CALABRIA: LAVORO, RECOVERY E LE DONNE
SI RIPARTE SOLO SE SI INVESTE SU DI ESSE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Da 20 anni, in Calabria, manca un vero welfare e questo aspetto danneggia prima di tutto le donne». È la denuncia di Amalia Talarico, della segreteria Fp Cgil Area Vasta, fatta nel corso di un webinar dal titolo Donne, Lavoro e Sud promosso dalla Cgil Area Vasta Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia.

Un tema, quello delle donne e del lavoro, che oggi, più che mai, è un tema che dovrebbe essere affrontato più seriamente, sopratutto se, a causa di questa pandemia mondiale, sono state le donne, a livello lavorativo, ad averci rimesso: secondo i dati Istat, infatti, su 101 mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne, allargando, così, la disparità di genere. Un quadro davvero sconfortante, se si pensa che, in realtà, le donne hanno un ruolo chiave nella ripartenza del paese e, quindi, si rende necessario il dover «investire sul valore delle donne» perché «investire sulle donne significa far ripartire il lavoro e spingere sulla rivoluzione culturale necessaria a far fronte al cambiamento, a tutti i livelli».

«Alle donne non può bastare la parola quota, o un capitolo in fondo ad un programma elettorale» ha dichiarato Filly Pollinzi, assessore Pari Opportunità del Comune di Crotone, perché «c’è la necessità di affrontare il tema della cittadinanza delle donne e del ruolo che devono avere nella società che stiamo costruendo» ha detto Serena Sorrentino, segretaria nazionale Fp Cgil.

A illustrare un quadro desolante, sul tema lavoro e Mezzogiorno, è Simona Maggiorelli, direttrice del settimanale Left: «solo il 32,2 per cento delle donne lavora, e una donna su cinque che avuto un figlio non lavora. Questi dati sono 2018, e sono inferiori al dato peggiore che è quello del 1977. Le donne sono quelle che vengono mandate a casa quando si tagliano i posti di lavoro, sono quelle che vengono pagate meno e che subiscono violenza sul lavoro» ha rilevato aggiungendo che si tratta di una situazione che «durante il periodo della pandemia è peggiorata».

«Rispetto a tutto questo – ha aggiunto – la questione centrale è culturale. Parlare di prevenzione vuol dire anche che non bastano le leggi, che sono sicuramente importantissime, ma non ci possiamo fermare a sanzionare comportamenti quando il ‘fatto’ è già avvenuto. Per questo dobbiamo partire dalle scuole: le donne devono imparare a riconoscere la violenza, la rivoluzione è nel paradigma culturale totale. Le donne non sono soggetti fragili da tutelare, ma sono una risorsa che deve contare nei luoghi di poter per poter cambiare le cose».

«La difficoltà nel conciliare i tempi di vita e lavoro – ha dichiarato Enzo Scalese, segretario generale della Cgil Area Vasta – l’aumento del lavoro di cura, che ricade quasi esclusivamente sulle donne, la crisi economica legata alle politiche di contenimento del virus che ha aumentato notevolmente il tasso di disoccupazione femminile, ha portato le donne a pagare il prezzo più alto della crisi, soprattutto nelle nostre realtà, dove i ruoli ricoperti sono spesso più gravosi e precari».

Per Scalese, «dobbiamo afferrare le opportunità alimentate dal programma del Next Generation Eu e contenute nel piano nazionale di Resilienza e Resistenza, per ripensare e riprogettare il futuro in ottica di opportunità per l’occupazione giovanile e femminile, proprio per come proposto nel nostro piano straordinario per il lavoro. Dobbiamo puntare a politiche strutturali e integrate per risolvere il problema della diseguaglianza di genere a partire dal tema della “disparità salariale” che non è solo una questione femminile, ma che riguarda l’utilizzo efficace delle risorse con le quali si crea benessere per tutti. L’Italia ha bisogno del potenziale produttivo delle donne».

Un concetto che viene ribadito nella campagna Donne per la salvezza, nato da «un lungo confronto fra numerose associazioni, economiste, statistiche, accademiche, manager, esperte di politiche di genere, politiche e politici» «per dare forza e ulteriore sostanza alla campagna europea Half of it, per destinare almeno la metà delle risorse europee del Next generation Eu a misure che includano le donne nella vita sociale ed economica del Paese».

Nel manifesto, infatti, viene ribadito che «l’occupazione femminile genera ricchezza, economia del lavoro di cura e riduce sensibilmente il rischio povertà, specie nelle famiglie monoreddito. Puntare sulla crescita sostenuta dell’occupazione femminile significa anche creare le condizioni per un aumento del numero dei nati, dei figli desiderati, a cui tanti giovani rinunciano in un Paese afflitto da decenni dalla decrescita demografica. Siamo convinte che 3 l’obiettivo di portare l’occupazione femminile dal 48,5% al 62,4% debba costituire una priorità del Piano, e su questo chiediamo la convergenza di tutti i decisori».

Per la segretaria generale Sorrentino, «in questa fase di svolta nel Paese, davanti ad una crisi economica mondiale che si affronta per la prima volta con la scelta di investire, piuttosto che tagliare, uno dei temi da affrontare è proprio il lavoro delle donne, la ricostruzione della rete dei servizi e del welfare che guardino alla maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. È questa, la sfida che abbiamo davanti». (ams)

 

L’OPINIONE/ Rita De Lorenzo (Idm): Recovery Plan rischia di essere altro specchietto per le allodole

di RITA DE LORENZO* – Con il Recovery Plan, l’Italia sta decidendo di destinare cospicue risorse anche allo sviluppo del Mezzogiorno, come passaggio indispensabile per la crescita di tutto il Paese. Solo attraverso investimenti che mirino alla crescita del Sud, si può attuare una ripresa strutturale e sostenibile dell’economia italiana. Tali investimenti che vanno dal turismo all’agricoltura, dalla logistica all’energia e alle infrastrutture, saranno fondamentali per creare sviluppo, lavoro e crescita economica a valle del blocco, ormai interminabile, per la pandemia.

Il Recovery Plan è un’occasione assolutamente da non perdere per ancorare il Sud all’Italia e all’Europa, rendendolo punto centrale di una nuova geo-economia che vede nell’area Euro-Mediterranea uno dei fulcri vitali del vecchio continente.

L’obiettivo è quello di eliminare il divario tra Nord e Sud, destinando i fondi alla riduzione dell’isolamento del sud del Paese, attraverso la realizzazione di infrastrutture concepite come un organismo integrato al processo di sviluppo che si intende realizzare. Infrastrutture che creano valore in quanto opera, non soltanto quindi un progetto economico ma anche sociale. Viene pertanto naturale pensare alla Sicilia e alla Calabria che ancora pagano un prezzo altissimo, a causa di infrastrutture obsolete. Ma penso anche all’alta velocità che vede il suo naturale completamento nelle tratte Salerno-Reggio Calabria e Messina-Catania-Palermo. E sogno anche un collegamento stabile tra Reggio Calabria (Villa San Giovanni) e Messina, quel Ponte sullo Stretto dalla cui realizzazione ormai non si può più prescindere. 

Sono tutte opere indispensabili, da realizzare necessariamente attraverso una visione unitaria, tutte contemporaneamente fondamentali per lo sviluppo non solo delle due regioni ma dell’Italia e dell’Europa. Senza dimenticare il ruolo fondamentale del Porto di Gioia Tauro, nello sviluppo delle connessioni e di un sistema integrato dei trasporti come unico strumento per rilanciare l’economia e rendere finalmente competitivo il nostro territorio.

Purtroppo, la distrazione della classe politica meridionale figlia della logica centralista che, invece di soddisfare gli interessi del Mezzogiorno d’Italia, risponde alla logica dei capi romani, per cui già il fatto che il Ponte sullo Stretto sembra non essere più sull’agenda di Governo, così come la realizzazione di altre opere fondamentali non arrivano sul tavolo europeo, rappresentano un rischio concreto che il Recovery Plan sia un altro specchietto per le allodole. Questo è un’altra denuncia che Italia del Meridione ha messo in evidenza a difesa delle esigenze dei territori e dell’intero sud.

Oggi, è la Comunità Europea stessa che ci ricorda che con la sperequazione e i divari di cui soffre il nostro Paese non potrà esserci alcun sviluppo, situazione peggiorata a causa della pandemia. Italia del Meridione non è un luogo geografico ma una prospettiva politica che intende costruire attraverso un nuovo intervento straordinario per il Mezzogiorno, attraverso la grande capacità della partecipazione e della militanza. Oggi c’è da capire esattamente la strategia da mettere in campo che non vale più soltanto per le regioni del sud ma per l’Italia tutta. (rdl)

*Vicesegretario Regionale IdM Reggio Calabria, con delega alle Infrastrutture e Recovery Plan

Il Consiglio regionale discute oggi (un po’ in ritardo) di Recovery Plan

Torna a riunirsi stamattina a mezzogiorno il Consiglio regionale della Calabria: a Palazzo Campanella, con la presidenza di Giovanni Arruzzolo, ci sarà il presidente ff Nino Spirlì a riferire sulle iniziative adottate dalla Giunta in ordine al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Sembrerebbe un po’ tardiva questa convocazione, visto che ormai mancano undici giorni alla consegna del dossier destinato a Bruxelles, ma tant’è. Anche in questa occasione il Consiglio non manca di mostrare la sua evidente inadeguatezza (generosamente confusa con difficoltà) dopo la prematura scomparsa della presidente Jole.

Il Recovery Plan rappresenta per la Calabria uno strumento essenziale per poter pianificare la ripresa e programmare azioni e iniziative infrastrutturali che dovrebbero cambiare radicalmente il volto della regione. La prima bozza del documento è stata licenziata dal Governo a dicembre e presentata il 12 gennaio: in questi tre mesi non sono mancate proposte di integrazione e modifica da parte di sindaci, amministratori locali e, soprattutto, delle commissioni parlamentari interessate che hanno prodotto a fine marzo un documento conclusivo. Sono mancate invece proposte e indicazioni della Regione e non sarà l’inutile dibattito di oggi a cambiare qualcosa. (s)

Questo l’ordine del giorno della seduta odierna:

1) Informativa del Presidente f.f. della Giunta regionale sulle iniziative adottate in ordine al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) – DIBATTITO;


2) Proposta di Legge n.75/11^ di iniziativa della Giunta regionale recante: ” Disciplina delle modalità e delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche della Regione Calabria e determinazione del canone in attuazione dell’art. 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 “ – Relatore: P. MOLINARO
 Iter
 Dossier


3) Proposta di Legge n.76/11^ di iniziativa del Consigliere V. PITARO recante: “Modifiche all’articolo 5 della legge regionale 19 novembre 2020, n. 21 (Istituzione Consorzio Costa degli Dei) “ – Relatore: G. NERI
 Iter
 Dossier


4) Proposta di Legge n.77/11^ di iniziativa del Consigliere N. PARIS recante: “Modifiche agli articoli 2 e 4 della legge regionale 19 novembre 2020, n. 25 (Promozione dell’istituzione delle Comunità energetiche da fonti rinnovabili) “ – Relatore: P. MOLINARO
 Iter
 Dossier


5) Proposta di Legge n.78/11^ di iniziativa del Consigliere C. MINASI recante: “Modifiche alla legge regionale 19 novembre 2020, n.22 (Disciplina delle Associazioni Pro Loco) “ – Relatore: P. MOLINARO
 Iter
 Dossier


6) Proposta di Legge n.82/11^ di iniziativa dei Consiglieri A. DE CAPRIO,V. PITARO recante: ” Modifica alla legge regionale 20 dicembre 2012, n. 66 (Istituzione dell’Azienda regionale per lo sviluppo dell’agricoltura e disposizioni in materia di sviluppo dell’agricoltura) “ – Relatore: P. MOLINARO
 Iter
 Dossier


7) Proposta di Legge n.83/11^ di iniziativa del Consigliere A. DE CAPRIO recante: ” Norme in materia di conclusione delle procedure di liquidazione di enti pubblici e fondazioni e di rilancio della forestazione “ – Relatore: A. DE CAPRIO
 Iter
 Dossier

Anci e Ance chiedono rafforzamento degli Enti locali e semplificazione delle procedure

L’Associazione Nazionale Costruttori Edili – Ance e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani – Anci, hanno proposto la realizzazione di una piattaforma comune di proposte per garantire la rapida esecuzione degli interventi del Recovery plan e rilanciare l’economia del territorio, oltre che il potenziamento delle strutture tecniche delle amministrazioni locali per superare la cronica carenza di personale qualificato impegnato nella realizzazione delle opere e della manutenzione del territorio.

La proposta è stata avanzata al termine di un incontro a cui hanno preso parte, per Anci, il sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto e il sindaco di Firenze, Dario Nardella e, per Ance, il presidente Gabriele Buia, alla luce dell’avvio, da parte del premier Mario Draghi, di un iter di condivisione con i territori sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).

«Allo stesso tempo – ha affermato il sindaco Nardella – vi è un’assoluta necessità di una semplificazione delle norme e delle procedure per l’apertura dei cantieri pubblici, sfoltendo in particolar modo l’iter autorizzativo a monte della gara d’appalto, principale responsabile dei ritardi insostenibili con i tempi di attuazione del Pnrr».

«Il presidente di Ance, Gabriele Buia, a nome dei costruttori, ha invece insistito sulla necessità che ogni revisione del codice appalti garantisca la più ampia partecipazione alle gare da parte delle imprese».

Infine, il sindaco Occhiuto ha lanciato un forte allarme, condiviso dal Presidente Buia, sul ddl sulla rigenerazione urbana. Per Occhiuto il provvedimento ora all’esame del Senato, contiene norme che bloccano gli interventi anziché agevolarli, per questo va completamente ripensato e riscritto, lasciando autonomia e flessibilità agli Enti locali.

Così, come per i rappresentanti delle due Associazioni, è necessario garantire la proroga del Superbonus 110%, semplificandone l’accesso, vero strumento fiscale attualmente a disposizione per la riqualificazione degli edifici.

Senza un intervento deciso sulle procedure e un rafforzamento delle amministrazioni pubbliche locali, il Paese rischia di perdere l’occasione di sfruttare il Recovery plan per dare avvio a una nuova stagione di crescita sostenibile e di benessere collettivo. (rrm)

Gli Stati Generali del Sud Confesercenti si riuniscono per definire il ‘Piano per il Sud’

La Confesercenti, nei giorni scorsi, ha riunito gli Stati Generali dei dirigenti delle Regioni del Sud Italia – Abruzzo, Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, per la definizione del Piano per il Sud, a valere sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Il dibattito, dopo la due giorni organizzata dal ministro per il Sud, Mara Carfagna, si trova in un momento importante della definizione del Piano. Le risorse europee a valere sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) rappresentano un’occasione che il Sud non può permettersi di sprecare.

Si è analizzata, nel dettaglio, la memoria del ministro Daniele Franco sulla Proposta di Pnrr fatta al Parlamento. Ad oggi è il documento più aggiornato in merito ai cambiamenti che il nuovo Governo sta apportando (o intende apportare) sul lavoro fatto dal governo Conte II. I lavori sono stati aperti dal Responsabile delle Politiche per il Sud Confesercenti, Vincenzo Schiavo, che ha evidenziato quanto il problema delle tempistiche possa penalizzare il Sud che ancora oggi paga il tributo più caro per una macchina burocratica spesso farraginosa e antiquata: «entro il 2022 dovranno essere impegnate il 70% delle risorse, entro il 2023 si dovrà raggiungere il 100% ed entro il 2026 bisognerà rendicontare quanto speso sulla base dell’impegnato. Difficile immaginare di proporre grandi opere infrastrutturali anche se il Sud ne avrebbe evidente esigenza».

Molto interessante è stato l’intervento del presidente nazionale Assoturismo, il siciliano Vittorio Messina, che ha sottolineato l’esigenza di affiancare alla progettare di infrastrutture mirate oramai non più procrastinabili anche azioni di sviluppo per forme turistiche che abbiano come oggetto la valorizzazione dell’enogastronomia, il ripopolamento dei piccoli centri con una particolare attenzione alla digitalizzazione che appare oggi come ancora di salvezza non solo per la promozione delle aziende quanto per lo snellimento delle pastoie burocratiche alle quali le imprese vengono sistematicamente sottoposte e che potrebbero rappresentare un ulteriore difficoltà all’utilizzo dei fondi comunitari.

Per la Regione Calabria, era presente il presidente Vincenzo Farina, che ha messo in guardia su come le strette tempistiche potrebbero portare soprattutto i piccoli comuni a portare avanti progetti di piccolo cabotaggio tralasciando progetti di più ampio respiro e prospettiva invece in grado di creare uno sviluppo concreto e possibile per il futuro.

Tra i 18 partecipanti al Summit, ben quattro hanno rappresentato la Regione Basilicata. Presenti il presidente Confesercenti Lamorgese, il direttore Palumbo, il dirigente Cassino, il presidente materano Martino, e il presidente Assoturismo Confesercenti Maratea – Pz  Munafò.

Il Piano Confesercenti, oramai ben delineato, verrà presentato ora al Governo. Il Presidente del Consiglio Draghi presenterà il Suo documento di sintesi alla Camera ed al Senato il 26 ed il 27 aprile e consegnerà la copia definitiva a Bruxelles il 30 aprile come previsto dalla naturale scadenza.

Conclude la nota, il Presidente Assorismo Confesercenti Maratea – Pz, Munafò, presente al Summit: «penso che la Confesercenti non potesse fare realmente più di quanto ha fatto. Si è cercato in ogni modo di orientare il Pnrr in una direzione che sia sostenibile e oggettivamente fruibile da parte di Enti pubblici ed aziende private. La voce e le istanze del nostro Sud, della Calabria e della Basilicata, in particolare, sono sicuramente state finalmente ben rappresentate».

«Non possiamo sbagliare – ha aggiunto – perché non dobbiamo dimenticarci che questa grande opportunità nasce, comunque, da un nuovo grande debito. A noi l’onere di trasformarlo in un investimento e la serietà con la quale stiamo affrontando la fase progettuale sembra un buon auspicio perché per la prima volta i territori appaiono realmente coinvolti e protagonisti». (rrm)

Hydrogen Valley: un suggerimento per Spirlì nell’incontro con Draghi per il Recovery

Carlo TansiRosella Cerra, di Tesoro di Calabria, in occasione dell’incontro dei presidenti delle Regioni con il premier Mario Draghi, per discutere del Recovery Plan, propongono alcuni spunti su cui discutere al presidente f.f. Nino Spirlì.

Tansi e Cerra, infatti, si sono chiesti di cosa avrebbe parlato Spirlì, dato che «non c’è infatti stato, almeno fino a questo momento, alcun confronto pubblico sul tema e non si conoscono idee e intenzioni della giunta regionale a riguardo».

«Come ormai a molti noto – hanno detto – una buona parte delle risorse del Piano, in realtà denominato Next Generation Ue, con una dotazione di 750 miliardi di euro di cui 209 destinati all’Italia, ossia circa il 30%, saranno rivolte alla tutela dell’Ambiente, e in modo più specifico alla “Rivoluzione verde” e alla Transizione ecologica. Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza ha peraltro previsto la destinazione di quasi 69 miliardi per Efficienza energetica; Economia circolare, Tutela del territorio e della risorsa idrica».

«Sul fronte dell’energia da fonti rinnovabili – hanno aggiunto – grande interesse è in particolare rivolto innanzitutto all’idrogeno verde. E l’Europa punta alla presentazione di progetti innovativi sul versante della cosiddetta Transizione energetica. Da noi vi sono le condizioni per la costituzione di una rete fra Università locali e Centri di ricerca sull’idrogeno verde, che rappresenta una nuova frontiera di investimento su una fonte di energia definito ‘l’asso nella manica per la ripresa post Covid’, tanto che il 2 dicembre scorso Eni ed Enel hanno annunciato la costruzione di un primo impianto entro un paio d’anni, gettando di fatto le basi per una struttura pilota in grado di generare idrogeno verde entro il termine del 2022 o metà del 2023 al massimo».

«L’Università della Calabria, del resto – hanno proseguito Tansi e Cerra – ha già avviato tale percorso di ricerca firmando, nell’aprile dell’anno scorso, un accordo con Snam e Registro Navale Italiano (Rina), per accelerare sull’introduzione del gas ‘verde’ nel sistema energetico italiano e abbattere così le emissioni di Co2. L’idrogeno dovrebbe sostituire i combustibili fossili in alcuni processi industriali ad alta intensità di carbonio, come in Siderurgia e nella Chimica, abbassando così di molto le emissioni di gas a effetto serra».

«Nello specifico – hanno detto ancora – c’è al lavoro il Laboratorio DeltaH dell’Unical (uno dei pochi al mondo a poter fare questo tipo di ricerca) e il ‘Distretto tecnologico sui materiali avanzati per le rinnovabili’, con sede a Lamezia. Ma non manca anche il contributo di imprese private come ad esempio il Centro Sviluppo Materiali».

«Nel Pnrr – hanno concluso – si impegnano diversi miliardi per la ‘Promozione della produzione, distribuzione e uso di idrogeno verde’, oltreché per ‘Ricerca e sviluppo nell’ambito dell’idrogeno’, con l’istituzione delle Hydrogen Valley. E la Calabria, una volta tanto, annovera tutti gli elementi, avendo le competenze e una politica energetica appropriata per poterne vantare una». (rcz)

Allarme Uil Calabria sulle (poche) modifiche previste nel Recovery Plan

Il segretario generale di Uil Calabria Santo Biondo lancia un allarme sulle poche modifiche apportate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che servirà da base per il Recovery Plan da presentare a Bruxelles entro il 10 maggio.

«Le notizie che rimbalzano da Roma in merito alla discussione sul Piano nazionale di rilancio e resilienza e sulle scelte di finanziamento degli hub portuali italiani – ha dichiarato Biondo – ci preoccupano e non segnano un tratto di discontinuità rispetto alle scelte effettuato dal Governo Conte.
Notizie romane che contrastano le dichiarazioni su Gioia Tauro, del Presidente facente funzioni della Regione Calabria Spirlì a conclusione dell’incontro con la Sottosegretaria al Mezzogiorno, Nesci.
Allo stato ci risulta incomprensibile come l’Italia scelga di non approfittare pienamente dei fondi messi a disposizione dall’Europa con il Recovery plan per sviluppare uno degli asset strategici per la ripartenza del Mezzogiorno in una previsione di rilancio sui canali euro-mediterranei, e della Calabria in particolare, come è quello rappresentato dalle strutture portuali.
A nostro parere gli investimenti sui porti, quelli sulle Zone economiche speciali e l’attuazione di moderne e mirate politiche attive del lavoro rappresentanti i tre pilastri in grado di favorire una nuova stagione di industrializzazione del Sud e della Calabria.
Vogliamo ricordare, ancora – ha aggiunto il segretario generale di Uil Calabria –, che non ha senso di esistere un investimento per il potenziamento della Zes che possa essere sganciato da un investimento diretto a potenziare le prestazioni del Porto di Gioia Tauro.
Alla luce di quanto detto sino ad ora appare lapalissiano il fatto che la politica debba, senza perdere altro tempo, intervenire per colmare i ritardi sul piano infrastrutturale e sanando le problematiche esistenti e le strozzature insistenti sull’asse di collegamento ferroviaria da e per lo scalo portuale gioiese, eliminando così facendo tutte le tare ancora esistenti che frenano il completo sviluppo dello scalo.
Alla deputazione calabrese e meridionale in genere, alla politica regionale tutta, infine, chiediamo di intervenire con prontezza per mettere in evidenza questa pesante discrasia e di adoperarsi affinché la stessa non dispieghi i suoi effetti negativi sulla ripartenza economica, produttiva e sociale della Calabria e di tutto il Mezzogiorno». (rp)

Brescia, Baldino (M5S): Chiesto di superare il 34% di investimenti per il Mezzogiorno

I deputati del Movimento 5 StelleGiuseppe BresciaVittoria Baldino, hanno dichiarato che «con il parere del Recovery Plan approvato oggi (martedì 23 marzo ndr) dalla commissione Affari Costituzionali della Camera abbiamo dato voce alle diverse richieste avanzate da più di 300 sindaci del Sud».

«Nel documento – hanno aggiunto – abbiamo chiesto di superare in maniera significativa la quota del 34% di investimenti al Mezzogiorno e di attuare un programma organico straordinario di assunzioni a tempo determinato di personale altamente qualificato, tenendo in considerazione gli squilibri territoriali esistenti, in particolare nelle regioni del Meridione. Vanno poi definiti una volta per tutte i livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».

«Per ridurre il divario Nord-Sud – hanno proseguito i deputati – chiediamo al governo di applicare, alla distribuzione delle risorse del Recovery tra le macro-aree del Paese, criteri come la popolazione, il Pil pro capite e il tasso di disoccupazione, già usati dall’Europa per il riparto tra i diversi Stati».

«Nel parere – hanno concluso – abbiamo sottolineato anche la questione di genere. Bisogna superare la disparità salariale e garantire la parità di accesso ai ruoli apicali in aziende, enti e istituzioni. Su questo invitiamo il governo ad applicare il gender procurement rispetto alle aziende beneficiarie dei fondi». (rp)

Draghi sposa l’impegno per il Sud: oggi un primo passo per interrompere il divario

di SANTO STRATI – La giornata di oggi è un primo passo contro il divario – esordisce il presidente del Consiglio Mario Draghi collegato in streaming con la ministra Carfagna e gli altri ospiti del Confronto per il Sud –: occorre rafforzare la coesione territoriale in Europa e far ripartire il processo di convergenza tra Mezzogiorno e centro-Nord che è fermo da decenni. Ha un quadro di riferimento tristemente preciso il premier: tra il 2008 e il 2018 la spesa pubblica per investimenti nel Mezzogiorno si è più che dimezzata, passando da 21 a poco più di 10 miliardi. Ovvero, ammette Draghi che il problema esiste ed è ben più vasto di quanto si possa immaginare.

È un successo questo “Confronto per il Sud” che la ministra Mara Carfagna ha voluto concentrare in due giorni chiamando a raccolta personalità del mondo istituzionali, membri del governo, presidenti di regione, amministratori locali. E lanciato un appello ai cittadini del Mezzogiorno di inviare idee e proposte operative attraverso il web: l’appello non è rimasto inascoltato, già nel pomeriggio c’erano più di 400 messaggi propositivi da parte di ogni categoria: semplici cittadini, imprenditori, artisti, intellettuali. La questione meridionale che deve diventare questione mediterranea, con al centro il Porto di Gioia Tauro e il rilancio di tantissime iniziative che dovranno fare capo ad esso, è più che sentita non solo dalle popolazioni del Mezzogiorno, ma dall’intero Paese, non foss’altro perché con i flussi migratori degli ultimi anni le migliori risorse intellettuali e tecniche (quelle che farebbero la fortuna della Calabria) sono andate via, al Nord, al Centro, dove non solo ci sono maggiori opportunità, ma esistono serie probabilità di poter mostrare il proprio talento e far apprezzare competenza e capacità. È la solita vecchia storia: prepariamo ottimi studenti che diventano eccellenti laureati in tre Atenei che sono il fiore all’occhiello di una regione troppo spesso dimenticata e trascurata, poi, però, ce li facciamo “soffiare” da furbastri (meglio dire, però, intelligenti) del centro-nord che ne intuiscono il valore e lo mettono a profitto del loro territorio. Basta farsi un giro per i migliori ospedali di Roma o di Milano, la parlata calabrese è una costante: sono finiti lì i nostri ragazzi, medici, ricercatori, specialisti, diventati professionisti apprezzati, ammirati, ma soprattutto valorizzati. Che se fossero rimasti in Calabria sarebbero diventati disoccupati o professionalità sfruttate con stipendi da fame, senza il minimo di prospettiva per il futuro.

E la partecipazione del premier Draghi a queste assise elettroniche (impossibile fare convegni in presenza) assume – come ha giustamente sottolineato la ministra Carfagna – un significato netto, di adesione e di impegno. «Ci sono due problemi – ha detto Draghi –: uno nell’utilizzo dei fondi europei, l’altro nella capacità di completamento delle opere pubbliche. A fronte di 47,3 miliardi di euro programmati nel Fondo per lo Sviluppo e la Coesione dal 2014 al 2020, alla fine dello scorso anno erano stati spesi poco più di 3 miliardi, il 6,7%. Nel 2017, in Italia erano state avviate ma non completate 647 opere pubbliche.  In oltre due terzi dei casi, non si era nemmeno arrivati alla metà. Il 70% di queste opere non completate era localizzato al Sud, per un valore di 2 miliardi. Divenire capaci di spendere questi fondi, e di farlo bene, è obiettivo primario di questo governo. Vogliamo fermare l’allargamento del divario e dirigere questi fondi in particolare verso le donne e i giovani. Il nostro, il vostro successo in questo compito può essere anche un passo verso il recupero della fiducia nella legalità e nelle istituzioni, siano esse la scuola, la sanità o la giustizia». È un messaggio forte, rivolto al Paese: «Un vero rilancio richiede la partecipazione attiva di tutti i cittadini».

E la partecipazione non è mancata, in questa prima giornata del Confronto per il Sud: l’Italia ha potuto ascoltare non le solite litanie del Sud dimenticato e depresso, ma numeri e cifre della crisi che possono essere determinanti per costruire un progetto di sviluppo. I dati indicati dalla Banca d’Italia o dall’Istat o dalla Ragioneria generale dello Stato non sono fredde indicazioni dello sviluppo mancato, ma esprimono il percorso virtuoso che occorre seguire se – veramente – si intende colmare l’odioso divario tra Nord e Sud e offrire pari opportunità agli italiani, indipendentemente dal luogo di nascita o di residenza.

Il merito di questa due giorni, che domani si chiuderà con un intervento del ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco, è soprattutto questo: di aver attirato l’attenzione del Paese sull’incapacità di spesa (non solo del Mezzogiorno) e sulla possibilità di recupero, nei confronti della popolazione meridionale, di un gap che i nostri giovani non potranno mai perdonare se non verrà colmato. È stato rubato il futuro a tanti giovani, adesso si deve dire basta: il Governo Draghi ha detto, per voce del suo capo, che l’obiettivo è migliorare la capacità di spendere. E il Sud non può più attendere. (s)

L’intervento del presidente del Consiglio Mario Draghi

Il video della mattinata (interventi istituzionali)

il video della sessione pomeridiana (presidenti delle Regioni meridionali e sindaci) 

GLI INTERVENTI CALABRESI AL CONFRONTO PER IL SUD

Sud progetti per ripartireAll’evento di ascolto e confronto per il Sud sono stati invitati per la Calabria il presidente della Regione pro-tempore Nino Spirlì, il sindaco di Reggio Giuseppe Falcomatà e la sindaca di un borgo bellissimo quanto suggestivo del Cosentino Rosanna Mazzia, primo cittadino di Roseto Capo Spulico.

Spirlì ha ribadito la sua richiesta di azzeramento del debito della sanità calabrese, vincolo per una qualsiasi idea di ripartenza: «Consentiamo a tutte le Regioni la possibilità di ripartire da zero. Ripartiamo dall’Italia. Ho chiesto un’operazione di risanamento del debito nel settore sanitario, perché mai come oggi è possibile farlo. Nessun commissario di governo sarà mai in grado di ripianare un debito che supera i due miliardi e molti calabresi sono costretti ad andare fuori regione per le cure. In questo governo sono rappresentati tutti i partiti, e chi è fuori ha dato disponibilità ad appoggiare azioni necessarie perché le cose buone vengano fatte. Se questo governo non salva il figlio più debole, come farebbe un buon padre ed una buona madre, allora non ha più diritto di dire che quel figlio è suo».

Il sindaco metropolitano di Reggio Falcomatà si è detto convinto della bontà dell’iniziativa della ministra Carfagna, in vista dell’elaborazione definitiva del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e della definizione dell’accordo di partenariato e ha definito «molto importante» l’incontro per affrontare il quale «non si può non ragionare sul tema dell’attuazione dei Livelli essenziale delle prestazioni» che, per l’inquilino di Palazzo Alvaro, rappresenta «la più netta e decisiva discriminazione di residenza fra Nord e Sud d’Italia».

«Qualche giorno fa – ha detto Falcomatà – sono stati declinati i dieci punti principali che determinano questa differenza: la gestione e la costruzione degli asili nido, la costruzione asili nido, il tempo pieno a scuola, l’erogazione dei servizi sociali, i ristori per i Comuni a causa del Covid, il trasporto pubblico locale, il turnover universitario, i posti letto negli ospedali, il fondo sanitario. Fare fronte comune per risolvere questi gap, credo sia il presupposto per imbastire ogni ragionamento, discussione o programma di crescita Mezzogiorno».

«Accanto a questo – ha aggiunto il sindaco – bisogna risolvere la clausola del 34% quale tetto per l’utilizzo dei fondi per il Sud previsti dal Recovery Fund. Questa percentuale, purtroppo, tiene conto anche di quella che è la programmazione ordinaria dell’Fsc 2021/2027 facendo venir meno l’aspetto di carattere aggiuntivo del piano di finanziamento straordinario deciso dall’Europa. Come ha correttamente osservato la Svimez, invece, per un giusto equilibrio nella ripartizione delle risorse del Recovery fund e del Next Generation Ue, al Meridione spetterebbe il 60% dei fondi, ovvero quasi il doppio degli investimenti fissati da quei parametri».

Quindi, il primo cittadino della Città Metropolitana di Reggio Calabria si è concentrato sulle proposte, partendo dalle politiche infrastrutturali con l’idea che «questo Paese non possa più andare a due velocità». Fra le priorità indicate da Falcomatà ci sono «l’alta velocità a 300 km/h fino alla Sicilia, l’ammodernamento della Strada Statale 106 ed un piano d’investimenti massiccio non soltanto sui porti del Sud, come Gioia Tauro, ma anche sul retroporto con l’avvio, finalmente, delle Zes».

«Queste idee – ha spiegato Falcomatà durante il collegamento telematico – sono frutto dei dibattiti con gli altri sindaci delle Città Metropolitane del Sud e con quella che è stata definita la rete dei sindaci del “Recovery Sud” che, nei prossimi giorni, presenterà un proprio dettagliato documento di sviluppo direttamente al primo ministro Mario Draghi».

Falcomatà ha puntato l’attenzione anche sulla gestione dei beni confiscati alle mafie rispetto ai quali «il Governo deve fare un forte investimento rivedendo la legge per l’utilizzo delle risorse derivanti dalla sottrazione dei patrimoni ai mafiosi».

Poi, il tema dei temi: l’occupazione. «Segnalo – ha affermato l’inquilino di Palazzo Alvaro – un progetto straordinario dell’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria, già posto all’attenzione del Governo ed inserito all’interno dei Contratti istituzionali di sviluppo, per la realizzazione di un Campus Agapi all’interno dell’ex area dismessa di Saline Joniche».

«Il progetto – ha spiegato Giuseppe Falcomatà – intende realizzare una sorta di San Giovani a Teduccio nel profondo sud ed all’interno di 54 mila metri quadri di terreno. Esiste già un preliminare, che potrebbe diventare un progetto definitivo d’interventi per circa 90 milioni indispensabili alla costruzione di un distretto dell’innovazione».

«L’Università – ha aggiunto – in questi anni ha preso contatti con importanti players internazionali e partner istituzionali per la realizzazione, in quest’area, di laboratori di start-up ed incubatori di imprese utili ad arginare il problema della disoccupazione, soprattutto, giovanile. I giovani neo laureanti, infatti, non hanno la possibilità di tradurre in produttività le conoscenze acquisite all’interno dei nostri atenei. Parliamo di una previsione di circa 400 nuovi posti di lavoro».

La sindaca di Roseto Capo Spulico Rosanna Mazzia ha puntato, nel suo intervento, sulla necessaria attenzione da riservare ai borghi «quel pezzo di Italia autentica che ha bisogno di rimettere in pista tutte le energie ancora inespresse. I piccoli comuni  – ha detto la Mazzia –  devono assumere un ruolo baricentrico in vista della elaborazione definitiva del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e della definizione dell’accordo di partenariato. «È una grande soddisfazione per Roseto Capo Spulico essere al tavolo dei lavori di questo importante incontro istituzionale, insieme ai Comuni di Salvitelle e Sulmona e delle Città Metropolitane del Sud, da Bari a Palermo. C’è tanto da fare e questa occasione di confronto ha dato la possibilità ai territori di avere una importante interlocuzione con il governo». (rrm)

 

SVIMEZ SCRIVE A DRAGHI: L’INNOVAZIONE
È LA CHIAVE CONTRO IL DIVARIO NORD-SUD

Il Recovery Plan è una vera e propria scommessa non solo per l’Italia, ma sopratutto per il Sud. Un’occasione – più e più volte ribadita da Istituzioni, Enti, sindacati e politici – irripetibile, che potrebbe, finalmente, accorciare l’abisso che, negli anni, si è formato tra il Nord e il Sud sopratutto a livello infrastrutturale.

Gli economisti Luigi PaganettoAdriano Giannola, presidente Svimez, Alessandro Corbino, Leandra D’Antone, Mario Panizza, Flavia Marzano, Giandomenico Magliano, Vincenzo Scott, in un documento inviato al premier Mario Draghi, sottolineano che «l’innovazione è la chiave per progettare e gestire l’unificazione del Paese: Nord e Sud».

«La crisi economica del 2008 – si legge nella lettera – e la drammatica pandemia non hanno messo solo il Mezzogiorno in gravi difficoltà ma, e in modo crescente, anche il Nord; le stesse regioni, cioè, che hanno costituito – nel passato – un ruolo di motrici dello sviluppo. Per questo, oggi, è necessario che il Nord e il Sud rilancino lo sviluppo dell’Italia e di ciascuna delle due aree con un disegno comune».

Il documento inviato, «che nasce anche dall’attività istituzionale condotta dai diversi Centri di ricerca e Universitari cui i firmatari fanno riferimento, possa fornire spunti utili per il progetto che il Governo sta definendo in relazione al Recovery Fund».

«Viviamo in una logica di grandi aree in competizione tra loro, per cui possiamo avvalerci della nostra collocazione nel Mediterraneo e mirare a politiche per l’innovazione e la transizione digitale e ambientale con essa compatibili e, allo stesso tempo, adottare, nella logica Ue, interventi su un sistema di infrastrutture, materiali e immateriali, che rilancino la nostra competitività, tanto del Mezzogiorno quanto del Nord che, da tempo, ha visto decrescere i vantaggi della cooperazione con i Paesi più sviluppati della Ue».

«Siamo certi – hanno scritto gli economisti che l’effetto crescita degli investimenti da realizzare nel Mezzogiorno andranno a vantaggio dell’intero Paese. Il Mezzogiorno e il Mediterraneo diventano la leva per il Nord dell’Italia e per lo stesso Nord dell’Europa e aiutano a far argine a rivendicazioni corporative a sussidi stimolando invece l’impegno a raggiungere tappe coordinate di sviluppo che, nel dare al Sud lavoro e benessere e un definitivo ancoraggio ai valori costituzionali, arricchiscano l’Italia nel suo insieme».

Per la Svimez, dunque, «occorre inserire le proposte per il Mezzogiorno in una strategia di ricomposizione di sistema e, quindi, di sviluppo sostenibile, che trovi la sua collocazione nel quadro in cui oggi si muove l’Europa, in maniera non assistenziale e riducendo le diseguaglianze che impediscono livelli coerenti e omogenei, basilari per la qualità della vita».

«Occorre – si legge nel documento – rimettere in moto, attraverso il Recovery Plan, il Mezzogiorno in modo sinergico con il Centro-Nord e con una visione unitaria, indispensabile per il rilancio di entrambe le macro-aree e funzionale a un riequilibrio del Paese e a ristabilire la sua posizione in Europa e nel Mediterraneo, superando il dualismo storico dell’economia e della società italiana».

«Per farlo – si legge nel documento – occorre partire dal quadro competitivo in cui la stessa Europa si colloca, e le sfide che deve fronteggiare. Oggi siamo concentrati, come è giusto che sia, sulla pandemia e sulla crisi devastante che stiamo vivendo. Molto è stato fatto. L’abbandono delle regole di Maastricht, il cambio di rotta della politica monetaria della Bce e il programma d’intervento del Next Generation Eu ci assicurano un contesto in cui è possibile la ripresa. Ma non bisogna dimenticare che la Eu, nel momento in cui è impegnata a superare il quadro pandemico, si trova a fare i conti con lo straordinario cambiamento globale che si è prodotto in questi anni, a cui deve rispondere come già aveva cominciato a fare al momento dell’insediamento della nuova Commissione.

Due gli aspetti chiave individuati: il primo, «il mancato aumento della produttività (per il quale occupiamo gli ultimi posti) a dispetto dei grandi progressi della tecnologia e dell’aumento degli investimenti in intangibles, quali software e intelligenza artificiale», il secondo «la riduzione delle catene del valore collegata ai rischi e alle incertezze di un mondo dominato dalla pandemia che determina un nuovo assetto della competizione tra le diverse aree del mondo. Rispetto ad esso contano, perché influenzano la produttività, le tendenze di lungo periodo dell’invecchiamento della popolazione europea e le sue conseguenze rispetto a welfare e crescita, anche se esso potrebbe essere in parte bilanciato dagli effetti positivi di migrazioni ben regolate. Le questioni della transizione energetica e quella dei conflitti commerciali in corso per la supremazia tecnologica, sono aspetti importanti di questa competizione tra aree del mondo».

«La conclusione – si legge – è che ciò che sta accadendo dovrebbe spingere la Eu a crearsi nuovi spazi economici, a cominciare da quelli più immediatamente realizzabili, quelli della sponda Sud. Non solo. Nel momento in cui si dovesse abbracciare una prospettiva mediterranea, occorre che alla scelta di area si associno progetti d’investimento in grado di aumentare la produttività, sia che si tratti di progetti per la transizione ecologica che di scelte a favore di quella digitale».

Per la Svimez, infatti, «a livello del nostro territorio, la politica economica dovrebbe tenere conto, sia nelle sue linee generali che in quelle previste dal Pnrr, dell’esigenza di puntare sull’innovazione, prendendo in considerazione le opzioni d’investimento in infrastrutture e logistica coerenti con questa prospettiva, nel momento in cui, ad esempio, ecosostenibilità e tecnologie digitali si applicano alle scelte in materia portuale. Questa scelta strategica complessiva può avere grande effetto sullo sviluppo del Mezzogiorno, se si traduce in interventi che tengono adeguato conto dell’innovazione collegata con le nuove tecnologie che porta con sé aumenti di produttività».

«L’utilizzo delle risorse del Recovery Fund – ricorda la Svimez – impone di fissare precisi obiettivi, varare progetti, definire un percorso che impegni le risorse entro il 2023, da spendere entro il 2026. Per ottemperare al duplice vincolo delle condizionalità e della tempistica va esplicitata in primis una visione realistica, immediatamente operativa, capace di porre mano alla fondamentale esigenza di connettere il Paese e di ridurre, con la ripresa dello sviluppo, le disuguaglianze economiche e sociali che – come la Ue sottolinea – minano alla base il Sistema Italia».

Per la Svimez, dunque, «occorre definire un chiaro Progetto di Sistema che – per quanto attiene al ruolo che compete al settore pubblico – sia incardinato su interventi produttivi, non assistenziali, in conto capitale, organicamente finalizzati a sostenere e migliorare le performance delle imprese e a recuperare il contributo di quel 40% di territorio e di oltre il 30% di cittadini per rimettere in moto il Mezzogiorno nell’ottica nazionale euromediterranea. In questo spirito va colta l’opportunità (da decenni trascurata) di partecipare in posizione centrale al governo del Mediterraneo, il luogo che più radicalmente la globalizzazione ha investito e reso strategico e nel quale l’Unione e noi – unico grande Paese dell’Unione esclusivamente mediterraneo – siamo invece a rischio di una progressiva emarginazione».

«L’obiettivo è quello di consolidare un aspetto di cruciale rilevanza della politica euromediterranea, che è fondamentale per il nostro ruolo. L’upgrading del sistema portuale meridionale, l’effettiva operatività delle Zes consentono di strutturare in modo efficiente le funzioni logistiche dell’intermodalità e della trasversalità territoriale, a cui deve concorrere la progressiva, rapida attivazione di un sistema di Autostrade del Mare (da tempo annunciata e mai adeguatamente sviluppata), fattore di ulteriore nostro vantaggio, sul versante della transizione energetica e della sostenibilità ambientale. Sarà così realizzata la missione di fare del “nostro” Mediterraneo, la grande piazza di un mercato di scambio, riscattando le nostre inerzie strategiche che lo hanno reso, fino ad ora, un passivo mare di transito».

«Partendo, quindi, dal Piano del Sud, riteniamo opportuno ribadire – continua il documento – che una pianificazione dedicata al Mezzogiorno, o una lettura del Mezzogiorno come dimensione geografica a se stante, è un comportamento antitetico a ciò che invece riteniamo approccio di “sistema”. E l’approccio di “sistema” impone una lettura organica e unica dell’intero assetto Paese: sarebbe bene produrre subito un documento organico del rilancio ed dell’ottimizzazione della offerta infrastrutturale e logistica del Paese, in un’ottica di sviluppo sostenibile euromediterraneo».

L’Ente, poi, sottolinea l’urgenza di costituire una unica società per azioni «in grado di ottimizzare, al massimo, le singole potenzialità» dell’offerta portuale del Mezzogiorno, costituita da 13 impianti aeroportuali.

«Una unica Società – viene spiegato – oltre a contenere i costi di gestione, potrebbe anche dare vita ad una vera specializzazione dei singoli scali e, soprattutto, potrebbe attrezzare solo due di essi a un servizio cargo, in grado di rendere efficienti e funzionali i trasporti delle primizie del comparto agroalimentare».

Proposta, anche, una riforma organica dell’offerta portuale del Mezzogiorno, dove «basterebbe – scrivono gli economisti – dare vita ad una chiara distinzione tra la portualità finalizzata al transhipment e quella destinata ad altre attività e definire i porti di Cagliari, Augusta, Gioia Tauro e Taranto come gli unici Hub del Mezzogiorno preposti ad una simile attività, e trasferire la gestione di tali Hub ad unica Società per Azioni. Le altre realtà portuali rimarranno legate a quanto previsto dall’attuale normativa. Il porto di Napoli, di Salerno, di Catania, di Palermo continueranno ad essere all’interno delle Autorità di sistema portuale. Una riforma sostanziale nella offerta di trasporto pubblico locale nelle aree urbane del Mezzogiorno».

La Svimez, poi, ha sottolineato l’urgenza di affrontare alcune questioni che, «se non affrontate, rischiano di fluire negativamente sulle modalità e sui tempi che ci vengono dettati dalla Ue in questo programma di ripresa e di sviluppo sostenibile»: la prima, è quella di «definire un programma a 100 giorni, in cui sarà bene che l’intera compagine di Governo lavori in modo collegiale; è necessario evitare che i singoli Dicasteri lavorino autonomamente perché le interazioni e le interdipendenze tra i vari Dicasteri in questa delicata fase diventano la condizione essenziale per riuscire a ricomporre le tessere socio – economiche del mosaico Paese».

«È, infatti, impensabile – continuano gli economisti – che la ministra del Mezzogiorno, Mara Carfagna, possa produrre delle linee strategiche essenziali per la crescita del Sud senza lavorare, durante i primi 100 giorni, con la ministra degli Affari Regionali, con il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, con il ministro dell’Economia e delle Finanze ecc. In realtà, siamo sempre più convinti che la caratteristica più forte di questo Governo debba essere proprio questa elevata carica di collegialità nel formulare le proposte, nel varare scelte».

La seconda questione, poi, riguarda la definizione delle riforme: «diventa necessario che si pervenga alla definizione delle riforme misurando, caso per caso, le ricadute che ogni riforma provoca in comparti diversi. Siamo sicuri, ad esempio, che la riforma della Giustizia civile dovrà necessariamente essere affrontata leggendo, in modo capillare, le ricadute che si generano nel comparto delle costruzioni. Analogamente, la riforma del trasporto pubblico locale dovrà essere definita non solo dal Dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ma anche dal Ministero dell’Ambiente, dal Ministero degli Affari Regionali e dal Ministero del Sud. Questa esigenza di complementarietà nasce proprio dalla esigenza di trasferire su mezzi pubblici la massima domanda di trasporto che invece usa ancora per oltre il 65% mezzi di trasporto privati».

«Occorre, quindi – scrivono ancora – rivedere le logiche con cui lo Stato, oggi, copre circa il 65% dei disavanzi delle società preposte alla gestione di una tale offerta di trasporto e forse occorre misurare quanto incida sulla produzione di CO2 e di polveri sottili tale trasporto e concordare con il Ministero dell’Ambiente la istituzione di un apposito Fondo rotativo capace di premiare le gestioni virtuose; tutto questo coinvolgendo le Regioni che, nel caso specifico, potrebbero concordare con lo Stato l’utilizzo delle risorse comunitarie (Pon e Por) per implementare al massimo la offerta di trasporto pubblico su guida vincolata (metropolitane pesanti e leggere)».

Un’altra questione, riguarda la «rivisitazione della fase autorizzativa delle proposte progettuali relative alle opere che si riterrà opportuno non solo inserire nel Recovery Plan, ma in quel Programma di opere che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dopo un aggiornamento del Programma delle Infrastrutture Strategiche di cui alla Legge Obiettivo, intenda confermare. Ebbene, la fase autorizzativa, che mediamente impiega oltre 30 mesi (con punte di 70 mesi), deve ridursi in un arco temporale di soli 90 giorni. Trattasi della riforma senza dubbio più rilevante ma possibile; perché le motivazioni dei tempi lunghi e delle scadenze temporali non rispettate è legata alla frantumazione dei pareri e alla disarticolata tempistica con cui questi vengono prodotti; è necessario effettuare l’esame di ogni proposta in una sede unica con la presenza dei vari Dicasteri competenti, con la emissione contestuale di tutti i pareri, con la partecipazione della Corte dei Conti e con un unico esame definitivo del Cipe».

«Un’azione del genere – continua il documento – è basilare per il Mezzogiorno dove dei 54 miliardi di risorse del Fondo di Coesione e Sviluppo, in sei anni, se ne sono impegnati solo 24 e spesi solo 7; dove su circa 26 miliardi di opere infrastrutturali approvate nel 2014 sono in corso di realizzazione solo interventi per un importo di circa 5 miliardi». (rrm)