli amministratori anche se non condannati

Il sindaco di Rende, Marcello Manna, presidente di Anci Calabria, ha inviato una lettera aperta a tutti i sindaci della regione per sensibilizzarli sugli assurdi automatismi della legge Severino che penalizza in modo indiscriminato gli amministratori pubblici, prim’ancora di qualsiasi condanna o assoluzione. È una prassi di cui è rimasto vittima, nelle scorse settimane, lo stesso presidente Manna (tornato libero dagli arresti domiciliari)

«La nomina a presidente di Anci Calabria – scrive Marcello Manna – mi ha dato la possibilità di conoscere con quanto impegno civile, responsabilità e tenacia, lavorano i tanti sindaci e amministratori della nostra regione.
Un grande onore e privilegio essere accanto a voi e condividere un percorso che ci ha visti uniti in più occasioni.
La solidarietà e vicinanza che molti di voi mi hanno manifestato in questi momenti, mi conferma la grande sensibilità democratica che la nostra terra contiene.
In questi mesi, ho toccato con mano gli sforzi profuso dai sindaci calabresi che, nonostante le situazioni di dissesto e predissesto che affliggono pressoché tutti gli enti locali, con grande coraggio istituzionale, sostengono quotidianamente le proprie comunità dimostrando grande maturità amministrativa.
Tante le sfide che, insieme, ci attendono e che ci vedranno, fianco a fianco, lavorare per risollevare le sorti dei nostri territori.
Come presidente di Anci Calabria mi preme anche porre l’accento sulla stringente necessità di avviare una seria riflessione sulla questione giustizia e di come essa sia legata a doppio filo e, spesso in maniera distorta, alla politica.
Una questione, questa, discussa ampiamente e da tempo a livello nazionale. Basti ricordare la partecipata manifestazione a Roma lo scorso 7 luglio 2021 sul tema della reputazione degli Amministratori locali e le difficoltà a operare nella funzione di Sindaco.
In questi anni, infatti, sono stati tanti i colleghi sindaci coinvolti in vicende giudiziarie.
Gianluca Callipo, Giuseppe Idà, Giuseppe Falcomatà, Alessandro Tocci, Gianni Papasso, Franco Mundo, Umberto Bernaudo, Sandro Principe, Paolo Mascaro, Mario Oliverio. Elenco decisamente troppo lungo per poterne riportare tutti i nomi, così come sarebbe troppo lunga la lista di tutti i comuni sciolti per presunte infiltrazioni mafiose e poi risultati incolpevoli.
Con la legge Severino basta una sentenza di primo grado, quindi non definitiva, per far venir meno le funzioni di amministratore. C’è un automatismo che non funziona e che va rivisto perché lede le funzioni degli amministratori in maniera incomprensibile.
Bisogna dare un segnale al legislatore e scuoterlo dalla sua inerzia. La riforma sulla legge che regola lo scioglimento dei comuni non è più procrastinabile.
Noi sindaci abbiamo il dovere di richiamare tutti all’impegno civile: come la malasanità esiste anche la malagiustizia.
Ci tocca allora dare un segnale forte ai cittadini del nostro impegno civile, sociale, politico, affinché l’inerzia parlamentare che registriamo su tali temi si arresti in nome della nostra Repubblica e nel rispetto della nostra Costituzione».