FONDI UE, CALABRIA FERMA ALL’1,31%
ANCORA INCAPACE DI SAPER SPENDERE

Ritardi nell’avanzamento della spesa dei fondi europei. Lo stato di attuazione del programma 2021-2027 del fondo europeo di sviluppo regionale (Fers), vede la Regione Calabria ferma all’1,31% nell’avanzamento dei pagamenti e al 3,59% per ciò che concerne gli impegni di spesa. Che tradotto in soldoni significa che dei 2.405,17 miliardi destinati alla Calabria, le risorse impegnate ammontano a 86,37 milioni mentre i pagamenti non vanno oltre i 31,40 milioni.

Va un po’ meglio per quanto riguarda invece i fondi Fse+: l’avanzamento degli impegni segna il 7,01% mentre quello dei pagamenti il 5,93%. Sono questi alcuni dei dati che emergono da Check-Up Mezzogiorno 2024, l’analisi sullo stato di salute dell’economia meridionale realizzato annualmente da Confindustria e SRM.

Fondi europei

I dati relativi all’attuazione della programmazione 2021-2027 soprattutto nelle regioni del Sud sono ancora molto bassi, seppur ci si trovi quasi alla revisione di metà periodo. Questo – secondo l’associazione degli industriali – «è sicuramente imputabile a varie cause, primo tra tutti il fatto che la programmazione è di per sé partita con due anni di ritardo a causa della situazione emergenziale dovuta alla pandemia, che ha interrotto i negoziati sui regolamenti e di conseguenza l’approvazione del quadro legislativo europeo e poi dell’Accordo di partenariato e dei piani nazionali e regionali». Inoltre, «la concomitanza con l’introduzione del Pnrr ha portato le amministrazioni a spendere per prime, per non perderle, tali risorse». Al 31 dicembre 2024 sono i programmi regionali delle regioni classificate come “più sviluppate” a far registrare il tasso più alto di risorse impegnate (30,9%) e di pagamenti effettuati (10%, il doppio della media nazionale). Con riferimento alle Regioni del Mezzogiorno, il dato complessivo è pari all’11% di impegni e al 3% di pagamenti, con una performance migliore per i Piani Nazionali. «Questo andamento eterogeneo – rilevano gli industriali – è sicuramente anche imputabile al fatto che le risorse a disposizione sono molte di più nelle regioni classificate come meno sviluppate».

Tra queste, registrano buone performance i FSE + di Puglia e Campania. In linea generale, l’attuazione del FESR, e quindi del fondo più specificatamente a sostegno delle imprese, è ferma a un 1,5%, dato ben al di sotto della media nazionale.

Accordi per la Coesione, Calabria da zerovirgola

Introdotti nel 2023, gli Accordi per la Coesione costituiscono i nuovi strumenti operativi per la gestione delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione. A differenza che nel passato, gli interventi finanziati con le risorse del Fondo vengono concordati tra le Amministrazioni e il Governo.

«Il necessario tempo per la negoziazione degli accordi – si legge nel report – ha portato alla stipula degli stessi con tempi diversi da regione a regione, comportando inevitabilmente effetti sull’attuazione».

A livello nazionale i pagamenti non arrivano ancora all’1%, mentre a livello regionale nel Sud spicca la Basilicata, con un livello di pagamenti pari al 3%. Mancano i dati relativi all’attuazione degli Accordi in Campania e Sardegna, in quanto la firma stessa dell’accordo in queste due Regioni è arrivata tardivamente e non sono stati elaborati ancora i dati sui pagamenti. Mentre la Calabria è ferma allo 0,03% sui pagamenti e allo 0,09 sugli impegni.

Crescono le società di capitali: +4%

A fine 2024 le imprese attive nel Mezzogiorno erano più di 1 milione e settecentomila e, pur se in lieve calo rispetto al dato del 2023 (-1,2%), rappresentano poco più di un terzo del totale nazionale. Le Società di capitali al Sud continuano, invece, a mostrare un andamento in crescita, superando le 425 mila unità, con un +4,2% rispetto all’anno precedente che equivale ad oltre 17 mila nuove imprese di capitale. Per tutte le regioni della macroarea la dinamica è la stessa: ad un calo del numero complessivo di imprese si contrappone una crescita delle società di capitaliche mostrano le migliori performance in Campania (+4,8%), Puglia (+4,6%), Calabria (+4,1%). Dal Pollino allo Stretto le imprese attive nel 2024 sono state 157.410, in calo dell’1,7% rispetto al 2023 mentre le società di capitali hanno toccato quota 32.431.

Export

Nel 2024 l’export delle regioni del Sud è stato pari a quasi 65 miliardi di euro, circa l’11% del dato nazionale, con un calo rispetto al 2023 (-5,4%, contro un -0,6% per il Centro-Nord) ed un saldo commerciale negativo per quasi 5,5 miliardi. Guardando alle sue regioni, le prime due per flussi internazionali in uscita (Campania e Sicilia) rappresentano più della metà dell’export della macroarea; in particolare, la Campania registra un valore di oltre 21,6 miliardi di euro con un calo del 2,5% rispetto al dato del 2023 e la Sicilia un valore di quasi 13,2 miliardi con un calo dell’8,3%. La Calabria, invece, ha registrato un dato pari a 965 milioni con una variazione in positivo rispetto al 2023 del 9,4% e un saldo commerciale negativo pari a -267,3.

Occupazione

I dati sull’occupazione mostrano che, al 2024, nel Mezzogiorno si è concentrato quasi il 27% dell’occupazione nazionale e il 23,5% di quella femminile, valori decisamente più bassi se rapportate alla quota della popolazione che vive al Sud. Guardando all’andamento rispetto allo scorso anno, l’occupazione nel Mezzogiorno aumenta del 2,2%, un valore più alto di quello registrato nelle restanti aree del Paese (Centro-Nord +1,2%), superando le 6,4 milioni di unità. Anche l’occupazione femminile mostra segnali positivi con un +3,3% per oltre 2,4 milioni di unità. L’occupazione in Calabria rispetto al 2023 aumenta dello 0,4%.

La Zes Unica vola solo in Campania

Sul versante delle policy poste in essere per il Mezzogiorno, attraverso strumenti di agevolazione contributiva, di sgravi fiscali e di semplificazione amministrativa, uno tra i più rilevanti è senza dubbio il credito di imposta per gli investimenti effettuati nella Zes Unica.

I dati a consuntivo dell’Agenzia delle Entrate sulle comunicazioni di richiesta nel 2024 raccontano di poco meno di 7 mila domande pervenute dalle imprese localizzate nelle otto regioni meridionali, con una forte concentrazione in Campania, che, da sola, ha assorbito oltre un terzo delle domande. Seguono Sicilia e Puglia (quest’ultima con un numero di comunicazioni che non va oltre la metà della Campania). Abruzzo, Basilicata e Molise, sommate, non arrivano al 10% del totale.

A questo numero di domande è corrisposto un credito di imposta di poco superiore ai 2,5 miliardi di euro, che ha determinato un importo medio di circa 370 mila euro ad azienda richiedente. Quest’ultimo valore è in realtà specchio di una realtà piuttosto diversificata tra le varie regioni, in virtù delle diverse intensità di incentivo previste ma anche della diversa struttura produttiva e delle tipologie di investimenti effettuati: in Abruzzo, ad esempio, il credito medio concesso è meno della metà di quello di regioni come Sicilia, Calabria e Puglia (tra loro molto simili e in linea con il dato medio dell’intero Sud). (bam)

[Courtesy LaCNews24]

ATROCE INSINUAZIONE: I FONDI COESIONE
VERREBBERO UTILIZZATI PER LE GUERRE

di FRANCESCO RENDE – Immaginate un attimo se quei fondi che adesso servono per costruire scuole, infrastrutture strategiche, innovazioni tecnologiche e strumenti di competitività per le aziende venissero invece utilizzati per comprare droni e componenti militari in grado invece di abbattere ponti, scuole e strade. Bella contraddizione, vero?

È invece quello che sta succedendo nelle ultime settimane a Bruxelles: i venti sono cambiati, la presidenza Trump vuole rinegoziare le percentuali di contribuzione alle spese militari della Nato e moltissimi paesi (tra cui il nostro) sono in enorme difficoltà. I venti sovranisti spirano forte e l’industria delle armi e delle componenti militari garantisce crescita economica: ecco perché, sempre più forte, da Bruxelles arriva l’indiscrezione che vedrebbe sacrificati i fondi di coesione sull’altare della competitività europea. Ecco quindi cosa potrebbe succedere: pesanti sforbiciate, tagli rimodulati a chi non ha ancora speso (o programmato la spesa) e fondi dirottati su nuove esigenze, come ad esempio droni, componenti militari, attrezzature di precisione da utilizzare in campo bellico.

Come si può immaginare che dei fondi, che servono proprio per riequilibrare le disparità tra gli stati membri, possano essere utilizzate per scopi militari: sembra assurdo, anche perché tra le specifiche del regolamento 1060/2021 (l’architrave su cui si basa tutta la politica di coesione 2021/2027) è scritto chiaramente che non si possono utilizzare quei soldi per acquistare armi o materiale bellico. Ma da nessuna parte viene scritto che non si possano utilizzare per componentistica, droni o altro. D’altronde, questa stessa eccezione è stata utilizzata proprio per il Ponte sullo Stretto: fu per prima la nostra testata a dire che a Bruxelles si iniziava a parlare della possibilità di finanziare la maxi-opera con i fondi di coesione. E se quelli non possono finanziare direttamente infrastrutture viarie (ci sono linee di finanziamento apposite) allora si possono utilizzare per le opere accessorie (acquisto di materiale rotabile, opere accessorie, studi di fattibilità e altro): grazie a questa indiscrezione, l’opera ripartì in pompa magna anche con l’ok indiretto di Bruxelles. Cosa che sembra stia avvenendo anche adesso con le armi.

L’indiscrezione confermata e la contrarietà di Fitto

La voce si inizia a diffondere subito prima della vittoria di Trump alle elezioni, quando è iniziato a sembrare incolmabile il divario tra lui e Biden: serve trovare risorse per rispondere immediatamente alla politica economica del tycoon. Dai dazi agli stanziamenti militari per la Nato, tutto cambierà: è quindi chiaro a Von der Leyen e soci che serve trovare, immediatamente, economie. Dunque, il primo indagato diventa da subito la politica di coesione: drena tantissime risorse ed è da sempre nell’occhio del ciclone da parte dei paesi scandinavi che non vedono di buon occhio il dover (continuare a) pagare da anni per far sì che i servizi e il Pil medio si riequilibri all’interno della zona Euro. In più, il fatto che queste somme si vadano a moltiplicare alla risposta Covid ingessando di fatto gran parte del bilancio europeo (aggiunta anche la congiuntura della guerra ucraina, che continua a richiedere pesanti risorse): prima il Financial Times a novembre, in un completo articolo a firma Paola Tamma (mai smentito) e poi un ritorno di qualche giorno fa su Politico mettono a chiaro la questione.

Le politiche di coesione verranno riviste: miliardi di euro di finanziamenti regionali destinati alla costruzione di scuole, politiche sociali e ambientali, verranno orientate nelle nuove priorità, tra cui il potenziamento militare e (forse) l’edilizia abitativa. Questo è solo il primo tassello di un disegno più ampio, che potrebbe cambiare totalmente il volto dell’Unione dei prossimi anni.

I fondi per le scuole usati per fabbricare droni

Eppure, questo piano ha un nemico non indifferente: il suo nome è Raffaele Fitto e da sempre, per cultura e background, è uno dei più profondi sostenitori delle politiche di coesione europee. Viene da una regione, la Puglia, che proprio grazie a questi fondi ha trovato una nuova primavera ed è consapevole di quanto siano importanti queste risorse: inoltre, è in prima linea per mostrare ai paesi del nord Europa che queste politiche vanno difese e che i bassi tassi di spesa, come detto recentemente a Cracovia, dipendono solo dalla priorità data finora ai fondi Covid, che hanno una scadenza più ravvicinata.

Eppure, quanti alleati troverà nella sua difesa dei cohesion funds? Una partita molto difficile e tutta da giocare, che vede sullo sfondo le intemperanze di un presidente degli Stati Uniti che toglie certezze più che darle. Eppure lo spauracchio, seppur non immediato, è dietro l’angolo: il rischio che i fondi per realizzare una scuola a Magisano possano essere utilizzati per realizzare un’azienda che fabbrica droni da lanciare contro le basi Isis in Somalia non è purtroppo fantascienza, è pura realtà. «La sicurezza è una delle tante importanti sfide europee», ha affermato Céline Gauer, funzionaria di alto rango ripresa da Politico che guida la task force della Commissione incaricata del fondo per la ripresa post-Covid. «La politica di coesione rientra nella risposta? Penso proprio di sì». (fr)

[Courtesy LaCNews24]

PONTE SULLO STRETTO, ULTIMA CHIAMATA
SERVE ALL’EUROPA, SI USINO LE RISORSE UE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – La legge di bilancio per il 2025 prevede anche uno stanziamento da 1,5 miliardi di euro in più per il Ponte sullo Stretto. Lo prevede un emendamento della Lega. Così, i fondi complessivi per l’opera superano i 13 miliardi di euro, di cui quasi la metà a carico delle Regioni.

Qualcuno evidentemente si è convinto che il costo del Ponte sullo Stretto di Messina debba essere a carico dei siciliani e dei calabresi. Come fosse una passerella per far incontrare più facilmente il ragazzo di Messina con la sua amata di Reggio Calabria. E non il completamento del collegamento tra Singapore/Hong Kong e Berlino, e un modo per evitare che le maxi-porta containers attraversino tutto il Mediterraneo, escano dallo stretto di Gibilterra, costeggino Spagna, Portogallo, attraversino la Manica, lo stretto di Calais per arrivare a Rotterdam. Con conseguente immaginabile emissione di CO2.

Se la visione è la seconda allora non solo non deve essere finanziato dalla Sicilia e dalla Calabria, ma nemmeno dall’Italia, perché è una infrastruttura che serve all’Europa, in particolare in un momento in cui si guarda sempre di più al Mediterraneo, considerate le problematiche sempre più complesse che attengono ai rapporti tra Unione Europea e Federazione Russa.    

Ma, riprendendo quello che diceva don Rodrigo sull’unione tra Renzo e Lucia (“Questo matrimonio non s’ha da fare“), siamo profondamente convinti che “questo ponte s’ha da fare”.

È in un momento così complicato (ma ce ne sono di semplici?), che si possa attingere al Fondo di Sviluppo e Coesione, e quindi alle risorse messe a disposizione dall’Unione Europea, non dimentichiamolo purché siano aggiuntive a quelle ordinarie e servano ad eliminare o diminuire le distanze economiche e sociali rispetto al resto del Paese, può anche essere opportuno.

Senza considerare il fatto che impegnare il Fondo di Sviluppo e Coesione in un modo così virtuoso ed evitare che si sprechi per alimentare il consenso della classe dominante estrattiva o peggio che vada perduto per incapacità di spesa può essere un esercizio virtuoso.

Ma deve essere chiaro a tutti, Unione Europea compresa, che un tale costo deve essere affrontato con la fiscalità generale, come avvenuto con il Mose di Venezia e continua ad avvenire con la TAV. Come si è proceduto con l’alta velocità ferroviaria, prevalentemente realizzata nel Centro Nord e con il costo delle autostrade.

Infrastrutturare un territorio, dotandolo di porti, aeroporti, linee ferroviarie, collegamenti autostradali, fa parte di un progetto che deve essere affrontato con le risorse ordinarie. Per il Sud invece pare che questa regola non valga, visto che tutte le strutture aeroportuali e anche parte delle autostrade sono state realizzate con i fondi “aggiuntivi“europei.

Adesso si vuole finanziare anche il ponte sullo stretto con le risorse aggiuntive? In un momento particolare, come quello che attraversiamo e visto che il CiPESS potrà approvare il progetto soltanto se vi è certezza di finanziamento, forse il passaggio che si è effettuato può anche essere opportuno. Ma con la riserva che tali risorse vanno restituite al Mezzogiorno, perché possano servire per gli obiettivi per i quali sono stati dati: cioè di costituire fondi aggiuntivi per lo sviluppo di tali territori.

Certo, forse qualche sforzo in più si poteva fare per inserire alcune opere accessorie o compensative, che potevano essere completate entro il 2026 nel PNRR, per il quale non si raggiungerà quasi certamente quel 40% stabilito che, con un colpo di mano rispetto all’oltre 50% che sarebbe toccato se si fosse utilizzato l’algoritmo individuato dall’Unione Europea per distribuire le risorse ai vari Paesi, e che il Governo Draghi ha individuato per l’attribuzione al Sud.

Ma inutile piangere sul latte versato, adesso quello che va richiesto è che le risorse utilizzate del Fondo Sviluppo e Coesione siano restituite al Mezzogiorno, sia se si troveranno investitori aggiuntivi, privati o pubblici, sia che invece rimanga tutto a carico dello Stato italiano.

E la richiesta che va fatta forte e chiara è che si inquadri il collegamento stabile come il passaggio di 3 km di mare inserito nella logica di un collegamento tra Augusta e Berlino con l’alta capacità ferroviaria, che metta in condizioni l’Italia  di attrarre i grandi traffici provenienti dall’Estremo  e Medio Oriente e dall’Africa e farli sbarcare nei porti di Augusta e di Gioia Tauro, superando il monopolio per anni consentito a Genova e Trieste, che devono farsene una ragione del fatto che sono sotto le Alpi e non in mezzo al Mediterraneo.

Che hanno retroporti molto contenuti in termini di spazi. Tale approccio potrebbe soprattutto fornire un’alternativa interessante agli armatori che gestiscono i traffici internazionali.

Per tale obiettivo è necessario però che si realizzi l’alta velocità ferroviaria nei tempi previsti, finanziando l’adeguatamente di tutta la rete ferroviaria, obiettivo che nell’ultimo periodo sembra slittare nel tempo.

Così come è necessario che si realizzino gli investimenti opportuni su Gioia Tauro ed Augusta, in modo da cominciare a testare il sistema complesso necessario  ed attrarre i traffici, che non saranno facilmente ceduti da Rotterdam, che ormai ha raggiunto la quasi perfezione nella sua attività.

Avendo presente che mentre noi rinviamo i nostri investimenti, gli altri competitor, come ad esempio Tanger Med, lavorano intensamente per fare quello che noi rinviamo nel tempo, illusi che quando vorremmo farlo ci saranno le condizioni necessarie.

Tranne che i rinvii e le meline non siano funzionali a lasciare la situazione quale è adesso, nella paura di perdere posizioni acquisite da parte di qualche altra area interessata.

“A  pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” diceva Andreotti e certo, nel passato l’emarginazione dei porti di tutto il Mezzogiorno ha avuto il retro pensiero di rendere centrali quelli di Trieste e Genova, ma in realtà favorito solo Rotterdam.

Oggi il principale assertore della necessità del Ponte sullo Stretto, Matteo Salvini, è in difficoltà sia per fatti interni alla Lega che per fatti esterni, dovuti al processo di Palermo. Per questo è ancor più necessario il monitoraggio della situazione per evitare che vi siano passi falsi che ritardino tutto il percorso.

In tale logica va bene che le risorse attinte siano provenienti dal  Fondo Sviluppo e Coesione, ma a patto che sia un prestito da restituire totalmente e  in tempi brevi. Altrimenti si darà ragione a coloro che sostengono che il ponte è solo uno specchietto, che probabilmente mai si realizzerà, e che assorbirà talmente tante risorse da sottrarle a tutta una serie di esigenze che continuano ad esserci e che sono sempre più pressanti. (pmb)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud/L’Altravoce dell’Italia)

 

LE DONNE CONTRO GLI SPRECHI DEL PNRR
CALABRIA, TRA VIGILANZA E PREVENZIONE

Le donne per la gestione ottimale del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Anna Rita Mancuso, segretaria organizzativa della Uiltec che raggruppa i lavoratori del Tessile, Energia e Chimica), e Sabrina De Stefano, segretaria della Uiltucs (Terziario, Turismo, Commercio e Servizi), hanno lanciato l’idea di istituire un tavolo tecnico che raccolga i professionisti reggini al fine di studiare il Piano nazionale di ripartenza e resilienza ed evitare l’eventuale spreco di fondi.

«In un momento in cui – hanno spiegato le segreterie provinciali della Uiltec e della Uiltucs – emergono solo confusione e critiche per la nostra città, vogliamo essere prepositivi e lanciare un messaggio di speranza per le nostre ragazze e i nostri ragazzi, per le donne e gli uomini che nella nostra terra hanno deciso di restare». 

In questa fase assai delicata, poi, per la Uiltec e la Uiltucs di Reggio Calabria è importante puntare una grossa fetta di queste risorse disponibili per favorire la crescita occupazionale dell’universo femminile.

«Donne – hanno spiegato i vertici delle organizzazioni sindacali – che hanno preso posizione per la pace, sempre. Che fanno di default la raccolta differenziata e si prendono cura, anzi, che si sono dedicate alla cura in pandemia come se fosse altrettanto normale che respirare. Che restano comunque escluse dai luoghi della decisione. Che accolgono il lavoro da casa come una opzione generosa. Che sono le prime a perdere il lavoro in caso di crisi, di maternità, di cessione o chiusura di attività, che se escono dal mondo del lavoro a 50 anni non si sa come e cosa potranno fare. Donne sempre più spesso capofamiglia, con lavori precari e discontinui, o all’attenzione dell’opinione pubblica per incredibili fatti di violenza o per incidenti sui luoghi di lavoro».

In questo senso, i dati forniti dall’Inail sono una fotografia a tinte fosche, sono la rappresentazione di un rischio emergente di violenza sulle donne nei luoghi di lavoro. Sono, infatti, circa ottomila l’anno gli episodi codificati come aggressioni, minacce, violenze provenienti sia dall’interno sia dall’esterno del posto di lavoro accertati positivamente come infortuni dall’Inail; il 39% delle aggressioni è rivolto contro le donne.

«È una questione – hanno spiegato i sindacati – sulla quale concentrare la massima vigilanza. Forse è giunto il momento di pensare, oltre agli interventi contrattualistici di revisione dei modi e tempi del lavoro e della produzione, anche a nuove forme d’azione prevenzionale mirate a specifici corsi di formazione sul tema destinate ai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza e all’istituzionalizzazione di momenti tematici d’incontro sindacale nei luoghi di lavoro di cui l’Inail dovrebbe farsi carico finanziariamente, oppure all’implementazione di centri antiviolenza o alla istituzione di nuovi, magari sfruttando la rete sindacale e la presenza dei lavoratori nei siti produttivi e commerciali».

Per la Uiltec e la Uiltucs, poi, «in questa fase è determinante non fare gli errori del passato, quando le risorse sono state sprecate e dal loro investimento sbagliato sono nate tante cattedrali nel deserto. Oggi le risorse messe in campo dall’Europa potrebbero cambiare in meglio il volto della nostra terra, offrire alle nostre giovani generazioni la possibilità di crescere, economicamente e socialmente, nella terra natale».

«Le occasioni – hanno spiegato ancora le sindacaliste di Uiltec e Uiltucs – ci sono e trovano fondamento in una nuova idea di sostenibilità, di economica circolare che, ad esempio, potrebbe trovare nello sviluppo della filiera della ginestra un punto di forza per sviluppare economie di scala, così come di altre produzioni agricole ed artigianali tipiche del nostro territorio. Magari pensando a degli paso formativi e produttivi tradizionali che, però, beneficino dell’innovazione e della tecnologia per essere più competitivi, così come di una migliore comunicazione che veicolo l’identità territoriale e la valorizzi».

«Per fare ciò però – hanno aggiunto – è determinante ripensare la distribuzione delle risorse. L’aver destinato al Mezzogiorno solo il 40%, tra l’altro nominale, delle ingenti risorse del Pnrr, non è sufficiente a risolvere i divari territoriali, ma anzi rischia di aumentarli. Dobbiamo avere la capacità in una terra come la nostra di coinvolgere la società civile per aiutare il sistema, perché ormai esiste molta letteratura a riguardo e molti esempi concreti a livello nazionale ed europeo».

«Quello che manca oggi – hanno concluso – è l’agire concreto. La spinta della società civile è importante perché i decisori politici siano sollecitati ad orientare le loro decisioni verso la sostenibilità. Per questo chiediamo al Governo e alla politica di mettere veramente al centro dell’azione economica e sociale del Paese il tema del Mezzogiorno e di spendere presto e bene non solo le risorse del Pnrr, ma anche quelle della coesione nazionale ed europee unitamente a stanziamenti ordinari nella prossima legge di bilancio». (rmm)