di SANTO STRATI – Tra storia e innovazione, emergono opportunità, risorse e ostacoli dal V incontro di Sud e Futuri (rigorosamente al plurale) la tradizionale convention della Fondazione Magna Grecia guidata dall’on. Nino Foti. Un “pensatoio” (negli Usa direbbero ThinkThank) che si rivela sempre più prezioso per la grande mole di interventi e contributi a carattere trasversale destinati a chi governa, a chi spettano le decisioni funzionali allo sviluppo o, ahimè, all’inevitabile decrescita ove poco accorte. Vale per tutto il Mezzogiorno, ma vale in modo ancor più specifico per la Calabria ed è triste, alla fine di una tre giorni intensa e proficua, constatare che le idee ci sono, mancano gli esecutori, ovvero la classe politica decisoria che, evidentemente, non non solo non produce iniziative importanti per crescita e sviluppo, ma, disgraziatamente, non sta ad ascoltare idee e proposte che rivelano intelligenza e vivacità di giudizio in quanti credono allo sviluppo possibile.
L’incontro di Castellabate e Paestum è il segnale che esiste una parte d’Italia capace di coinvolgere (grazie alla Fondazione Magna Grecia) teste pensanti a respiro internazionale, in grado di provocare, proporre e suggerire modalità esecutive che non richiedono scostamenti di bilancio o nuove voci di spesa, ma, al contrario, indicano il percorso ideale, la strada maestra, per superare gli ostacoli e risvegliare il Mezzogiorno dal torpore a cui l’hanno costretto da troppo tempo politici inetti e una classe dirigente poco incline a occuparsi di Sud. Eppure tutti continuano a ripetere il mantra «se cresce il Sud cresce il Paese», però poi, nei fatti, la concretezza latita e rimangono solo una serie di buone intenzioni, con le incompiute cui ci hanno abituato negli ultimi 50 anni.
Per questa ragione, il thinkthank della Fondazione Magna Grecia merita un’attenzione particolare da parte della classe politica oggi al governo (ma l’opposizione non faccia ostruzionismo solo per avere la visibilità sempre più scadente) e può offrire solidi argomenti di discussione per avviare una seria riflessione su ciò che non è stato fatto e quello che invece è necessario portare a compimento. In fretta, senza indugi e traccheggiamenti di comodo, perché il Paese non può più aspettare. L’ansia deriva dal PNRR, una montagna di soldi (ahimè, in parte a debito, andranno restituiti), che mette a disposizione i denari necessari per la ripresa, ma esige progettualità e concretezze, non fumosi programmi che non arriveranno mai a compimento (né tantomeno saranno finanziati.
La corsa più rilevante della tre giorni è l’esigenza di puntare sul capitale umano del Mezzogiorno, sulle sue straordinarie risorse umane, svalorizzate e mal utilizzate, quando, in realtà queste energie sono la parte propulsiva di un motore di sviluppo che nessuno è capace di mettere in moto.
Le ragioni di questa inadeguatezza sono state sviscerate, analizzate e sezionate, in modo scientifico, da un parterre di relatori di altissimo livello che ha avuto la possibilità di confronto con ben tre ministri dell’attuale Governo: Eugenia Roccella (famiglia), Raffaele Fitto (Coesione e sviluppo e Gennaro Sangiuliano (Cultura).
I temi sono stati quelli relativi al mancato sviluppo. Si è iniziato parlando di denatalità e spopolamento: ma quale incentivazione c’è per i giovani a creare una famiglia, a mettere su casa e riempirla di figli, quando fare un figlio significa, nella stragrande maggioranza dei casi, per la donna rinunciare al lavoro e a importanti sbocchi professionali, e per l’uomo assumersi un impegno di spesa che potrebbe rivelarsi insostenibile, con le intuibili conseguenze per una serena crescita del bambino. Si sono chiesti i nostri governanti perché i giovani si sposano sempre di meno (difatti, si è alzata l’età media delle nozze)? La risposta è sconfortante: la grande maggioranza non ha i soldi per affrontare un matrimonio (e parliamo di nozze semplici, senza sfarzo). Se non c’è la copertura dei genitori, sposarsi diventa una nuova, insostenibile, situazione di debito. Quindi, sì alla convivenza (non ci sono spese accessorie), ma dalla precarietà di coppia è difficile anche solo ipotizzare di far crescere la famiglia. Mancano in primo luogo l’assistenza dello Stato (che non investe sulle nuove generazioni) e si avverte l’assenza di un welfare destinato proprio a motivare e incentivare la natalità. Basti guardare nei vicini Paesi europei come viene affrontato il problema: fino a poco tempo fa c’era pure l’iva sui pannolini e sul latte della prima infanzia. Ma dove vivono i nostri governanti? La ministra Roccella assicura che sta facendo salti mortali per cambiare le cose, ma non basta l’impegno solitario (e meritorio) della titolare del dicastero: serve la decisa e precisa convinzione del Governo che occorre davvero un nuovo modo di affrontare il problema denatalità.
E lo stesso vale per lo spopolamento: con lo smart working i nostri giovani potrebbero tornare a vivere nei luogi di nascita, tra il mare e la mointagna, circondati dagli affetti familiari e adagli amici, se solo non ci fosse il gap della Rete che non c’è. Lasciamo pe run momenti da parter i problemi di mobilità – anche se importanti – ma se il collegamento a internet si ferma pochi mega, come si fa a lavorare in remoto? Le relazioni della tre giorni offrono idee, spunti e proposte operative.
E che dire del panel dedicato agli investimenti al Sud? Basterebbe la dichiarazione di qualche giorno fa del Presidente della Confindustria Carlo Bonomi a Cosenza: «La Calabria è nel mio cuore», rivelando un snetimento che è comune a molti industriali del Nord che vorrebbero delocalizzare e aprire nuove imprese nel Mezzogiorno. Ma c’è qualcosa che interrompe il circuito virtuoso che motiva la voglia di fare impresa: il problema (per mutuare un termine usato nelle connessioni di rete) è l’ultimo miglio. Come ha osservato Antonello Colosimo parte attiva di FMG, «l’investimento nel Mezzogiorno nasce come problema dall’unità di Italia e nel 2023 ha le stesse connotazioni. Manca l’ultimo miglio perché non riusciamo a fare progetti, manca la fase di ricerca e sviluppo. Abbiamo un problema di raccordo statuale delle iniziative. Bisogna, quindi, attrarre intelligenze. C’è bisogno di più Stato e più semplificazione».
In altre parole, non si possono attendere mesi per ottenere un parere (non l’autorizzazione, attenzione!) da un ufficio comunale per poter avviare un progetto esecutivo. E non bastano le buone intenzione della Zes di ridurre al minimo la burocrazia, quando poi si inciampa in lungaggini inutili e deprimenti per poter mettere appena la prima pietra del futuro stabilimento. La legge 482 ha prodotto solo investimenti farlocchi (lo testimoniano i tantissimi capannoni abbandonati), al contrario della prima Cassa per il Mezzogiorno dove l’intelligenza di chi la guidava ha favorito crescita e sviluppo in territori dimenticati da Dio e dagli uomini. Poi sappiamo com’è andata a finire, con un’eredità mal continuata per poco dalla Agenzia per il Mezzogiorno.
Come si fa ad attrarre investimenti? Secondo il ministro Fitto la Zes unica per il Sud farà da volano. Peccato che nessuno gli abbia spiegato che la Zes unica (che non riguarda più solo le aree destinate alle infrastrututre industriali e al terziario, ma l’intero territorio del Mezzogiorno, senza distinguo alcuno) non offre decontribuzione, ma solo crediti di imposta, utili in modo straordinario, per le multinazionali e le grandi imprese del pubblico che fatturano centinaia di milioni e, quindi, hanno un bel po’ di tasse da farsi restituire, ma non offre alcun incentivo all’attività d’impresa, soprattutto alle piccole e medie aziende che sono il tessuto connettivo dello sviluppo e creano occupazione vera. Non c’è un centesimo per sostenere l’avvio d’impresa, ma – si dirà – non è questo l’obiettivo alla base delle Zes, ma non si può ragionare solo in termini di investimenti multimilionari, bisogna guardare al territorio e alla possibilità di creare occupazione e con esse ulteriore indotto. Il decreto si può ancora modificare, speriamo in meglio.
Il meglio di questa tre giorni però riguarda la cultura: con lo sfondo del tempio di Nettuno a Paestum, Sud e Futuri ha dato la parola a sovrintendenti, direttori di musei, specialisti del marketing culturale per offrire idee e contributi esecutivi a quello che è il comparto più importante per lo sviluppo del Mezzogiorno, naturalmente vocato a “mercificare” (nel senso più nobile del termine) l’unicità e la straordinarietà di un patrimonio culturale che il mondo ci invidia.
Non è vero che con la cultra non si mangia: bisogna saperla “vendere” perché la domanda è forte e l’offerta del Paese (escludendo Colosseo, Firenze e Venezia) è modesta, disaggregata e poco attrattiva.
Eppure, il comparto può generare occupazione in modo esponenziale, valorizzando risorse, formandone di nuove, progettando, anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie digitali, un’offerta che diventa irrinunciabile per milioni di visitatori. E il patrimonio archeologico, paesaggistico, culturale del Mezzogiorno è sottoutilizzato, poco valorizzato. Perché oltre alla famosa mancanza di visione ci sono problemi di mobilità (provate ad andare a visitare la Venere Morgantina a Enna: è una disavventura arrivarci), di mancanza di personale, mancanza di professionalità e assoluta assenza della capacità di fare rete. Il male del Mezzogiorno è il localismo e la (stupida) gelosia del territorio che non è campanilismo ma caparbia ostinazione di primeggiare a danno degli altri: provate a immaginare in Sicilia, in Calabria, in Campania una rete (efficace) dell’offerta museale, con guide preparate, progetti di mobilità e trasporto dedicato, solo per fare un piccolo esempio. Quanta nuova occupazione, soprattutto giovanile, verrebbe fuori?
Le energie del Sud ci sono e aspettano solo di essere liberate: il meritorio lavoro di Nino Foti, affiancato dall’on. Saverio Romano e da una schiera di eccellenti collaboratori, mette in campo non parole al vento di chi ama soltanto citarsi addosso, bensì idee, prospettive, progettualità da realizzare. C’è solo da fare tesoro del grande patrimonio di idee che è venuto fuori a Castellabate e Paestum e mettere in pratica le idee che faranno il futuro: non si può pensare solo al presente (cosa che fa regolarmente la politica attuale), ma guardare al futuro. Anzi ai “futuri” (rigorosamente al plurale) che Nino Foti, Romano e Colosimo sono convinti si possano disegnare e rendere realtà, per le nuove generazioni. (s)