IL PAZIENZE “CALABRIA” SI PUÒ CURARE:
RIPARTIRE EQUAMENTE FONDI SANITARI

di GIACINTO NANCI – I danni ai malati calabresi vengono, oltre che dalle infiltrazioni mafiose, prima di tutto dal cronico ultraventennale sottofinanziamento della sanità calabrese. Infatti la Calabria è la regione che da sempre è nelle ultime posizioni per i finanziamenti pro capite (oltre 100 milioni annui di euro in meno rispetto alla regione più finanziata) per la sua sanità in base alla legge 386 del 18 luglio 1996. Da qui l’accumulo di un deficit sanitario di un miliardo e mezzo per cui nel 2009 la decisione da parte del Governo di imporre alla Calabria il piano di rientro sanitario e nel 2011 il commissariamento.

Le infiltrazioni mafiose nella sanità hanno solo peggiorato la qualità della sanità calabrese, sottraendo ulteriori fondi dedicati ai malati calabresi. Ma, ad aggravare pesantemente la situazione della sanità calabrese e a bocciare definitivamente l’attuale criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni, è il fatto che in Calabria ci sono molti più malati cronici che non nelle altre regioni e da ciò ne consegue che la Calabria avrebbe dovuto in passato e dovrebbe ricevere in futuro molti più fondi delle altre regioni e non meno fondi.

A certificare la presenza di molte malattie croniche che necessitano quindi di maggiore spesa sanitaria in Calabria è stato perfino il commissario Scura, firmando il decreto 103 nel lontano 15 settembre 2015. Decreto che, con le sue specifiche tabelle, quantificava in 287.000 malati cronici in più tra i circa due milioni di abitanti calabresi, rispetto ad altri due milioni di altri italiani. Come se ciò non bastasse, vi è che per le spese sanitarie dei calabresi fuori regione ormai spendiamo fino a 300 milioni di euro, che sono fondi sottratti agli investimenti della sanità in Calabria.

Ancora vi è il fatto che il piano di rientro, oltre a far danno ai malati calabresi, peggiora anche l’economia della Calabria perché, proprio perché siamo in piano di rientro, da 15 anni a questa parte noi calabresi paghiamo più tasse (Irap, Irpef, accise sui carburanti e per un periodo anche maggiori ticket sanitari) degli altri italiani. A conferma di quanto fin qui scritto, vi è il fatto che nel 2016 la Conferenza Stato Regioni ha fatto una parzialissima (per come affermato dal suo presidente on. Bonaccini) modifica ai criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni, considerando la presenza delle malattie nelle varie regioni. Ebbene, in seguito a questa “parzialissima modifica” nel 2017, la Calabria ha ricevuto ben 29 milioni di euro in più del 2016 e tutto il Sud ben 408 milioni in più. Ovviamente la modifica non è stata ne ampliata ne riproposta.

Un’altra conferma è il fatto che nel 2022 la regione Campania (l’unica che riceve meno fondi pro capite anche rispetto alla Calabria, ha fatto ricorso al Tar proprio contro i criteri distorti del riparto dei fondi sanitari alle regioni. Significativo è il fatto che, dopo questo ricorso al Tar, il Governo ha modificato i criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni, introducendo il criterio della “deprivazione” per dare più fondi (pochissimi) alle regioni del Sud. Allora cosa fare per salvare la sanità calabrese? Oltre ad aumentare la lotta alla mafia, che non è comunque la causa principale del disastro della sanità calabrese, bisogna chiudere con il piano di rientro perché esso stesso è dannoso per la sanità calabrese, e modificare i criteri del riparto ai fondi sanitari alle regioni basandolo sulla presenza delle malattie.

Oggi sappiamo quanto costa curare una malattia cronica, sappiamo quante malattie croniche ci sono nelle varie regioni e, quindi, non sarebbe difficile finanziare le sanità regionali in base ai reali bisogni delle popolazioni. La chiusura del piano di rientro, tra l’altro giudicato parzialmente anticostituzionale da una sentenza della Corte Costituzionale nel 2021, dovrebbe essere una cosa ovvia considerando il fatto che, dopo 15 anni di piano di rientro, la regione Calabria è maglia nera nell’applicazione dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenziali) e lo è anche nonostante dal 2019 siano anche commissariate anche tutte le Asp calabresi, e i tre maggiori ospedali regionali. I commissari non sono stati utili neanche per la lotta alla infiltrazione mafiosa, visto la che la Asp di Vibo Valentia ha avuto forse più di 4 commissari negli ultimi anni.

È chiaro cosa fare per un giusto finanziamento delle sanità regionali, ossia il riparto in base alla presenza delle malattie. Si punti su questo. (gn)

[Giacinto Nanci è medico di famiglia in pensione dell’Associazione Mediass]

LA SOLUZIONE TRIDICO: SPESA SANITARIA
SIA SOTTRATTA ALL’OBBLIGO DI PAREGGIO

di PASQUALE TRIDICOUn’incertezza fissa accomuna il ponte sullo Stretto e l’Alta velocità ferroviaria per la Calabria, che ancora non ha il proprio tracciato. Il ministro Salvini parla con enfasi smodata di entrambe le infrastrutture previste, segnate da una storia di rinvii in successione e finanziamenti aggiuntivi, di dubbi e problemi gravi ancora pendenti.

A dispetto delle tesi di Matteo Salvini, segretario di una Lega bifronte, secessionista nella sostanza e nazionalista nella forma verbale, ripensare i collegamenti all’interno del territorio calabrese costituisce una priorità assoluta, anzitutto per ragioni economiche e di tutela della salute. Migliorare la viabilità intraregionale è un’esigenza macroscopica, però non colta, tematizzata e discussa a dovere, né a livello locale né da parte del governo in carica, riluttante rispetto ai dati, all’analisi obiettiva.

Nel centrodestra prevale il discorso a effetto sul ponte di Messina, segnato da una retorica celebrativa di vecchio stampo, strumentale a eludere il dibattito sullo stato dei Servizi sanitari e sulle possibilità di sviluppo economico delle regioni che l’opera dovrebbe collegare. 

La sanità calabrese è vittima di una progettazione a tavolino delle reti assistenziali, strutturate a Roma sulla scorta di modelli che da quasi 15 anni prescindono dalle specificità delle aree costiere e interne della Calabria, dalle condizioni stradali e climatiche, dai dati epidemiologici e dalla maggiore insistenza, nella regione del Sud, di patologie croniche, con percentuali di comorbilità superiori alla media nazionale. 

Molte realtà locali della Calabria hanno risentito della suddetta impostazione standard, in parte ricavata su elementi delle regioni benchmark del Centro e del Nord, che però hanno minore isolamento geografico, viabilità migliore e mobilità agevolata. Tra le zone calabresi penalizzate, per esempio, si annoverano, oltre a quelle montane, di cui dirò più avanti, quelle disagiate di Trebisacce sullo Ionio e di Praia a Mare sul Tirreno, luoghi di frontiera, simboli di una sanità pubblica lungamente negata, nella fattispecie a due porzioni dell’Italia meridionale spinte negli anni verso un arretramento infondato, illogico, ingiusto: la prima servita dalla Statale 106 delle troppe morti per incidente; la seconda dalla Statale 18 della cementificazione selvaggia, simbolo di modernità apparente, ambigua, illusoria.

Queste due strade sono state lasciate al loro destino, al pericolo pubblico, alla percorrenza variabile in relazione al periodo, al traffico, al caso; abbandonate alle corse in auto, agli urti violenti tra i veicoli, agli inevitabili ritardi delle ambulanze e spesso all’impossibilità di soccorsi efficaci, come la cronaca ha riportato molte volte. 

Ubicati in territori con pesanti difficoltà di spostamento, i due ospedali di Trebisacce e Praia a Mare subirono la chiusura con l’avvio effettivo del Piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali. Questi presìdi hanno poi vissuto vicende giudiziarie e amministrative antitetiche: sentenze di riapertura sistematicamente ignorate nel concreto, con resistenze all’adempimento da parte dello Stato e della Regione, assieme a incredibili lungaggini che non hanno permesso di recuperare i servizi presenti prima del riassetto della rete ospedaliera, firmato nel 2010 dall’allora presidente regionale e delegato del governo, Giuseppe Scopelliti, che tagliò 18 dei 73 ospedali calabresi, un migliaio di posti letto nel pubblico e circa 1700 nel privato.

Tuttavia, nel tempo fu obnubilata, se non addirittura sepolta, la lezione – derivante dallo smantellamento degli stabilimenti ospedalieri di Trebisacce e Praia a Mare – sull’importanza di avere nosocomi attrezzati al servizio di aree disagiate e frontaliere in senso lato; da ultimo anche per la premura, a livello centrale dopo la pandemia da Covid-19, di rilanciare l’assistenza sanitaria territoriale. Tuttavia, per raggiungere tale obiettivo, sarebbe servita un’interlocuzione profonda in Conferenza Stato-Regioni, purtroppo mancata, volta a riordinare le reti ospedaliere e quelle territoriali sulla base delle peculiarità delle singole aree regionali: epidemiologia, viabilità, clima, deprivazione sociale e così via. 

Ancora, in sede di ultima definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, finanziato massicciamente dall’Ue grazie alla capacità negoziale del presidente Giuseppe Conte, non si è tenuto conto delle differenti condizioni tra le regioni italiane, che il centrodestra vorrebbe archiviare per sempre con il ddl Calderoli.

Per l’effetto, in Calabria si è prevista una nuova assistenza sanitaria territoriale che, oltre a essere stata concepita all’ultimo momento, letteralmente in «zona Cesarini» e solo per non perdere i circa 130 milioni disponibili al riguardo, non può soddisfare le esigenze e i bisogni primari dell’utenza. 

Non solo: se si dà una lettura veloce all’aggiornamento della rete ospedaliera predisposto di recente dal commissario governativo attuale, il presidente Roberto Occhiuto, si intuisce il destino delle aree più svantaggiate, cioè quelle montane, i cui ospedali – di Acri, San Giovanni in Fiore, Serra San Bruno e Soveria Mannelli – sono lasciati, anche in forza di una fiducia ideologica sulla telemedicina, alla progressiva dismissione finale; ridotti da anni a semplici strutture di Pronto soccorso con reparti di Medicina poco utilizzati e con pensionamenti in vista degli ultimi medici colà in servizio. 

Eppure, la normativa vigente sugli standard ospedalieri consentirebbe di attivare, proprio in questi ospedali montani unità operative che, trattenendo i Drg, potrebbero produrre salute ed economie sanitarie, a partire da reparti di Chirurgia con posti di degenza e terapia intensiva. Lo stesso ragionamento si può svolgere per l’ospedale di Cariati, che serve pure zone montane ed è ormai simbolo nazionale di lotta civile per il diritto alla salute, grazie alle battaglie dell’associazione locale “Le Lampare” e dei cittadini residenti, come al coinvolgimento del musicista internazionale Roger Waters.

Negli anni, invece, la Regione Calabria ha seguito politiche differenti, rinunciando a riqualificare tali presìdi montani – o, come quello di Cariati, utili ad aree montane – e strizzando l’occhio alle cliniche private, che in generale non danno molte prestazioni integrative nell’ambito del Servizio sanitario ma in larga misura si sostituiscono al pubblico, sino a supplirlo, per come il sistema è ciecamente organizzato. 

La verità, allora, è che le zone disagiate e montane della Calabria sono – e in prospettiva lo saranno sempre di più – private di un’assistenza sanitaria efficace sul posto, spesso indispensabile e insostituibile, di là dalle mistiche correnti sull’elisoccorso, che non può essere una soluzione strutturale, per quanto utile. Nel frattempo, le difficoltà dei cittadini, residenti nei riferiti territori, di spostarsi verso altri centri sanitari della regione restano tali e quali, ponte sullo Stretto e Alta velocità ferroviaria a parte. 

A questa ingiustizia inaccettabile, si aggiunge il vulnus della ripartizione del Fondo sanitario. Dal 1999, il criterio prevalente è fondato sul calcolo della popolazione pesata, che penalizza in generale le regioni meridionali, in particolare la Calabria, che, come qui già detto, ha molti più casi di patologie croniche e comorbilità.

Secondo i calcoli di Mediass, un’attiva Associazione di medici di famiglia che opera nel Catanzarese, per questo motivo la Calabria riceve circa 150 milioni in meno all’anno, rispetto al fabbisogno di cure per i pazienti cronici: cardiopatici, ipertesi, diabetici eccetera. A mia memoria, i dati di Mediass sono addirittura confermati da un decreto commissariale del 2015, in cui nero su bianco si riportano le maggiori percentuali di pazienti cronici che la Calabria ha in rapporto alla media nazionale. Allora c’è un problema di natura strutturale che viene sistematicamente eluso; rispetto al quale, come i fatti ci dimostrano, il commissariamento del Servizio sanitario regionale non è affatto una soluzione.

Per quanto qui esposto, bisognerebbe: 1) modificare i criteri di ripartizione del Fondo sanitario in base ai fabbisogni di cure nelle singole regioni; 2) riformare l’istituto del commissariamento sanitario, come già aveva proposto il Movimento 5 Stelle; 3) nelle aree montane, incentivare il lavoro nella sanità pubblica con misure e risorse statali aggiuntive; 4) sottrarre le spese sanitarie dall’obbligo del pareggio di bilancio, aspetto che andrebbe discusso nelle sedi europee e per cui è fondamentale avere parlamentari dell’Ue informati, avveduti e decisi; 5) modificare le reti assistenziali della Calabria sulla scorta delle omogeneità territoriali e non sulla base di schemi inutili del passato, per cui oggi vi sono ospedali funzionalmente collegati che distano addirittura 150 chilometri l’uno dall’altro.

6) Responsabilizzare e sostituire i dirigenti della sanità che non diano risultati o che a vario titolo risultino inadempienti, come nei casi di datato aggiornamento dei Registri dei tumori; 7) dare spazio, a livello dirigenziale, ai nuovi laureati, ai giovani, ma con trattamenti economici congrui e investimenti mirati, magari recuperando le somme occorrenti con una legge nazionale che riporti in Calabria – come nel resto del Sud, che ne condivide la sorte – parte degli importi che la regione non ha avuto in virtù del vigente criterio di riparto del Fondo sanitario. (pt)

[Pasquale Tridico è già presidente dell’Inps]

IN CALABRIA UN MALATO ONCOLOGICO
SU DUE PREFERISCE FARSI CURARSI FUORI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Un malato oncologico su due sceglie di curarsi fuori dalla Calabria. È quanto emerge dai dati aggiornati del rapporto Agenas dedicato alla Mobilità sanitaria.

Il quadro presentato dall’Istituto è un vero e proprio disastro: nella nostra regione sono stat 2.887 i ricoveri di residenti e 2.757 i pazienti che hanno deciso di curarsi fuori regione, con un indice di fuga del 49,7%. Un dato secondo solo al Molise, dove l’indice di fuga è del 50,6%.

Si tratta di dati riferiti al 2021, in cui è emerso che sono 24.744 i pazienti, provenienti da Sud, a essersi spostati al Nord per le cure oncologiche. Nel 2021, la Lombardia ha avuto, ad esempio, 33.940 ricoveri di residenti e 7.264 provenienti da fuori regione; il Veneto ha avuto 19.407 ricoveri di residenti e 3.794 da altre regioni; l’Emilia Romagna ha avuto il 17.029 ricoveri di residenti e ne ha ospitati 2.171.

La Calabria, tra il 2017 e il 2021, per la mobilità sanitaria ha perso circa -159,57 mln di euro, posizionandosi penultima dopo la Campania, che ha registrato un saldo del -185,76 milioni di euro.

Maglia nera, poi, per l’assistenza sanitaria a minori e adolescenti. Come raccontato al Corriere della Calabria, il Stefano Vicari, ordinario di Neuropsichiatria Infantile dell’Università Cattolica di Roma nonché direttore di Neuropsichiatria Infantile del “Bambino Gesù” di Roma, «al pronto soccorso del “Bambino Gesù” accogliamo molte famiglie calabresi che sono costrette a viaggi lunghissimi per poter trovare una risposta ai loro bisogni, al loro diritto di cura».

Altro dato, aggiornato al 4 aprile, riguarda la domanda di prestazioni specialistica ambulatoriale per ogni 100 abitanti. I dati della nostra regione non sono pessimi, ma questo non significa che ci si possa adagiare sugli allori. Per quanto riguarda le visite di controllo, in Calabria sono il 33,71% contro il 45,547% del dato nazionale. Per le ecografie addominali, che vengono fatte 3,1 per ogni 100 abitanti, la Calabria è ultima. Migliora la posizione per l’ecografia ginecologica, che sono 2,0 per ogni 100 abitanti. Per ogni 100 abitanti, vengon fatte 4,6 ecografie, mentre vengono fatte 1,38 prime visite neurologiche. Inferiore il dato per la prima visita ginecologica, che ne vengono fatte l’1,8 per ogni 100 abitante. Alto, invece, il valore per le TC al cranio: ne vengono fatte 1,55 per ogni 100 abitanti, posizionando la Calabria quarta dopo Lombardia, Puglia e Campania.

Questi dati, nel complesso, presentano una sanità che, da una parte, può funzionare ma che, dall’altra, ha bisogno di più strumenti, personale medico e, soprattutto, fondi. Dopo tutto, quella della mobilità sanitaria è un problema atavico della Calabria. Un problema provocato principalmente dal riparto dei fondi sanitari. La Calabria, infatti, «è la regione che riceve pro capite, da più di 20 anni a questa parte, meno fondi per la sua sanità pur avendo tra i suoi circa due milioni di abitanti ben 287000 mila malati cronici in più che non in altri due milioni di altri italiani per come certificato anche dall’ormai lontano», ha denunciato Giacinto Nanci, medico dell’Associazione Medici di Famiglia di Catanzaro.

«Per rendere l’idea di quanto la Calabria e le regioni del sud sono penalizzate – ha continuato Nanci – dall’attuale criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni basti dire che nel 2017 è stata fatta una modifica “parziale” (per come specificato dall’allora presidente delle Conferenza Stato-Regioni on. Bonaccini) dei criteri di riparto basati sulla “deprivazione” e non su quelli “demografici” correnti. Ebbene in base a questa parziale modifica (non riproposta ne tantomeno ampliata negli anni successivi e da qui il ricorso al Tar) alle regioni meridionali sono stati assegnati in più nel 2017 rispetto al 2016 ben 408 milioni di euro e se si considera che la modifica era solo parziale si potrebbe moltiplicare la cifra almeno per 4 e se questo riparto fosse stato fatto da 20 anni a questa parte in cui il riparto è stato fatto invece  con il criterio “demografico” la sanità del sud e quella calabrese, che è quella più penalizzata da questo criterio di riparto, avrebbero avuto molte più opportunità».

«La sanità calabrese – ha evidenziato – oltre a questo handicap del criterio di riparto è penalizzata anche dal piano di rientro stesso cui è sottoposta da oltre 13 anni perché esso fa ulteriori tagli alla sua spesa sanitaria, già insufficiente, proprio per ripianare il presunto deficit, e impone una maggiorazione delle tasse (Irap, Irpef, Accise etc..) ai calabresi, peggiorando oltre alla salute anche l’economia calabrese. Che fare allora?».

Per Nanci, infatti, con i fondi in più si potrebbe pensare di creare «dei centri di eccellenza per le varie patologie perché uno dei fenomeni che peggiorano i conti della sanità calabrese sono proprio le spese per le nostre cure fuori regione nei centri di eccellenza del Nord, che nel 2021 sono giunte alla stratosferica cifra di 329 milioni di euro».

«Un esempio per capire – dice Nanci –: La Calabria con una prevalenza di diabete mellito del 12% non ha un centro per la cura del piede diabetico, la regione Lombardia con una prevalenza di diabete del solo 4% ha più centri per la cura del piede diabetico, per cui i calabresi poi devono andare in questi centri al nord solo per l’amputazione del piede e non per la sua cura. Lo stesso vale per altre patologie». (rrm)

QUESTI NOSTRI RAGAZZI FOLLI E GIUDIZIOSI
MERITANO DI PENSARE QUI IL LORO FUTURO

di GIUSY STAROPOLI CALAFATICaro, presidente Occhiuto, le scrivo perché dopo aver passato anni a ribadire il concetto alvariano secondo cui lo scrittore di San Luca afferma che “i calabresi vanno parlati”, giunto è il momento per i calabresi di parlarsi tra loro.
Io sono calabrese, lei lo è. I nostri figli, le nostre famiglie lo sono. Parliamoci.

Scrivo al governatore della mia amata Calabria, dopo un pomeriggio frastornato e convulso presso il nosocomio di Lamezia Terme, perché ci sono cose per le quali se nessuno fa rapporto, nessun altro potrà mai sapere, tantomeno risolvere. Allora parliamone.

Se esistono strategie legali per aggirare la burocrazia nella sanità, in Calabria, le intercetti, presidente. Attuiamole. 

Per le madri come me, ma soprattutto per i ragazzi come mio figlio e per tutti i medici come quelli che lo hanno preso in carico dopo il triage in pronto soccorso, lo scorso 13 marzo. Antonino frequenta il terzo anno del Liceo scientifico G. Berto di Vibo Valentia, ha 16 anni e un forte senso di appartenenza alla Calabria che spesso misuro il doppio rispetto al mio (mea culpa).
Antonino è caduto bruscamente mentre sciava in Trentino.

È il 12 marzo, e nonostante un ginocchio problematico (presunta lesione del menisco) attende di rientrare in Calabria, il 13, per farsi visitare.

Leggerezza adolescenziale? No, esagerato senso di responsabilità. Verso chi? Verso la nostra Calabria, presidente.  Antonino piuttosto che far gravare sulla nostra regione un ulteriore debito per un altro calabrese che si fa curare fuori, preferisce sopportare il dolore. E solo dopo lo scalo a Lamezia Terme, andare in pronto soccorso.

Non sono folli i nostri ragazzi, presidente? Folli e geniali. 

Antonino mi ha fatto scoppiare il cuore. Come madre mi ha fatta arrabbiare, come calabrese piangere. Ha atteso di toccare la sua terra con tutti i rischi che la sanità qui porta con sé. Non gliene è importato nulla. 

«Piuttosto che un medico calabrese lì», ha detto, «un medico calabrese qui».

I nostri ragazzi danno, presidente. Ed è forza la loro, è coraggio, ostinazione, ma anche senso altissimo dell’onore. Non abbiamo il diritto né di illuderli né di tradirli, ma il dovere morale di consegnargli un presente forte su cui costruire un futuro fortissimo. È questione di giustizia sociale.

Gli ospedali in Calabria raccontano miseria e speranza. Sacrificio ed estenuazione. In essi rimbomba il frastuono del resto del mondo anche quando si parla solo il dialetto. Quando i medici all’estremo, senza forze, si affidano al suono della lingua per tradurre la loro solitudine.

Il personale medico e paramedico, in Calabria, è stremato, è al collasso. È troppo poco, sottodimensionato, non ce la fa a rispondere alle urgenze di una massa che chiede di essere curata tutta insieme, contemporaneamente. I medici cubani tamponano, ma non stagnano l’emorragia, non arginano il problema. Mancano le condizioni, materiali e immateriali, necessarie a che venga fuori l’eccellenza che i nostri medici li contraddistingue.

Non è garantita la dignità di chi cura, né quella di chi viene curato Eppure Alvaro diceva che la dignità è al sommo del pensiero dei calabresi. E lo è, alla radice del pensiero lo è, ma c’è un sistema controverso che la mette sotto scacco. E piuttosto che un paradiso dove si recupera o si allunga la vita, gli ospedali diventano inferni dove la vita scorre alla meno peggio con una buona dose di fortuna per chi riesce a scamparla, e un destino crudele per chi invece muore. 

Presidente, se c’è un metodo legale per aggirare la burocrazia, in sanità, in Calabria, lo metta in atto. Utilizziamolo.
I ragazzi come Antonino potrebbero finire, i medici andare altrove, e le madri come me finire di impazzire.
Jole Santelli morì con l’ostinazione di curarsi in Calabria, molti altri dai nomi sconosciuti hanno fatto e fanno e faranno la stessa cosa… 

In Calabria finiti i medici (volontari), Presidente, finiremo anche noi (involontariamente). E Antonino sarà costretto a riprendere l’aereo verso il Trentino, ma con un biglietto di sola andata.

Se esistono sistemi legali per aggirare la burocrazia, in sanità, in Calabria, li consideri, presidente. Potersi curare dignitosamente è al sommo dei pensieri dei calabresi. Anche di Antonino, che ai medici dell’Ospedale di Lamezia Terme dice grazie, e al presidente Occhiuto chiede di lottare perchè il numero chiuso in medicina venga immediatamente abolito. (gsc)

L’AUTONOMIA ESISTE GIÀ DA PIÙ DI 20 ANNI
AL NORD PIÙ SOLDI E AL SUD SOLO BRICIOLE

di GIACINTO NANCILa spesa sanitaria delle regioni ammonta a più del 70% di tutta la spesa pubblica regionale per cui le regioni che ricevono più fondi pro capite per questa spesa sono già differenziate “avvantaggiate” rispetto alle altre.

Da più di 20 anni le regioni del Nord ricevono molti più fondi rispetto a quelle del sud perché il criterio scelto dalla Conferenza Stato-Regioni in applicazione dell’art.1 comma 34 legge 23/12/1996 n. 662 è stata quella del calcolo della popolazione pesata. Questo criterio che da pochi fondi pro capite per la giovane età e molti più fondi per la popolazione anziana ha favorito le regioni del nord che hanno avuto e hanno una popolazione più anziana.

La Conferenza Stato-Regioni per ripartire i fondi sanitari alle regioni non ha mai tenuto in conto i criteri epidemiologici (cioè la numerosità delle malattie presenti nelle regioni) pur contenuti nella sopra citata legge. Ciò ha fatto sì che per più di 20 anni sono stati dati più fondi a quelle regioni che avevano sì più anziani ma in buona salute e meno fondi a quelle regioni che pur avendo meno anziani avevano più malati cronici e quindi necessità di maggiore spesa sanitaria. Di ciò tutti erano e sono al corrente, infatti basta leggere le dichiarazioni di insoddisfazione dei governatori delle regioni del Sud all’ascita della Conferenza Stato-Regioni ogni anno alla fine del riparto dei fondi sanitari e di contro quelle di soddisfazione dei governatori delle regioni del Nord.

Ma ancora più eloquente è ciò che avvenuto nel 2017 quando, per bocca dell’allora presidente della Conferenza Stato-Regioni Bonaccini, è stato annunciata una “parziale” (per come dichiarato dallo stesso Bonaccini) modifica dei criteri di riparto dei fondi sanitari non più solo sul calcolo della popolazione pesata ma bensì su quella della “deprivazione” in rispetto della legge 662.

Ebbene nel 2017 grazie a questa parziale modifica alle regioni del sud sono arrivati ben 408 milioni di euro in più rispetto al 2016, ovviamente la modifica fatta non è stata ne ampliata ne riproposta  negli anni successivi. Se la modifica invece di parziale fosse stata inter e in rispetto della legge 662 la cifra di 408 milioni di euro si dovrebbe moltiplicare per 4 e ogni anno da 20 anni a questa parte. Per rendere l’idea di quanto ampia è la ampia la differenza di numerosità delle malattie croniche presenti nelle varie regioni basta citare ad esempio il Dca n. 103 del lontano 30/09/2015 a firma dell’allora Commissario al piano di rientro sanitario calabrese ing. Scura e vidimato per come prevede il piano di rientro prima del ministero dell’Economia e poi da quello della Salute, nel quale Dca alla pag.33 dell’allegato n. 1 si legge: “Si sottolineano valori di prevalenza più elevati (almeno il 10%) rispetto al resto del paese per diverse patologie”.

E siccome il Dca è fornito di dettagliate tabelle è stato facile calcolare che nei circa due milioni di abitanti calabresi c’erano allora (e oggi ancor di più) ben 287.000 malati cronici in più rispetto ad altri due milioni circa di altri italiani. Nonostante ciò la Calabria è la regione che, da oltre 20 anni a questa parte, è la regione che in assoluto riceve meno fondi pro capite per la sua sanità. Le altre regioni del Sud sono, anche se con meno criticità, nella stessa situazione della Calabria sia per la maggiore presenza di patologie che per il fatto di essere le regioni che ricevono meno fondi per la loro sanità. Ciò è talmente vero che questa estate il governatore della Campania De Luca ha fatto un ricorso al Tar proprio per il fatto che ritiene ingiusti i metodi di riparto dei fondi sanitari alle regioni.

Ma ancora più significativo è il fatto che il governo ha promesso che per l’anno venturo saranno rivisti i metodi di riparto dei fondi e sarà applicato il criterio della deprivazione e non con quello demografico (popolazione pesata), e lo ha fatto ancor prima della pronuncia del TAR immaginando che il ricorso è giusto e il Tar lo accetterà sicuramente.

Le regioni del Sud, a questo punto, devono far sì che nella prossima Conferenza Stato-Regioni sia applicato il criterio epidemiologico, cioè più fondi alle regioni che hanno più abitanti con patologie croniche e non come è stato fino ad adesso: meno fondi alle regioni con più malati. (gc)

[Giacinto Nanci è medico dell’Associazione Medici di Famiglia a Catanzaro]

LO SFASCIO SANITÀ CALABRIA: MALEFATTE
SCELLERATEZZE E IMPUNITÀ. COLPA DI CHI?

di MIMMO NUNNARI – Chi è responsabile dello sfascio della Sanità in Calabria iniziato quando la politica ha messo le mani su questo settore, vitale per la salute della collettività? La risposta dovrebbe darla chi è incaricato per ruolo e competenza di vigilare, controllare: cioè Stato (Ministero della Salute), Regione, comitati etici, ordini professionali.

Nel dibattito, francamente surreale, ancorché acceso e vivace sulle facoltà di medicina, o sull’arrivo dei medici cubani, l’interrogativo resta invece sullo sfondo, è bypassato.  Quanto sarebbe utile, invece, una commissione d’inchiesta promossa magari dal Consiglio regionale, per indagare sul disastro della Sanità calabrese.  Una vecchia ricerca di Demoskopica rileva che il sistema sanitario calabrese è il peggiore d’Italia. I cittadini lo sapevano già: livelli essenziali di assistenza sotto la soglia minima, debiti milionari accumulati per decenni, diciotto ospedali tagliati, servizi di pronto soccorso scoppiati, tempi infiniti, per una visita specialistica o un esame. L’elenco delle disfunzioni è infinito. Le ragioni dei burocrati, le influenze dei politici, gli affari, hanno minato la centralità del servizio sanitario. Sullo sfondo di questa situazione – anzi nel fondo, come la melma – c’è l’esercito di “impuniti”; di tutti coloro che hanno ucciso la sanità in Calabria e di cui non si riesce a conoscer volto, ruoli, nome, cognome. Nessuno è finito sul banco degli imputati; nessuno ha pagato finora per questa vergogna indicibile della sanità collassata a causa di interessi loschi, di una corruzione che prospera nella combinazione diabolica tra immoralità e opportunità criminale.

Che gli impuniti l’abbiano – salvo piccoli casi –  fatta franca, pesa come un macigno sulle spalle dei calabresi, col suo carico di malefatte, ruberie, sprechi che coinvolgono, almeno sul piano morale, quanti sono chiamati a esercitare legittime funzioni di vigilanza e controllo e non l’hanno fatto, o non l’hanno fatto bene, o non l’hanno saputo fare, o hanno chiuso un occhio, e magari due. Quella degli “Impuniti” è una categoria di cui l’Italia ha il primato, e strada facendo il termine impunito – che è chi non è colpito dal giusto e meritato castigo per aver commesso reati – ha assunto un significato leggero, di “sfrontato”, di qualcosa senza tono d’ingiuria o di oltraggioso per il colpevole non scoperto e non assicurato alla giustizia.

’A ‘mpunito”, in romanesco, più che un insulto è una specie di complimento. Ci siamo nutriti in Italia della dottrina manzoniana del “sopire, troncare…troncare, sopire…” (così parlava il conte zio nei Promessi sposi). Tanto – tagliamo italianamente corto –  ci penserà la Giustizia Divina a regolare i conti. Eppure, la professione di impunità produce frutti avvelenati nella società. Non è solo questione di reati che bisognerebbe perseguire, assicurando il colpevole alla giustizia terrena intanto che prima o dopo arrivi l’altra a cui non si sfugge e comunque non appartiene alla nostra realtà sociale. Marco Tullio Cicerone che di queste cose s’intendeva, avvertiva: “La speranza di restar impunito è l’incentivo più forte per diventare scellerato”. Ed è proprio quella speranza di ciceroniana memoria che alimenta la “vocazione” di chi delinque, fidando su fattori facilitanti che nel nostro caso specifico, del sistema sanitario, sono, almeno tra i principali, vulnerabilità della pubblica amministrazione, corruttibilità dell’organizzazione che eroga i servizi, inefficienza dei controlli, che asimmetricamente fa diminuire il rischio di essere colti con le mani nella marmellata. La questione non è solo calabrese, intendiamoci.

In Lombardia, in un “libro nero”, si parla di 30 anni di scandali, cominciati col famoso Duilio Poggiolini, presidente della Commissione per i farmaci dell’allora Comunità economica europea, che nascondeva dentro i puffi del salotto sacchi di soldi, proventi, secondo i magistrati del pool Mani Pulite, da tangenti delle case farmaceutiche. E come dimenticare le protesi in cambio di mazzette agli ortopedici o la zarina delle dentiere, che era a capo di un impero di cliniche dentarie sorte come funghi. Com’è potuto tutto questo accadere nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale? Il SSN – un bene insostituibile fondato nel 1978 – che non fa idealmente distinzione tra ricchi e poveri, per un certo periodo è stato considerato tra i migliori al mondo, ma oggi ahinoi è in preoccupante declino, e ha bisogno di urgenti correzioni.

“Va sottratto alla politica, ancorato al territorio, ha bisogno di veri esperti e di adeguate risorse per la ricerca”, dice Silvio Garattini, noto scienziato e farmacologo, autore del libro “Il futuro della nostra salute” (edizioni San Paolo), con cui spara a palle incatenate contro l’inerzia della politica che trascura la ricerca e il sistema non lo ha ancora adeguato alle nuove esigenze. Naturalmente, se ci sono preoccupazioni per le regioni dove scandali a parte si registra una presunta efficienza, per la Calabria le previsioni sono molto più nere. Stupisce, dunque, che si siano accesi i riflettori sulla seconda Facoltà di Medicina nata all’Unical e per l’arrivo dei medici cubani, e che si trascuri il dibattito (invocando magari un’inchiesta rigorosa della magistratura) sulle cause dell’inadeguatezza del servizio sanitario in Calabria, che è il nodo dove restano aggrovigliati anche i problemi più generali del mancato sviluppo della regione: ultima in tutte le graduatorie nazionali ed europee su condizioni di vita, diritti sociali, istruzione, libertà civile.

Non è certo questa la sede per riprendere abusati temi, riguardo alle cause storiche dell’arretratezza della Calabria, all’impotenza di fronte energie che vanno via (ieri braccia e oggi ricchezza intellettuale) o sulla mancanza di visione, sui conflitti e i municipalismi, sulla classe politica che è la peggiore di sempre e tutt’oggi accoglie a bocca aperta politici in corsa per segreterie di partiti che promettono questo e quello e quando erano al potere non hanno fatto né questo e né quello. Dovremmo tutti concentrarci invece sul tema degli impuniti e della nostra salute, garantita dal Servizio Sanitario Nazionale almeno fino a quando sarà così, poiché in agguato c’è l’idea secessionista di “ognuno faccia per sé” del dentista e costituzionalista per mancanza di Costituzione Roberto Calderoli, proconsole prima di Bossi e ora di Salvini.

Concentrarsi, indagare, fare luce su un argomento che sembra passare in second’ordine, come quello degli “Impuniti”, dovrebbe servire anche a sgombrare il campo dal sospetto che le polemiche – magari inconsapevolmente – allontanino la politica e le istituzioni dal dovere di far luce su ombre più pesanti: ombre che uccidono il nostro futuro. (mnu)

Dl Nato, Occhiuto (FI): Per sanità Calabria percorso virtuoso dopo anni di disastri

Il senatore di Forza ItaliaMario Occhiuto, ha spiegato che «Forza Italia vota a favore del decreto Nato – SSN Calabria, un provvedimento importante per quanto riguarda la partecipazione del nostro Paese alle iniziative internazionali della Nato, partecipazione che Forza Italia ha sempre sostenuto consapevole che la sicurezza nell’area euro-atlantica può essere garantita solo attraverso la cooperazione e l’azione comune».

«Ma, altrettanto importante – ha spiegato ancora – perché proroga per 6 mesi misure per la sanità della regione Calabria, in discontinuità rispetto ai precedenti decreti che avevano tempistiche molto più lunghe. Una sanità commissariata per 12 anni con risultati disastrosi che hanno radicalizzato i problemi esistenti invece di risolverli e hanno reso la regione una delle peggiori in Italia con il minor numero di cittadini soddisfatti dell’assistenza medica ospedaliera, la più alta mortalità infantile e il maggior numero di pazienti che si fanno curare fuori regione».

«Da qui è partito il presidente Roberto Occhiuto che, da commissario ad acta – ha proseguito – si è assunto direttamente l’onere e la responsabilità di portare la Calabria fuori da tale disastro. Ed ora stiamo finalmente assistendo ad un percorso virtuoso che sta portando ad una più efficace erogazione dei Lea, alla umanizzazione dei Servizi Sanitari, all’acquisto di nuove tecnologie e soprattutto ad un utilizzo più appropriato e più funzionale delle risorse, con ricadute altamente positive anche sul campo occupazionale, grazie allo sblocco di procedure concorsuali ferme da anni e all’immissione nel Servizio Sanitario Regionale di centinaia di operatori».

«Ci sarà da fare ancora moltissimo, ovviamente – ha concluso – ma proprio per questo il termine dei sei mesi previsti dal dl assume una rilevanza del tutto diversa, trasformando il provvedimento in una sorta di “ultimo miglio” di un percorso fondamentale». (rp)

La sanità calabrese in un film

di FILIPPO VELTRIIl 5 dicembre anteprima nazionale a Reggio Calabria e il 6 a Rossano c’è un film sulla sanità calabrese, un documentario – C’era una volta in Italia di Federico Greco e Mirko Melchiorre – che indaga le cause e i riflessi dell’austerity in Europa scegliendo come situazione simbolica lo stato della sanità in Calabria. Il docufilm è l’ideale secondo capitolo di “Piigs”, scritto e diretto nel 2017 dai due registi romani.

In questo nuovo documentario si racconta la storia della occupazione in piena pandemia contro la chiusura dell’ospedale di Cariati, svelando le conseguenze del lungo piano di rientro calabrese ai danni dei cittadini e il loro diritto alla salute.

Ma il docufilm è un’autentica miniera di clamorose scoperte: tra i personaggi che appaiono nel film ci sono infatti Santo Gioffré – che conosciamo tutti – e addirittura Ken Loach, il grande regista inglese, vincitore di premi mondiali per i sui meravigliosi film. Che cosa lega i due e’ presto detto: la comune matrice anticapitalista. 

L’incontro con Santo Gioffré è avvenuto grazie ai ragazzi dell’associazione Le Lampare di Cariati. Con lui si e’ parlato di grandi imbrogli e della corruzione e con Loach c’è anche il compianto Gino Strada, che fa parte del cast del documentario ed è citato in una provocazione dell’ex commissario dell’Asp reggina. Gioffré infatti aveva proposto un paio d’anni fa di affidare in via d’urgenza la sanità calabrese ad Emergency, ricordando la disponibilità dello stesso Strada durante il Covid. Candidatura che però non ando’ poi a buon fine.

Tra i personaggi di “C’era una volta in Italia”, narrato dalla voce dell’attore cosentino Peppino Mazzotta, figurano altri pezzi da 90: Vittorio Agnoletto, Jean Ziegler e, per ultimo ma non ultimo, Roger Waters, ex Pink Floyd e testimonial della lotta dei ragazzi delle Lampare.

«Il nostro è un film indipendente, realizzato in totale libertà creativa e politica – dice Federico Greco – abbiamo descritto senza nessuna censura e in modo imparziale la realtà di Cariati e dell’ospedale, che è una cartina al tornasole di quello che sta producendo il sistema di austerity europea». (fv)

Occhiuto chiede benefici per i medici che vengono in Calabria

Il Governatore della Calabria Roberto Occhiuto ha chiesto formalmente che vi siano benefici economici e di carriera per i medici che decidono di venire a lavorare in Calabria.

Nel corso di unintervista su SkyTg24 ha espresso il suo punto di vista e l’auspicio che venga in qualche modo incentivato e agevolato il reclutamento di medici di cui la Calabria ha un disperato bisogno.

«È importante – ha detto Occhiuto a Lavinia Spingardi durante la trasmisisone Agenda di SkyTg24 – che il governo ci stia vicino, perché la sanità della Calabria è in macerie. Oggi che il sistema sanitario nazionale vive problemi gravi in seguito al Covid, il sistema sanitario calabrese li vive in maniera ancora più consistente». 

«Faccio l’esempio del reclutamento dei medici: è difficile trovare medici per i pronto soccorso anche in Veneto e in Lombardia, in una Regione come la Calabria, che ha un sistema sanitario poco attrattivo, è ancora più difficile.  Ho chiesto al governo di fare in modo che in Calabria si possano assumere dei medici così come si assumono i magistrati, i poliziotti. Se un magistrato viene in Calabria ha, giustamente, benefici di carriera ed economici, perché siamo una zona disagiata. 

Allora io dico all’esecutivo nazionale, datemi la possibilità di fare in modo che se un medico partecipa ad una procedura concorsuale in Calabria e decide di lavorare da noi – magari in un pronto soccorso difficile come quelli di Gioia Tauro, di Locri di Polistena – due anni di lavoro gli valgono il doppio, così come per i magistrati. 

La sanità è zona disagiata in Calabria, altrimenti un commissariamento di 12 anni non avrebbe avuto ragione di esserci». 

 

Sanità: Occhiuto annuncia il bando per gli specializzandi

Il presidente della Regione Roberto Occhiuto,, come concordato con i rappresentanti degli specializzandi ha avviato una manifestazione pubblica di interesse aperta a tutta l’Italia. Praticamente è il primo bando per reclutare giovani specializzandi da ogni parte del Paese. 

«Mentre lavoriamo – ha dichiarato Occhiuto – all’integrazione dei primi medici cubani che arriveranno in Calabria a metà settembre – il progetto avviato con il governo di Cuba va avanti per superare le carenze di organico e per gestire le emergenze -, oggi la Regione – così come concordato con i rappresentanti degli specializzandi, a seguito di una loro precisa richiesta – ha pubblicato una manifestazione pubblica di interesse per reclutare giovani specializzandi da tutta Italia.

L’avviso riguarda posti per tutti gli ospedali e per tutte le strutture sanitarie calabresi: da Catanzaro a Polistena, da Cosenza a Locri, da Lamezia Terme a Crotone, da Vibo Valentia a Gioia Tauro.

Speriamo che questa nostra manifestazione possa essere presa in considerazione da tanti giovani medici provenienti dalla nostra Regione e da tutto il Paese.

Siamo pronti ad ospitare nei presidi sanitari calabresi tanti professionisti competenti, motivati, che hanno voglia di darci una mano e di mettersi in gioco».

L’avviso è rivolto ai medici in formazione specialistica, a partire dal terzo anno, regolarmente iscritti al corso di formazione specialistica nelle seguenti discipline:

• Medicina e chirurgia d’accettazione d’ urgenza

• Pediatria

• Anestesia e rianimazione

• Chirurgia generale

• Medicina Interna

• Geriatria

• Malattie dell’apparato cardiovascolare

• Ginecologia e ostetricia

• Radiodiagnostica

  Ortopedia e traumatologia

• Nefrologia

  Oncologia

  Malattie dell’apparato respiratorio

• Chirurgia Vascolare

• Chirurgia Toracica

   Psichiatria

   Neuropsichiatria Infantile.

L’avviso ha l’obiettivo di costituire elenchi di Medici disponibili a prestare la propria attività presos le Aziende del Servizio Sanitario regionale interessate da una grave carenza di risorse umane.  

A conclusione  della procedura, gli elenchi dei partecipanti saranno resi disponili dal Dipartimento “Tutela della Salute e Servizi Socio Sanitari” alle Aziende del servizio sanitario regionale interessate all’avvio di  concorsi (ex art. 1, c. 547 e seguenti della legge 145/2018), nel rispetto dell’accordo quadro relativo alle modalità di svolgimento della formazione per l’assunzione a tempo determinato degli specializzandi, con successiva assunzione a tempo indeterminato al momento del conseguimento del titolo di specializzazione.

Il   Dipartimento Tutela della Salute, tenuto conto di quanto stabilito nei punti 3 e 4 del predetto Accordo Quadro e ad esito della presente procedura, qualora dovessero essere accertate disponibilità per Aziende o Presidi non ricompresi nella rete formativa, attiverà ogni utile interlocuzione con gli organi preposti finalizzata alla stipula delle necessarie convenzioni. (rcz)