ECONOMIA, POLITICA E CULTURA: DA QUI
PARTE LA RIVOLUZIONE DEL MEZZOGIORNO

di PINO APRILE – Alla fine, gira gira, sempre lì si torna: alla domanda che l’allora segretario di Stato degli Stati Uniti, Larry Summers, pose al neo nominato ministro all’Economia della Grecia, nel tritacarne dell’Unione europea, al servizio delle banche tedesche e francesi, tramite la Bce guidata da Mario Draghi: «Ci sono due specie di politici, quelli che “giocano dentro” e quelli che “giocano fuori”. Tu come giochi?». E l’esperienza ormai ci dice che da una costretta subalternità si esce solo giocando fuori; dentro si può soltanto quando si ha un potere paragonabile a quello degli altri al tavolo.

Il meridionalismo è coscienza di una condizione di minorità imposta (quindi coloniale), ricerca e divulgazione della rete di interessi e dei metodi che generano e incrementano le disuguaglianze, costruzione di una politica per contrastarle. Su questo ci si scontra e divide, con le migliori e peggiori intenzioni, anche perché appena un tema comincia a divenire popolare (e il neomeridionalismo lo è sempre più), accadono due cose: gli opportunisti se ne sporcano (e lo sporcano) per trarne il maggior possibile vantaggio personale e i poteri dominanti li usano, per riportare ogni novità da “fuori”, “dentro”, sotto il loro controllo, e usarla, per i loro fini, con le loro regole del gioco.

Sono convinto che non c’è più alta e produttiva politica dell’informare, che vuol dire porre altri nella condizione di elaborare liberamente opinioni e agire di conseguenza (sapere è necessario per fare; sapere e non fare è un peccato di omissione, pigrizia sociale, se non proprio vigliaccheria).

L’inattesa accoglienza di “Terroni” rivelò l’esistenza di un insospettato e insoddisfatto bisogno di conoscenza di storia non addomesticata e delle ragioni di quella Questione meridionale che invece di essere spiegata con dati di fatto (occupazione militare, stragi e, a unificazione compiuta, opere pubbliche, ferrovie, con i soldi di tutti, a Nord, e a Sud no; autostrade e strade, idem, Sanità pure, eccetera), è tuttora addossata, con uso di razzismo, a incapacità o insufficienza genetica dei terroni (si possono conquistare cattedre universitarie, ancora oggi, dalla storia all’economia, sostenendo, da meridionale, che il Sud “rimane” indietro per colpa sua e dei “briganti”).

Venne così scoperto un vero e proprio filone editoriale. Tant’è che su un tema che pareva sepolto da decenni di noia e insignificanza, il Sud, fiorirono in pochi anni centinaia di testi, pro e contro. Volendo sintetizzare in modo feroce, dal meridionalismo storico di giganti quali Nitti, Salvemini, Dorso, Gramsci, Ciccotti e tanti altri, si è ora a una fase più popolare, divulgativa, sia pur a distanza di un secolo e grazie ai social.

A tentare di arginare il fenomeno, per sostenere la versione dominante di stampo massonico della unificazione e della minorità meridionale, insorsero truppe cammellate intellettuali della colonia terrona, dalle cattedre (con qualche notevole sorpresa di segno contrario) ai giornali (specie del Sud, o di giornalisti meridionali “evoluti” in quelli del Nord).

Questo l’avevo messo in conto, ma l’aspettavo da pretoriani padani, quali Barbero e Cazzullo, tutto sommato più onesti. L’operazione era ed è condotta su diversi registri: dall’attacco diretto (sino a stalker di dichiarata obbedienza massonica, monotematici e ossessivi, che si ritrovano ad avere, da nulla, un ruolo) a quelli in apparenza “professionali” di chi, di fronte a un secolo e mezzo di bugie, mezze verità o verità distorte, cerca l’errore vero o presunto nei testi di chi le denuncia (e volete che in migliaia di pagine scritte non ce ne siano? «Quindi lei ha visto l’imputato sparare alla vittima, poi dargli il colpo di grazia e infine buttare la pistola nel fiume. Giusto?». «Sì». «E di che colore erano le sue scarpe?». «È l’ultima cosa a cui prestavo attenzione in quei momenti. Mi sembra nere». «Testa di moro, signor giudice, testa di moro! E vogliamo fidarci di questi testimoni oculari?». Un diverso modo di schierarsi e servire, più subdolo, fingendo di “giocare fuori”, ma “stando dentro” e giocando contro.

Io volevo continuare a cercare e divulgare, convinto che le ragioni del meridionalismo non possono essere di parte, e il treno per Matera che manca dovrebbe indurre tutti a volerlo, da destra o da sinistra, non importa, ognuno secondo il proprio sentire.

Dopo nove anni, in un momento che non sapevi se di farsa o dramma (Salvini zuppo di mojitos in Parlamento, che chiedeva pieni poteri) mi lasciai convincere a dare una traduzione partitica a un fenomeno editoriale, nella presunzione che i lettori potessero divenire elettori a sostegno di una politica di equità per il Sud.

La pandemia di covid mostrò che qualcosa non andava; forse solo accelerò quello che comunque sarebbe successo in tempi più lunghi: sfrenate ambizioni personali, ricadute nella solita trappola che divide il Sud fra destra e sinistra, a scapito degli interessi comuni, mentre sui suoi il Nord trova sempre modo di agire con unica voce. Pulsioni esasperate da una voglia troppo a lungo trattenuta di “tutto e subito”, che rendeva intolleranti e impazienti. Forse, per tener insieme tante e inconciliabili spinte (curiosamente, a blocchi regionali contrapposti), sarebbe servito qualcuno più accomodante, elastico, più “politico”. Ma io, e sarà un male?, non sono così, ho un carattere elementare: sì o no.

Il Movimento che comunque sorse ebbe una immediata crescita che impensierì partiti e poteri dominanti, più di quanto riuscissimo a percepire. E cominciò l’opera per captarlo (se avessimo accettato di giocare “dentro”) e/o demolirlo (se fossimo rimasti “fuori”). A favorire questo lavorio, le nostre convulsioni in cerca della migliore via per influire sulle scelte per il Mezzogiorno, da alleanze elettorali in sede locale con partiti esistenti o con una formazione nuova per le europee, a iniziative politiche da soli nei Comuni.

Ma la sensazione è che su questa via (che in alcuni casi potrebbe restare percorribile, saranno le maggioranze a deciderlo), si rischia di divenire sempre meno distinguibili, per la proliferazione, non si sa quanto spontanea, di soggetti in apparenza simili, ma nei fatti di senso diametralmente opposto (come le mozzarelle di bufala fatte in Germania). Un modo per confondere, disorientare, se pensate che persino i peggiori trombettieri di regime anti-meridionale compaiono in alcuni di questi gruppi, come “esperti” del contrario (di nuovo: fingere di “stare fuori”, “stando dentro”, per agire contro).

Così, è forse il caso di ricordar qual è la filiera: l’economia genera una politica al suo servizio, su cui fiorisce una cultura. Per dire: dal sistema produttivo della civiltà agricola hai organizzazioni umane che inducono a divenire stanziali; a sostegno di queste politiche sorge una cultura che ne giustifica i valori contro quelli del nomadismo, e dice moralmente giusto lo sterminio dei cacciatori-raccoglitori (Caino uccide Abele e Dio non interviene a fermare la sua mano, ma impedisce che l’assassino sia punito; oppure: gli agricoltori del Far West celebrati per l’eroico genocidio degli indiani).

Quindi? Quindi, bene insistere con una operazione culturale che denunci la condizione coloniale del Sud; bene cercare politiche per contrastare questa vergogna ultrasecolare; ma la prima azione dev’essere sull’economia. Lo stato coloniale del Sud non è imposto solo tramite i partiti “nazionali”, ma attraverso aggregazioni di enti (l’Associazione dei Comuni, la Conferenza Stato-Regioni) e per il controllo della filiera produttiva (Confindustria) e dei mezzi di comunicazione.

Ma come, se non abbiamo mezzi, risorse e siamo pochi? Obiezioni fondate ma inutili: si dovesse aspettare di avere quello che serve, non si farebbe mai nulla, perché si parte sempre da posizioni di svantaggio, proprio per correggerle o ribaltarle. Si fa come si può, con quello che si ha. Ma subito. È poco? Nulla è ancora meno e tutte le cose nascono piccole.

Così, dovremmo (e persino io dall’alto delle mie incapacità) dedicarci a iniziative per creare a Sud lavoro di tipo identitario, che generi reddito e legame con la propria terra, con la scoperta che la nostra storia è pane, la nostra civiltà contiene ricchezza. Una goccia nel deserto dei due milioni di meridionali costretti a emigrare in scarsi vent’anni e degli otto milioni in meno che si prevedono, nel futuro prossimo.

Ma riuscisse, ognuno, a impedire che lasci il suo paese uno solo dei giovani costretti ad andar via, non avremmo sprecato il nostro tempo. Solo chi sa che a casa trova il piatto a tavola può poi occuparsi di politica e magari leggere un libro, per nutrire anche la mente.

Per dire: qual è la quota di prodotti del Sud nei supermercati (avamposti della colonizzazione), nelle stazioni di servizio? Più riusciamo a farla crescere, meno giovani meridionali andranno via.

E quanti posti di lavoro danno (possono dare) i templi di Agrigento?

Economia-politica-cultura: questa la catena. E cominciamo dall’inizio, allora. (pa)

QUEL PIANO DI BILANCIO INADEGUATO PER
LE REALI ESIGENZE DI CRESCITA DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – È cominciato il rito delle audizioni. Dinanzi alla Camera dei Deputati è stato sentito il 7 ottobre il capo del Dipartimento di Economia e Statistica di Banca d’Italia, Sergio Nicoletti Altimari, per esaminare il Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025 2029, che con un acronimo difficilissimo viene chiamato (PSBMT).

L’8 ottobre, presso la Sala del Mappamondo di Montecitorio, le Commissioni Bilancio di Camera e Senato, nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029, si è svolta l’audizione del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti.    

Si è trattato di illustrare i dati fondamentali per un periodo estremamente lungo: cinque anni. La Commissione Europea vuole vederci chiaro sui progetti dei vari Paesi dell’Unione, dopo la parentesi del Covid, nella quale si è proclamato il “liberi tutti”. I temi fondamentali riguardano il debito pubblico accumulato negli anni e la sua sostenibilità, il deficit annuale, il saldo primario, le riforme necessarie che allineano i percorsi di tutti i Paesi dell’Unione, tipo la Bolkstein, l’incremento atteso del Pil e dell’occupazione. 

È un vero e proprio quadro di cosa sarà il Paese nel  periodo prossimo considerato e quindi alla fine dei cinque anni. Ma non può essere un libro dei sogni perché le poste che si presentano devono essere coerenti tra di loro ed effettivamente realizzabili. Il grande rischio che si corre è, però, che in tutte le audizioni previste ci si addentri  nelle singole poste con molta precisione e si perda di vista il quadro generale. In particolare questo problema esiste per il Mezzogiorno che di questo progetto o piano strutturale vorrebbe conoscere gli elementi fondamentali che riguardano il suo futuro. 

Tra questi quelli che interessano maggiormente sono il numero di posti di lavoro che saranno creati nel periodo considerato nell’area.  Anche in tutto il Paese, cosa altrettanto importante, ma maggiormente nelle realtà meridionali, nelle quali le esigenze sono più importanti.

Infatti la quantità di persone che dovranno andar via per cercare una ipotesi di futuro altrove, i figli e i nipoti che potranno rimanere accanto ai loro genitori e ai loro nonni, dipenderà da quel rapporto occupati popolazione che continua ad essere al Sud di una persona su quattro.

Il 36,2 per cento della domanda di lavoro sarà innescata nelle Regioni del Mezzogiorno, con la Campania (68.194 unita) e la Sicilia (56.031 unita), che coprono il 17,5 per cento della domanda di lavoro generata dal Pnrr. Cosi recita il Piano. 

Ma questa è una dichiarazione di sconfitta assoluta. Perché anche se il numero globale di saldo occupazionale fosse nei cinque anni prossimi vicino ai 500.000, e dalle previsioni del piano siamo assolutamente distanti da questi numeri, saremmo molto lontani dalle esigenze effettive che il Mezzogiorno ha per arrivare a un rapporto popolazione occupati simile a quelle delle aree sviluppo a compiuto. Quel benchmark di riferimento che è l’Emilia-Romagna, nella quale il rapporto é vicino all’uno a due. 

Altimari, per esempio nella sua audizione ha riconosciuto l’importanza del Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029, nel quadro della nuova governance economica europea, approvata nell’aprile 2024, che prevede l’impegno dei Paesi membri con un elevato debito pubblico, come l’Italia, a intraprendere un percorso di riduzione del rapporto debito/Pil. E nessuno può pensare di non concordare su tale importanza. 

Ma vogliamo anche dire che il Piano prevede che, anche in costanza in parte degli effetti del Pnrr, la situazione non muterà  rispetto alla domanda di posti di lavoro necessaria per il Mezzogiorno? 

Vogliamo dire che la Zes unica, succeduta alle otto Zes, nel piano è ritenuta un fallimento visto che l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, per la quale è stata concepita, alla fine non crea quei posti di lavoro che nessuno mai si è azzardato di quantificare adeguatamente? Oppure si ritiene che i vari temi  vadano ognuno per la propria strada e siano indipendenti? Certo il Vangelo dice che è bene che la destra non sappia quello che fa la sinistra, ma in quel caso si parlava di elemosina, di fare del bene. Qui invece si analizzano  tutti gli aggregati macroeconomici, cercando di farli rimanere all’interno del range che l’Unione ritiene opportuno, ma alla fine non vi è una parola chiara sul fatto che con questi dati del Piano si prevede che perduri quel percorso che si è avuto fino ad adesso e che vede piccole crescite sia del Pil che degli occupati, certamente inadeguate rispetto alle esigenze.

Nessun  salto di qualità, nessuna crescita particolare, nessun recupero di ritardo previsto. È tutta la saggistica sul Mezzogiorno batteria d’Europa, sul Mediterraneo centrale per il prossimo futuro, sul Sud nuova opportunità e locomotiva del Paese, rimangono per le prossime grida manzoniane. 

Grida che  serviranno  per le  future campagne elettorali, per illudere i meridionali che qualcosa cambierà finalmente, in termini occupazionali, in termini di diritti. 

Il Piano dice invece quello che effettivamente avverrà con tutti i vincoli dei quali non si può tener conto a cominciare dall’enorme debito pubblico che ci fa pagare interessi importanti che sottraggono risorse agli investimenti possibili. Debito pubblico che, visto lo stato della infrastrutturazione del Mezzogiorno, nasce anche dalle grandi opere che sono state fatte in una sola parte del Paese. O dagli aiuti che sono dati alla parte produttiva che certamente nella sua maggiore dimensione è localizzata al Nord. 

Nemmeno l’opposizione evidenzia in modo adeguato le carenze del Piano, perché segue le logiche delle audizioni, perdendosi spesso nei dettagli e perdendo di vista il quadro complessivo.  

Ma è evidente che il Piano previsto forse è l’unico possibile se si tiene  conto dei condizionamenti esistenti, di realtà consolidate che non possono essere ignorate, di un appesantimento di una struttura amministrativa burocratica centrale che certo non può essere sfoltita e alleggerita in modo rapido.  La cosa più facile è il percorso degli anni passati, andare piano. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

LA CALABRIA CRESCE, MA RESTA INDIETRO
RISPETTO AL PAESE: NEL 2023 SOLO + 0,6%

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Nonostante l’andamento positivo e la crescita del 3,0% rispetto al 2021, la Calabria rimane comunque indietro rispetto al Mezzogiorno e al resto d’Italia. Ciò significa che la strada è ancora lunga per tornare ai livelli pre-covid. Questi dati emergono dal Rapporto di Bankitalia presentati nei giorni scorsi a Catanzaro. La nostra regione, infatti, si è trovata in difficoltà a causa della forte incertezza legata alla guerra in Ucraina, della crescita dell’inflazione e del peggioramento delle condizioni di finanziamento, nonostante il quadro economico sia stato favorevole nella prima parte dell’anno.

L’incremento dei costi energetici e delle materie prime, che si è acuito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha progressivamente sospinto l’inflazione su livelli elevati nel confronto storico. Ne è conseguita una sensibile riduzione del potere di acquisto delle famiglie, specialmente quelle meno abbienti (più diffuse in Calabria rispetto al resto del Paese), che destinano una quota maggiore di consumi ad alcuni beni particolarmente interessati dagli aumenti (come elettricità, gas e prodotti alimentari). Nel contempo, l’incremento dei prezzi di vendita ha consentito una sostanziale tenuta dei risultati economici delle imprese.

E, proprio per quello che riguarda le imprese, l’andamento è stato migliore nei servizi, che hanno beneficiato del recupero nel comparto turistico e della ripresa dei consumi dopo l’emergenza pandemica, e nelle costruzioni. L’attività ha ristagnato nell’industria in senso stretto, che ha maggiormente risentito della crisi energetica; è risultata in calo nel settore agricolo, che sconta ancora l’elevato sbilanciamento del comparto verso alcune produzioni tradizionali.

In Calabria, infatti, il settore agricolo riveste un peso maggiore sull’economia nel confronto con la media italiana. Secondo i conti territoriali dell’Istat, esso rappresenta circa il 5 per cento del valore aggiunto, oltre il doppio del corrispondente dato nazionale; vi trova impiego il 13 per cento degli occupati, l’incidenza più alta tra le regioni italiane.

Nel complesso, gli investimenti sono cresciuti soprattutto tra quelli mirati a migliorare l’efficienza energetica o incrementare l’utilizzo e la produzione di energia rinnovabile, che potrebbero ulteriormente rafforzare la transizione già in atto verso tali fonti di energia.

«Nel 2019 – si legge nel rapporto – i consumi finali di energia della Calabria erano pari a circa 1,2 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) per abitante, valore nettamente più basso rispetto alla media italiana (figura, pannello a). Il settore degli usi civili assorbiva il 46 per cento dei consumi finali, i trasporti il 41 e l’industria solo il 10 per cento; rispetto al dato italiano si osserva una minore quota del comparto industriale. Ciò riflette in parte il peso più contenuto del settore sul valore aggiunto regionale; inoltre, nell’industria l’intensità energetica Nel 2019 i consumi finali di energia della Calabria erano pari a circa 1,2 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) per abitante, valore nettamente più basso rispetto alla media italiana (figura, pannello a). Il settore degli usi civili assorbiva il 46 per cento dei consumi finali, i trasporti il 41 e l’industria solo il 10 per cento; rispetto al dato italiano si osserva una minore quota del comparto industriale. Ciò riflette in parte il peso più contenuto del settore sul valore aggiunto regionale; inoltre, nell’industria l’intensità energetica».

Nonostante il forte incremento dei costi di produzione, la redditività delle imprese è stata sostenuta dal contemporaneo aumento dei prezzi di vendita e dalla modesta dinamica del costo del lavoro. La mortalità di impresa, sebbene in risalita, è rimasta inferiore a quella che si osservava prima della crisi Covid-19. La solvibilità delle aziende indebitate con il sistema bancario non ha mostrato ripercussioni significative; la liquidità pemane su livelli storicamente elevati, raggiunti grazie anche all’ampio ricorso delle imprese nel biennio 2020-21 alle misure pubbliche di sostegno introdotte durante la pandemia.

Bene sul lavoro.  Nel 2022 il recupero dell’occupazione si è esteso anche alla componente del lavoro autonomo. L’andamento congiunturale ha favorito principalmente il settore dei servizi e quello delle costruzioni; quest’ultimo in prospettiva potrebbe essere ulteriormente rafforzato dall’attuazione delle opere previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il miglioramento osservato nell’ultimo biennio nei tassi di occupazione e disoccupazione è dovuto tuttavia anche alla contrazione della popolazione attiva, che riflette sia il mancato recupero nei tassi di partecipazione osservati prima della pandemia sia soprattutto il calo demografico in atto. Ciò rafforza dunque l’importanza di realizzare pienamente gli interventi di politica attiva previsti pure nel Pnrr, volti a favorire una maggiore e migliore partecipazione al mercato del lavoro.

Nonostante nello scorso anno l’espansione dell’occupazione dovrebbe aver favorito una lieve riduzione della disuguaglianza nella distribuzione del reddito da lavoro familiare equivalente, sospinta dalla diminuzione della quota di individui in famiglie senza occupati, «la Ccalabria continua a essere caratterizzata dalla presenza di un’ampia quota di nuclei in condizioni di disagio economico: secondo nostre stime sui dati dell’Indagine sulle spese delle famiglie dell’Istat, nel 2021 (ultimo dato disponibile) i nuclei familiari in povertà assoluta1 erano quasi l’11 per cento del totale, un valore superiore alla media nazionale (pari al 7,5 per cento). La presenza più diffusa in regione di famiglie economicamente svantaggiate può inoltre riflettersi in specifiche forme di povertà connesse alle difficoltà di accesso a determinati beni e servizi essenziali. In particolare, l’incremento dei prezzi di elettricità e gas potrebbe ulteriormente aggravare la condizione delle famiglie più vulnerabili, alimentando una maggiore diffusione della povertà energetica».

Ma che significa povertà energetica? Indica quando l’accesso ai servizi «energetici implica un impiego di risorse (in termini di spesa o reddito) superiore a quanto ritenuto socialmente accettabile oppure se non è in grado di sostenere l’acquisto di un paniere di beni e servizi energetici giudicati essenziali».

Nel periodo compreso tra il 2017 e il 2021 (ultimo anno disponibile) la quota media dei nuclei familiari calabresi in PE è stata pari al 16,9 per cento (figura); il dato è nettamente superiore a quello italiano (8,5), principalmente per la componente LIHC – Low Income High Cost (ossia la quota di spesa per elettricità e riscaldamento particolarmente elevata) dell’indicatore.

Il reddito disponibile delle famiglie calabresi nel 2022 ha tratto vantaggio dai miglioramenti nei livelli occupazionali, ma il potere d’acquisto si è ridotto a causa della concomitante forte crescita dei prezzi, che ha anche frenato la ripresa dei consumi. L’aumento della spesa per l’acquisto di beni e servizi si è accompagnato a un incremento dei prestiti bancari. Le transazioni sul mercato immobiliare hanno mantenuto una crescita significativa, spinta ancora dalla ricomposizione della domanda verso abitazioni dotate di spazi esterni e situate al di fuori dei centri urbani.

Per quanto riguarda i consumi, in Calabria nel 2022 è proseguita la ripresa dei consumi, con una crescita del 4,9 per cento a valori costanti secondo le stime di Prometeia, lievemente inferiore ai dati nazionali.

«La dinamica dei consumi ha beneficiato del positivo andamento del mercato del lavoro, ma è stata frenata dai rincari dei prezzi e dal deterioramento del clima di fiducia – si legge nel rapporto – anche in connessione con l’incertezza derivante dalla guerra in Ucraina. Il recupero dei consumi rispetto ai valori pre-pandemia risulta così ancora incompleto, con un divario rispetto al 2019 che in regione si attesterebbe, in base alle stime disponibili, a 1,8 punti percentuali».

La spesa media delle famiglie calabresi nel 2021 (ultimo anno disponibile) è stata pari a 1.529 euro al mese, al netto dei fitti figurativi (1.844 euro nel Paese); la componente dei beni alimentari ha inciso per quasi un terzo, seguita dalle voci connesse con l’abitazione e le utenze e da quelle relative ai trasporti. Queste voci, più difficilmente comprimibili perché legate a bisogni primari, hanno un peso maggiore per le famiglie con minori livelli di spesa complessiva. Poiché gli aumenti dei prezzi hanno riguardato soprattutto tali voci, le famiglie meno abbienti sono risultate le più esposte alle pressioni inflazionistiche.

Aumenta, poi, la ricchezza delle famiglie calabresi: secondo le stime aggiornate al 2021 di Bankitalia, infatti, la ricchezza netta delle famiglie calabresi ammonta a circa 178 miliardi di euro, in aumento rispetto all’anno precedente del 2,0 per cento (-2,4 per cento in termini reali). Il valore pro capite, pari a quasi 96 mila euro, era circa la metà di quello medio nazionale.

L’incremento della ricchezza netta nel 2021 è stato alimentato prevalentemente dalle attività finanziarie detenute dalle famiglie calabresi, che hanno continuato a crescere raggiungendo i 79 miliardi di euro (quasi 43 mila euro pro capite). Il valore delle attività reali è risultato in lieve aumento (0,6 per cento), in linea con il dato italiano. Nel complesso del periodo 2011-21 il valore corrente della ricchezza netta delle famiglie calabresi è cresciuto del 5,9 per cento; l’incremento, che si è intensificato a partire dal 2019, è stato comunque inferiore a quello medio nazionale (8,4 per cento).

Si è notevolmente ridotto, invece, l’investimento in titoli obbligazionari, anche se i primi dati disponibili sul 2022 sembrano evidenziare un’inversione di tendenza rispetto all’anno prima.

Preoccupa la natalità: «dopo il forte rimbalzo post-pandemico, nel 2022 il tasso di natalità netto (saldo fra iscrizioni e cessazioni in rapporto alle imprese attive)», viene evidenziato del Rapporto, «è sceso allo 0,8 per cento (dall’1,9 del 2021)». Una flessione che, tuttavia, si è registrata in tutto il Paese.

«L’andamento – si legge – ha riflesso sia la diminuzione del tasso di natalità, sia la crescita di quello di mortalità. Entrambi rimangono comunque su livelli più contenuti nel confronto con il periodo pre-pandemico; sulle minori cessazioni, oltre alla ripresa congiunturale, avrebbero continuato a incidere le misure di sostegno pubblico introdotte durante la pandemia e rimaste in vigore fino al primo semestre dello scorso anno.

Sanità. Nel 2022 si è registrato un sensibile aumento dei costi, «dopo la sostanziale stabilità osservata nell’anno precedente».

Particolarmente significativo l’incremento della spesa per l’acquisto di beni e servizi. Vi hanno contribuito in parte i rincari dei prezzi dei prodotti energetici e del gas, con un aumento della spesa per tali utenze di circa il 45 per cento nel 2022; per farvi fronte, a livello nazionale, sono state stanziate risorse aggiuntive, che per la Regione Calabria hanno più che compensato i maggiori oneri. La spesa in convenzione ha continuato a crescere nelle componenti collegate all’acquisto da privati di prestazioni ospedaliere e specialistiche; vi può aver influito l’attività di recupero delle liste di attesa.

Nonostante questo, il numero delle prestazioni di specialistica ambulatoriale erogate nel 2022 si mantiene ancora inferiore ai valori antecedenti all’emergenza sanitaria. L’andamento del costo del personale (in aumento dell’1 per cento) è stato determinato principalmente dall’effetto monetario del rinnovo dei contratti della componente non dirigenziale, mentre l’organico ha mostrato ancora una lieve flessione. Tale dinamica ha contribuito ad accrescere il ricorso alle collaborazioni e consulenze sanitarie esterne, rafforzatesi già nel 2020 in risposta all’emergenza sanitaria.

Nel biennio 2021-22 l’incidenza di tale voce sul totale del costo del personale ha raggiunto il 4,4 per cento (era il 2,8 per cento nel biennio 2018-19). Il personale delle strutture pubbliche, nella componente sia stabile sia a termine, continua a mostrare una contrazione (-0,4 per cento), seppur inferiore rispetto a quella osservata nell’ultimo decennio (tav. a6.8). Secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato (RGS), a fine 2021 la dotazione di infermieri e di personale tecnico risultava in regione superiore ai valori antecedenti la pandemia; l’aumento ha però interessato essenzialmente i lavoratori con contratti a termine.

Il numero di medici ha continuato invece a ridursi, nonostante il significativo ricorso, anche in questo caso, a contratti temporanei. Per il personale medico si pone inoltre, in misura più forte rispetto ad altre f igure sanitarie, un problema di ricambio generazionale: a fine 2021 circa la metà dell’organico stabile operante presso strutture pubbliche aveva più di 60 anni di età (era solo il 13,6 per cento nel 2011; tav. a6.9 e fig. 6.5.b). I problemi legati all’invecchiamento del personale si presentano anche tra i medici di medicina generale (MMG) e i pediatri di libera scelta: circa il 90 per cento di tali figure professionali si collocava nella fascia di anzianità di servizio più elevata (rispettivamente, più di 27 e 23 anni dalla laurea) e con un carico di pazienti per medico aumentato nel corso dell’ultimo decennio (nel 2021 il 24 per cento dei MMG e il 74 per cento dei pediatri presentava un numero di pazienti superiore alle soglie di legge).

Nonostante questo, è migliorato l’equilibrio economico-finanziario della sanità calabrese: sulla base dei dati di consuntivo 2021, è stato conseguito un avanzo di gestione pari a 145,6 milioni di euro, che ha consentito di dare piena copertura alle perdite pregresse al 31 dicembre 2020 (77,4 milioni di euro). (ams)

 

L’OPINIONE / Giacomo Saccomanno: Apertura cantieri del Ponte avrà impatto positivo su economia e occupazione

di GIACOMO SACCOMANNO – I lavori per il Ponte sullo Stretto partiranno tra pochi mesi nell’estate 2024, portando con sé decine di migliaia di posti di lavoro e un impatto significativo sul Pil nazionale. Secondo le ultime dichiarazioni del governo e del Direttore tecnico della società Stretto di Messina, Valerio Mele, non ci sono ritardi previsti sulla tabella di marcia e i cantieri inizieranno come programmato. Questa notizia positiva è stata confermata dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, il quale ha sottolineato che l’apertura dei cantieri porterà a un’impennata del Pil nazionale e alla creazione di 37mila nuovi posti di lavoro.

Secondo le stime, l’indotto positivo generato dalla costruzione del Ponte sullo Stretto ammonta a circa 23 miliardi di euro, con significativi benefici economici e occupazionali. L’opera è stata descritta come sicura e adeguata, con la garanzia che eventuali nuove tecnologie o materiali saranno prontamente adottati, mantenendo un’attenzione particolare all’ambiente.

Il ministro Salvini ha sottolineato che l’impatto positivo sull’economia sarà notevole, con 23 miliardi di contributo al Pil e 37.000 posti di lavoro a tempo pieno. Inoltre, altre regioni, oltre a Sicilia e Calabria, beneficeranno dell’opera, tra cui Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Veneto. Si prevede che la costruzione del Ponte sullo Stretto porterà a uno sviluppo economico diffuso in tutto il Paese, rappresentando una risposta positiva alle critiche dei detrattori.

Durante gli otto anni previsti per la costruzione, si prevede un aumento significativo degli occupati stabili, un aumento del Pil nazionale e un incremento del gettito fiscale per lo Stato. L’analisi costi-benefici mostra che vi saranno notevoli contributi ai redditi delle famiglie, redditi da capitale, redditi da lavoro e imposte indirette.

Questa opera non rappresenta solo un grande progetto a livello locale, ma un’importante iniziativa nazionale e internazionale. Le varie regioni beneficeranno dell’indotto e dell’indiretto generati dalla costruzione, con la Lombardia in testa per il contributo più elevato, seguita da Lazio, Sicilia, Emilia-Romagna, Veneto e Calabria.

La costruzione del Ponte sullo Stretto si presenta come un’opportunità per lo sviluppo economico e per la creazione di nuovi posti di lavoro su vasta scala, contribuendo in modo significativo alla crescita del Paese e alla prosperità delle regioni coinvolte. (gs)

[Giacomo Saccomanno è commissario regionale della Lega]

La Camera di commercio di Cosenza certifica: le imprese hanno tenuto nel primo semestre 2023

Nei primi sei mesi del 2023 il sistema produttivo cosentino regge all’incertezza dei mercati e all’aumento dell’inflazione, fattore sicuramente penalizzante, quest’ultimo, in una economia basata essenzialmente sul Commercio e sul Turismo.

Lo stock delle localizzazioni produttive (81.485 unità) rimane sostanzialmente invariato rispetto a giugno 2022 (-0,03%) riducendosi di appena 26 unità mentre a livello nazionale lo stock si è ridotto dello 0,74%.

In questi primi sei mesi il saldo tra nuove aperture e chiusure è positivo con 300 sedi di impresa in più rispetto a inizio anno e un tasso di crescita semestrale pari a +0,43%.

Lo stock delle sedi di impresa rispetto a giugno 2022 ha subito una leggera contrazione (-0,45%) ma inferiore al -0,75% registrato a fine anno.

Il numero di occupati a fine 2022, inoltre, registra un +1% (circa 1.400 unità) rispetto al 2021 e circa +6% rispetto al 2018 grazie al contributo del settore agricoltura.

«Una tenuta che può e deve diventare crescita – dichiara Klaus Algieri, presidente della Camera di commercio di Cosenza – soprattutto grazie a settori trainanti come quelli del turismo e dei servizi e al rilancio delle aree interne, ad esempio attraverso l’istituzione di Zone Economiche Montane (Zem) che diano impulso agli investimenti su transizione green e digitale. Gli strumenti ci sono e i fondi del Pnrr possono amplificarne la portata in modo significativo se si riesce ad intercettarli in modo intelligente. E non si tratta solo di un interesse locale – prosegue Algieri – ma di una priorità a livello nazionale, perché se non parte il Sud non ci sarà modo di far partire l’intero sistema Italia».

A “reggere” è essenzialmente il settore Terziario, sia in termini demografici che occupazionali. In termini demografici il terziario in provincia è in crescita costante da dieci anni registrando un incremento dello stock delle “sedi attive” di quasi 9 punti percentuali, il doppio della media nazionale, nonostante la leggera flessione dell’anno in corso. Anche in termini occupazionali, nonostante una leggera flessione, gli ultimi dati forniti da Istat ci indicano una sostanziale tenuta con appena 300 unità lavorative in meno rispetto al 2021.
Il terziario a fine 2022 occupava il 68% del totale dei lavoratori in provincia, ovvero circa 105.600 unità. Il contingente di lavoratori del terziario cosentino (specie nel Commercio e nel Turismo) è aumentato del 6% rispetto al 2018 contrariamente a quanto registrato a livello nazionale (-0,60%)

Note positive anche dal settore primario (Agricoltura, caccia e pesca): mentre in Italia il settore ha perso negli ultimi 10 anni quasi il 12% delle imprese, la nostra provincia mostra una tenuta demografica importante, essendo lo stock delle sedi attive aumentato del +1,75% rispetto a giugno 2013. Inoltre, il settore nella nostra provincia registra anche un significativo incremento occupazionale rispetto al 2018 (+12,56%) recuperando il crollo registrato nel 2021.

Male Industria, Edilizia e infrastrutture (settore Secondario) sia in termini demografici (-1% rispetto a giugno 2022 e -4,6% rispetto a giugno 2013) sia in termini occupazionali con 2.700 lavoratori in meno rispetto a fine 2021. Il livello di occupati nel settore è tornato sui livelli del 2018 perdendo tutto il 10% di incremento registrato nel 2021 dopo la pandemia.

I dati ufficiali più aggiornati collocano il sistema economico provinciale, in termini di redditività, al 61-mo (su 107 tra province e città metropolitane) posto nella graduatoria provinciale 2021 per valore aggiunto a prezzi base e correnti, con un valore prodotto di poco superiore a 9 miliardi e 771 milioni, in aumento rispetto al 2020 ma distante dai quasi 10 miliardi del 2019 (livelli pre-pandemici).

Queste le principali evidenze sull’andamento della demografia delle imprese nel 2023 che emergono dai dati Registro imprese, Istat e Tagliacarne, elaborati dall’Ufficio studi e Centro Progettazione Fondi nazionali e comunitari della Camera di commercio di Cosenza. (rcs)

SEMPRE PIÚ NUOVE IMPRESE IN CALABRIA
UN DATO CONFORTANTE PER L’ECONOMIA

Le imprese sono il cuore pulsante della Calabria. Lo dimostra il recente accordo quadro stipulato tra la Regione Calabria e Unioncamere Calabria a sostegno delle imprese, volto proprio a favorire lo sviluppo del sistema economico regionale.

«Lo sforzo e l’impegno cui il sistema camerale calabrese è chiamato è quello di utilizzare le risorse del PNRR, realizzando azioni concrete e strutturate a beneficio delle imprese e del territorio e per farlo è fondamentale intensificare il dialogo e la collaborazione tra le Istituzioni e con le forze sociali ed economiche, come sta già avvenendo in altre regioni, tramite Accordi quadro con le Unioni regionali delle Camere di commercio e prevedendo anche il finanziamento di programmi e progetti condivisi con le Regioni per promuovere lo sviluppo socioeconomico e sostenere l’occupazione», ha dichiarato il presidente di Unioncamere Calabria, Antonino Tramontana.

Tramontana, poi, ha parlato degli effetti della pandemia, che «sono stati dirompenti per l’economia italiana e, nello specifico, per quella calabrese, causando una drastica riduzione del Pil e registrando l’aumento sostanziale della percentuale di disoccupazione». Un dato, che è stato “smentito” da ben due Enti Camerali: quello di Cosenza e Reggio Calabria.

Per quanto riguarda la prima, infatti, dal programma Excelsior è emerso che nel trimestre agosto-ottobre 2022, «le imprese della provincia di Cosenza prevedono un ingresso di 8.710 lavoratori, con una percentuale del 25% in più rispetto all’analogo trimestre dello scorso anno. Per il solo periodo di agosto è previsto l’ingresso di 2.180 figure nella provincia di Cosenza, per un totale complessivo, nella regione Calabria, di 6.100 nuove entrate».

Nel sistema informativo, poi, è stato fornito un quadro completo sulla situazione lavorativa, rilevando anche le tipologie di contratto previste per le entrate del mese. È stimato che il 17% saranno a tempo indeterminato o apprendistato, mentre l’83% saranno contratti a termine. Fra gli ingressi previsti nei principali settori di attività, il periodo agosto – settembre 2022 rileva entrate pari a 1.970 figure per i servizi di alloggio, ristorazione e turistici, 1.490 per il commercio, 1.310 per il settore edile e 1.540 rivolti ai servizi alle persone.

Per quanto guarda invece l’ambito reggino, l’Ente camerale ha riferito che il I semestre del 2022 è stato particolarmente positivo per il territorio della Città Metropolitana: si sono registrate 1.285 nuove imprese e vi sono state 971 cessazioni di attività, con un saldo positivo pari a 314 unità. È quanto è emerso dai dati del Registro Imprese relativi al sistema imprenditoriale della Città Metropolitana di Reggio Calabria della Camera di Commercio di Reggio Calabria.

Al 30 giugno 2022 il sistema imprenditoriale della Città metropolitana di Reggio Calabria risulta pertanto costituito da 54.518 imprese (il 28,8% delle imprese regionali).

Continua il trend positivo delle imprese attive con una crescita media superiore ai livelli medi pre pandemici.

Al 30 giugno 2022 il dato relativo al numero delle imprese attive, ossia quella quota-parte di imprese registrate che ha svolto un’effettiva attività produttiva per almeno sei mesi nel corso dell’anno, è pari a 46.225 (+1,1% rispetto allo stesso semestre del 2021).

Non si arresta il processo di ispessimento del sistema produttivo reggino ormai in atto da diversi anni.

Le imprese individuali continuano a rappresentare la componente d’impresa più numerosa (36.072 unità, pari al 66,9% delle imprese presenti all’anagrafe camerale); il loro numero è leggermente aumentato rispetto al I semestre dell’anno precedente (+1,1%).

Si evidenzia un ulteriore aumento delle società di capitali (il 19,1% del totale) che crescono rispetto al I semestre del 2021 del +5,0%.

Più del 60,0% delle attività imprenditoriali è concentrata in tre soli settori: il commercio (18.624; il 34,1% dello stock complessivo), l’agricoltura (8.651 imprese; il 15,8%) e le costruzioni (5.943; l’10,9%).

Rispetto al I semestre 2021, si evidenzia una contrazione del settore terziario e delle attività manifatturiere. In crescita il resto delle attività produttive della provincia.

Continua la crescita delle imprese guidate da giovani under 35 e femminili, sostanzialmente stazionarie quelle straniere.

Nel I semestre 2022 le imprese femminili sono 13.087 (il 24,0% del totale), in crescita di 58 unità. Le imprese giovanili (il 10,8% delle imprese totali) hanno fatto registrare un saldo anagrafico anche in questo caso positivo, pari a 254 unità, pur in presenza di un calo complessivo del -5,8% rispetto al I semestre dell’anno precedente.

Le imprese straniere, invece, rappresentano il 9,2% delle imprese camerali, in crescita di sole 10 unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

«I dati sul sistema imprenditoriale nel I semestre 2022 ci restituiscono la fotografia di un tessuto produttivo che è stato in grado di resistere e di rispondere con dinamismo alle difficoltà imposte dalla crisi pandemica – ha dichiarato il Presidente della Camera, Antonino Tramontana –. Nutrivamo un certo timore soprattutto per le imprese giovanili, meno attrezzate dal punto di vista strutturale e della capacità finanziaria per fronteggiare l’emergenza, ma il loro trend positivo, così come quello delle imprese femminili, conferma che il percorso di sviluppo socioeconomico del territorio è sempre più legato a fattori strategici quali innovazione e digitalizzazione che, assieme alla  sostenibilità e alla qualificazione delle competenze e del capitale umano danno valore e accrescono la competitività di tutto il sistema produttivo».

Quelli registrati, infatti, sono dati importanti, che danno un segnale chiaro della volontà della nostra regione – e del tessuto imprenditoriale – di riscattarsi da un periodo nero come quello della pandemia che, attualmente, è accompagnato dalla guerra in Ucraina e dall’instabilità politica.

Come rilevato dalla Svimez nell’anticipazione del Rapporto annuale, «l’aumento dei costi dell’energia incide maggiormente sui bilanci delle aziende del Mezzogiorno perché qui sono più diffuse le imprese di piccola dimensione, caratterizzate da costi di approvvigionamento energetico strutturalmente più elevati sia nell’industria che nei servizi. Inoltre i costi dei trasporti al Sud sono più alti, oltre il doppio rispetto a quelli delle altre aree del paese».

«Quindi – si legge nell’anticipazione – il sistema produttivo meridionale si dimostra più fragile rispetto all’impatto della guerra. Si stima infatti che uno shock simmetrico sui prezzi dell’energia elettrica che ne aumenti il costo del 10%, a parità di cose, determini al Sud una contrazione dei margini dell’industria di circa 7 volte superiore a quella osservata nel resto d’Italia, rischiando di compromettere la sostenibilità dei processi produttivi con possibili conseguenze sul mantenimento dei livelli occupazionali».

Dell’attuale situazione ne ha parlato, in una intervista al Corriere della Sera, il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che ha ribadito che «l’industria va considerata un asset strategico e di sicurezza nazionale. Per questo motivo, stiamo lavorando su un documento che fissa i punti delle priorità dell’industria e le urgenze del Paese».

Boni, infatti, ha chiesto ai partiti di «tenere bene in considerazione che le imprese sono un motore di crescita economica e coesione sociale».

Un concetto, che deve essere ben impresso e ricordato alle istituzioni calabresi. (rrm)

 

L’OPINIONE / Antonio Errigo: La Calabria ha il bisogno urgente di una forte economia legale

di ANTONIO ERRIGO – Quando un corpo sociale lancia reiterati segnali di allarme, dai quali si deduce di essere condizionato da patologie economiche pericolose per il tessuto umano del quale è composto, occorre prenderne atto, esaminarne le cause e porre i necessari e urgenti rimedi, prima che il danno patologico diventi disastro vitale per l’economia legale.

La Calabria è una di quelle realtà economiche considerate a ragione a forte componente reddituale pro capite non in linea con i coefficienti di produzione del reddito regionale. Cerco di essere più chiaro. Se il Pil regionale della Regione Calabria, dai dati sino a oggi a noi disponibili, parrebbe essere tra i più bassi tra le altre regioni italiane, ma addirittura più basso di quasi tutte le Regioni del Mezzogiorno, significa che in Calabria, economicamente non andiamo per niente bene. Il reddito pro capite dalla lettura e interpretazione dei dati statistici 2021, stante alle più accreditate fonti di rilevazione, scende in picchiata verso gli ultimi posti della graduatoria nazionale ed europea.

Ma da osservatore dei comportamenti economici sociali, il dato rilevato dagli analisti, non mi torna. Osservo una qualità della vita nelle cinque province della Calabria , non in linea con le rilevazioni statistiche rappresentate nei dati ufficiali.
Come mai questa erronea rappresentazione del PIL regionale e reddito individuale?

Sarà perché ai rilevatori sfuggono tecnicamente gli indicatori più significativi della realtà economica legale e soprattutto illegale? Se i conti non tornano, occorre rivedere gli elementi di calcolo, coefficienti e matrici numeriche. Anche perché esistono parametri di riferimento non convergenti, anzi molto divergenti.

Non convince il confronto tra tenore di vita manifestato e reddito pro capite per esemplificare al massimo. Gli indici e coefficienti presuntivi di reddito individuale e famigliare, in linea di analisi generale, non combaciano, sono fuorvianti e divergenti. Salvo poi registrare in diversi ambiti territoriali della Regione, una pessima qualità della vita crescente in taluni segmenti sociali particolari, pensionati, emarginati sociali e famiglie con portatori di handicap e di altre patologie sanitarie e difficoltà di ogni ordine e grado, che con il minimo reddito disponibile, non gli permette di arrivare al giorno 15 di ogni mese.

Con il nostro semplice ragionamento non si vuole lasciare intendere che in Calabria, gli abitanti saltano di gioia e felicità per la loro ricchezza prodotta nascosta al fisco, ma si vuole significare che esistono disparità e disomogeneità tra dati statistici e realtà sociali non adeguatamente monitorati e calcolati.

La Calabria ha assoluto urgente bisogno di una economia legale, nel senso che il reddito pro capite percepito e regionale calcolato, deve essere prodotto e rappresentato dal lavoro autonomo, dipendente e da altre categorie di reddito legale, non da elementi di reddito che nulla hanno a che vedere con una economia sana.

Se cresce l’economia illegale o criminale, con un reddito pro capite e regionale, derivante da attività nascoste o non assoggettabili a tassazione e imposizione tributaria, significa che non solo la Calabria è la Regione con il Pil tra i più più bassi d’Europa, tanto da avere il diritto di beneficiare degli interventi di politica economica incentivanti di sostegno al reddito, ma che in Calabria sono presenti e pure in forte crescita, fenomeni di economia illegale pericolosissimi, sia per il Corpo Sociale più rappresentativo, che per il tessuto umano maggiormente esposto alla criminalità economica: i Giovani. (ae)

L’OPINIONE/ Emilio Errigo: La Calabria vincerà, ma deve essere economicamente creativa

di EMILIO ERRIGO – La vittoria credo che siamo tutti concordi nel ritenere, che generalmente crea e genera benessere psicofisico, appagamento, soddisfazione, positività, tranquillità, felicità, legalità ed emulazione creativa nell’osservatore.

In Calabria, intesa non solo come territorio e popolo di una regione, ma soprattutto quale area geografica ben determinata ricca di beni economici importanti per il tessuto sociale, esistono risorse pregiate sovrabbondanti e oso affermare pure poco utilizzati, necessari per soddisfare i bisogni pubblici e privati.

Mi riferisco a quei beni economici naturali a voi tutti noti, acqua pura, territorio incontaminato , aria ricca di ossigeno e mare non inquinato e pescoso, i quali per la loro stessa funzione voluta dal creatore, garantiscono la vita di ogni essere umano, il quale dall’utilizzo ragionato e ponderato di questi beni trae energie per il soddisfacimento dei propri primari naturali bisogni.

Altri beni che per sintesi chiameremo utili alla crescita economica della Calabria e non solo, sono rappresentati dagli immobili, sia essi costituiti dalle opere pubbliche marittime o terrestri, che di quelli appartenenti al patrimonio edilizio industriale, commerciale, imprenditoriale e residenziale.

Leggevo che in Calabria sono stati individuati da parte della competente Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata, ben nr. 257 beni confiscati, quindi acquisiti in via definitiva dallo Stato, a seguito di un atto di sequestro e successivo provvedimento giudiziario di confisca dei beni, per un valore totale quantificato in 20,7 milioni di euro.

Nel sintetico comunicato stampa diramato dall’Agenzia Nazionale (ANBSC), parrebbe che siano n. 46 i Comuni interessati in Calabria, inoltre sono stati invitati a partecipare alla Conferenza di Servizio tenutasi il 3 novembre u.s., per registrare eventuale manifestazione di interesse, oltre l’Ente Territoriale Regione Calabria, le quattro Province, la Città Metropolitana e l’Agenzia del Demanio.

Io in verità non me ne vorranno gli organizzatori della Conferenza, avrei esteso l’invito anche ai rappresentanti del Comitato di Indirizzo della Zes o al rappresentante in diritto del Commissario Straordinario di Governo della Zona Economica Speciale della Regione Calabria, chissà per quale ragione non si è pensato di invitare alcuno di loro, in attesa della nomina del nuovo Commissario Zes alla citata importante Conferenza Regionale.

In altre sedi e diversi contesti, chi scrive ha sempre espresso la propria convinta opinione che tutti i beni (esclusi quelli utilizzati per interessi nazionali direttamente dallo Stato o dal Governo per compiti istituzionali ) esistenti nelle Regioni ove sono state istituite le aree Zes ( Zone Economiche Speciali) da chiunque e per qualunque motivo sottoposti a sequestro per la conseguente confiscate , vadano resi immediatamente disponibili per la loro gratuita destinazione d’uso economicamente valorizzante, a favore di coloro che intendono concretamente investire nelle suddette Zone Economiche Speciali.

Dio solo sa quanto potenziate attrattivo di investimento nei territori della Zona Economica Speciale in Calabria, genererebbero questi beni affidati ai richiedenti aventi diritto in “comodato d’uso gratuito”, per un periodo minimo di almeno anni 10, di questi costosi per l’erario beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni criminali.

A mia opinione il “gratuito comodato d’uso” dovrebbe essere esteso per finalità industriali e imprenditoriali, anche ai beni resi disponibili agli investitori perché provenienti da procedure fallimentari, per sottrarli ai costi crescenti delle necessarie amministrazioni giudiziarie.
Provare per credere! (em)

[Emilio Errigo è nato in Calabria, docente di Diritto Internazionale e del Mare e Generale in ausiliaria della Guardia di Finanza]

BANKITALIA, IL PIL CALABRESE IN CADUTA
PRODUTTIVITÀ E INVESTIMENTI AL PALO

Bankitalia presenta la sua tradizionale relazione sull’economia della Calabria e i dati che emergono creano una seria preoccupazione. In poche parole, la Calabria sta vivendo una fase di sostanziale stagnazione, aggravata dalla crisi del coronavirus. I dati di Istat e Prometeia dello scorso anno indicavano un differenziale di 14 punti sul Pil calabrese rispetto ai livelli del 2007. Non solo non ci sono segnali di miglioramento, ma gli indicatori disponibili indicano per il 2019 un’ulteriore caduta.

Questa inquietante fotografia dell’economia calabrese proviene dal Rapporto annuale della Banca d’Italia dedicato alla regione Calabria: la crisi della pandemia e le misure di contrasto dell’emergenza economica devono, purtroppo, sommare anche fattori strutturali che aggravano ulteriormente la situazione, condizionando produttività e livelli di investimento.

Il sistema produttivo regionale è quello che risente maggiormente delle difficoltà per la ripartenza, anche se sono migliorate, tendenzialmente, le condizioni finanziarie. SI consideri – fa notare il rapporto di Bankitalia – che «nell’ultimo decennio è aumentata la redditività, è calato l’indebitamento e si sono accresciute le disponibilità liquide delle imprese. Il miglioramento delle condizioni finanziarie delle aziende è però avvenuto in parte a scapito dell’attività di investimento, che in questa fase potrebbe ulteriormente risentire del forte rallentamento congiunturale e dell’elevata incertezza che circonda ancora l’evoluzione della pandemia».

Prima dell’emergenza Covid-19, «il tasso di deterioramento del credito si collocava su livelli bassi in prospettiva storica ed in linea con il resto del Paese. Vi ha contribuito il mutamento nell’ultimo decennio della composizione degli affidati verso imprese con bilanci più solidi. Nella fase iniziale della crisi pandemica, l’incremento dei prestiti deteriorati è stato contenuto dalle misure introdotte a sostegno di imprese e famiglie, in particolare dai provvedimenti legislativi sulle moratorie e sulla sospensione delle rate dei mutui per l’acquisto di abitazioni. In prospettiva, le ricadute sulla qualità del credito dipenderanno dalla durata della recessione, dalla rapidità della ripresa e dagli eventuali interventi pubblici di sostegno.

La relazione è stata presentata, in teleconferenza, dal direttore della sede calabrese della Banca d’Italia Sergio Magarelli insieme con i componenti del Nucleo di ricerca dell’Istituto  coordinati da da Giuseppe Albanese, Antonio Covelli e Graziella Mendicino. Il quadro d’insieme è un campanello d’allarme che non va sottovalutato e richiede interventi di spessore per salvaguardare l’economia regionale.

Dal rapporto emerge che «Il deterioramento delle prospettive occupazionali ha colpito un contesto fragile, contraddistinto da tassi di occupazione molto bassi nel confronto nazionale. Anche per la mancanza di occasioni lavorative i livelli di diseguaglianza e povertà sono superiori al resto del Paese. La debolezza dei redditi da lavoro era stata negli anni in parte compensata da trasferimenti pubblici, più intensi della media italiana, da ultimo rafforzati con l’introduzione del Reddito di cittadinanza. Nella prima parte del 2020, tale supporto si è ulteriormente intensificato in connessione all’introduzione di diverse misure di sostegno al reddito delle famiglie volte a contrastare l’emergenza Covid-19».

Le risorse stanziate a livello nazionale per fronteggiare la pandemia hanno riguardato essenzialmente il sistema sanitario che, nella nostra regione, mostrava pericolosi livelli di guardia. In realtà, come si è poi visto, la Calabria ha saputo gestire in maniera eccellente il rischio di contagio e non ci sono state criticità nella disponibilità di posti in terapia intensiva, come si era temuto.

La relazione di Bankitalia mette in evidenza che la Regione Calabria ha dedicato alcune misure specifiche all’emergenza economica destinate a famiglie e imprese, essenzialmente attraverso la riprogrammazione di parte dei fondi comunitari ancora inutilizzati, resa possibile dal quadro straordinario di sostegno posto in essere dall’Unione europea.

C’è da osservare, però, che, «nel contempo, in un contesto già caratterizzato da diffuse fragilità delle condizioni di bilancio, gli effetti dell’emergenza potrebbero riflettersi sensibilmente sulla situazione finanziaria degli enti territoriali, che dovranno fronteggiare i vincoli di liquidità connessi con lo slittamento degli incassi e con le perdite di gettito, a fronte di spese in gran parte incomprimibili». Tale fenomeno – si rileva nella relazione di Bankitalia – potrebbe drenare ulteriormente risorse dagli investimenti in opere pubbliche, che erano ancora in calo prima dello scoppio della pandemia».

L’agricoltura, che in Calabria ha un peso più rilevante rispetto al resto del Paese, pur utilizzando manodopera stagionale, rischia di registrare insostenibili criticità via la carenza di lavoratori creata dalla pandemia.

Né va meglio in ambito industriale, pur registrando sulle imprese con almeno 20 addetti, un risultato positivo (nel 2019) che sarà sicuramente vanificato dalla chiusura obbligata delle attività nei mesi di lockdown.

«In base a nostre elaborazioni su dati Istat, – ha spiegato il direttore Magarelli – la percentuale di produzioni sospese in regione ha riguardato l’equivalente del 24 per cento del valore aggiunto dell’industria (56 per cento in Italia). La minore incidenza rispetto alla media nazionale è da ricondurre alla presenza più significativa di alcuni comparti ritenuti essenziali, in particolare l’industria alimentare, e al peso ridotto di imprese attive nei settori con la maggiore incidenza di chiusure, come il tessile, la metallurgia e i mezzi di trasporto. Tale condizione si è protratta sostanzialmente fino al 4 maggio, quando la quota di attività sospese nel settore industriale si è pressoché azzerata, in connessione con i nuovi provvedimenti del Governo.

Tuttavia, oltre alle disposizioni che hanno comportato un esplicito blocco delle attività, sul settore industriale hanno pesato gli ostacoli nell’approvvigionamento di beni e servizi intermedi sui mercati interni e internazionali, nonché le limitazioni imposte alle aziende nell’impiego della manodopera e nella conduzione delle attività, dovute principalmente alle limitazioni alla mobilità. Queste difficoltà hanno spinto molte aziende, anche non direttamente interessate dai provvedimenti di sospensione, a rimanere chiuse o a limitare significativamente l’attività».

Il settore delle costruzioni, che nel 2019, aveva segnato lievi percentuali in aumento pur restando al di sotto dei livelli antecedenti il 2008, lascia prefigurare un forte calo nel valore della produzione.

Come avevamo indicato qualche giorno fa (calabria.live del 18 giugno) tutto il segmento dell’export registra forti contrazioni, ad eccezione del comparto agro-alimentare. Eppure c’era un trend positivo che da quattro anni faceva sperare in un forte miglioramento delle esportazioni. Come faceva notare il prof. Francesco Aiello su calabria.live l’assenza di aziende ad alta specializzazione non aiuta l’incremento dell’export, per cui sarà necessario aumentare la densità di imprese del campo tecnologico, utilizzando le opportunità offerte dalla Zes. la Zona economica speciale di Gioia Tauro che, a tre anni dalla sua istituzione – faceva notare il docente di Unical – «è ancora un progetto vuoto di contenuti».

Ciononostante, da registrare che l’andamento del primo trimestre 2020 del Porto di Gioia Tauro «rimane nettamente positivo se raffrontato allo stesso periodo dell’anno precedente. Ciò risulta in linea con la fase di rilancio dell’infrastruttura portuale avviata nella seconda metà del 2019, in coincidenza con il cambio nella governance della Medcenter Container Terminal Spa. Rispetto alle attese di inizi 2020, lo scalo ha comunque risentito degli effetti del blocco delle attività occorso durante la fase più acuta della pandemia».

«E l’occupazione? «Tra il 2001 e il 2007, prima della crisi globale, la dinamica dell’occupazione in Calabria aveva riflesso prevalentemente la nascita di nuove imprese.

Tra il 2007 e il 2017 (ultimo anno per cui è possibile condurre l’analisi), la crescita dell’occupazione in regione è stata invece frenata sia dalla maggiore uscita di imprese dal mercato sia dal minore contributo delle nuove imprese. Nell’intero periodo 2001-2017, il contributo del margine intensivo in Calabria è risultato minore che nel resto del Paese. Anche in connessione a ciò, la dimensione media delle aziende calabresi è rimasta invariata nell’arco di tempo considerato, a fronte di una crescita nella media nazionale.

Nel periodo 2001-2017 la crescita dell’occupazione dipendente nel settore privato è stata interamente riconducibile al comparto dei servizi, in prevalenza quelli a intensità di conoscenza medio-bassa (tra cui pesano soprattutto i comparti del commercio, alberghi e ristorazione).

Un aspetto non meno importante della crisi che la nostra regione sta vivendo riguarda la mancata nascita di nuove imprese. «La creazione di nuove imprese rappresenta uno tra i principali fattori che spiegano la dinamica dell’occupazione e il cambiamento strutturale di un’economia – si legge nel Rapporto che cita la Review of Economics and Statistics –. Mediante l’impiego congiunto della base dati Infocamere e dei dati di bilancio Cerved Group è stato possibile descrivere il fenomeno della natalità delle imprese in Calabria dal periodo pre-crisi fino agli anni più recenti, al fine di esaminare quanto tale processo abbia modificato la capacità produttiva e le caratteristiche del sistema economico regionale.

Dal 2005 (primo anno di disponibilità dei dati) al 2017, la natalità di impresa in regione è progressivamente diminuita, passando da 6 a 4 imprese nate ogni mille abitanti (figura, pannello a). La Calabria, pur seguendo un andamento simile al resto del Paese, ha registrato tassi di natalità inferiori alla media nazionale su tutto l’arco di tempo analizzato. La riduzione del numero delle nuove imprese create in regione è attribuibile alla componente delle ditte individuali, mentre il numero di nuove società ha gradualmente recuperato fino a superare i livelli pre-crisi. Tale ultima dinamica è stata sostanzialmente

influenzata dalle modifiche al diritto societario intervenute successivamente al 2012, come ad esempio la riduzione dei requisiti di capitale minimo in sede di costituzione delle società a responsabilità limitata, che hanno incentivato il ricorso a tale forma giuridica. Dal punto di vista settoriale, nel corso del periodo considerato è progressivamente

cresciuta la quota di nuove imprese calabresi che ha scelto di operare nel settore dei servizi (circa il 70 per cento nell’ultimo triennio considerato, 10 punti percentuali in più rispetto agli anni pre-crisi; aumentando ulteriormente la già ampia quota di attività regionale realizzata nel terziario. Tale incremento si è concentrato nel comparto dei servizi a basso contenuto di conoscenza (che include in particolare commercio, alberghi e ristorazione), mentre rimane modesta l’incidenza di quelli ad alto contenuto di conoscenza sul totale dell’attività del terziario. Il settore manifatturiero e quello delle costruzioni, che hanno maggiormente risentito della crisi, presentano anche una minore percentuale di imprese nate negli anni più recenti; la quota di imprese calabresi create nel settore agricolo è leggermente scesa, ma rimane nettamente superiore a quella registrata in Italia».

Infine, un altro aspetto che merita attenzione riguarda il benessere dei calabresi. Anche qui la situazione richiede una serie riflessione einterventi di settore proprio per migliorare la qualità della vita delle persone con reddito basso o addirittura senza reddito: «I dati più recenti per la Calabria, riferiti al 2018, descrivono un profilo di benessere inferiore alla media italiana in tutte le aree tematiche considerate, fatta eccezione per l’incidenza dei reati predatori (furti in abitazione, borseggi e rapine) e per l’Ambiente (utilizzo fonti rinnovabili, presenza di aree protette e coste balneabili, condizioni ambientali). I divari più significativi si riscontrano negli ambiti dell’Istruzione e formazione, della Ricerca e innovazione, della Qualità dei servizi e del Paesaggio e patrimonio culturale, oltre che negli indicatori relativi alla situazione economica (in particolare Occupazione, Qualità del lavoro e Reddito e disuguaglianza).

«In particolare, nei profili relativi a Istruzione e formazione si evidenzia una situazione debole e in generale peggioramento: meno della metà dei diplomati si iscrivono per la prima volta all’università nello stesso anno di conseguimento del diploma ed è in riduzione la percentuale di persone di 30-34 anni che hanno conseguito una laurea. Ulteriori carenze si riscontrano sia nella partecipazione alle attività di formazione continua tra le persone con un’età compresa tra i 25-64 anni sia nei tassi di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione. Gli studenti calabresi inoltre sono tra quelli che mostrano maggiori difficoltà nel raggiungere un livello sufficiente di competenze in italiano e matematica.

«Il livello di Innovazione, ricerca e creatività è significativamente inferiore alla media nazionale: la percentuale di spesa in ricerca e sviluppo in rapporto al PIL è la più bassa d’Italia (0,5 rispetto ad una media nazionale di 1,4). La regione rimane ai primi posti per consistenza della fuoriuscita di giovani laureati (25-39 anni), con un tasso migratorio pari al 31,1 per mille (il dato medio italiano è pari al 4 per mille).

Peggiori rispetto alla media sia nazionale sia del Mezzogiorno, sono anche i dati relativi alla Qualità dei servizi per tutti gli indicatori considerati: le famiglie calabresi registrano le maggiori difficoltà di accesso ai servizi essenziali (12,8 per cento, a fronte della media italiana del 7,3) e sono quelle che denunciano più irregolarità nell’erogazione dell’acqua, con un livello tre volte più elevato rispetto alla media nazionale. Si confermano

ampi divari anche con riferimento al numero di posti letto nelle strutture residenziali socio-assistenziali e socio-sanitarie ogni 1.000 abitanti, alla percentuale di bambini di 0-2 anni che usufruiscono dei servizi comunali e all’offerta di trasporto pubblico locale rispetto al numero di abitanti (la misura utilizzata è quella dei posti-km offerti).

Un giudizio negativo è confermato infine dagli indicatori del dominio Paesaggio e patrimonio culturale, per il quale l’abusivismo edilizio si attesta su livelli tra i più alti d’Italia, con un valore di oltre tre volte superiore a quello medio nazionale. La Calabria è inoltre una delle regioni più colpite dagli incendi boschivi». (rrm)          

La relazione completa della Banca d’Italia / Calabria 2020