SVIMEZ: NO A RIARMO CON FONDI COESIONE
BISOGNA RIDURRE I DIVARI TERRITORIALI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Serve una chiamata alle “armi” per ridurre i divari territoriali e sociali». È l’appello lanciato dalla Svimez, dicendo “no” all’utilizzo delle risorse di coesione per finanziare il Piano Rearm Eu.

Il piano, infatti, propone un utilizzo delle risorse della coesione inconciliabile con i suoi obiettivi di inclusione economica, sociale e territoriale. «La coesione – scrive la Svimez – rappresenta un pilastro costitutivo dell’Unione europea che non può essere indebolito di fronte ad ogni emergenza. Tuttavia, il basso tasso di spesa del ciclo 2021-2027 e il debole consenso politico intorno a questa politica potrebbe determinare, come avvenuto in passato, e nonostante le dichiarazioni di principio, una forte pressione della Commissione e delle stesse istituzioni nazionali per un loro utilizzo per investimenti nella difesa».

«Non basta, dunque – viene evidenziato – opporsi a tale proposta ma occorre prendere atto dell’urgenza di una profonda riforma che faccia i conti con i suoi «fallimenti» ma che sia in grado di valorizzarne il potenziale in termini di costruzione di un’Europa più inclusiva e competitiva».

La proposta è stata inviata lo scorso 4 marzo dalla presidente della Commissione Europea ai leader degli Stati membri, accompagnata da un Libro Bianco sul futuro delle Difesa Europea/Preparati al 2030 pubblicato il 20 marzo.  Tra le modalità di finanziamento del Piano è anche prevista la possibilità di riallocare i fondi e le risorse disponibili nel bilancio pluriennale 2021-2027, attualmente destinati ad altri scopi.

«La difesa comune rappresenta un tema cruciale e prioritario per l’Europa. Ma le risorse ad essa destinate – scrive la Svimez – sono ben lontane e difficilmente conciliabili con gli obiettivi di riduzione dei divari territoriali e sociali, a cui sono destinate le risorse per la coesione. Nonostante le istituzioni europee continuino a sottolineare il carattere strategico della coesione, essa viene costantemente utilizzata come fonte di finanziamento di ogni nuova iniziativa emergenziale».

Per l’Associazione, «a pagare il prezzo di una eccessiva flessibilità potrebbe essere uno dei principi cardine della politica di coesione: l’addizionalità delle sue risorse rispetto a quelle ordinarie».

«Tale principio stabilisce che i fondi europei non devono sostituire la spesa pubblica dei Paesi membri destinata ai medesimi obiettivi – ha ricordato la Svimez – ma aggiungersi a essa per potenziare ulteriormente gli investimenti. L’addizionalità delle risorse europee è già stata sacrificata in passato, quando in carenza di risorse aggiuntive, si è ricorso ai fondi della coesione per fronteggiare le situazioni di emergenza. Le modifiche legate alle varie emergenze che hanno minato non poco la “qualità” della spesa finale della Programmazione 2014-2020, molto più orientata verso le agevolazioni alle imprese piuttosto che alla riduzione dei divari infrastrutturali. Alla fine del ciclo, rispetto alla programmazione iniziale, si registra una notevole riduzione della percentuale di risorse (e di investimenti) destinate alla doppia transizione verde e digitale (- 33 %) e alle infrastrutture sociali (-24%).

«È proprio con questa consapevolezza che, nel dibattito europeo – si legge – è stato dato rilievo alla necessità di “non nuocere” alla coesione, attraverso un approccio coerente tra tutte le politiche dell’UE per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale. Si tratta di un punto ribadito anche nelle Conclusioni del Consiglio europeo del 30 novembre 2023, che raccomandano come il principio del “non nuocere” alla coesione debba essere tenuto in considerazione in tutte le politiche e iniziative dell’Unione. La proposta di Rearm EU mette, però, chiaramente in luce come tale principio rischi di essere nuovamente minato non appena appaiono nuove nubi emergenziali per l’Europa».

Al momento, la proposta si limita a enucleare gli incentivi all’utilizzo delle risorse della coesione: Eliminazione degli attuali divieti che impediscono l’utilizzo delle risorse per la coesione a supporto delle grandi imprese operanti nel settore della difesa. Si tratta di una deroga di estremo rilievo, dal momento che la possibilità di concedere agevolazioni alle grandi imprese attraverso i fondi per la coesione è sempre stata impedita dai regolamenti europei.

Inclusione all’interno delle tecnologie strategiche per l’Europa (Step) di tutta la gamma di tecnologie rilevanti per la difesa.

L’iniziativa Step è stata individuata come uno dei principali architravi per incentivare il reindirizzo delle risorse per la coesione verso interventi per la difesa comune inglobando all’interno delle Step tutta la gamma di tecnologie rilevanti per la difesa. Questi interventi potrebbero riguardare non solo le agevolazioni agli investimenti operabili con il Fesr ma anche le spese di apprendimento permanente, di istruzione e formazione finanziabili attraverso il Fondo sociale europeo plus (Fse+). Al riguardo, il Libro Bianco rimarca in diversi passaggi la necessità di promuovere skills and expertise nel settore della difesa.

Maggiori benefici finanziari, in termini di più elevati tassi di prefinanziamento e cofinanziamento, per le risorse riprogrammate a favore della difesa.

«A tal proposito – scrive ancora la Svimez – è plausibile che la Commissione proponga l’applicazione di meccanismi analoghi a quelli già previsti dall’iniziativa STEP: un prefinanziamento aggiuntivo del 30% e l’applicazione del tasso di cofinanziamento con risorse europee del 100% sugli investimenti dirottati a favore della difesa. La proposta costituirebbe un appetibile incentivo finanziario, dal momento che il maggior prefinanziamento comporta una riduzione del fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche, mentre il cofinanziamento al 100% consente di liberare le risorse nazionali attualmente impegnate sui fondi europei. In quest’ultimo caso, occorrerebbe tener cura del loro riutilizzo verso interventi coerenti con le priorità dei Programmi da cui provengono».

Per l’Associazione «le proposte di Rearm Europe non affrontano la questione dell’allocazione territoriale delle risorse della coesione riprogrammabili per la difesa, limitandosi unicamente a prevedere un’affermazione generale su come una più forte e resiliente industria europea della difesa possa promuovere lo sviluppo regionale. Le risorse dei fondi per la coesione sono difatti territorialmente distribuite secondo precisi criteri allocativi fondati sugli svantaggi regionali».

«Si tratta – viene spiegato – del principio fondante della coesione: tutte le precedenti iniziative di riprogrammazione emergenziale hanno sempre mantenuto l’originaria distribuzione territoriale delle risorse. Il mantenimento dell’originale chiave di riparto per risorse riprogrammate per la difesa andrebbe, invece, chiarita il prima possibile, dal momento che nel settore della difesa i criteri di allocazione di mezzi e investimenti tendono a seguire logiche ben diverse rispetto alla situazione socioeconomica dei territori. Una preoccupazione aggravata dalla considerazione che, come a differenza dell’iniziativa di Repower Eu, nella proposta di Rrearm Europe non è prevista una percentuale massima delle risorse della coesione riprogrammabili a favore della difesa.

La riprogrammazione delle risorse per la coesione a favore della difesa avviene esclusivamente su base volontaria, ma dovrà essere effettuata in concomitanza con la revisione di medio periodo dei Programmi 2021-2027.

«Si ricorda – si legge nel documento della Svimez – che la revisione di medio termine prevede che il 50% del contributo europeo per gli anni 2026 e 2027 (circa 50 miliardi) relativo ai Programmi di ciascuno Stato membro possa essere definitivamente assegnato solo dopo l’adozione, in seguito al riesame intermedio, di una apposita decisione da parte della Commissione europea. Ciò pone la Commissione in una oggettiva posizione di forza ai fini delle modifiche ai Programmi necessarie per ottenerne l’approvazione definitiva e l’assegnazione delle ultime tranche di risorse. Non è pertanto da escludere che, in situazioni di oggettiva assenza di efficacia e/o di difficoltà attuativa dei Programmi, la Commissione possa essere in grado di esercitare azioni persuasive per un loro utilizzo che comprenda gli investimenti per la difesa. Soprattutto per l’Italia considerato che al 31 dicembre 2024 la percentuale di spesa della programmazione 2021-2027 è di appena il 4%, e l’importo impegnato pari al 25%».

Le incognite sulla revisione di medio periodo e di una riprogrammazione potenzialmente incoerente con gli obiettivi di inclusione e addizionalità sollevano nuovi dubbi sulla tenuta del principio del “non nuocere” alla coesione.

Secondo la Svimez, «questa tendenza può essere invertita solo attraverso una profonda revisione dell’impostazione generale e delle modalità di organizzazione e funzionamento della politica di coesione. Una revisione che consenta di superare gli oramai evidenti limiti dell’attuale impostazione, e che rimetta tale politica al centro del modello di sviluppo sociale ed economico del continente europeo, riorientandola verso obiettivi di riduzione dei divari regionali, la cui strategicità possa essere immediatamente compresa, condivisa e verificata da cittadini e territori».

«Un focus deciso su obiettivi di riduzione dei “divari di cittadinanza” omogenei in tutti i territori appare un passaggio cruciale – viene sottolineato – affinché le politiche di coesione possano trovare fattivamente sostegno e supporto “dal basso. Obiettivi chiari e verificabili in tema di diritto all’istruzione, all’assistenza, alla mobilità e alla salute renderebbero sicuramente meno attaccabili e più stabili le risorse ad essi destinate. In questo quadro, un approccio orientato ai risultati richiederebbe una maggiore responsabilità europea nella definizione degli obiettivi che deve accompagnarsi ad un coinvolgimento diretto delle amministrazioni locali, a partire dai Comuni, nella realizzazione dei target, non disperdendo lo sforzo progettuale e attuativo determinato dall’esperienza del Pnrr».

La definizione di obiettivi chiari, misurabili e verificabili, assieme al focus sui servizi “di prossimità” legati alla cittadinanza risulterebbe idonea a destare un’attenzione e un interesse maggiore da parte delle comunità locali nei confronti dei fondi europei e, conseguentemente, un monitoraggio civico sul raggiungimento dei risultati. Tutto ciò porrebbe le basi per un sostanziale miglioramento della percezione e della valutazione delle politiche di coesione da parte dei cittadini, avvicinandoli a comprenderne l’utilità e il valore.

«Questo passaggio, apparentemente non strategico – spiega la Svimez – rappresenta in realtà uno snodo essenziale per creare una constituency, oggi assente per le politiche di coesione, che le sostenga e difenda in sede europea. Una constituency che si attiverebbe solo laddove il trasferimento delle risorse della coesione verso altre finalità dovesse mettere a rischio l’attuazione di misure atte a raggiungere obiettivi essenziali per le comunità locali».

«La riduzione dei divari di cittadinanza – viene sottolineato – dovrebbe essere inoltre accompagnata dal ruolo centrale da assegnare alle politiche di coesione per favorire la localizzazione degli investimenti (pubblici e privati) nelle regioni meno sviluppate, al fine di consolidare e potenziare tutti settori strategici della nuova politica industriale europea delineata dal Piano Draghi, non solo al settore della difesa. Se l’attuale dibattito tecnico e politico sulla politica industriale europea risulta carente per quanto concerne la dimensione territoriale, la centralità della politica industriale all’interno della politica di coesione è l’unica strategia per restituire un’adeguata rilevanza alle specificità e potenzialità regionali».

«Si tratterebbe di passare dall’attuale approccio, che vede la destinazione di agevolazioni alle imprese come la più semplice modalità per risolvere problemi e lentezze di attuazione dei Programmi, e che da sempre induce a riprogrammazioni a favore di generici sussidi orizzontali “a pioggia” – conclude la Svimez – ad una impostazione strategica coerente con gli indirizzi di politica industriale europea per l’individuazione di settori industriali di traino, e le modalità con cui sostenerli». (am)

Fondi per la Coesione, la ministra Carfagna firma accordo di Partenariato: Oltre 31 mld al Mezzogiorno

Sono oltre 31 miliardi, le risorse dei Fondi Coesione destinati al Mezzogiorno. Lo ha reso noto la ministra per il Sud, Mara Carfagna, a seguito della firma dell’Accordo di Paternariato atto a orientare gli investimenti dei Fondi Strutturali Europei, che sono in totale 43 miliardi.

«Si tratta – ha spiegato la ministra – della cifra più alta mai assegnata al nostro Paese, circa il 22% in più rispetto al ciclo di programmazione precedente. A questi vanno aggiunte risorse nazionali per oltre 32 miliardi di euro – anche queste incrementate di oltre il 6% rispetto al passato – che portano il totale degli investimenti a oltre 75 miliardi di euro tra fondi europei e quota di cofinanziamento nazionale. Sono risorse aggiuntive rispetto a quelle del Pnrr e a quelle del Fondo Nazionale per lo Sviluppo e la Coesione».

Insieme alla ministra, la commissaria europea per la Coesione e le Riforme, Elisa Ferreira

In particolare, al netto della quota riservata alla Cooperazione Territoriale Europea, alle regioni meno sviluppate sono destinati 46,5 miliardi di euro (63%), alle regioni più sviluppate 23,8 miliardi di euro (32%) e alle regioni in transizione 3,6 miliardi (5%).

Tra le novità del nuovo Accordo di Partenariato ci sono il PN Salute, l’estensione del PN Metro alle città medie del Mezzogiorno per la riqualificazione delle periferie, l’uso di fondi per l’assunzione di nuove professionalità nella pubblica amministrazione, la fortissima concentrazione di risorse sugli obiettivi della transizione ecologica e digitale.

Il ministro Carfagna ha sottolineato anche «un’altra novità assoluta: Affidiamo all’Agenzia per la Coesione Territoriale poteri di affiancamento ed anche di sostituzione degli enti che per qualunque ragione dovessero risultare inadempienti. In questo modo estendiamo ai fondi strutturali il ‘metodo Pnrr’, nella consapevolezza che per il Paese si apre una enorme e straordinaria opportunità, dovuta alla coincidenza tra Pnrr e nuovo ciclo di programmazione, opportunità che non possiamo assolutamente sprecare». (rrm)

Fondi Coesione, PD: Gravi le accuse di Loizzo, sia fatta chiarezza

I consiglieri regionali del Partito Democratico, Mimmo Bevacqua, Ernesto Alecci, Franco Iacucci, Nicola Irto e Raffaele Mammoliti, hanno definito «gravi» le accuse mosse dalla consigliera regionale della Lega, Simona Loizzo sui progetti finanziati dal Fondo Coesione territoriale.

«Le parole della collega Loizzo non sono certo lievi – hanno spiegato – oltre a denunciare scarsa chiarezza e trasparenza, si spinge fino a prospettare “sospetti circa l’adozione di criteri di natura clientelare». 

«Dinanzi a tali gravi accuse – hanno proseguito i consiglieri regionali del Pd – crediamo sia dovere dell’intero Consiglio regionale chiedere a entrambi i contendenti di fare chiarezza. Perché, delle due l’una: o la Lega gioca a conquistare un poco di visibilità, distorcendo però, a proprio piacimento, la funzione degli strumenti istituzionali; oppure bisogna prenderla sul serio quando si riferisce a un iter “oggettivamente oscuro e opaco”». 

«A noi, gruppo Pd – è stato rimarcato – interessa ben poco delle beghe interne: ma delle risorse destinate ai Comuni calabresi ci interessa parecchio e la questione non può essere archiviata con una un’alzata di spalle. Anche perché sul fondo di coesione sociale e territoriale esistono molte risorse finanziare in capo alla regione ancora non spese che forse é il caso di riprogrammare per consentire lo scorrimento della graduatoria CIS». 

«Noi siamo pronti – hanno concluso – a sostenere una simile ipotesi consapevoli della bontà dei progetti messi in campo dai comuni oggi esclusi e che meritano la doverosa attenzione da parte delle istituzioni preposte». (rrc)

Biondo (Uil Calabria): Inaccettabile il rischio di restituzione a Europa dei Fondi Coesione

Il segretario regionale di Uil CalabriaSanto Biondo, ha rimarcato che «il paventato rischio di restituzione all’Europa dei finanziamenti del Fondo sociale di coesione è inaccettabile. Se questi fondi non dovessero trasformarsi in opere concrete si realizzerebbe una doppia contraddizione, in quanto quella coesione tanto ricercata non verrebbe realizzata tanto nei fatti quanto nelle parole».

«Mettendo da parte le polemiche sterili – ha aggiunto – che non ci sono mai appartenute, crediamo sia determinante trovare i corretti giusti e applicarli tempestivamente per rendere alla Calabria il giusto servizio. Siamo convinti, infatti, che piuttosto di non spenderli e, nella peggiore delle ipotesi, restituirli all’Europa, per mettere a frutto questi fondi la Regione debba dare corpo, coinvolgendo le parti sociali e le amministrazioni comunali calabresi, un piano per il rilancio dell’occupazione e il potenziamento del welfare fondato su due punti: l’incentivo all’occupazione di qualità e il potenziamento della legge sulla non autosufficienza».

«Partiamo dal lavoro – ha illustrato –. I dati occupazionali relegano la Calabria agli ultimi posti, fra le regioni italiane e non solo, per percentuale di donne, uomini e giovani attivi. Un dato, purtroppo, drammaticamente accentuato dalle ricadute economiche e sociali della pandemia da Covid-19. Per l’Eurostat in Calabria lavorano solo quattro giovani su dieci, facendo registrare uno dei tassi di disoccupazione più alti che si è attestato al 37%. Peggio di noi fanno la Sicilia, la Campania, la regione spagnola di Ceuta (56%), le regioni greche della Macedonia orientale, Tracia (45%) e Macedonia occidentale (42%) e ancora la spagnola Melilla (42%)».

«Questi dati, con la loro triste oggettività – ha proseguito – ci dicono che non c’è più tempo da perdere, che la Calabria – in tema di politiche del lavoro – deve voltare pagina e ricercare soluzioni efficaci. Così, in primis sarebbe necessario dare corso ad una politica di concreta defiscalizzazione del lavoro, così da liberare risorse e consentire alle aziende sane, che sono tante sul nostro territorio, di ricercare e assumere lavoratrici e lavoratori accuratamente formati. Questo inciso, naturalmente, apre il ragionamento sulla formazione professionale e sul valore che essa assume nel territorio regionale. Solo una lavoratrice formata, solo un lavoratore formato può diventare un valore aggiunto per la crescita economica dell’azienda presso la quale lavora e per tutto il tessuto produttivo regionale».

«Tutto ciò – ha detto ancora – inserito nel contesto di un piano industriale rinnovato ed operativo e di politiche attive del lavoro realmente produttive, potrebbe rappresentare la chiave di volta della Calabria. Naturalmente, chi amministra la cosa pubblica in Calabria non può dimenticarsi di quella grossa fetta di popolazione inattiva che risiede sul territorio regionale. Le anziane e gli anziani, spesso considerati dal Governo come veri e propri bancomat, non possono essere lasciati da soli. Le ricadute della pandemia da Covid-19 sono state pesantissime su questa numerosa platea, segnata da numerosi lutti, con le famiglie in enorme difficoltà nella gestione quotidiana dei propri parenti in età avanzata».

«Di fronte a questa drammatica situazione – ha spiegato – sosteniamo che sia indispensabile approvare una Legge quadro nazionale per la non autosufficienza, e di farlo oggi anche utilizzando i fondi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.  In Calabria, poi, si sente forte l’esigenza di un potenziamento finanziario della legge esistente che, a causa della disattenzione della classe politica, sino ad oggi non ha potuto dispiegare i propri effetti benefici».

«Ma non solo – ha detto –. In questo territorio appare necessario assicurare l’assistenza alle persone non autosufficienti prioritariamente nel proprio contesto di vita e promuovere la vita indipendente delle persone non autosufficienti e con disabilità, investendo decisamente nell’assistenza sociosanitaria domiciliare e semiresidenziale con investimenti nella robotica e domotica. E, ancora, nell’ottica di una razionalizzazione della rete di assistenza del Servizio sanitario regionale, promuovere strutture di prossimità ed intermedie (del tipo case della salute, Ospedali di comunità) dove collaborano tutti i professionisti della sanità e del sociale».

«Per realizzare tutto ciò  – ha concluso – è indispensabile un quadro di riferimento legislativo ed istituzionale nazionale, fondato su un costante coordinamento degli indirizzi normativi e degli atti di programmazione, tra il ministero della Salute, quello del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Dipartimento disabilità, la Conferenza delle Regioni e l’Anci. Siamo convinti, infine, che vada prevista la partecipazione delle organizzazioni sindacali e associazioni sociali nei processi di governance a tutti i livelli del sistema di assistenza per la non autosufficienza». (rrm)

Fondi Coesione, Occhiuto: Voglio provare a convogliare risorse nel Contratto Interistituzionale di sviluppo

È un obiettivo ambizioso, quello del presidente della Regione, Roberto Occhiuto, che vuole tentare di convogliare le risorse del Fondo Coesione «in un Contratto interistituzionale di sviluppo, in modo che le stesse possano essere utilizzabili anche nei prossimi anni».

Il Governatore, infatti, ha riferito che «in seguito ad accurate analisi fatte dal Ministero per il Sud e la coesione territoriale sono emersi fatti che devono far riflettere: la Calabria negli ultimi 20 anni, dal 2000 ad oggi, non ha speso – o non ha comunicato la spesa al governo – cospicue risorse dei Fondi assegnati dallo Stato. È una storia che si ripete e che, purtroppo, abbiamo imparato a conoscere negli scorsi decenni: le Regioni del Sud al palo, con una burocrazia non all’altezza e troppo spesso incapace di utilizzare i fondi europei e nazionali.
Ma in questo caso è in ballo una cifra davvero impressionante: si sfiorano 1 miliardo e 100 milioni di euro».

«Naturalmente – ha spiegato ancora – la responsabilità non è da ascrivere, se non in minima parte, all’attuale struttura amministrativa, ma evidentemente ad un sistema perverso di inefficienze che è andato avanti negli anni, nell’immobilismo della politica, di destra e di sinistra.
Per queste ragioni oggi ho riunito tutti i direttori generali della Regione. Un momento di incontro e confronto che si è reso necessario a seguito di questa notizia. Dobbiamo capire innanzitutto se il report del Ministero coincida con i numeri reali della spesa regionale: come detto, potrebbero verificarsi situazioni nelle quali le risorse siano state effettivamente spese, ma non comunicate correttamente a Roma.
Ho chiesto, dunque, a tutti i direttori generali di effettuare un veloce monitoraggio dello stato dell’arte e di presentarmi, entro metà della prossima settimana, un piano nel quale siano esplicitate le risorse spese e quelle non utilizzate che possono – con certezza – essere avviate ad esecuzione entro la fine dell’anno».

«Ho parlato di tutto questo – ha proseguito – qualche giorno fa con il ministro Mara Carfagna. La nostra Regione – questo quanto emerso dalla mia interlocuzione con il governo – rischia di perdere per sempre i fondi che non verranno utilizzati per intero entro la fine del 2022.
Ho, quindi, intrapreso una trattativa con l’esecutivo nazionale per cercare di salvare i soldi effettivamente non spesi e che la Calabria non riuscirà a mettere in cantiere nei prossimi 10 mesi. Voglio provare a convogliare le risorse in un Contratto interistituzionale di sviluppo, in modo che le stesse possano essere utilizzabili anche nei prossimi anni».

«Spero di riuscire – ha concluso – a condurre in porto questa delicata operazione. Non possiamo permetterci di perdere neanche un euro messo a nostra disposizione». (rcz)