FONDI COESIONE, SERVE RIPROGRAMMARE
RISORSE IN CALABRIA PER NON PERDERLE

di FRANCESCO RENDECambia il volto della politica di coesione 2021-2027 dell’Unione europea. Dopo settimane di polemiche e confronti accesi, è arrivata l’intesa politica tra Parlamento europeo e Consiglio Ue sulla revisione intermedia della principale politica di investimento comunitaria, che da qui al 2027 mobiliterà oltre 392 miliardi di euro.

A guidare i negoziati, conclusi con un accordo in un solo round di confronto formale, è stata la presidenza danese del Consiglio. Ma la regia politica porta la firma del commissario europeo Raffaele Fitto, titolare della delega alla Coesione, che ha introdotto nel pacchetto cinque nuove priorità strategiche: difesa, resilienza idrica, alloggi, transizione verde e competitività.

Difesa e infrastrutture militari nella nuova programmazione volontaria

La revisione non impone modifiche obbligatorie ma introduce la possibilità, su base volontaria, per gli Stati membri di riprogrammare parte dei fondi strutturali orientandoli verso queste nuove direttrici. Un cambio di rotta che nasce dalla necessità di adattare la strategia europea al “mondo che è cambiato improvvisamente”, come affermato in sede comunitaria, tra guerra in Ucraina, crisi climatica e nuove esigenze economiche. Particolarmente delicato l’inserimento del settore della difesa tra le voci di spesa ammissibili: nel testo si prevede che anche le infrastrutture a duplice uso, ovvero quelle che possono servire sia fini civili che militari, possano ottenere finanziamenti prioritari, così come gli investimenti per la preparazione civile. È il caso del Ponte sullo Stretto, che potrebbe finire in questo calderone, insieme ad infrastrutture viarie che possono così entrare nella programmazione “bypassando” i vincoli programmatici.

Cosa cambia per la Calabria: riprogrammare per non perdere risorse

Se da un lato è forte la polemica per l’inserimento delle spese di difesa, dall’altro questa riprogrammazione apre scenari impensabili per una regione come la Calabria, che dovrà essere però pronta a rispondere immediatamente al nuovo scenario. Come abbiamo detto più volte, i livelli di spesa della nuova programmazione regionale sono decisamente sotto ogni scenario (ad eccezion fatta per le spese che riguardano la competitività delle imprese, che hanno quasi esaurito il loro plafond): grazie a questa nuova revisione, l’autorità di gestione calabrese del Por potrà intervenire per riformulare i fondi investendo in infrastrutture idriche strategiche, aumentando le risorse a disposizione sia per sbloccare alcune dighe storicamente ferme che possano combattere la crescente siccità. Si può allargare il plafond delle risorse a disposizione delle imprese, in settori come ad esempio agritech, manifattura e innovazione digitale, così come aggiungere nuove risorse per affrontare la crisi abitativa grazie a strumenti messi appositamente a disposizione di governi e regioni.

La soddisfazione di Fitto: “La revisione risponde alle sfide reali dei territori”

«Questo regolamento – ha dichiarato il commissario Raffaele Fitto subito dopo l’approvazione – è la prima misura concreta che ho promosso per rinnovare la politica di coesione che cosi è piu moderna, incisiva e in grado di rispondere alle sfide reali dei territori».

«Questo è un accordo storico sul regolamento che modernizza la politica di coesione. Nell’ambito della revisione di medio termine Stati e regioni potranno investire le risorse della programmazione in corso in progetti su casa, difesa, transizione energetica, acqua, competitività, in base alle proprie priorità strategiche».

Nesci e Ventola (FdI): «Regole più snelle per sbloccare risorse»

«La Politica di Coesione deve tornare a essere un vero motore di sviluppo per i nostri territori», dichiarano congiuntamente gli eurodeputati Denis Nesci e Francesco Ventola, esprimendo piena soddisfazione per l’intesa raggiunta. «Abbiamo lavorato nell’interesse dei cittadini e delle amministrazioni locali, che potranno ora contare su regole più snelle e risorse più facilmente attivabili».

La proposta, avanzata dal vicepresidente esecutivo della Commissione Europea Raffaele Fitto, introduce un necessario aggiornamento normativo, considerando che l’attuale programmazione — definita tra il 2019 e il 2021 — risulta oggi superata da un contesto geopolitico ed economico profondamente mutato.

«Nonostante alcuni gruppi politici avessero dubbi sulla procedura d’urgenza, abbiamo dimostrato che era l’unica strada per garantire ai territori risposte rapide e strumenti concreti per affrontare le nuove sfide. Abbiamo lavorato per migliorare la proposta e renderla davvero utile per le comunità locali», concludono Nesci e Ventola.

Palmisano (M5S): “Alla difesa risorse che verranno tolte a sanità pubblica e imprese”

«L’accordo notturno tra Consiglio e Parlamento europeo sulla revisione della politica di coesione rappresenta un autogol strategico per l’Italia e le Regioni del Meridione». Lo afferma in una nota Valentina Palmisano, europarlamentare del Movimento 5 stelle.

«L’inserimento della difesa tra le cinque nuove sfide strategiche drenerà inevitabilmente risorse vitali da sanità, sociale e sostegno alle piccole e medie imprese, dirottandole verso il comparto della difesa e le grandi lobby delle armi. Questo testo – sottolinea l’europarlamentare – è inaccettabile e dovrebbe essere rigettato in plenaria a Strasburgo a settembre».

«Sarà in quell’occasione che si paleserà chi sostiene l’Italia e chi invece le volterà le spalle in favore del riarmo europeo. Finora, chi si è riempito la bocca di retorica sulla difesa del Sud e di un’Italia forte in Europa ha poi sistematicamente avallato autentici voltafaccia come la programmazione centralizzata e il dirottamento di fondi vitali verso la difesa. A settembre – conclude Valentina Palmisano – la verità verrà a galla con i voti nelle sedi istituzionali». (fr)

[Courtesy LaCNews24]

FONDO DI COESIONE, OBIETTIVO LONTANO
IN QUATTRO ANNI SPESI SOLO 2,8 MILIARDI

di ERCOLE INCALZA –

In realtà il Servizio Studi della Camera dei Deputati ha effettuato una capillare analisi sulle reali disponibilità residue del Fondo fi Sviluppo e Coesione ed ha scoperto che dei 78,1 miliardi di euro previsti per il periodo dal 2021 al 2027 sono disponibili ancora 3,8 miliardi di euro (lo scrivo per esteso perché sembra incredibile: tre miliardi e ottocento milioni di euro). E questo dato è motivato in modo dettagliato attraverso questi passaggi che ritengo opportuno riportare di seguito: con specifiche disposizioni di Legge è stata finora disposta l’assegnazione di risorse per un totale di circa 28,8 miliardi di euro (tutto documentato in modo dettagliato attraverso l’elenco dei singoli provvedimenti); con Delibere del Cipess, invece, sono stati assegnati 45,5 miliardi (in particolare per le Amministrazione Regionali 30,6 miliardi di euro (vedi Tabella A), per i vari Ministeri 13,8 miliardi di euro ed ulteriori 1,1 miliardi di euro per ulteriori accordi) (tutto dettagliato con le singole Delibere del Cipess).

Ma in questa analisi emerge un ulteriore allarme: dei 78,1 miliardi di euro previsti sempre dal Fondo, allo stato è stato speso solo il 4% e gli impegni di spesa non hanno superato il 12,4%. In realtà ci preoccupiamo del Pnrr dove è ormai conclamato il raggiungimento di una spesa non superiore al 46% entro il 30 giugno del 2026 e non ci allarmiamo in modo adeguato sul fatto che dei 78,1 miliardi di euro del Fondo di Sviluppo e Coesione ne abbiamo appena spesi, ripeto, 2,8 miliardi e, entro il 2027 dovremmo spenderne circa 76 miliardi di euro.

È vero che nel caso del Fondo di Sviluppo e Coesione è possibile utilizzare un ulteriore periodo di circa due anni, ma anche in presenza di questo ulteriore periodo siamo sempre di fronte ad un obiettivo impossibile da raggiungere.

Mi chiedo d’altra parte come potremo spendere 76 miliardi di euro nei prossimi quattro anni se nei passati quattro anni (il Fondo è partito nel 2021) ne abbiamo spesi solo 2,8 miliardi di euro (anche in questo caso trattandosi di un dato indifendibile scrivo per intero l’importo: 2 miliardi e ottocento milioni di euro).

Di fronte a questo quadro informativo davvero preoccupante se ne aggiunge, a mio avviso, un altro: mi riferisco alla decisione presa sulla rivisitazione del programma delle opere del Pnrr, cioè alla scelta ormai acclarata che le opere del Pnrr non realizzabili entro il 30 giugno del 2026 potranno trovare adeguata copertura proprio attraverso il ricorso alle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione. Anche in questo caso nasce spontaneo un ulteriore interrogativo: come possa essere possibile che un volano di opere pari a circa 130 miliardi di euro possa trovare copertura in un Fondo ormai ampiamente definito programmaticamente e con specifiche assegnazioni di spesa avvenute per Legge o attraverso Delibere del Cipess?

Nella commedia di Eduardo Scarpetta “Miseria e Nobiltà” il protagonista Felice Sciosciammocca interpretato da Totò impegna un suo vecchio ed ormai inutilizzabile cappotto chiedendo prodotti alimentari e non di altissimo valore; la commedia di Scarpetta aveva la finalità di distrarre e forse far capire dove era arrivata la soglia della fame, la soglia della povertà; oggi questo assurdo elenco di coperture non spese e di impegni futuri impossibili fanno pensare solo al fatto che siamo incapaci di programmare a lungo e medio periodo, siamo incapaci di spendere e ci inventiamo possibili coperture ormai già impegnate.

Indipendentemente da questi confronti come si fa a togliere alla Regione Calabria i 3.059,7 miliardi di euro già assegnati, come si fa a togliere alla Regione Sicilia i 7.374,6 miliardi di euro già assegnati, ecc.; cioè come si fa a dare vita ad una simile rivisitazione sapendo che una simile scelta sarà immediatamente impugnata sia dalle singole Regioni che dalla stessa Unione Europea.

Concludo questo mio articolo ricordando che su questo tema gli schieramenti oggi alla opposizione come il Movimento 5 Stelle o il Partito Democratico non hanno detto nulla e questo silenzio testimonia la loro completa assenza su tematiche chiave della Legislatura. (ei)

COESIONE, L’ITALIA È IN FORTE RITARDO
LA MID-TERM REVIEW SALVERÀ I FONDI?

«L’Italia è in forte ritardo sull’attuazione dei fondi Fesr 2021-2027». È quanto ha denunciato la Svimez nell’ultimo numero di Informazioni Svimez sullo stato di attuazione dei programmi italiani finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) nel periodo 2021-2027, e sulle opportunità e criticità connesse alla Proposta di revisione della Commissione europea.

Il 1° aprile 2025 la Commissione europea ha adottato la Comunicazione “Una politica di coesione modernizzata – Riesame intermedio”, accompagnata da una Proposta di modifica dei Regolamenti relativi al Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) e al Fondo per una transizione giusta (Jtf) per il periodo di programmazione 2021-2027.

«La Comunicazione – ha spiegato la Svimez – si concentra sulle considerazioni politiche e gli obiettivi di policy sottostanti le misure prospettate, mentre la Proposta contiene le puntuali modifiche emendative da apportare ai vigenti Regolamenti. In entrambi i documenti sono illustrate e regolamentate specifiche misure per favorire cambiamenti strategici negli indirizzi e nelle modalità di funzionamento dell’attuale ciclo di programmazione delle politiche di coesione, da implementare nel contesto della procedura di “Riesame intermedio” (Mid Term Review) prevista dall’articolo 18 del regolamento Ue 2021/1060. La Commissione non si limita a intervenire sugli aspetti legislativi, ma propone valutazioni, orientamenti e vere e proprie esortazioni agli Stati membri e alle regioni, con ricadute potenzialmente significative sulle prospettive future di queste politiche».

«Il punto di partenza della Proposta – si legge – è la necessità che l’Europa intervenga in maniera urgente e decisa per mobilitare nuove risorse e iniziative per affrontare efficacemente la serie di gravi eventi economici e geopolitici dell’ultimo triennio. Eventi che hanno vorticosamente portato a rivalutare le principali priorità politiche dell’Unione e a ripensare le sfide delle transizioni verde, sociale e tecnologica, secondo un approccio che riconosca il ruolo fondamentale dell’autonomia strategica e delle capacità di organizzazione e resilienza dell’Ue. Dall’urgenza di queste nuove sfide deriva la necessità di reperire risorse dalle rubriche del bilancio 2021-2027 e dai fondi europei esistenti. La Commissione evidenzia inoltre che il finanziamento delle nuove priorità ed emergenze sorte negli ultimi anni indirizzerà anche il prossimo Quadro finanziario pluriennale (Qfp)».

La Commissione individua diverse ragioni per cui le politiche di coesione si prestano in modo particolarmente efficace a contribuire subito, con le loro risorse, al finanziamento di interventi allineati alle nuove priorità politiche dell’Unione e la proposta prevede di utilizzare il “Riesame intermedio” dei programmi 2021-2027 per operare, in maniera concomitante e coordinata per tutti gli Stati membri, la riprogrammazione delle risorse della coesione coerente con le nuove priorità individuate dalla Commissione.

Il Riesame intermedio è attualmente regolato dall’articolo 18 del regolamento Ue 2021/1060, secondo cui il 50% del contributo europeo per gli anni 2026 e 2027 (importo di flessibilità) relativo ai programmi di ciascun Stato membro possa essere definitivamente assegnato solo dopo l’adozione, in seguito al Riesame intermedio, di una apposita decisione da parte della Commissione europea. In particolare, entro il 31 marzo 2025, lo Stato membro presenta alla Commissione, per ciascun programma, una valutazione relativa ai risultati del riesame.

In altri termini, almeno da un punto di vista formale, le modifiche ai programmi saranno effettuate “su base volontaristica”, tenuto conto che la regolazione del Riesame intermedio non impone di proporre variazioni ai programmi, nei casi in cui lo Stato membro non le ritenga necessarie. Permangono, tuttavia, alcuni aspetti più “di sostanza” che verranno approfonditi nel proseguo che rendono tale volontarietà fortemente condizionata.

«La Proposta della Commissione – scrive la Svimez – contiene numerose opportunità per i programmi italiani finanziati dal Fesr ma, allo stesso tempo, impone la necessità di attente riflessioni e valutazioni. I programmi Fesr italiani presentano difatti non poche difficoltà attuative che ne hanno sinora rallentato l’individuazione e la realizzazione degli interventi. La situazione aggiornata al 29 maggio 2025 del monitoraggio della spesa delle politiche di coesione 2021-2027 evidenzia complessivamente bassi livelli di spesa dei programmi a livello europeo. Per l’Italia, tra le più lente in Europa, la percentuale di spesa delle risorse europee Fesr è pari al 7,5% (circa 3 miliardi di pagamenti su un valore complessivo di circa 42 miliardi). Da tali dati si evince che, anche a prescindere da qualsiasi Proposta di revisione dei regolamenti da parte della Commissione, l’Italia si sarebbe presentata in una situazione di oggettivo disagio e debolezza alla prova del Riesame intermedio. Riesame che difficilmente si sarebbe concluso con l’approvazione definitiva dei programmi da parte della Commissione in assenza di modifiche e riprogrammazioni che ne avessero rafforzato il contenuto. In quest’ottica, e tenuto conto delle analoghe difficoltà di implementazione affrontate nei precedenti cicli di programmazione, gli incentivi proposti dalla Commissione per reindirizzare le risorse dei programmi verso i nuovi ambiti strategici potrebbero rappresentare, da più punti di vista, una potenziale opportunità per il nostro Paese. Il tasso di cofinanziamento europeo al 100% sugli interventi realizzati all’interno dei nuovi obiettivi specifici consentirebbe di ridurre la dimensione finanziaria delle spese da realizzare e rendicontare, mentre la possibilità di avere un anno aggiuntivo per concludere la realizzazione degli interventi, riprogrammando almeno il 15% delle risorse a favore dei nuovi obiettivi, rappresenta un’occasione da non perdere per tutti i programmi nazionali e regionali.

«Per quel che concerne i potenziali ambiti di riprogrammazione – si legge – allo stato attuale, già circa tre miliardi di euro sono stati messi a disposizione delle tecnologie Step dai programmi nazionali e regionali del Fesr 2021-2027. Su questo punto andrebbe proposto un emendamento alla proposta che tenga conto di questa rimodulazione già effettuata dalle Regioni del Mezzogiorno nell’ambito del computo del 15% di riprogrammazione necessario per avere l’anno aggiuntivo di rendicontazione. Al di là delle tecnologie Step, sussiste un’ulteriore motivazione per la quale la riprogrammazione delle risorse potrebbe contribuire a migliorare l’avanzamento e l’efficacia degli attuali programmi Fesr: la possibilità di far confluire al loro interno interventi coerenti con i nuovi obiettivi strategici individuati dalla Commissione finanziati dalle risorse nazionali del Fsc e della programmazione operativa complementare (Poc) 2014-2020».

All’interno di questi due strumenti programmatori sono difatti già finanziati numerosi interventi riconducibili alle infrastrutture per la gestione dell’acqua (inclusa la prevenzione del dissesto idrogeologico), all’housing sociale e alle politiche abitative, alle infrastrutture per la transizione energetica. Potrebbe pertanto essere realizzata una coordinata azione di ricognizione, tesa a individuare quegli interventi che presentino tempi di realizzazione in linea con la scadenza del 2030 e coerenza con le regole e i requisiti europei per l’ammissibilità e la rendicontabilità delle spese (a partire dal principio del DNSH1). Le operazioni di trasferimento di interventi da fondi nazionali a fondi europei andrebbero in ogni caso realizzate con grande attenzione per evitare che facciano venire meno il carattere di addizionalità delle risorse per la coesione. A questo proposito, la Svimez ha segnalato l’opportunità di dare corretta attuazione all’articolo 51 bis del decreto-legge n. 13 del 2023, in base alla quale i rimborsi riconosciuti dalla Commissione europea a fronte di spese sostenute con risorse nazionali e rendicontate nell’ambito dei programmi cofinanziati dai fondi europei per la coesione devono essere trasferite sul conto corrente di tesoreria del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche. Si tratta di un meccanismo che assicura che i rimborsi europei derivanti da progetti retrospettivi (cioè investimenti originariamente coperti con risorse nazionali, ma che successivamente sono inseriti all’interno un programma Fesr essere rendicontati e finanziati con le risorse europee) siano riutilizzati per finalità proprie della coesione. Ai fini di consentire un’effettiva addizionalità, andrebbe poi assolutamente risolto, come proposto dalla Svimez, il problema della “doppia copertura” degli interventi che si spostano dal Fsc ai programmi europei. In queste circostanze, difatti, le amministrazioni titolari dei programmi spesso non procedono, nel momento in cui l’intervento transita tra i progetti selezionati e rendicontati sul Fesr, a cancellare l’impegno contabile sul Fsc. In definitiva, il complesso processo di riprogrammazione che tutti i programmi dovranno affrontare nell’ambito della nuova procedura di Riesame intermedio rende opportuno rilanciare l’attività di coordinamento centralizzato a cui è chiamata la Cabina di regia del Fondo per lo sviluppo e la coesione istituita dal decreto-legge n. 60 del 2024. Per quanto incentrata sull’urgenza di reindirizzare maggiori risorse verso i nuovi obiettivi strategici dell’Europa, la Proposta contiene non poche indicazioni su quelle che potrebbero essere le tendenze e le prospettive delle politiche di coesione dopo il 2027. La prima indicazione riguarda la quota di risorse che verrà assegnata alla coesione nel futuro Qfp 2028-2034. Su questo punto la Comunicazione è categorica: “nel prossimo Qfp il mantenimento dello status quo non è un’opzione percorribile”. Maggiori risorse verranno riservate alle rubriche che coprono le nuove priorità strategiche dell’Europa e la coesione vedrà con ogni probabilità ridursi le proprie disponibilità. Vi sarà sicuramente un serrato confronto su questo punto, ma l’attuale contesto economico e geopolitico a livello mondiale non giocano a favore della coesione. La seconda indicazione deriva dalla sistematica centralizzazione che caratterizza i) l’individuazione delle priorità strategiche su cui concentrare le risorse; ii) gli strumenti, gli interventi e gli investimenti con cui perseguire queste priorità; iii) i beneficiari delle risorse. Questa tendenza alla centralizzazione sottende a un approccio per molti versi antitetico al modello place-based, che sino ad ora ha riconosciuto un ruolo strategico agli attori presenti sui territori, e in particolare alle regioni, nell’individuare i fabbisogni e le priorità nell’utilizzo delle risorse per la coesione. La sfida della nuova politica di coesione sarà quella di rafforzare la complementarità degli obiettivi di rafforzamento della competitività europea con le finalità di riequilibrio nelle opportunità di sviluppo dei territori meno avanzati. Non va infine trascurata l’indicazione della Comunicazione che invita gli Stati membri a facilitare l’uso di modalità di f inanziamento degli interventi basate sulla performance. Si tratta di una indicazione coerente con analoghe indicazioni contenute sia nel rapporto dell’High-level group on the future of cohesion del febbraio 2024 che nelle Conclusioni del Consiglio europeo sul futuro della politica di coesione del 30 novembre 2023. In questo quadro, l’esigenza di “rafforzare l’approccio territoriale degli investimenti”, prevedendo al contempo un “approccio maggiormente basato sui risultati”, richiederebbe un coinvolgimento diretto delle amministrazioni locali, a partire dai Comuni, nella governance della coesione, non disperdendo lo sforzo progettuale e attuativo determinato dall’esperienza del Pnrr. L’insieme di queste indicazioni, sulle quali la Svimez ha già espresso le proprie valutazioni, lasciano intendere come l’orientamento delle istituzioni europee sul futuro della coesione stia delineando una politica con meno dotazioni finanziarie, più agile nel funzionamento e nella governance, più mirata e dotata di priorità chiare strettamente legate a quelle strategiche dell’Unione e con un forte orientamento degli investimenti verso i risultati.

Si tratterebbe di cambiamenti rilevanti, con potenziali vantaggi in termini di efficienza, ma con anche rilevanti rischi di marginalizzazione delle politiche per la riduzione dei divari economici, sociali e territoriali nel quadro complessivo delle politiche europee. Di qui l’importanza, secondo la Svimez, di avviare da subito una riflessione anche a livello nazionale su quale posizione il nostro Paese dovrà sostenere nel momento in cui le proposte di regolazione e funzionamento del futuro ciclo di programmazione post 2027 diventeranno oggetto di negoziato a livello europeo.

SVIMEZ: NO A RIARMO CON FONDI COESIONE
BISOGNA RIDURRE I DIVARI TERRITORIALI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Serve una chiamata alle “armi” per ridurre i divari territoriali e sociali». È l’appello lanciato dalla Svimez, dicendo “no” all’utilizzo delle risorse di coesione per finanziare il Piano Rearm Eu.

Il piano, infatti, propone un utilizzo delle risorse della coesione inconciliabile con i suoi obiettivi di inclusione economica, sociale e territoriale. «La coesione – scrive la Svimez – rappresenta un pilastro costitutivo dell’Unione europea che non può essere indebolito di fronte ad ogni emergenza. Tuttavia, il basso tasso di spesa del ciclo 2021-2027 e il debole consenso politico intorno a questa politica potrebbe determinare, come avvenuto in passato, e nonostante le dichiarazioni di principio, una forte pressione della Commissione e delle stesse istituzioni nazionali per un loro utilizzo per investimenti nella difesa».

«Non basta, dunque – viene evidenziato – opporsi a tale proposta ma occorre prendere atto dell’urgenza di una profonda riforma che faccia i conti con i suoi «fallimenti» ma che sia in grado di valorizzarne il potenziale in termini di costruzione di un’Europa più inclusiva e competitiva».

La proposta è stata inviata lo scorso 4 marzo dalla presidente della Commissione Europea ai leader degli Stati membri, accompagnata da un Libro Bianco sul futuro delle Difesa Europea/Preparati al 2030 pubblicato il 20 marzo.  Tra le modalità di finanziamento del Piano è anche prevista la possibilità di riallocare i fondi e le risorse disponibili nel bilancio pluriennale 2021-2027, attualmente destinati ad altri scopi.

«La difesa comune rappresenta un tema cruciale e prioritario per l’Europa. Ma le risorse ad essa destinate – scrive la Svimez – sono ben lontane e difficilmente conciliabili con gli obiettivi di riduzione dei divari territoriali e sociali, a cui sono destinate le risorse per la coesione. Nonostante le istituzioni europee continuino a sottolineare il carattere strategico della coesione, essa viene costantemente utilizzata come fonte di finanziamento di ogni nuova iniziativa emergenziale».

Per l’Associazione, «a pagare il prezzo di una eccessiva flessibilità potrebbe essere uno dei principi cardine della politica di coesione: l’addizionalità delle sue risorse rispetto a quelle ordinarie».

«Tale principio stabilisce che i fondi europei non devono sostituire la spesa pubblica dei Paesi membri destinata ai medesimi obiettivi – ha ricordato la Svimez – ma aggiungersi a essa per potenziare ulteriormente gli investimenti. L’addizionalità delle risorse europee è già stata sacrificata in passato, quando in carenza di risorse aggiuntive, si è ricorso ai fondi della coesione per fronteggiare le situazioni di emergenza. Le modifiche legate alle varie emergenze che hanno minato non poco la “qualità” della spesa finale della Programmazione 2014-2020, molto più orientata verso le agevolazioni alle imprese piuttosto che alla riduzione dei divari infrastrutturali. Alla fine del ciclo, rispetto alla programmazione iniziale, si registra una notevole riduzione della percentuale di risorse (e di investimenti) destinate alla doppia transizione verde e digitale (- 33 %) e alle infrastrutture sociali (-24%).

«È proprio con questa consapevolezza che, nel dibattito europeo – si legge – è stato dato rilievo alla necessità di “non nuocere” alla coesione, attraverso un approccio coerente tra tutte le politiche dell’UE per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale. Si tratta di un punto ribadito anche nelle Conclusioni del Consiglio europeo del 30 novembre 2023, che raccomandano come il principio del “non nuocere” alla coesione debba essere tenuto in considerazione in tutte le politiche e iniziative dell’Unione. La proposta di Rearm EU mette, però, chiaramente in luce come tale principio rischi di essere nuovamente minato non appena appaiono nuove nubi emergenziali per l’Europa».

Al momento, la proposta si limita a enucleare gli incentivi all’utilizzo delle risorse della coesione: Eliminazione degli attuali divieti che impediscono l’utilizzo delle risorse per la coesione a supporto delle grandi imprese operanti nel settore della difesa. Si tratta di una deroga di estremo rilievo, dal momento che la possibilità di concedere agevolazioni alle grandi imprese attraverso i fondi per la coesione è sempre stata impedita dai regolamenti europei.

Inclusione all’interno delle tecnologie strategiche per l’Europa (Step) di tutta la gamma di tecnologie rilevanti per la difesa.

L’iniziativa Step è stata individuata come uno dei principali architravi per incentivare il reindirizzo delle risorse per la coesione verso interventi per la difesa comune inglobando all’interno delle Step tutta la gamma di tecnologie rilevanti per la difesa. Questi interventi potrebbero riguardare non solo le agevolazioni agli investimenti operabili con il Fesr ma anche le spese di apprendimento permanente, di istruzione e formazione finanziabili attraverso il Fondo sociale europeo plus (Fse+). Al riguardo, il Libro Bianco rimarca in diversi passaggi la necessità di promuovere skills and expertise nel settore della difesa.

Maggiori benefici finanziari, in termini di più elevati tassi di prefinanziamento e cofinanziamento, per le risorse riprogrammate a favore della difesa.

«A tal proposito – scrive ancora la Svimez – è plausibile che la Commissione proponga l’applicazione di meccanismi analoghi a quelli già previsti dall’iniziativa STEP: un prefinanziamento aggiuntivo del 30% e l’applicazione del tasso di cofinanziamento con risorse europee del 100% sugli investimenti dirottati a favore della difesa. La proposta costituirebbe un appetibile incentivo finanziario, dal momento che il maggior prefinanziamento comporta una riduzione del fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche, mentre il cofinanziamento al 100% consente di liberare le risorse nazionali attualmente impegnate sui fondi europei. In quest’ultimo caso, occorrerebbe tener cura del loro riutilizzo verso interventi coerenti con le priorità dei Programmi da cui provengono».

Per l’Associazione «le proposte di Rearm Europe non affrontano la questione dell’allocazione territoriale delle risorse della coesione riprogrammabili per la difesa, limitandosi unicamente a prevedere un’affermazione generale su come una più forte e resiliente industria europea della difesa possa promuovere lo sviluppo regionale. Le risorse dei fondi per la coesione sono difatti territorialmente distribuite secondo precisi criteri allocativi fondati sugli svantaggi regionali».

«Si tratta – viene spiegato – del principio fondante della coesione: tutte le precedenti iniziative di riprogrammazione emergenziale hanno sempre mantenuto l’originaria distribuzione territoriale delle risorse. Il mantenimento dell’originale chiave di riparto per risorse riprogrammate per la difesa andrebbe, invece, chiarita il prima possibile, dal momento che nel settore della difesa i criteri di allocazione di mezzi e investimenti tendono a seguire logiche ben diverse rispetto alla situazione socioeconomica dei territori. Una preoccupazione aggravata dalla considerazione che, come a differenza dell’iniziativa di Repower Eu, nella proposta di Rrearm Europe non è prevista una percentuale massima delle risorse della coesione riprogrammabili a favore della difesa.

La riprogrammazione delle risorse per la coesione a favore della difesa avviene esclusivamente su base volontaria, ma dovrà essere effettuata in concomitanza con la revisione di medio periodo dei Programmi 2021-2027.

«Si ricorda – si legge nel documento della Svimez – che la revisione di medio termine prevede che il 50% del contributo europeo per gli anni 2026 e 2027 (circa 50 miliardi) relativo ai Programmi di ciascuno Stato membro possa essere definitivamente assegnato solo dopo l’adozione, in seguito al riesame intermedio, di una apposita decisione da parte della Commissione europea. Ciò pone la Commissione in una oggettiva posizione di forza ai fini delle modifiche ai Programmi necessarie per ottenerne l’approvazione definitiva e l’assegnazione delle ultime tranche di risorse. Non è pertanto da escludere che, in situazioni di oggettiva assenza di efficacia e/o di difficoltà attuativa dei Programmi, la Commissione possa essere in grado di esercitare azioni persuasive per un loro utilizzo che comprenda gli investimenti per la difesa. Soprattutto per l’Italia considerato che al 31 dicembre 2024 la percentuale di spesa della programmazione 2021-2027 è di appena il 4%, e l’importo impegnato pari al 25%».

Le incognite sulla revisione di medio periodo e di una riprogrammazione potenzialmente incoerente con gli obiettivi di inclusione e addizionalità sollevano nuovi dubbi sulla tenuta del principio del “non nuocere” alla coesione.

Secondo la Svimez, «questa tendenza può essere invertita solo attraverso una profonda revisione dell’impostazione generale e delle modalità di organizzazione e funzionamento della politica di coesione. Una revisione che consenta di superare gli oramai evidenti limiti dell’attuale impostazione, e che rimetta tale politica al centro del modello di sviluppo sociale ed economico del continente europeo, riorientandola verso obiettivi di riduzione dei divari regionali, la cui strategicità possa essere immediatamente compresa, condivisa e verificata da cittadini e territori».

«Un focus deciso su obiettivi di riduzione dei “divari di cittadinanza” omogenei in tutti i territori appare un passaggio cruciale – viene sottolineato – affinché le politiche di coesione possano trovare fattivamente sostegno e supporto “dal basso. Obiettivi chiari e verificabili in tema di diritto all’istruzione, all’assistenza, alla mobilità e alla salute renderebbero sicuramente meno attaccabili e più stabili le risorse ad essi destinate. In questo quadro, un approccio orientato ai risultati richiederebbe una maggiore responsabilità europea nella definizione degli obiettivi che deve accompagnarsi ad un coinvolgimento diretto delle amministrazioni locali, a partire dai Comuni, nella realizzazione dei target, non disperdendo lo sforzo progettuale e attuativo determinato dall’esperienza del Pnrr».

La definizione di obiettivi chiari, misurabili e verificabili, assieme al focus sui servizi “di prossimità” legati alla cittadinanza risulterebbe idonea a destare un’attenzione e un interesse maggiore da parte delle comunità locali nei confronti dei fondi europei e, conseguentemente, un monitoraggio civico sul raggiungimento dei risultati. Tutto ciò porrebbe le basi per un sostanziale miglioramento della percezione e della valutazione delle politiche di coesione da parte dei cittadini, avvicinandoli a comprenderne l’utilità e il valore.

«Questo passaggio, apparentemente non strategico – spiega la Svimez – rappresenta in realtà uno snodo essenziale per creare una constituency, oggi assente per le politiche di coesione, che le sostenga e difenda in sede europea. Una constituency che si attiverebbe solo laddove il trasferimento delle risorse della coesione verso altre finalità dovesse mettere a rischio l’attuazione di misure atte a raggiungere obiettivi essenziali per le comunità locali».

«La riduzione dei divari di cittadinanza – viene sottolineato – dovrebbe essere inoltre accompagnata dal ruolo centrale da assegnare alle politiche di coesione per favorire la localizzazione degli investimenti (pubblici e privati) nelle regioni meno sviluppate, al fine di consolidare e potenziare tutti settori strategici della nuova politica industriale europea delineata dal Piano Draghi, non solo al settore della difesa. Se l’attuale dibattito tecnico e politico sulla politica industriale europea risulta carente per quanto concerne la dimensione territoriale, la centralità della politica industriale all’interno della politica di coesione è l’unica strategia per restituire un’adeguata rilevanza alle specificità e potenzialità regionali».

«Si tratterebbe di passare dall’attuale approccio, che vede la destinazione di agevolazioni alle imprese come la più semplice modalità per risolvere problemi e lentezze di attuazione dei Programmi, e che da sempre induce a riprogrammazioni a favore di generici sussidi orizzontali “a pioggia” – conclude la Svimez – ad una impostazione strategica coerente con gli indirizzi di politica industriale europea per l’individuazione di settori industriali di traino, e le modalità con cui sostenerli». (am)

Fondi per la Coesione, la ministra Carfagna firma accordo di Partenariato: Oltre 31 mld al Mezzogiorno

Sono oltre 31 miliardi, le risorse dei Fondi Coesione destinati al Mezzogiorno. Lo ha reso noto la ministra per il Sud, Mara Carfagna, a seguito della firma dell’Accordo di Paternariato atto a orientare gli investimenti dei Fondi Strutturali Europei, che sono in totale 43 miliardi.

«Si tratta – ha spiegato la ministra – della cifra più alta mai assegnata al nostro Paese, circa il 22% in più rispetto al ciclo di programmazione precedente. A questi vanno aggiunte risorse nazionali per oltre 32 miliardi di euro – anche queste incrementate di oltre il 6% rispetto al passato – che portano il totale degli investimenti a oltre 75 miliardi di euro tra fondi europei e quota di cofinanziamento nazionale. Sono risorse aggiuntive rispetto a quelle del Pnrr e a quelle del Fondo Nazionale per lo Sviluppo e la Coesione».

Insieme alla ministra, la commissaria europea per la Coesione e le Riforme, Elisa Ferreira

In particolare, al netto della quota riservata alla Cooperazione Territoriale Europea, alle regioni meno sviluppate sono destinati 46,5 miliardi di euro (63%), alle regioni più sviluppate 23,8 miliardi di euro (32%) e alle regioni in transizione 3,6 miliardi (5%).

Tra le novità del nuovo Accordo di Partenariato ci sono il PN Salute, l’estensione del PN Metro alle città medie del Mezzogiorno per la riqualificazione delle periferie, l’uso di fondi per l’assunzione di nuove professionalità nella pubblica amministrazione, la fortissima concentrazione di risorse sugli obiettivi della transizione ecologica e digitale.

Il ministro Carfagna ha sottolineato anche «un’altra novità assoluta: Affidiamo all’Agenzia per la Coesione Territoriale poteri di affiancamento ed anche di sostituzione degli enti che per qualunque ragione dovessero risultare inadempienti. In questo modo estendiamo ai fondi strutturali il ‘metodo Pnrr’, nella consapevolezza che per il Paese si apre una enorme e straordinaria opportunità, dovuta alla coincidenza tra Pnrr e nuovo ciclo di programmazione, opportunità che non possiamo assolutamente sprecare». (rrm)

Fondi Coesione, PD: Gravi le accuse di Loizzo, sia fatta chiarezza

I consiglieri regionali del Partito Democratico, Mimmo Bevacqua, Ernesto Alecci, Franco Iacucci, Nicola Irto e Raffaele Mammoliti, hanno definito «gravi» le accuse mosse dalla consigliera regionale della Lega, Simona Loizzo sui progetti finanziati dal Fondo Coesione territoriale.

«Le parole della collega Loizzo non sono certo lievi – hanno spiegato – oltre a denunciare scarsa chiarezza e trasparenza, si spinge fino a prospettare “sospetti circa l’adozione di criteri di natura clientelare». 

«Dinanzi a tali gravi accuse – hanno proseguito i consiglieri regionali del Pd – crediamo sia dovere dell’intero Consiglio regionale chiedere a entrambi i contendenti di fare chiarezza. Perché, delle due l’una: o la Lega gioca a conquistare un poco di visibilità, distorcendo però, a proprio piacimento, la funzione degli strumenti istituzionali; oppure bisogna prenderla sul serio quando si riferisce a un iter “oggettivamente oscuro e opaco”». 

«A noi, gruppo Pd – è stato rimarcato – interessa ben poco delle beghe interne: ma delle risorse destinate ai Comuni calabresi ci interessa parecchio e la questione non può essere archiviata con una un’alzata di spalle. Anche perché sul fondo di coesione sociale e territoriale esistono molte risorse finanziare in capo alla regione ancora non spese che forse é il caso di riprogrammare per consentire lo scorrimento della graduatoria CIS». 

«Noi siamo pronti – hanno concluso – a sostenere una simile ipotesi consapevoli della bontà dei progetti messi in campo dai comuni oggi esclusi e che meritano la doverosa attenzione da parte delle istituzioni preposte». (rrc)

Biondo (Uil Calabria): Inaccettabile il rischio di restituzione a Europa dei Fondi Coesione

Il segretario regionale di Uil CalabriaSanto Biondo, ha rimarcato che «il paventato rischio di restituzione all’Europa dei finanziamenti del Fondo sociale di coesione è inaccettabile. Se questi fondi non dovessero trasformarsi in opere concrete si realizzerebbe una doppia contraddizione, in quanto quella coesione tanto ricercata non verrebbe realizzata tanto nei fatti quanto nelle parole».

«Mettendo da parte le polemiche sterili – ha aggiunto – che non ci sono mai appartenute, crediamo sia determinante trovare i corretti giusti e applicarli tempestivamente per rendere alla Calabria il giusto servizio. Siamo convinti, infatti, che piuttosto di non spenderli e, nella peggiore delle ipotesi, restituirli all’Europa, per mettere a frutto questi fondi la Regione debba dare corpo, coinvolgendo le parti sociali e le amministrazioni comunali calabresi, un piano per il rilancio dell’occupazione e il potenziamento del welfare fondato su due punti: l’incentivo all’occupazione di qualità e il potenziamento della legge sulla non autosufficienza».

«Partiamo dal lavoro – ha illustrato –. I dati occupazionali relegano la Calabria agli ultimi posti, fra le regioni italiane e non solo, per percentuale di donne, uomini e giovani attivi. Un dato, purtroppo, drammaticamente accentuato dalle ricadute economiche e sociali della pandemia da Covid-19. Per l’Eurostat in Calabria lavorano solo quattro giovani su dieci, facendo registrare uno dei tassi di disoccupazione più alti che si è attestato al 37%. Peggio di noi fanno la Sicilia, la Campania, la regione spagnola di Ceuta (56%), le regioni greche della Macedonia orientale, Tracia (45%) e Macedonia occidentale (42%) e ancora la spagnola Melilla (42%)».

«Questi dati, con la loro triste oggettività – ha proseguito – ci dicono che non c’è più tempo da perdere, che la Calabria – in tema di politiche del lavoro – deve voltare pagina e ricercare soluzioni efficaci. Così, in primis sarebbe necessario dare corso ad una politica di concreta defiscalizzazione del lavoro, così da liberare risorse e consentire alle aziende sane, che sono tante sul nostro territorio, di ricercare e assumere lavoratrici e lavoratori accuratamente formati. Questo inciso, naturalmente, apre il ragionamento sulla formazione professionale e sul valore che essa assume nel territorio regionale. Solo una lavoratrice formata, solo un lavoratore formato può diventare un valore aggiunto per la crescita economica dell’azienda presso la quale lavora e per tutto il tessuto produttivo regionale».

«Tutto ciò – ha detto ancora – inserito nel contesto di un piano industriale rinnovato ed operativo e di politiche attive del lavoro realmente produttive, potrebbe rappresentare la chiave di volta della Calabria. Naturalmente, chi amministra la cosa pubblica in Calabria non può dimenticarsi di quella grossa fetta di popolazione inattiva che risiede sul territorio regionale. Le anziane e gli anziani, spesso considerati dal Governo come veri e propri bancomat, non possono essere lasciati da soli. Le ricadute della pandemia da Covid-19 sono state pesantissime su questa numerosa platea, segnata da numerosi lutti, con le famiglie in enorme difficoltà nella gestione quotidiana dei propri parenti in età avanzata».

«Di fronte a questa drammatica situazione – ha spiegato – sosteniamo che sia indispensabile approvare una Legge quadro nazionale per la non autosufficienza, e di farlo oggi anche utilizzando i fondi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.  In Calabria, poi, si sente forte l’esigenza di un potenziamento finanziario della legge esistente che, a causa della disattenzione della classe politica, sino ad oggi non ha potuto dispiegare i propri effetti benefici».

«Ma non solo – ha detto –. In questo territorio appare necessario assicurare l’assistenza alle persone non autosufficienti prioritariamente nel proprio contesto di vita e promuovere la vita indipendente delle persone non autosufficienti e con disabilità, investendo decisamente nell’assistenza sociosanitaria domiciliare e semiresidenziale con investimenti nella robotica e domotica. E, ancora, nell’ottica di una razionalizzazione della rete di assistenza del Servizio sanitario regionale, promuovere strutture di prossimità ed intermedie (del tipo case della salute, Ospedali di comunità) dove collaborano tutti i professionisti della sanità e del sociale».

«Per realizzare tutto ciò  – ha concluso – è indispensabile un quadro di riferimento legislativo ed istituzionale nazionale, fondato su un costante coordinamento degli indirizzi normativi e degli atti di programmazione, tra il ministero della Salute, quello del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Dipartimento disabilità, la Conferenza delle Regioni e l’Anci. Siamo convinti, infine, che vada prevista la partecipazione delle organizzazioni sindacali e associazioni sociali nei processi di governance a tutti i livelli del sistema di assistenza per la non autosufficienza». (rrm)

Fondi Coesione, Occhiuto: Voglio provare a convogliare risorse nel Contratto Interistituzionale di sviluppo

È un obiettivo ambizioso, quello del presidente della Regione, Roberto Occhiuto, che vuole tentare di convogliare le risorse del Fondo Coesione «in un Contratto interistituzionale di sviluppo, in modo che le stesse possano essere utilizzabili anche nei prossimi anni».

Il Governatore, infatti, ha riferito che «in seguito ad accurate analisi fatte dal Ministero per il Sud e la coesione territoriale sono emersi fatti che devono far riflettere: la Calabria negli ultimi 20 anni, dal 2000 ad oggi, non ha speso – o non ha comunicato la spesa al governo – cospicue risorse dei Fondi assegnati dallo Stato. È una storia che si ripete e che, purtroppo, abbiamo imparato a conoscere negli scorsi decenni: le Regioni del Sud al palo, con una burocrazia non all’altezza e troppo spesso incapace di utilizzare i fondi europei e nazionali.
Ma in questo caso è in ballo una cifra davvero impressionante: si sfiorano 1 miliardo e 100 milioni di euro».

«Naturalmente – ha spiegato ancora – la responsabilità non è da ascrivere, se non in minima parte, all’attuale struttura amministrativa, ma evidentemente ad un sistema perverso di inefficienze che è andato avanti negli anni, nell’immobilismo della politica, di destra e di sinistra.
Per queste ragioni oggi ho riunito tutti i direttori generali della Regione. Un momento di incontro e confronto che si è reso necessario a seguito di questa notizia. Dobbiamo capire innanzitutto se il report del Ministero coincida con i numeri reali della spesa regionale: come detto, potrebbero verificarsi situazioni nelle quali le risorse siano state effettivamente spese, ma non comunicate correttamente a Roma.
Ho chiesto, dunque, a tutti i direttori generali di effettuare un veloce monitoraggio dello stato dell’arte e di presentarmi, entro metà della prossima settimana, un piano nel quale siano esplicitate le risorse spese e quelle non utilizzate che possono – con certezza – essere avviate ad esecuzione entro la fine dell’anno».

«Ho parlato di tutto questo – ha proseguito – qualche giorno fa con il ministro Mara Carfagna. La nostra Regione – questo quanto emerso dalla mia interlocuzione con il governo – rischia di perdere per sempre i fondi che non verranno utilizzati per intero entro la fine del 2022.
Ho, quindi, intrapreso una trattativa con l’esecutivo nazionale per cercare di salvare i soldi effettivamente non spesi e che la Calabria non riuscirà a mettere in cantiere nei prossimi 10 mesi. Voglio provare a convogliare le risorse in un Contratto interistituzionale di sviluppo, in modo che le stesse possano essere utilizzabili anche nei prossimi anni».

«Spero di riuscire – ha concluso – a condurre in porto questa delicata operazione. Non possiamo permetterci di perdere neanche un euro messo a nostra disposizione». (rcz)