Bankitalia presenta la sua tradizionale relazione sull’economia della Calabria e i dati che emergono creano una seria preoccupazione. In poche parole, la Calabria sta vivendo una fase di sostanziale stagnazione, aggravata dalla crisi del coronavirus. I dati di Istat e Prometeia dello scorso anno indicavano un differenziale di 14 punti sul Pil calabrese rispetto ai livelli del 2007. Non solo non ci sono segnali di miglioramento, ma gli indicatori disponibili indicano per il 2019 un’ulteriore caduta.
Questa inquietante fotografia dell’economia calabrese proviene dal Rapporto annuale della Banca d’Italia dedicato alla regione Calabria: la crisi della pandemia e le misure di contrasto dell’emergenza economica devono, purtroppo, sommare anche fattori strutturali che aggravano ulteriormente la situazione, condizionando produttività e livelli di investimento.
Il sistema produttivo regionale è quello che risente maggiormente delle difficoltà per la ripartenza, anche se sono migliorate, tendenzialmente, le condizioni finanziarie. SI consideri – fa notare il rapporto di Bankitalia – che «nell’ultimo decennio è aumentata la redditività, è calato l’indebitamento e si sono accresciute le disponibilità liquide delle imprese. Il miglioramento delle condizioni finanziarie delle aziende è però avvenuto in parte a scapito dell’attività di investimento, che in questa fase potrebbe ulteriormente risentire del forte rallentamento congiunturale e dell’elevata incertezza che circonda ancora l’evoluzione della pandemia».
Prima dell’emergenza Covid-19, «il tasso di deterioramento del credito si collocava su livelli bassi in prospettiva storica ed in linea con il resto del Paese. Vi ha contribuito il mutamento nell’ultimo decennio della composizione degli affidati verso imprese con bilanci più solidi. Nella fase iniziale della crisi pandemica, l’incremento dei prestiti deteriorati è stato contenuto dalle misure introdotte a sostegno di imprese e famiglie, in particolare dai provvedimenti legislativi sulle moratorie e sulla sospensione delle rate dei mutui per l’acquisto di abitazioni. In prospettiva, le ricadute sulla qualità del credito dipenderanno dalla durata della recessione, dalla rapidità della ripresa e dagli eventuali interventi pubblici di sostegno.
La relazione è stata presentata, in teleconferenza, dal direttore della sede calabrese della Banca d’Italia Sergio Magarelli insieme con i componenti del Nucleo di ricerca dell’Istituto coordinati da da Giuseppe Albanese, Antonio Covelli e Graziella Mendicino. Il quadro d’insieme è un campanello d’allarme che non va sottovalutato e richiede interventi di spessore per salvaguardare l’economia regionale.
Dal rapporto emerge che «Il deterioramento delle prospettive occupazionali ha colpito un contesto fragile, contraddistinto da tassi di occupazione molto bassi nel confronto nazionale. Anche per la mancanza di occasioni lavorative i livelli di diseguaglianza e povertà sono superiori al resto del Paese. La debolezza dei redditi da lavoro era stata negli anni in parte compensata da trasferimenti pubblici, più intensi della media italiana, da ultimo rafforzati con l’introduzione del Reddito di cittadinanza. Nella prima parte del 2020, tale supporto si è ulteriormente intensificato in connessione all’introduzione di diverse misure di sostegno al reddito delle famiglie volte a contrastare l’emergenza Covid-19».
Le risorse stanziate a livello nazionale per fronteggiare la pandemia hanno riguardato essenzialmente il sistema sanitario che, nella nostra regione, mostrava pericolosi livelli di guardia. In realtà, come si è poi visto, la Calabria ha saputo gestire in maniera eccellente il rischio di contagio e non ci sono state criticità nella disponibilità di posti in terapia intensiva, come si era temuto.
La relazione di Bankitalia mette in evidenza che la Regione Calabria ha dedicato alcune misure specifiche all’emergenza economica destinate a famiglie e imprese, essenzialmente attraverso la riprogrammazione di parte dei fondi comunitari ancora inutilizzati, resa possibile dal quadro straordinario di sostegno posto in essere dall’Unione europea.
C’è da osservare, però, che, «nel contempo, in un contesto già caratterizzato da diffuse fragilità delle condizioni di bilancio, gli effetti dell’emergenza potrebbero riflettersi sensibilmente sulla situazione finanziaria degli enti territoriali, che dovranno fronteggiare i vincoli di liquidità connessi con lo slittamento degli incassi e con le perdite di gettito, a fronte di spese in gran parte incomprimibili». Tale fenomeno – si rileva nella relazione di Bankitalia – potrebbe drenare ulteriormente risorse dagli investimenti in opere pubbliche, che erano ancora in calo prima dello scoppio della pandemia».
L’agricoltura, che in Calabria ha un peso più rilevante rispetto al resto del Paese, pur utilizzando manodopera stagionale, rischia di registrare insostenibili criticità via la carenza di lavoratori creata dalla pandemia.
Né va meglio in ambito industriale, pur registrando sulle imprese con almeno 20 addetti, un risultato positivo (nel 2019) che sarà sicuramente vanificato dalla chiusura obbligata delle attività nei mesi di lockdown.
«In base a nostre elaborazioni su dati Istat, – ha spiegato il direttore Magarelli – la percentuale di produzioni sospese in regione ha riguardato l’equivalente del 24 per cento del valore aggiunto dell’industria (56 per cento in Italia). La minore incidenza rispetto alla media nazionale è da ricondurre alla presenza più significativa di alcuni comparti ritenuti essenziali, in particolare l’industria alimentare, e al peso ridotto di imprese attive nei settori con la maggiore incidenza di chiusure, come il tessile, la metallurgia e i mezzi di trasporto. Tale condizione si è protratta sostanzialmente fino al 4 maggio, quando la quota di attività sospese nel settore industriale si è pressoché azzerata, in connessione con i nuovi provvedimenti del Governo.
Tuttavia, oltre alle disposizioni che hanno comportato un esplicito blocco delle attività, sul settore industriale hanno pesato gli ostacoli nell’approvvigionamento di beni e servizi intermedi sui mercati interni e internazionali, nonché le limitazioni imposte alle aziende nell’impiego della manodopera e nella conduzione delle attività, dovute principalmente alle limitazioni alla mobilità. Queste difficoltà hanno spinto molte aziende, anche non direttamente interessate dai provvedimenti di sospensione, a rimanere chiuse o a limitare significativamente l’attività».
Il settore delle costruzioni, che nel 2019, aveva segnato lievi percentuali in aumento pur restando al di sotto dei livelli antecedenti il 2008, lascia prefigurare un forte calo nel valore della produzione.
Come avevamo indicato qualche giorno fa (calabria.live del 18 giugno) tutto il segmento dell’export registra forti contrazioni, ad eccezione del comparto agro-alimentare. Eppure c’era un trend positivo che da quattro anni faceva sperare in un forte miglioramento delle esportazioni. Come faceva notare il prof. Francesco Aiello su calabria.live l’assenza di aziende ad alta specializzazione non aiuta l’incremento dell’export, per cui sarà necessario aumentare la densità di imprese del campo tecnologico, utilizzando le opportunità offerte dalla Zes. la Zona economica speciale di Gioia Tauro che, a tre anni dalla sua istituzione – faceva notare il docente di Unical – «è ancora un progetto vuoto di contenuti».
Ciononostante, da registrare che l’andamento del primo trimestre 2020 del Porto di Gioia Tauro «rimane nettamente positivo se raffrontato allo stesso periodo dell’anno precedente. Ciò risulta in linea con la fase di rilancio dell’infrastruttura portuale avviata nella seconda metà del 2019, in coincidenza con il cambio nella governance della Medcenter Container Terminal Spa. Rispetto alle attese di inizi 2020, lo scalo ha comunque risentito degli effetti del blocco delle attività occorso durante la fase più acuta della pandemia».
«E l’occupazione? «Tra il 2001 e il 2007, prima della crisi globale, la dinamica dell’occupazione in Calabria aveva riflesso prevalentemente la nascita di nuove imprese.
Tra il 2007 e il 2017 (ultimo anno per cui è possibile condurre l’analisi), la crescita dell’occupazione in regione è stata invece frenata sia dalla maggiore uscita di imprese dal mercato sia dal minore contributo delle nuove imprese. Nell’intero periodo 2001-2017, il contributo del margine intensivo in Calabria è risultato minore che nel resto del Paese. Anche in connessione a ciò, la dimensione media delle aziende calabresi è rimasta invariata nell’arco di tempo considerato, a fronte di una crescita nella media nazionale.
Nel periodo 2001-2017 la crescita dell’occupazione dipendente nel settore privato è stata interamente riconducibile al comparto dei servizi, in prevalenza quelli a intensità di conoscenza medio-bassa (tra cui pesano soprattutto i comparti del commercio, alberghi e ristorazione).
Un aspetto non meno importante della crisi che la nostra regione sta vivendo riguarda la mancata nascita di nuove imprese. «La creazione di nuove imprese rappresenta uno tra i principali fattori che spiegano la dinamica dell’occupazione e il cambiamento strutturale di un’economia – si legge nel Rapporto che cita la Review of Economics and Statistics –. Mediante l’impiego congiunto della base dati Infocamere e dei dati di bilancio Cerved Group è stato possibile descrivere il fenomeno della natalità delle imprese in Calabria dal periodo pre-crisi fino agli anni più recenti, al fine di esaminare quanto tale processo abbia modificato la capacità produttiva e le caratteristiche del sistema economico regionale.
Dal 2005 (primo anno di disponibilità dei dati) al 2017, la natalità di impresa in regione è progressivamente diminuita, passando da 6 a 4 imprese nate ogni mille abitanti (figura, pannello a). La Calabria, pur seguendo un andamento simile al resto del Paese, ha registrato tassi di natalità inferiori alla media nazionale su tutto l’arco di tempo analizzato. La riduzione del numero delle nuove imprese create in regione è attribuibile alla componente delle ditte individuali, mentre il numero di nuove società ha gradualmente recuperato fino a superare i livelli pre-crisi. Tale ultima dinamica è stata sostanzialmente
influenzata dalle modifiche al diritto societario intervenute successivamente al 2012, come ad esempio la riduzione dei requisiti di capitale minimo in sede di costituzione delle società a responsabilità limitata, che hanno incentivato il ricorso a tale forma giuridica. Dal punto di vista settoriale, nel corso del periodo considerato è progressivamente
cresciuta la quota di nuove imprese calabresi che ha scelto di operare nel settore dei servizi (circa il 70 per cento nell’ultimo triennio considerato, 10 punti percentuali in più rispetto agli anni pre-crisi; aumentando ulteriormente la già ampia quota di attività regionale realizzata nel terziario. Tale incremento si è concentrato nel comparto dei servizi a basso contenuto di conoscenza (che include in particolare commercio, alberghi e ristorazione), mentre rimane modesta l’incidenza di quelli ad alto contenuto di conoscenza sul totale dell’attività del terziario. Il settore manifatturiero e quello delle costruzioni, che hanno maggiormente risentito della crisi, presentano anche una minore percentuale di imprese nate negli anni più recenti; la quota di imprese calabresi create nel settore agricolo è leggermente scesa, ma rimane nettamente superiore a quella registrata in Italia».
Infine, un altro aspetto che merita attenzione riguarda il benessere dei calabresi. Anche qui la situazione richiede una serie riflessione einterventi di settore proprio per migliorare la qualità della vita delle persone con reddito basso o addirittura senza reddito: «I dati più recenti per la Calabria, riferiti al 2018, descrivono un profilo di benessere inferiore alla media italiana in tutte le aree tematiche considerate, fatta eccezione per l’incidenza dei reati predatori (furti in abitazione, borseggi e rapine) e per l’Ambiente (utilizzo fonti rinnovabili, presenza di aree protette e coste balneabili, condizioni ambientali). I divari più significativi si riscontrano negli ambiti dell’Istruzione e formazione, della Ricerca e innovazione, della Qualità dei servizi e del Paesaggio e patrimonio culturale, oltre che negli indicatori relativi alla situazione economica (in particolare Occupazione, Qualità del lavoro e Reddito e disuguaglianza).
«In particolare, nei profili relativi a Istruzione e formazione si evidenzia una situazione debole e in generale peggioramento: meno della metà dei diplomati si iscrivono per la prima volta all’università nello stesso anno di conseguimento del diploma ed è in riduzione la percentuale di persone di 30-34 anni che hanno conseguito una laurea. Ulteriori carenze si riscontrano sia nella partecipazione alle attività di formazione continua tra le persone con un’età compresa tra i 25-64 anni sia nei tassi di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione. Gli studenti calabresi inoltre sono tra quelli che mostrano maggiori difficoltà nel raggiungere un livello sufficiente di competenze in italiano e matematica.
«Il livello di Innovazione, ricerca e creatività è significativamente inferiore alla media nazionale: la percentuale di spesa in ricerca e sviluppo in rapporto al PIL è la più bassa d’Italia (0,5 rispetto ad una media nazionale di 1,4). La regione rimane ai primi posti per consistenza della fuoriuscita di giovani laureati (25-39 anni), con un tasso migratorio pari al 31,1 per mille (il dato medio italiano è pari al 4 per mille).
Peggiori rispetto alla media sia nazionale sia del Mezzogiorno, sono anche i dati relativi alla Qualità dei servizi per tutti gli indicatori considerati: le famiglie calabresi registrano le maggiori difficoltà di accesso ai servizi essenziali (12,8 per cento, a fronte della media italiana del 7,3) e sono quelle che denunciano più irregolarità nell’erogazione dell’acqua, con un livello tre volte più elevato rispetto alla media nazionale. Si confermano
ampi divari anche con riferimento al numero di posti letto nelle strutture residenziali socio-assistenziali e socio-sanitarie ogni 1.000 abitanti, alla percentuale di bambini di 0-2 anni che usufruiscono dei servizi comunali e all’offerta di trasporto pubblico locale rispetto al numero di abitanti (la misura utilizzata è quella dei posti-km offerti).
Un giudizio negativo è confermato infine dagli indicatori del dominio Paesaggio e patrimonio culturale, per il quale l’abusivismo edilizio si attesta su livelli tra i più alti d’Italia, con un valore di oltre tre volte superiore a quello medio nazionale. La Calabria è inoltre una delle regioni più colpite dagli incendi boschivi». (rrm)
La relazione completa della Banca d’Italia / Calabria 2020