di SANTO STRATI – L’ultimo addio col funerale che tutto il mondo ha potuto seguire in diretta attraverso tv e social (quanti milioni, forse miliardi di persone?) ci ha messo di fronte a una realtà ineludibile.
Francesco non c’è più e lascia un vuoto enorme. Ci mancheranno la sua freschezza, la sua spontaneità, il suo sorriso, ma peserà, soprattutto, l’assenza di una figura carismatica che contro la guerra – contro tutte le guerre – ha usato lo strumento della persuasione opponendo nessuna indulgenza nei confronti dei responsabili.
La guerra – le guerre (ci sono più di 60 conflitti in corso, non è solo Russia-Ucraina e Israele-Gaza) – sta diventando l’atroce paradigma di questo Terzo Millennio che doveva segnare orizzonti di prosperità e benessere e, invece, ha pagato il caro prezzo della pandemia prima e dell’acuirsi dei conflitti mondiali.
La pace non è un’utopia, ma bisogna crederci per volerla davvero, attività che non sembra praticata né dai grandi né dai piccoli della terra. E a fianco allo strazio della guerra si deve registrare il deterioramento dei rapporti umani, delle relazioni sociali, con il prevalere di una intollerabile (ma ahimè troppo in crescita) indifferenza. Un sentimento che è peggio dell’odio perché induce a dimenticarsi degli altri e scartare a priori fragilità e povertà, malesseri che non derivano da scelte personali ma condizionano in maniera severa l’intera esistenza di milioni di persone.
Francesco aveva preso a cuore la lotta contro l’indifferenza, esaltando la necessità non solo di concorrere al bene comune ma anche l’esigenza di condivisione dei valori cristiani opposti alla non-curanza: il paradigma sociale della concuranza (termine coniato dal prof. Mauro Alvisi in un voluminoso trattato costato 10 anni di lavoro) era nel percorso indicato da Francesco: curare insieme, occuparsi degli altri, spendere la vita guardando anche a chi non porge la mano per vergogna, pur avendo bisogni estremi.
È una traccia importante dell’eredità di Papa Francesco, come la sua personale “guerra” contro tutte le guerre, in nome dello spirito cristiano, in nome di Dio in tutte le sue declinazioni. Il dialogo interreligioso è stato una costante di Francesco, un Papa che, non a caso, ha scelto il nome del poverello d’Assisi e ne ha mutuato gli insegnamenti, portandoli a diventare un modello di vita.
La sua stessa fine – pur paventata, temuta e consapevolmente avvertita come prossima – ci indica la caducità della nostra stessa esistenza: domenica di Pasqua era – pur malato e affaticato – tra i fedeli, a scorrere in piazza San Pietro a far vedere che il Papa c’era. Qualche attimo dopo, Dio l’ha chiamato a sé. Questo ribadisce – per chi ancora non se n’è fatto una ragione, da credente o no – che siamo niente. Stamattina siamo forti e ci sentiamo invincibili, trascurando le vere cose della vita (amore e sentimenti), stasera possiamo non esserci più.
Muore il corpo – è vero – secondo la dottrina cristiana – ma non lo spirito: povere ossa che andranno a diventare cenere e con esse superbia, ambizione, indifferenza, passioni, amore e corsa verso la ricchezza e il potere. Tutte cose che non serviranno più: potere e ricchezza saranno dilapidati in un modo o nell’altro) da chi rimane, ma i sentimenti d’amore (come si raccomandava di insegnare Francesco) sono un’eredità inalienabile per chi sente e avverte l’assenza fisica della persona cara, ma ne accoglie la vitale essenza spirituale.
Francesco lascia questo in eredità a tutto il mondo: tornare a ragionare con la testa e far prevalere il sentimento sull’indifferenza.
È un’indicazione per il futuro pontefice, ma soprattutto per il popolo cristiano che, troppo spesso, ormai usa la religione a corrente alternata. La fede è un dono che lo spirito cristiano deve saper utilizzare in tutte le sue opportunità. La vita si è allungata, ma si sono ristretti i sentimenti di altruismo e il desiderio (innato) di fare del bene, seguendo gli insegnamenti di Cristo: non sappiamo se ha saputo Francesco risvegliare le tante coscienze sopite, ma sicuramente ha acceso tante lampadine che sembravano fulminate.
Grazie Papa Francesco per quanto ci hai donato e perdona chi non ha capito. E come hai sempre chiesto, pregheremo per te, questa volta, però, con gli occhi lucidi di lacrime. Quelle sì, vere, autentiche, meglio di tante parole intrise d’ipocrisia che hanno accompagnato il tuo ultimo viaggio terreno. (s)