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Domenico Rositano

Recovery Fund e il rischio di dimenticare le politiche di coesione

di DOMENICO ROSITANO  e FRANCESCO MOLICA – Il Piano di Ripresa e Resilienza (Pnrr) è stato protagonista negli ultimi mesi di un intenso dibattito politico e mediatico.

Eppure, non sarà il solo banco di prova per il nuovo governo Draghi in fatto di finanziamenti Ue. Sotto la sua egida dovrà essere completato il processo di programmazione, e avviata l’attuazione delle risorse della politica europea di coesione 2021-2027: circa 42 miliardi di euro, escluso il co-finanziamento nazionale. Si tratta di un passaggio altrettanto cruciale per il paese.

L’obiettivo di promuovere la convergenza territoriale, proprio di questi fondi, assume un valore ancora più pregnante in periodo di crisi. Le sfide che la neo ministra per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna si troverà ad affrontare sono numerose, alcune delle quali per certi versi inedite.

Nello specifico, la declinazione suggerita dalla Commissione Europea per i sei ambiti d’intervento su cui dovranno concentrarsi i Pnrr ricalcano in buona parte delle aree prioritarie dei futuri fondi di coesione. Per questo motivo, le linee guida UE raccomandano ai paesi membri di impostare un robusto coordinamento tra i diversi finanziamenti europei in modo da garantirne la complementarietà. Il rischio è che si verifichino sovrapposizioni tra misure simili, e in casi estremi finanche forme di competizione per finanziare i medesimi progetti. Questo scenario non è peregrino, viste le storiche difficoltà delle nostre amministrazioni nel creare parchi progetti sufficientemente ampi.

Per la verità, la bozza di Pnrr messa a punto sotto il governo Conte, pur soffermandosi sull’aspetto della complementarità tra risorse del recovery plan (Next Generation Eu) e fondi di coesione, non fornisce indicazioni su come realizzarla. Al nuovo esecutivo il compito di farlo.
Un prerequisito, a nostro giudizio, è procedere ad un’ulteriore consultazione delle autorità regionali, in quanto queste programmano e gestiscono la fetta maggiore di fondi di coesione.

Un buon coordinamento avrebbe, anche, un effetto positivo sulle tempistiche di avvio della programmazione dei fondi di coesione. I ritardi registrati a livello europeo nell’adozione dei regolamenti hanno già rallentato la preparazione dei programmi. Un film già visto nella scorsa programmazione. Esiste quindi il rischio che l’attenzione politica e lo sforzo amministrativo di cui necessita la stesura e la messa a terra del Pnrr produca ulteriori ritardi sul fronte delle risorse della coesione
Per evitare ciò, il nuovo governo dovrà aggredire alcune delle tare storiche dei fondi.

Innanzitutto, quello della capacità amministrativa. L’assunzione nella pubblica amministrazione di diecimila giovani prevista dal Piano Sud 2030 deve essere accelerata. Ma non è una ricetta miracolosa. Deve essere legata ad un forte investimento sulle competenze esistenti e sulla formazione. Di più, deve inserirsi in un cambiamento di cultura amministrativa sulla gestione dei fondi che sposti l’attenzione dall’assorbimento fine a se stesso alla qualità progettuale, ridisegni il coinvolgimento di territori e del partenariato valorizzandone il contributo virtuoso a scapito dell’interesse particolare, ridimensioni la pericolosa deriva sostitutiva tra risorse ordinarie e aggiuntive che si è andata rafforzando negli ultimi anni.

Solo così il nuovo governo Draghi, nato sotto i migliori auspici, potrà vincere la sfida, non solo del Recovery Fund, ma anche delle politiche di coesione, che non sono solo fondamentali per ridurre lo storico gap tra Nord e Sud del paese, ma sono oggi un’importante leva di crescita anche per le regioni settentrionali. (rrm)