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Successo a Cosenza per la Festa del Cinema dei Diritti Umani

Successo a Cosenza per la Festa del Cinema dei Diritti Umani

di MARIACHIARA MONACO

Si è conclusa, a Cosenza, dopo tre giorni molto ricchi di discussioni, tavole rotonde, proiezioni, la Festa del Cinema dei diritti umani.

Un evento organizzato minuziosamente dall’Associazione Stella Cometa, in particolare dal presidente Marco Saliberto, dal direttore artistico Alessio Negrini, e da Silvia Superbi, responsabile sviluppo enti del terzo settore.

Un importante spazio è stato dedicato alla fotografia di guerra. “Afghana” è il titolo della raccolta che accoglie i partecipanti già dalle prime arcate del chiostro, e si concentra su diversi scatti eseguiti tra l’estate del 2008, ed il mese di novembre 2021. Vite spezzate, promesse non mantenute, ingiustizia, sofferenza, tutti questi sentimenti sono percepibili guardando attentamente i volti di donne, bambini, uomini, che vanno incontro ogni giorno verso un destino atroce, e a tratti invisibile e silenzioso.  Ma Giuliano Battiston, curatore della mostra, ha puntato i fari anche su uno spiraglio di vita ordinaria, fatto di amicizia, gioco, lavoro, amore, cercando di raccontare la vita della popolazione afghana dentro e oltre il conflitto.

“Società Civile”, secondo il giornalista, è la parola chiave, perché nel corso degli ultimi vent’anni ha svolto un ruolo fondamentale nel promuovere la partecipazione pubblica, nel denunciare ingiustizie e corruzione, nel diffondere un messaggio di pace e di rispetto.  Ma, proprio quando questa rete stava facendosi più solida, ecco l’arrivo al potere dei Talebani, ed in pochi giorni la vita degli afghani è radicalmente cambiata, come si nota dagli scatti, che mostrano violenza, e allo stesso tempo lacrime di speranza e disperazione. Una disperazione lunga più di quarant’anni, di un popolo martoriato da colpi di stato, occupazioni militari, governi oppressivi, ma anche da una forte povertà (il reddito medio di un afghano, prima dell’arrivo dei Talebani era di 530 dollari all’anno, meno di due dollari al giorno). 

Guardare queste foto significa conoscere una terra in cui la gente è continuamente in guerra con la storia, vissuta da chi, vorrebbe soltanto sopravvivere, senza armi e senza pallottole. Un fil rouge di testimonianze che hanno arricchito il dibattito in un pomeriggio molto intenso, che si è “ancorato”, durante l’ultima giornata al tema degli “Approdi e derive dei diritti umani”, con la partecipazione del giornalista Rai, Marco Innocente Furina, ed il direttore dell’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, Raffaele Crocco. Si è posto l’accento su una realtà che ognuno di noi conosce, quella delle nostre coste, meta di numerosi approdi. Da molti anni infatti, la Calabria è luogo di sbarco e di accoglienza di esseri umani costretti a fuggire perché perseguitati o perché vittime di guerre che, improvvisamente, ne sconvolgono le vite.

«Nonostante i diritti dell’uomo siano considerati “inalienabili”, ci sono migliaia di esseri umani che non hanno mai potuto solo intercettare un solo diritto umano, dall’inizio del viaggio fino all’approdo. Quando si parla di diritti, è necessario anche dare dei nomi a queste persone, perché nell’informazione sono sempre considerati dei numeri. Raccontare la storia di tutti gli invisibili, era ed è Festa, per togliere dalla dimenticanza ciò che invece va narrato», nota Raffaele Crocco.

In questo quadro, il cinema può e sa svolgere un ruolo, contribuendo a raccontare quella parola: “inalienabilità”. È stata proprio la pellicola a dar lustro alla festa, con la proiezione del  film “L’ordine delle cose” del regista Andrea Segre, premiato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Un racconto che passa per la strategia dell’Italia di bloccare in Libia chi è intenzionato ad affrontare il viaggio su un gommone, e che fa capire, allo stesso tempo, che cosa comporta questa decisione in termini di diritti umani violati. Con il paradosso delle merci libere di circolare per il mondo e le persone invece no, rinchiuse in centri di detenzione senza aver infranto la legge.

Si presenta come una fiction, che ha il sapore di documentario, anzi, per dirla come Luigi Manconi: «Si tratta di un film del dopo attualità, un film che parla di ciò che è successo ieri, di ciò che sta succedendo oggi e non solo di ciò che succederà in futuro, ma proprio domani mattina».

Tutto ruota intorno alla storia di Corrado, un dipendente del ministero degli Interni, che si occupa di combattere l’immigrazione irregolare facendo missioni internazionali. Egli viene chiamato dall’esecutivo per sbrigliare il nodo degli arrivi in Italia dalla Libia, un compito piuttosto complicato, considerando anche la situazione del paese africano nel dopo-Gheddafi. Il protagonista è alla continua ricerca di stratagemmi per portare i libici dalla propria parte, affinché si impegnino nel bloccare alla partenza i migranti diretti in Italia. Per farlo, Corrado visita porti, centri di detenzione per profughi, conosce altri funzionari, tanto italiani quanto francesi. Ma le cose cambiano quando entra in scena Swada, una donna di origini somale che si trova in un centro di detenzione. È a questo punto che viene scombussolato “l’ordine delle cose”, come recita il titolo del film.

Ma esiste veramente un ordine delle cose? Oppure è il frutto di una forte crisi morale che attanaglia da più anni la nostra società? (mm)