PNRR, IL FALLIMENTO DELL’ATTUAZIONE È
DOVUTO ALL’EREDITÀ DI CONTE E DRAGHI

di ERCOLE INCALZANel mese di settembre del 2022, cioè in un periodo in cui era ancora in carica il Governo Draghi, in uno dei miei blog pubblicato su “Le stanze di Ercole”, denunciai, in modo dettagliato, lo stato di avanzamento, o meglio, lo stato di “non avanzamento” delle opere e delle scelte contenute nel Pnrr e, siccome non sono un veggente, tentai anche di analizzare attentamente ed in modo capillare lo stato di avanzamento delle varie proposte progettuali.

Questa analisi mi portò, in modo quasi automatico, ad elencare quanto sarebbe successo negli anni futuri, cioè nel 2023 e nel 2024. Riportai, cioè, le varie anticipazioni e denunciai anche, in modo formale, che lo stato davvero preoccupante ed irresponsabile era da ricercarsi nell’assenza di una governance unica e nel mancato avvio organico della intera operazione negli anni 2020 e 2021, cioè durante il Governo Conte 2 e nella prolungata sottovalutazione della stasi da parte del Governo di Mario Draghi.

Ebbene, i dati che avevo avuto modo di approfondire portavano alle seguenti conclusioni: alla fine del 2024, cioè a 18 mesi dalla scadenza dell’arco temporale imposto dalla Unione Europea avremmo potuto contare su un avvio concreto delle procedure e dei relativi affidamenti non superiore al 40% e quindi saremmo stati molto lontani dalla soglia di spesa del volano assicurato dalla Unione Europea.

Sempre in tale mia anticipazione elencai, per ogni singola area progettuale, le possibili quote di attivazione concreta e le difficoltà che non consentivano una adeguata attività della spesa. Queste mie considerazioni penso le ricordi anche Giorgio Santilli che fu uno dei pochi giornalisti a condividere questo mio allarme.

Ripeto questa mia denuncia non fu assolutamente presa in considerazione e, addirittura, se leggiamo i vari comunicati stampa pubblicati dalla Presidenza del Consiglio e da alcuni Ministri, come in modo particolare il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, scopriamo una ripetitiva elencazione di assicurazioni ottimistiche sullo stato di avanzamento dei progetti e delle scelte del Pnrr e del PNC (Piano Nazionale per gli investimenti Complementari al Pnrr.

Tra l’altro, cosa che mi preoccupa e al tempo stesso mi meraviglia, è che l’Anac sono sicuro conoscesse questa analisi tendenziale sin dal 2022 ed è strano che non l’avesse denunciata formalmente al Governo Draghi.

Quando il 22 ottobre del 2022 si insedia l’attuale Governo, infatti, il Ministro Raffaele Fitto, con la delega agli Affari europei, al Sud, alle politiche di coesione ed al Pnrr, si rende subito conto che praticamente era stato avviato concretamente appena il 7% – 8% dell’intero Piano.

Ed è il Ministro Fitto nel mese di dicembre del 2022, cioè dopo appena quaranta giorni dal suo insediamento, a dover cambiare l’intero impianto sia gestionale che programmatico; è sempre Fitto a costruire immediatamente una unica governance ed è sempre Fitto a cercare di trasferire nel Fondo di Sviluppo e Coesione (Fsc) alcune proposte ubicate nel Pnrr in modo da poter fare riferimento ad una scadenza temporale non del 2026 ma del 2027 con proroga fino al 2029 e, con questi atti, testimonia subito alla Unione Europea una chiara volontà, un chiaro tentativo di ripristinare delle condizioni difendibili sulla scadenza del giugno del 2026.

Pochi giorni fa abbiamo appreso delle anticipazioni relative allo stato di avanzamento del Pnrr da parte dell’Associazione Nazionale Anticorruzione (Anac); dati che, in modo sintetico, riporto di seguito:  «Le procedure di appalto relative a investimenti del Pnrr svolte negli anni 2023 – 2024 e non ancora assegnate sono oltre il 60% di tutte quelle avviate negli ultimi due anni, in particolare 98.033 su 162.480 mentre la quota degli importi economici degli appalti non ancora affidati è il 45% del totale avviato (35,5 miliardi di euro su 79,2 miliardi di euro.

Questo significa che una fetta molto ampia dei cantieri e dei contratti di fornitura previsti dal Pnrr non è ancora partita a diciotto mesi dalla scadenza prevista.

Sempre dai dati Anac risulta che per gli appalti avviati nel 2023 si è arrivati all’affidamento per il 74% del valore appaltato mentre per gli appalti avviati nel 2024 solo il 5%.

Infine «per le procedure avviate nel 2024 su 13.577 milioni di euro di lavori pubblici quelle non avviate, ammontano a 12.996 milioni di euro oltre il 96% del totale e se si aggiungono i 6,7 miliardi ereditati dal 2023 si evince che ci sono quasi 20 miliardi di euro di lavori pubblici del Pnrr ancora da affidare e cantierare».

Nasce spontaneo un interrogativo: perché, come detto prima, durante il Governo Conte 2 ed il Governo Draghi l’Anac, che sicuramente monitorava l’avanzamento delle opere del Pnrr e, quindi, era adeguatamente informata sulle naturali tendenze e sulle possibili previsioni di avanzamento dell’intero Piano nel 2024, non abbia detto nulla e, soprattutto, non abbia fatto presente ai vari Ministri competenti del Governo Draghi il vero fallimento dell’attuazione del Pnrr, il sicuro risultato negativo di una possibile soglia della spesa non superiore a 80 – 100 miliardi di euro su circa 230 miliardi di euro (Pnrr + Pnc)?

Come dicevo all’inizio questi dati in mio possesso non erano affatto riservati, andavano solo letti ed interpretati e, sono sicuro, l’Anac questo lavoro lo aveva effettuato.

Aggiungo solo che senza l’azione del Ministro Fitto sarebbe stato possibile raggiungere, nel giugno del 2026, solo la modesta soglia di spesa di appena 50 – 60 miliardi di euro e questo misurabile fallimento va addebitato, lo ripeto fino alla noia, alla mancata incisività gestionale e programmatica dei Governi Conte e Draghi. (ei)

PD Calabria: Attendiamo da Occhiuto presa di posizione su operato del Governo Draghi

I consiglieri regionali del Partito Democratico, hanno detto di aspettarsi, dal presidente della Regione, Roberto Occhiuto, una presa di posizione sull’operato del governo Draghi e su quanto sta avvenendo a livello nazionale».

«Il Pd – spiega la nota – lo ha fatto fin da subito in maniera coerente e decisa. La decisione di Lega e Fi di interrompere anzitempo la legislatura per biechi fini elettorali è una delle pagine più buie della storia della Repubblica, considerando la fase di emergenza che ci troviamo a dovere fronteggiare».

«Ci  aspettavamo dal presidente Occhiuto – hanno spiegato i consiglieri regionali dem – una dichiarazione netta anche a difesa delle posizioni assunte dalle sue amiche Gelmini e Carfagna e dal ministro Renato Brunetta che, dopo la deriva populista e sovranista assunta da Forza Italia hanno deciso di essere conseguenziali abbandonando il partito per il quale in questi anni avevano svolto ruoli di primo piano».

«Ci aspettavamo dal presidente Occhiuto altrettanto chiarezza. Invece ci pare  di capire che si stia aspettando la posizione più conveniente da assumere», hanno concluso. (rcz)

Quirinale: altra fumata nera. L’ultima chance di Draghi e l’exit-strategy da manuale

di SANTO STRATI – Dopo una seconda, infruttuosa giornata di voto per il Quirinale, caratterizzata da frenetici incontri, resta solo oggi alla nostra classe politica per salvare la faccia e onorare adeguatamente Draghi. Il premier non ha mai fatto mistero di una (legittima) aspirazione di andare al Colle, ma ugualmente non ne ha fatto una ragione di vita. Adesso si trova davanti a una drammatica realtà: se viene eletto oggi con i numeri della sua maggioranza, le due fumate nere verranno classificate come prove generali per trovare l’intesa, e il trasloco al Colle gli consentirebbe di indicare agevolmente il suo successore per portare il governo fino al termine della legislatura. Se, invece – come purtroppo sembra – non ci sono margini di manovra e – vergognosamente – una maggioranza all’apparenza coesa non riesce a trovare un punto di incontro che travalichi i nomi e dia serenità agli italiani (di cui hanno tanto bisogno), il premier Draghi dovrà superare se stesso adottando una exit strategy da manuale: si tira fuori dalla competizione e si prende, senza che alcuno possa contestarglielo, il ruolo di king maker, suggerendo lui alla “sua” maggioranza chi votare. In questa maniera darebbe scacco matto a tutti, portando a termine la legislatura con un presidente (da lui indicato) e potrebbe con tutta tranquillità preparare il suo arrivo al Quirinale dopo le elezioni della prossima primavera.

Il rischio più grande, in questo momento, è che l’inesistenza della maggioranza (di fatto acclarata, giorno dopo giorno e confermata dalla mancanza di qualsiasi intesa per il voto al Quirinale) determini la brusca e repentina fine del Governo con tutte le conseguenze nefaste che potrebbero arrivare. Al di là della drammatica situazione della pandemia e della crisi economica che sconsiglierebbero qualsiasi avventurismo politico in questo momento, l’unica soluzione all’orizzonte sarebbe lo scioglimento anticipato delle Camere e nuove elezioni. Il nuovo presidente della Repubblica (malvotato da una maggioranza inesistente) avrebbe da subito una brutta gatta da pelare.

Secondo il nostro modesto parere, Draghi ha ben chiara la situazione che si sta delineando. L’alibi di Berlusconi con lo spauracchio della destabilizzazione non ha retto neanche un istante dopo il ritiro della candidatura dell’ex premier, rivelando non solo la debolezza di una sinistra succube di un evaporato (forse meglio dire inesistente) Movimento 5 Stelle alla disperata ricerca di un’identità, ma anche le lacerazioni che esistono nell’area di centro-destra. L’unica che effettivamente vuole Draghi al Quirinale è Giorgia Meloni perché rientra nella sua logica di primazia rispetto alla Lega: secondo la leader di Fratelli d’Italia, con Draghi al Colle il Governo cade subito e si va a votare. In questo momento di vento favorevole ai danni di Salvini e dei resti in dissoluzione di Forza Italia, la Giorgia non rischierebbe di non guadagnare voti e posizioni da primo partito. In fondo, il suo obiettivo è fare la Presidente del Consiglio, ma la sua visione del mondo è troppo ristretta e confusa (come la mettiamo con le sue posizioni antieuropeiste?) per poter anche minimamente immaginare di conquistare gli italiani schifati da questo modo di fare politica? Senza contare la disperazione dei tantissimi onorevoli “disoccupati” che il nuovo Parlamento lascerà fuori del Palazzo.

A fronte di una situazione che sta facendo venire il voltastomaco a mezza Italia, ci sono dunque due soluzioni immaginabili. La prima vede Draghi eletto oggi a pieni voti, con la conferma di una maggioranza (apparentemente) coesa che ha voglia di mantenere in piedi il governo, con un sostituto del premier capace di traghettare fino al voto questa legislatura; l’altra, richiede il polso fermo del premier che si tira fuori e fa il king maker. Qualcuno storcerebbe il naso perché secondo la Costituzione non è il capo del Governo che sceglie il Capo dello Stato (bensì il contrario), ma la situazione è talmente drammatica che diviene difficile far prevalere presunti maldipancia costituzionali. Draghi in questo modo fotte tutti (scusate l’anglicismo): quelli che aspirano a fare i franchi tiratori e impallinarlo, delegittimandolo persino nel ruolo di capo del Governo (quale governo se non c’è una maggioranza?) e quelli che lo spingono a forzare la mano e accettare il minimo sindacale di un voto raccogliticcio quando sulla carta ci dovrebbero essere (escludendo Fratelli d’Italia e altri “dissidenti”) 900 voti della maggioranza che tiene in vita il governo. È una scelta difficile, ma chi è leader, per davvero, non ha mai cose facili a cui trovare soluzione. (s)

Basta Vittime sulla 106: Nemmeno dal quarto Cipess un centesimo per la Statale 106

Il Direttivo dell’Odv Basta Vittime sulla Strada Statale 106, ha reso noto che, nel corso del quarto Consiglio dei ministri, «non vi è alcuna traccia relativa ad interventi, finanziamenti o proposte che possano riguardare in qualsiasi modo la strada Statale 106 in Calabria».

Il Consiglio, riunitosi nella giornata del 28 ottobre, in merito al tema delle infrastrutture, attraverso una Delibera CIPESS ha approvato il parere sull’aggiornamento del Piano Economico-Finanziario e relativo atto aggiuntivo relativo alla Tangenziale Est Esterna di Milano, ha approvato il progetto definitivo del Collegamento ferroviario con l’aeroporto “Marco Polo” di Venezia a seguito delle determinazioni del Consiglio dei Ministri ed ha approvato il decreto di riparto del Fondo per le infrastrutture portuali.

«Quanto accaduto – spiega L’oDv – stride fortemente con i diversi annunci delle scorse settimane in cui la politica, attraverso i diversi autorevoli esponenti dei partiti al Governo, hanno promesso finanziamenti riguardarti la famigerata e tristemente nota “strada della morte” in Calabria. Spiace, infine, dover constatare che, a circa un mese dalle scorse elezioni regionali, anche questa volta agli annunci della politica non siano succeduti i fatti».

«Il Direttivo dell’O.D.V. “Basta Vittime Sulla Strada Statale 106”– prosegue la nota – continuerà ad informare correttamente e con serietà tutti i cittadini calabresi – come accade ormai da anni – i quali hanno il diritto, oltre la demagogia politica e la propaganda della “politica politicamente” che strumentalizza il tema della Statale 106 in vista delle elezioni regionali, di conoscere gli atti ufficiali, formali e sostanziali e le scelte del Governo italiano che riguardano la famigerata e tristemente nota “strada della morte” in Calabria».

«Ed è per questo motivo – conclude l’Odv – che continueremo senza sosta a rendicontare tutte le future sedute dei Consigli dei Ministri affinché tutti, nessuno escluso, possano finalmente avere contezza della verità». (rrc)

Basta Vittime sulla 106: Nel Consiglio dei ministri non c’è traccia di interventi per la ss 106 in Calabria

Il Direttivo dell’Organizzazione di Volontariato “Basta Vittime Sulla Strada Statale 106”, ha reso noto che, nel Consiglio dei ministri, non «vi è alcuna traccia relativa ad interventi, finanziamenti o proposte che possano riguardare, in qualsiasi modo, la strada Statale 106 in Calabria».

«Il Consiglio dei Ministri – continua la nota – in merito al tema delle infrastrutture, nella seduta di ieri, attraverso una Delibera Cipess ha dato parere favorevole, relativamente all’autostrada Pedemontana lombarda, alla proroga del termine convenzionale previsto per la stipula di un contratto di finanziamento da parte del concedente CAL S.p.A., relativo alla realizzazione delle tratte B2 (Lentate sul Seveso-Cesano Maderno) e C (Cesano Maderno-Interconnessione con la Tangenziale Est/A51). Altra scelta del Governo che riguardano le infrastrutture e che non comporta l’adozione di una Delibera ha riguardato l’accoglimento della proposta del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili di autorizzare l’utilizzo di risorse rinvenienti da residui per interventi di completamento del “Sistema Mose”».

«Il Direttivo dell’O.D.V. “Basta Vittime Sulla Strada Statale 106” – conclude la nota – continuerà ad informare correttamente e con serietà tutti i cittadini calabresi – come accade ormai da anni – i quali hanno il diritto, oltre la demagogia politica e la propaganda della “politica politicamente”, di conoscere gli atti ufficiali, formali e sostanziali e le scelte del Governo italiano che riguardano la famigerata e tristemente nota “strada della morte” in Calabria ed è per questo motivo che continueremo senza sosta a rendicontare tutte le future sedute dei Consigli dei Ministri affinché tutti, nessuno escluso, possano finalmente avere contezza della verità». (rrc)

EDITORIALE / Basilio Giordano: Gli italiani nel mondo meritavano l’attenzione di Draghi

di BASILIO GIORDANO – Francamente, ci saremmo aspettati di più. Un “uomo di mondo” come Mario Draghi avrebbe potuto, e dovuto, fare di meglio per valorizzare gli italiani nel mondo. Che non sono mai stati e non saranno mai un peso, una zavorra, ma una risorsa, un asset strategico per il ‘sistema Paese’. Ad un banchiere, accademico ed economista, che ha rivestito incarichi importanti a livello nazionale e internazionale, dalla Banca d’Italia alla Banca Centrale Europea, non può sfuggire il ruolo imprescindibile che svolgono gli Italiani fuori dai confini nazionali, nella promozione del ‘Made in Italy’ in tutte le sue sfaccettature.

E invece il Premier Draghi, probabilmente mal consigliato, è riuscito nell’impresa di ignorare quasi 5,5 milioni di italiani iscritti all’Aire (ed oltre 80 milioni di oriundi) che ogni giorno, da veri e propri ‘ambasciatori sul campo’, rilanciano il marchio tricolore nei quattro angoli del pianeta: mangiando italiano, vestendo italiano, parlando italiano, vivendo all’italiana. Conservando strenuamente ed orgogliosamente tradizioni spesso dimenticate in Patria. Facendo cioè da apripista al ‘Made in Italy’ con il loro esempio quotidiano e la loro rete di amicizie. Una ‘pubblicità’ gratuita e naturale che merita di essere premiata. Un ruolo troppo spesso dato per scontato, ma che nel lungo periodo costituisce un volano fondamentale per veicolare usi e costumi italiani nei Paesi stranieri. Una sponda essenziale per il successo di un settore come il Turismo che l’Italia fatica a far decollare, anche perché, dal 2001, è soggetto alla competenza regionale. Ed ogni regione ha i suoi tempi, la sua strategia, il suo stile.

Manca una visione univoca, d’insieme, con tante Italie che viaggiano in ordine sparso. Una lacuna che gli ‘Italiani nel mondo’ provvedono a riempire soltanto con la loro presenza. Costituendo, quindi, un fattore spesso decisivo per la diffusione della nostra cultura ed il successo delle nostre imprese all’estero. La speranza, naturalmente, è che l’istituzione di un Ministero del Turismo, affidato a Massimo Garavaglia, possa migliorare la promozione dell’Italia nel mondo. Sappiamo perfettamente che oggi le priorità sono altre, che questo è praticamente un ‘governo di scopo’: per debellare la pandemia, vaccinare la popolazione e rimettere in moto l’economia.

Ed è per questo che non avremmo preteso un Ministro per gli Italiani nel mondo. Molto più semplicemente, ci saremmo accontentati di un Sottosegretario con una ‘delega ad hoc’. A prescindere dall’appartenenza politica, la non-riconferma di Ricardo Merlo o la mancata nomina di un altro ‘eletto all’estero’ al suo posto, per occuparsi di Italiani all’estero, rappresentano un preoccupante ‘vulnus’ che ci lascia perplessi. Dopo il taglio dei parlamentari, che costringerà i pochi eletti a rappresentare ripartizioni sconfinate, nessun eletto all’estero nel governo! Neppure per un ruolo simbolico, ma significativo. Oltre al danno, anche la beffa. L’errore di valutazione è macroscopico. Al Governo Draghi auguriamo ogni bene: siamo sicuri che saprà traghettare l’Italia fuori dalle sabbie mobili della crisi sanitaria ed economica. Perché gli ‘italiani nel mondo’ sono fatti così: operano in silenzio, nel completo anonimato, non chiedono nulla in cambio. Lo fanno per l’amore dell’Italia che alberga nei loro cuori. Un’altra Italia si è accorta di loro ed ha voluto premiarli. L’Italia di oggi non ha avuto la stessa sensibilità. Eppure, nonostante meritino di più, gli Italiani nel mondo continueranno ad amare ed a sostenere – sempre e comunque – la loro Terra. (bg)

[Basilio Giordano è il direttore de Il cittadino canadese, quotidiano di lingua italiana a Montréal]

Alessia Bausone (Fondazione C. Alvaro): Nomina di Nesci a sottosegretario segnale importante per la Calabria

Alessia Bausone, componente del consiglio di amministrazione della Fondazione Corrado Alvaro, ha dichiarato che «la nomina dell’on. Dalila Nesci a sottosegretaria per il Sud e la Coesione Territoriale rappresenta un segnale di attenzione importante per la nostra Regione, e per le sfide e occasioni importanti che la attendono a partire dal Recovery Fund e la lotta alla crisi economica e alla disoccupazione aggravata dalla pandemia».

«La laboriosità dell’on. Nesci – ha aggiunto – ha avuto più di un riscontro nelle aule parlamentari in due legislature sui più svariati temi, dalla sanità, alle questioni territoriali, alla lotta agli sprechi della politica. Giova porre attenzione a come chi ha votato contro la fiducia al Governo Draghi con la motivazione che il presidente del Consiglio non avesse parlato di lotta alla mafia, con la nomina di Dalila Nesci ha ricevuto un sonoro smacco che delinea la netta differenzaa tra gli speculatori dall’antimafia e chi, come la neo sottosegretaria, pratica l’antimafia dei (e nei) fatti».

«Inoltre – ha proseguito – va evidenziato che oggi il “governo del Sud” è in mano a due donne, la sottosegretaria Dalila Nesci e la ministra Mara Carfagna alle quali va posta una sincera fiducia affinché siano protagoniste del necessario riscatto femminile calabrese in ambito pubblico e non solo. Superare stigmi, pregiudizi, ghettizzazioni e ingabbiamenti culturali e sociali è un lavoro che non può prescindere da un’azione politica incisiva da attuare con determinazione».

«Sono tutti temi – ha detto ancora – dalla legalità, alla parità di genere, alla moralità (e alla questione morale) della politica, che hanno un collante: la cultura. Ecco perché Fondazioni come quella di San Luca che porta il nome di Corrado Alvaro, non vanno lasciate sole al loro destino infausto di tappeti rossi per passerelle politiche, ma vanno riempite di cuore, attenzione e proposte di rilancio».

«Per questo – ha concluso – oltre all’augurio di buon lavoro, al sincero apprezzamento per la scelta governativa e all’abbraccio personale alla neo sottosegretaria, le rivolgo pubblicamente l’invito a visitare la Fondazione culturale Corrado Alvaro, fiore all’occhiello della Calabria che si sta lasciando appassire». (rrc)

MARIO OCCHIUTO, LA RIVOLUZIONE GREEN:
LA CALABRIA IDEA-MODELLO PER DRAGHI

di SERGIO DRAGONE – Quando nell’aprile del 2019, a Lamezia Terme, il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto – lanciatissimo verso la candidatura alla presidenza della Regione – parlò di “rivoluzione green” per la Calabria, molti lo presero per matto o giù di lì. In una terra capace di ragionare solo su concorsi pubblici, bandi assistenzialistici, finanziamenti distribuiti a pioggia, numeri di assessorati e presidenze da spartirsi, quella visione che legava strettamente le politiche ambientali a quelle economiche apparve un’idea piuttosto strampalata, una trovata propagandistica, poco più di una suggestione.
Occhiuto vaneggiava di una Calabria “scrigno verde” fatta di mari e di boschi salvaguardati dalla mano assassina dell’uomo, di energie pulite ricavate dal sole, dal vento e dalle maree, di turismo nuovo ed esperienziale, di artigianato digitale, di città rigenerate, di agricoltura affidata ai droni, di medicina a distanza, di nuovi lavori e di nuove professioni, di economia circolare e di economia della conoscenza. E poi parlava di giovani, di nuove generazioni, di “next generation”, si direbbe oggi.
A distanza di quasi due anni, l’opzione “green” è diventata il fulcro del programma di rinascita del Paese affidato a SuperMario Draghi che nelle dichiarazioni programmatiche rese alle Camere ha dedicato il passaggio più significativo – e applaudito – all’esigenza vitale di proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale. Ma, al di là delle dichiarazioni d’intenti, ci sono forti motivazioni economiche. Il 37% delle risorse del Recovery Fund saranno destinate ad interventi per contrastare i cambiamenti climatici e tutte le azioni che gli Stati membri andranno a proporre dovranno rispettare il principio del “non arrecare un danno significativo” contro l’ambiente.
Non spetta a me fare valutazioni politiche sull’azione amministrativa di Mario Occhiuto, spettano semmai ai suoi concittadini, ma la sua visione green” del futuro della Calabria, arrivata quasi due anni prima della “svolta verde” del Governo Draghi, credo possa essere uno spunto di riflessione interessante ed utile per tutti.
Io penso che la Calabria possa diventare uno dei laboratori più interessanti e creativi per le politiche green che il presidente Draghi attuerà nel nostro Paese, utilizzando al meglio le irripetibili risorse che l’Europa ci ha gentilmente concesso. Le condizioni ci sono tutte: 800 chilometri di costa, tre parchi nazionali, un’infinità di aree naturali, un clima assolutamente unico che favorisce colture altrettanto uniche, un giacimento inesauribile di testimonianze di un passato glorioso. E poi il sole, il vento, le maree.
C’è bisogno di un investimento epocale per salvaguardare questa ricchezza, per difendere il territorio, per abbattere l’inquinamento marino, per creare nuove occasioni di lavoro attraverso un turismo, un’agricoltura, un artigianato rivoluzionati nelle metodiche e nel marketing. C’è bisogno di più laureati, di più professionisti, di più giovani che abbiano voglia di mettersi in discussione e guardare all’avanzare delle nuove tecnologie.
L’opzione green, che il visionario sindaco di Cosenza aveva intravisto già due anni fa, è oggi il terreno di sfida decisivo per una Calabria che ha l’ultima occasione di dimostrare che non è una terra “perduta” e irrecuperabile. (sd)

E MARIO DRAGHI ESCLAMÒ A CANNIZZARO
«VIVA LA CALABRIA»: CHE SIA UN OBIETTIVO

di SANTO STRATI – Secondo quanto ha riferito l’on. Francesco Cannizzaro che lo ha salutato alla Camera a margine della votazione di fiducia, il nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi ha chiuso il dialogo informale col deputato reggino esclamando “Viva la Calabria!”. Detto nemmeno tanto a bassa voce prima di andare via tra gli applausi – ha detto Cannizzaro.

La cosa rende felici i calabresi che osservano con trepidazione le nuove prime mosse del Governo: c’è un corposo carnet di richieste avanzate dai sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil, ci sono le preoccupazioni per il Recovery fund, visto che il “Piano di ripresa e resilienza”  elaborato dal governo Conte 2, lo scorso dicembre, ha inopinatamente dimenticato la nostra regione. Completamente: nella bozza, che – è stato promesso – sarà riveduta e ampiamente corretta, l’unica volta che appare la parola Calabria è accanto a Reggio, nel progetto di “ammodernamento” della rete ferroviaria Salerno-Reggio Calabria. Non sappiamo se risulta chiara la parola “ammodernamento”, quando, invece, si attende una nuova rete ferroviaria ad Alta Velocità/Alta Capacità, in grado di consentire un collegamento rapido da Salerno a Reggio. Ovvero permettere ai treni superveloci, che sull’attuale materiale rotabile non possono raggiungere alte velocità, di sfruttare la potenza di cui dispongono.

E poi c’è la storia infinita del Ponte sullo Stretto su cui i troppi no hanno di fatto fatto incavolare calabresi e siciliani. L’ultimo studio di un gruppo di docenti universitari ha consegnato ai governatori di Sicilia e Calabria un dossier da presentare appunto a Draghi perché non si perda l’opportunità offerta dal Recovery fund. Oltretutto, il gruppo WeBuild (ex Impregilo) che fa capo a Pietro Salini e, di fatto, assegnatario dell’esecuzione del progetto dell’attraversamento stabile dello Stretto ha fatto sapere di essere pronto a investire risorse proprie (4 miliardi di euro) per costruire il Ponte, lasciando allo Stato solo le opere accessorie (circa 2 miliardi). A conti fatti costa quasi di più non farlo il Ponte, viste le altissime penali previste in caso di mancata realizzazione.

Draghi ha una visione strategica che va oltre l’Italia, ma comprende l’Europa e il resto del mondo: il nemico numero uno da battere nel più breve tempo possibile si chiama Covid. Una guerra, praticamente, mondiale che si può vincere solo con un’unità di intenti e la comune condivisione di risorse vaccinali e ricerca scientifica. 

Risulta persino odioso pensare che le multinazionali del farmaco difendano i brevetti del vaccino anziché concederli gratuitamente a tutto al mondo. E se non gratuitamente, almeno a un prezzo forfettario che liberi la “proprietà” scientifica e permetta la produzione del vaccino in ogni parte del mondo. Non ci sarebbero problemi di disponibilità se ogni Paese potesse fabbricarsi in proprio il vaccino.

Ma torniamo alla Calabria: il simpatico saluto del presidente Draghi non dev’essere considerato un auspicio, ma ci piacerebbe che fosse un obiettivo, un impegno che l’ex mr BCE prende con i calabresi. I quali – per inciso – molto probabilmente non avranno alcun rappresentante tra gli oltre 40 sottosegretari e viceministri che saranno nominati in settimana proprio da Draghi. Non è questione di campanile, ma farebbe comodo qualcuno dentro l’Esecutivo che parli in nome e per conto della Calabria.         (s)

Recovery Fund e il rischio di dimenticare le politiche di coesione

di DOMENICO ROSITANO  e FRANCESCO MOLICA – Il Piano di Ripresa e Resilienza (Pnrr) è stato protagonista negli ultimi mesi di un intenso dibattito politico e mediatico.

Eppure, non sarà il solo banco di prova per il nuovo governo Draghi in fatto di finanziamenti Ue. Sotto la sua egida dovrà essere completato il processo di programmazione, e avviata l’attuazione delle risorse della politica europea di coesione 2021-2027: circa 42 miliardi di euro, escluso il co-finanziamento nazionale. Si tratta di un passaggio altrettanto cruciale per il paese.

L’obiettivo di promuovere la convergenza territoriale, proprio di questi fondi, assume un valore ancora più pregnante in periodo di crisi. Le sfide che la neo ministra per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna si troverà ad affrontare sono numerose, alcune delle quali per certi versi inedite.

Nello specifico, la declinazione suggerita dalla Commissione Europea per i sei ambiti d’intervento su cui dovranno concentrarsi i Pnrr ricalcano in buona parte delle aree prioritarie dei futuri fondi di coesione. Per questo motivo, le linee guida UE raccomandano ai paesi membri di impostare un robusto coordinamento tra i diversi finanziamenti europei in modo da garantirne la complementarietà. Il rischio è che si verifichino sovrapposizioni tra misure simili, e in casi estremi finanche forme di competizione per finanziare i medesimi progetti. Questo scenario non è peregrino, viste le storiche difficoltà delle nostre amministrazioni nel creare parchi progetti sufficientemente ampi.

Per la verità, la bozza di Pnrr messa a punto sotto il governo Conte, pur soffermandosi sull’aspetto della complementarità tra risorse del recovery plan (Next Generation Eu) e fondi di coesione, non fornisce indicazioni su come realizzarla. Al nuovo esecutivo il compito di farlo.
Un prerequisito, a nostro giudizio, è procedere ad un’ulteriore consultazione delle autorità regionali, in quanto queste programmano e gestiscono la fetta maggiore di fondi di coesione.

Un buon coordinamento avrebbe, anche, un effetto positivo sulle tempistiche di avvio della programmazione dei fondi di coesione. I ritardi registrati a livello europeo nell’adozione dei regolamenti hanno già rallentato la preparazione dei programmi. Un film già visto nella scorsa programmazione. Esiste quindi il rischio che l’attenzione politica e lo sforzo amministrativo di cui necessita la stesura e la messa a terra del Pnrr produca ulteriori ritardi sul fronte delle risorse della coesione
Per evitare ciò, il nuovo governo dovrà aggredire alcune delle tare storiche dei fondi.

Innanzitutto, quello della capacità amministrativa. L’assunzione nella pubblica amministrazione di diecimila giovani prevista dal Piano Sud 2030 deve essere accelerata. Ma non è una ricetta miracolosa. Deve essere legata ad un forte investimento sulle competenze esistenti e sulla formazione. Di più, deve inserirsi in un cambiamento di cultura amministrativa sulla gestione dei fondi che sposti l’attenzione dall’assorbimento fine a se stesso alla qualità progettuale, ridisegni il coinvolgimento di territori e del partenariato valorizzandone il contributo virtuoso a scapito dell’interesse particolare, ridimensioni la pericolosa deriva sostitutiva tra risorse ordinarie e aggiuntive che si è andata rafforzando negli ultimi anni.

Solo così il nuovo governo Draghi, nato sotto i migliori auspici, potrà vincere la sfida, non solo del Recovery Fund, ma anche delle politiche di coesione, che non sono solo fondamentali per ridurre lo storico gap tra Nord e Sud del paese, ma sono oggi un’importante leva di crescita anche per le regioni settentrionali. (rrm)