SANITÀ, OCCHIUTO APPLICHI IL PNRR IN
CALABRIA: È RISPOSTA A CARENZA DEI LEA

di GIACINTO NANCI – Il governatore Roberto Occhiuto ci ha informati che, a seguito delle rielaborazioni condotte per il 2023, sono stati aggiornati i valori degli indicatori P01C (punteggio 92,63) e P02C (93,49) e, di conseguenza, è stato aggiornato dal governo il punteggio (Lea Livelli Essenziali di Assistenza) per l’area della Prevenzione, (che arriva a 68 e supera la soglia di sufficienza.

I Lea sono le prestazioni che il Sistema Sanitario Nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, vi sono tre macroaree: 1) Ospedaliera con 24 indicatori, 2) Prevenzione collettiva e sanità pubblica e 3) Assistenza distrettuale, poi vi sono 4 indicatori per la stima del bisogno sanitario, uno di equità sociale e 10 per la valutazione dei percorsi diagnostico-terapeutici (PDTA).

La commissione Lea del ministero della Salute in base ai risultati delle regioni per ognuno di questi indicatori da un punteggio che si somma e dà il punteggio finale che va da 0 a 100, la sufficienza ogni regione la raggiunge se fa un punteggio almeno di 60 per ogni area.

Detto questo, ci sembra impossibile che il Ministero con il ricalcolo di solo due dei sedici indicatori della Prevenzione collettiva P01C (che conta le vaccinazioni dei bambini da 0 a 24 mesi per polio, difterite, tetano, epatite B, pertosse e hib) P02C (che conta le vaccinazioni dei bambini da 0 a 24 mesi per morbillo, pertosse, rosolia) abbia potuto praticamente raddoppiare il punteggio Lea per la Prevenzione collettiva che nel 2022 era di 36,59 e passarla a 68. Intanto si tratta di solo due indicatori su 16, indicatori che comunque nel 2022 erano nientemeno che del 96,13 per passare a 93,40 nel 2023 (media nazionale 94,71).

Quindi come è possibile che una diminuzione delle vaccinazioni abbia potuto far raddoppiare i Lea per la Prevenzione pubblica? C’e ancora di più, i dati delle vaccinazioni P01C E e P02C per come esposti nel sito del ministero della Salute da almeno 10 anni danno la Calabria, sempre al di sopra del 90% (tranne pochissimi tipo Rotavirus).

Un altro dato che sconfessa queste dichiarazioni è che il governatore Occhiuto solo nel febbraio del 2025 ha fatto una conferenza stampa insieme al presidente dell’istituto Gimbe Cartabellotta (che non ha niente da invidiare al ministero della Salute) dove quest’ultimo in base agli studi fatti dal suo Istituto ha dichiarato che si c’è stato un miglioramento dei Lea nel 2023 rispetto al 2022 per la Calabria ma di: a) 7,23 punti per la Prevenzione sanitaria che era di 36,59, b) 5,6 punti per l’Assistenza distrettuale che era di 34,88 e c) di 5,38 punti per l’Ospedaliera che era di 63,78.

È, quindi, più plausibile che siano più realistici i dati dell’Istituto Gimbe perché con due indicatori (P01C e P02C) su 16 è praticamente impossibile un raddoppio dei punteggi Lea per la Prevenzione collettiva. È impossibile anche per un altro motivo di cui il governatore Occhiuto dovrebbe occuparsi (anche perché lo ha firmato) ed è l’applicazione in Calabria del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che secondo i dati dello studioso Rubens Curia è applicato soltanto per il 12,5% infatti dei 320 milioni assegnati alla Calabria ne sono stati spesi finora solo 40. Se fosse applicato in toto il Pnrr questo sì che farebbe salire i Lea calabresi, perché prevederebbe 61 Case di Comunità, 20 Ospedali di Comunità e 19 Centri Operativi Territoriali.

Sono in pratica strutture sanitarie per la medicina di prossimità che prenderebbe in carico i calabresi assistiti e specialmente i fragili e delle zone interne e permetterebbe di fare vera prevenzione e diminuirebbe il numero dei calabresi che evitano di curarsi per motivi economici perché sarebbe la medicina a loro vicina. Questa sarebbe la vera risposta alle carenze Lea proprio per l’area della Prevenzione e della medicina Territoriale, e di questo dovrebbe preoccuparsi il governatore Occhiuto visto che i finanziamenti si perderanno in quanto spesi attualmente solo in minima parte.

Altra possibilità per migliorare i Lea è quella che il governatore Occhiuto vada alla Conferenza Stato Regione per battersi affinchè la Calabria non continui ad essere penalizzata per il riparto dei fondi sanitari alle regioni. Infatti la Calabria che ha centinaia di migliaia di malati cronici in più (proprio perché non fa prevenzione), riceve da oltre 20 anni meno finanziamenti di tutti perché non viene applicato il comma 34 dell’art. 1 della legge 662 del 1996, che prevede più fondi dove ci sono più malati e non il contrario per come avviene da oltre 20 anni.

Lo aveva detto anche il dott. Cartabellotta, nella conferenza del febbraio 2025, che i piani di rientro e i commissariamenti in sanità hanno peggiorato le condizioni di salute delle regioni dove applicate per lungo tempo (16 anni) come in Calabria. In Italia abbiamo una delle migliori leggi sanitarie del mondo ma se questa regionalizzazione differenziata sanitaria dà questi risultati (e ne darà di peggiori se l’autonomia differenziata sarà integralmente applicata) che allora il governatore Occhiuto chieda con forza che la sanità torni al governo centrale, affinché tutti i malati vengano curati allo stesso modo in tutta l’Italia. (cn)

[Giacinto Nanci è medico di Famiglia in pensione Catanzaro ed ex ricercatore Healt Search]

INFRASTRUTTURE, AL SUD VINCOLATO IL
40% DEGLI INVESTIMENTI DEI FONDI PNRR

di ERCOLE INCALZA – Il Ministro Tommaso Foti lo scorso 7 gennaio ha dichiarato che «la spesa effettiva dei fondi Pnrr si attesta a circa 60 miliardi di euro di cui 22 miliardi nel 2024. Il 50% delle risorse spese rientra tra quelle a fondo perduto e i pagamenti effettivi sono superiori del 10 – 12% rispetto a quelli rilevati ufficialmente».

Appare evidente che, per centrare l’obiettivo di una piena attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), bisognerebbe spendere oltre 130 miliardi di euro in 18 mesi.

Questo ultimo dato dimostra che siamo già oggi di fronte alla constatazione che è impossibile rispettare la scadenza imposta dalla Unione Europea e, sempre il Ministro Tommaso Foti, di fronte a questa constatazione ha precisato: «Non dobbiamo avere l’incubo di spendere a tutti i costi perché vorrebbe dire spendere male. Se una quota non riesce ad essere spesa perché le misure non sono attrattive, dopo che le abbiamo cambiate, ben venga il prendere atto che ci sono misure che non hanno mercato».

Sulla base di questa obbligata constatazione il Ministro Foti ha anticipato che, entro il mese di febbraio, il Governo varerà un Piano in cui non compariranno più gli interventi irrealizzabili entro i prossimi sedici mesi e saranno inserite opere potenzialmente realizzabili entro la scadenza del giugno 2026.

In questa operazione, ha precisato sempre il Ministro Foti: «sarà inserito il vincolo di destinare almeno il 40% degli investimenti nel Mezzogiorno, anche perché il Mezzogiorno ha dimostrato di utilizzare al meglio i fondi e di farne volano per una crescita che, sempre nel 2024, è stata superiore a quella del Nord».

È quindi in corso, nei vari organismi preposti alla attuazione delle opere, nei vari organismi responsabili della progettazione e della realizzazione degli interventi, un lavoro capillare mirato a cercare da un lato possibili ulteriori modalità per velocizzare l’avanzamento delle attività e dall’altro identificare l’inserimento di interventi sostitutivi in grado di essere portati a termine entro il mese di giugno del 2026.

Senza dubbio questo si configura come un lavoro obbligato e, al tempo stesso, senza dubbio, tutto questo rappresenta un ultimo tentativo per evitare un vero e pesante fallimento nell’attuazione del Pnrr; un fallimento che l’ex Ministro Fitto aveva già cercato, riuscendoci, di ridimensionare trasferendo già molti interventi all’interno del Fondo Sviluppo e Coesione 2021 – 2027.

In altre mie note ho ricordato le grandi responsabilità dei Governi Conte 1, Conte 2 e dello stesso Governo Draghi nell’aver sottovalutato l’obbligato rispetto della “spesa” entro il mese di giugno del 2026 ed in particolare l’aver perso praticamente un biennio nella identificazione delle opere e nell’avvio concreto delle procedure di gara.

Oggi, quindi, non possiamo più rinviare questa triste fase di ammissione della impossibilità di attuare il Pnrr e, come ribadisco da almeno due anni, riconoscere che la possibilità della spesa non potrà attestarsi su un valore superiore alla soglia di 80 – 90 miliardi di euro.

Sempre in alcune mie considerazioni avanzate poche settimane fa ho precisato che dovremmo trovare delle soluzioni per evitare non solo di perdere circa ulteriori 120 miliardi ma di dover subire anche delle penalty.

Avevo anche ribadito che la corsa a cambiare il Piano attraverso l’inserimento di nuove opere e l’annullamento di altre ormai non più difendibili, sia una soluzione rischiosa anche perché l’annullamento di alcune opere scatenerebbe gli Enti locali (Regioni e Comuni), scatenerebbe alcune grandi Aziende come il Gruppo delle Ferrovie dello Stato, darebbe origine ad un vero contenzioso da parte del mondo delle costruzioni.

L’unica soluzione, o meglio, l’unico compromesso penso potrebbe essere quello di trasformare la quota a fondo perduto pari globalmente a circa 68 miliardi (di cui finora utilizzati circa 30 miliardi e per la data del 30 giugno 2026 spendibili fino ad una quota di 45 miliardi) in prestito (cioè dovremo trasformare in prestito un importo di circa 23 miliardi di euro) e incrementare gli interessi anche della quota in prestito restante e quindi dovremo definire con la Unione Europea un accordo attraverso il quale il  nostro Paese dovrà dal 2027 in poi onorare un prestito globale di circa 118 miliardi di euro  (23 miliardi di euro + 95 miliardi di euro).

Senza dubbio questa proposta trova un supporto adeguato nella serie di cambiamenti, nella gestione del nostro Paese, vissuti dal 2020 ad oggi; in soli quattro anni si sono alternati tre distinti schieramenti il primo con il Governo Conte appoggiato essenzialmente dal Partito Democratico e da 5 Stelle, il secondo con il Governo Draghi con la presenza di tutti gli schieramenti politici escluso quello di Fratelli d’Italia e dalla fine del 2022 ad oggi una compagine solida formata da Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Noi moderati.

La instabilità dei Governi Conte 2 e Draghi ha inciso in modo rilevante sulla concreta attuazione delle scelte del Pnrr e questo penso possa essere una valida motivazione per supportare la proposta di rivisitazione avanzata non delle opere ma delle modalità di uso delle risorse.

La ipotesi avanzata dal Ministro Foti invece genera automaticamente, come detto prima, uno scontro con gli Enti locali, con le grandi Aziende come Ferrovie dello Stato ed Anas, una vera presa di posizione non solo degli schieramenti politici oggi alla opposizione ma anche di quelli che appoggiano il Governo.

Insisto, quindi, nel ribadire la opportunità di verificare attentamente la mia ipotesi di lavoro perché quanto meno evita: una riapertura procedurale delle istruttorie sulle nuove opere; un contenzioso tra le opere già assegnate anche attraverso l’attestato di “opera giuridicamente vincolante” (OGV); l’impossibilità di identificare in appena 20 mesi interventi capaci di essere portati a compimento entro il 30 giugno 2026

Una grave penalizzazione, soprattutto per il Mezzogiorno, in quanto le opere avviate dalle Ferrovie dello Stato e relative all’asse Salerno – Reggio Calabria, Palermo – Catania e Catania – Messina, per un valore globale di circa 8 miliardi di euro sarebbero bloccate generando un contenzioso perdente per il committente pubblico.

Non credo che, in questo delicato momento storico, il Governo voglia incamminarsi verso una scelta divisiva e ingestibile. (ei)

DOPO LE ELEZIONI, QUALE EUROPA SERVE
PER LO SVILUPPO DI TUTTO IL MERIDIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTAQualche anno fa Giorgia Meloni affermava che Roma avrebbe tutte le carte in regola per essere capitale d’Europa. Ma la realtà è invece che il centro dell’Unione si è spostato verso Nord. 

Mentre i centri decisionali dell’Europa sono sempre più in realtà Berlino e Parigi, più che Bruxelles e Strasburgo. Ma forse per il Mezzogiorno che l’asse si sposti verso Nord è pure più conveniente, considerati i risultati acquisiti da 162 anni di governo romanocentrico.  

E infatti al Sud serve una governance meno nordista e disattenta alle sue problematiche. Al di là delle colpe degli scarsi  risultati acquisiti, non vi è dubbio che siamo di fronte a un fallimento delle azioni per il Sud. Di fronte a un Paese spaccato in due, economicamente e socialmente, che si avvia, con l’autonomia differenziata, anche verso una spaccatura normata costituzionalmente. 

Per questo la speranza che rimane è quella di più Europa. Perché accada quello che non si è verificato, e cioè quello  che potrebbe sembrare semplicissimo, di riuscire a dare i diritti di cittadinanza a una popolazione di 20 milioni di abitanti. 

Oggi che il Mediterraneo è ridiventato centrale, l’interesse sull’area diventa sempre più evidente, ma anche il pericolo che venga sfruttato soltanto senza che sul territorio rimanga nulla. 

Il concetto propalato di batteria del Paese va in questo senso. Pale eoliche che deturpano le bellissime colline di vigne, impianti solari che sostituiscono alle verdi colline grigie distese metalliche, impianti di rigassificazione a fianco delle Valle dei templi come nel passato la raffineria di Gela a fianco delle mura puniche. E in cambio il nulla in termini di occupazione. 

Forse l’Europa, ormai bloccata ad Est dalla guerra con la Federazione Russa, può diventare un interlocutore più attento e meno predatorio. 

Ma in realtà cosa chiede il Mezzogiorno alla Europa che sta rinnovando il suo Parlamento. La prima richiesta riguarda il controllo sulla destinazione dei fondi strutturali. Troppe volte essi sono stati utilizzati in Italia per sostituire la dotazione delle risorse ordinarie. 

Anche la destinazione dei fondi del Pnrr, che sembrava avesse l’obiettivo di ridurre i divari economici e quindi dovessero essere destinati ad aumentare la base produttiva, visti gli indicatori utilizzati per la distribuzione delle risorse, tasso di disoccupazione, popolazione complessiva e reddito pro capite, in realtà in buona parte andranno a finanziare l’equiparazione dei diritti di cittadinanza, perdendo di vista il vero problema del Sud che è il diritto al lavoro. Diritti che dovevano essere finanziati con le risorse ordinarie. 

Una seconda richiesta riguarda la sostituzione del disimpegno automatico con la sostituzione dei poteri, in modo da evitare la penalizzazione dei destinatari degli interventi.

È l’approccio utilizzato con il Pnrr che dovrebbe essere esteso a tutti i fondi strutturali. L’opportunità di collegare la erogazione delle risorse al raggiungimento di obiettivi meno aleatori e più quantitativi, come incremento del Pil e aumento del numero di occupati, è un terzo obiettivo. 

Per troppo tempo si è giocato con approcci del tipo sviluppo dal basso o investimenti a pioggia che, più che avere obiettivi di bene  comune, servivano   a soddisfare le clientele fameliche di una classe dominante estrattiva, affamata di risorse pubbliche. Un altro obiettivo importante per non penalizzare i territori delle realtà industrializzate, dove esistono aree a sviluppo ritardato, come in Italia,  é una armonizzazione europea della imposizione fiscale. Perché mentre una tassazione più favorevole può essere adottata più facilmente da Paesi piccoli come l’Irlanda, diventa più complesso per Paesi grandi che se vogliono adottarla solo per aree limitate rischiano di incorrere nell’accusa di concedere aiuti di Stato.      

Un’altra richiesta sarebbe quella di incrementare più possibile gli accordi di cooperazione con il Nord Africa facendo diventare Napoli e Palermo gli avamposti culturali del rapporto con i Paesi Arabi, considerato peraltro gli interscambi che nei secoli hanno caratterizzato le due sponde. 

Magari istituendo una Agenzia Europea per promuovere tali collegamenti e incrementando  i rapporti  nel settore della formazione, della sanità, della collaborazione ai grandi progetti infrastrutturali. 

Se l’idea è quella di evitare di continuare nei rapporti di colonizzazione predatoria, un simile intervento potrebbe essere non solo opportuno ma anzi indispensabile. E certo è più facile che tali collaborazioni possano localizzarsi in realtà frontaliere piuttosto che a Bruxelles o Helsinki. 

Se la vocazione mediterranea dell’Europa vuole diventare azione e non solo sfoghi di vento è necessario che il Mediterraneo ridiventi un lago che unisce e non un cimitero che divide. 

Ma una richiesta su tutte va soddisfatta; quella di chiarire  alla Commissione che i Paesi in Italia sono due, economicamente e socialmente. Allora molti blocchi che sono legittimi quando si parla di Francia di Spagna e oggi persino di Germania, per l’Italia, ancora profondamente divisa in due parti,  non devono valere. 

E per non rimanere nel vago e dimostrare l’assunto, basta verificare con cluster adeguati come le regioni meridionali, al di là di piccole differenze, si raccolgono per quanto attiene la maggior parte degli indicatori, come tasso di disoccupazione, reddito pro capite, export  pro capite, presenze turistiche per km quadrato, km di alta velocità, numero di posti in asili nido per popolazione, e potrei continuare per molte altre variabili, nello stesso nucleo. 

Cosi come accadrebbe per il Centro Nord. Situazione analoga non esiste in nessun altro  Paese europeo. Se viene accettato tale principio di conseguenza potranno essere adottate misure differenziate,  che per altri Paesi sarebbero inconcepibili. 

L’Europa ha un interesse estremo che le differenze territoriali diminuiscano tanto da finanziare con il debito comune il Pnrr, ma lo ha in particolare quando riguarda un territorio che se fosse uno Stato indipendente sarebbe il quinto per popolazione. Dopo solo Germania, Francia, Spagna, Italia del Nord e Polonia.  (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

Russo (Cisl): C’è forte ritardo sul Pnrr, servono confronto, programmazione, progettazione e riorganizzazione PA

Il segretario generale di Cisl CalabriaTonino Russo, nel corso della riunione del Comitato esecutivo della Cisl calabrese, ha rilevato come «registriamo un forte ritardo» sul Pnrr, su cui serve «un’azione incisiva perché le risorse siano spese e spese bene per la crescita della Calabria».

«Non è più procrastinabile – ha detto con forza Russo – una riorganizzazione della pubblica amministrazione: serve personale qualificato per redigere progetti. Bisogna mettere finalmente la PA in grado di affrontare le sfide che attendono il Paese e i suoi territori, colmando i vuoti negli organici, stabilizzando le migliaia di lavoratori precari qualificati che ringiovaniscono la macchina amministrativa dello Stato e degli enti locali, le permettono di funzionare, la implementano con competenze nuove».

«Ci sono troppi comuni senza personale e troppi comuni tra dissesto e pre-dissesto _ ha spiegato ancora –. Per non parlare della stessa Regione, largamente sguarnita nei dipartimenti nevralgici. A causa di queste carenze rischiamo di perdere un treno che non passerà mai più. Ribadiamo, inoltre, che sono necessari più confronto e programmazione in un clima di coesione, meno divisioni tattiche fini a se stesse e meno propaganda».

«Nei prossimi giorni – ha annunciato il Segretario generale dell’Usr – avvieremo, insieme al qualificatissimo centro studi e formazione Cisl di Firenze, un approfondimento sui temi centrali per la Calabria, sulle cose che servono per la crescita, al fine di elaborare e sostenere una piattaforma di grande concretezza. È il momento di puntare con decisione all’essenziale».

Nel corso della sua introduzione ai lavori, Russo ha anche espresso grande soddisfazione per l’ottimo risultato ottenuto dalle liste CISL nelle elezioni delle RSU del pubblico impiego e della scuola su tutto il territorio regionale, «un risultato – ha sottolineato – che premia l’impegno quotidiano e capillare della CISL FP e della CISL Scuola per una presenza significativa e apprezzata nei luoghi di lavoro».

Alla relazione è seguito un dibattito partecipato, con l’intervento di tutte le federazioni di categoria e delle strutture CISL territoriali, in cui sono stati ripresi e condivisi i contenuti della relazione. (rrm)