SANITÀ, IN CALABRIA SPESI SOLO 40 MILIONI
DEI 320 DISPONIBILI (INCLUSI I FONDI PNRR)

di RUBENS CURIA e FRANCESCO COSTANTINO – È sempre accaduto che, situazioni impreviste, modifichino il corso della storia e i popoli si trovino davanti a un bivio.

Il mondo intero, e più ancora l’Europa, negli ultimi 5 anni hanno dovuto fare i conti con una pandemia devastante e con un conflitto bellico come non se vedeva da 80 anni.

Nel primo caso la risposta più rilevante la si è individuata nel Pnrr per il quale le risorse destinate all’Italia risultavano pari a 194,4 mln di euro ripartite in 7 missioni: Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione; Salute; RepowerEU

Per finanziare ulteriori interventi il Governo italiano ha approvato un Piano Nazionale Complementare (Pnc) con risorse pari a 30,6 miliardi di euro.

In aggiunta, il Piano promuove un’ambiziosa agenda di riforme, e in particolare, le quattro principali riguardano: pubblica amministrazione; giustizia; semplificazione; competitività

Il Pnrr ha destinato alla Missione Salute  15,63 milioni di euro, pari all’8,16% dell’importo totale, per sostenere importanti riforme e investimenti a beneficio del Servizio sanitario nazionale, da realizzare entro il 2026.

Ma, complessivament,e le risorse straordinarie per l’attuazione del Pnrr e il rinnovamento della sanità pubblica italiana superano i 20 miliardi di euro.

Tra queste, le risorse messe in campo dall’Italia con il Piano nazionale per gli investimenti complementari (PNC), che destina alla salute ulteriori 2,89 milioni di euro.

Le risorse disponibili servivano: per adeguare il nostro SSN a un mutato contesto demografico ed epidemiologico; per garantire uguaglianza nel soddisfacimento dei bisogni di salute, indipendentemente dal genere e dalle condizioni socioeconomiche; per rendere la rete dell’assistenza primaria territoriale in grado di rispondere al fabbisogno di salute lasciato scoperto dalla razionalizzazione della rete ospedaliera; per rendere capillare l’offerta di salute sul territorio, in termini di prevenzione e cura, eliminando le disparità geografiche, in particolare tra Nord e Sud; per sfruttare appieno le opportunità di miglioramento dell’offerta di salute derivanti dall’impiego dell’innovazione tecnologica, dall’avanzamento della ricerca in campo medico e dalla valorizzazione del personale del SSN.

Se limitiamo lo sguardo a ciò che è accaduto in Calabria, per quanto desumibile dall’ultima relazione di  monitoraggio sulle linee d’intervento della Missione 6 pubblicata sulla piattaforma Regis (gennaio 2025), non possiamo non essere preoccupati perché a fronte di circa 320.000.000 milioni di euro complessivamente disponibili, risultano impegni assunti per poco più di 40.000.000 milioni di euro e pagamenti effettuati per circa 18.000.000 milioni, dovendosi concludere la spesa rendicontata entro l’anno 2026.

Leggiamo, in questi giorni, che per i progetti che si stima non possano essere conclusi entro il termine ultimo dell’anno 2026 sarà possibile “spondare” gli investimenti sui fondi di coesione della comunità europea per avere maggiore termine temporale per la spesa.

Tutto questo ci preoccupa per 2 ordini di motivi. Il primo perché la sanità calabrese ha, quanto mai, bisogno urgente di una assistenza primaria territoriale in grado di rispondere al fabbisogno di salute lasciato scoperto dalla razionalizzazione della rete ospedaliera, e ogni ritardo non fa che aggravare una situazione già di per sé precaria.

Il secondo perché non ci convince il principio che, ai fondi di coesione, venga sottratta una quota importante di risorse.

Lo spostamento sui fondi per la coesione significa che la dimensione quantitativa di quei fondi che dovevano essere destinati ad altre misure verrà ridimensionata e la pratica dello “spondamento” di fondi su altre fonti di finanziamento diverse da quelle originariamente previste rappresenta sempre una perdita secca.

Se la spesa programmata con i fondi del Pnrr fosse stata effettuata nei tempi stabiliti, non ci sarebbe stato bisogno di usare i fondi per la coesione.

A meno che le somme non spese in tempo utile in ambito Pnrr non diventino aggiuntive di quelle ordinarie dei fondi di coesione europei. Ma questo non è stato chiarito. (rc, fc)

[Rubens Curia e Francesco Costantino sono di Comunità Competente]

SANITÀ, ALLA CALABRIA SERVE IL GIUSTO
RIPARTO DEI FONDI, NON PIANO DI RIENTRO

di GIACINTO NANCIIl Ministro della protezione Civile Nello Musumeci ha fatto deliberare al Consiglio dei Ministri la dichiarazione dello stato di emergenza, per la durata di dodici mesi, in relazione alla situazione di criticità in atto concernente il sistema ospedaliero della regione Calabria.

Ciò vuol dire che il piano di rientro sanitario cui è sottoposta la Calabria dal 2009, il commissariamento dal 2011 e i commissariamenti di tutte la Asp e i tre maggiori ospedali regionali da 6 anni non sono serviti a niente. Sembra che la Calabria ha bisogno adesso anche della Protezione Civile, ci manca solo la militarizzazione anche se come commissari abbiamo avuto colonnelli, generali e prefetti.

Come si può pensare che in un anno l’ulteriore “commissario” può risolvere ciò che tantissimi commissari in tantissimi anni non sono riusciti a risolvere visto che si tratta anche di ospedali deliberati nel 2004 (si 2004) e 2007 (si 2007)?

Il dubbio per questa delibera nasce dal fatto che stranamente la Medicina Ospedaliera è l’unica in Calabria che aveva una sufficienza per il punteggio Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) di 69 (la sufficienza per i punteggi Lea si ha con 60 punti e l’optimum a 100 punti). Sarebbe stato più giustificato un provvedimento per la Medicina del Territorio che ha punteggio Lea 40 e la Medicina Preventiva con punteggio 41, entrambi quindi nettamente insufficienti. Forse una attenzione maggiore sarebbe stata più giusta verso questi ultimi due settori della medicina calabrese anche per il fatto che dovrebbero essere migliorati dal Pnrr che però sembra essere applicato aldisotto del 10% con il rischio quasi certo di non fare le 57 case di Comunità, i 15 Ospedali di Comunità e i 19 Centrali Operative Territoriali.

Questi sì che interverrebbero sui reali bisogni dei malati calabresi, specialmente quelli nelle zone interne. L’altra cosa che non quadra è che la richiesta, per la emergenza Ospedaliera e non per quelle Territoriale e Preventiva, sembra sia stata fatta al governo dal Governatore-Commissario alla sanità Occhiuto che sarebbe, in qualità di commissario, responsabile, come i commissari precedenti, della mancata attuazione di quanto richiesto.

Il nostro Governatore-Commissario, nel mese di febbraio, ci ha anche informati che intende ricandidarsi al governo della Regione Calabria e che entro marzo sarebbe terminato il commissariamento della sanità calabrese (nota bene il commissariamento non il piano di rientro).

Il nostro Governatore-Commissario con la richiesta dell’intervento della Protezione Civile coglie due piccioni con una fava, perché si fa campagna elettorale con questa richiesta, può chiedere di non essere più commissario alla sanità calabrese e si può candidare di nuovo alla guida della Regione Calabria, visto che da commissario non avrebbe potuto fare la campagna elettorale in quanto se così fosse potrebbe essere ineleggibile per l’art. 2 legge 2/7/2004 n. 165.

Infine, questo ulteriore commissariamento della Protezione Civile non risolverà i problemi della sanità calabrese perché essi sono dovuti ad un ultraventennale suo sottofinanziamento dovuto ad una scorretta applicazione della legge 662 del 23/12/1996 da parte della Conferenza Stato Regioni.

Che un riparto dei fondi sanitari che va incontro ai reali bisogni delle popolazioni deve essere fatto in base alla presenza del numero delle malattie nelle varie regioni lo aveva detto nientemeno che un ministro della Sanità, Ferruccio Fazio, nel lontano 2011, quando pubblicamente in un comizio aveva annunciato che «entro due anni ripartiremo i fondi sanitari in base alle malattie perché questo attuale (leggi demografico) penalizza alcune regioni (leggi Calabria)….». 

E che in Calabria ci siano molti più malati cronici delle altre regioni è certificato da un decreto del commissario alla sanità Scura il n. 103 del 30/09/2015 e vidimato sia dal ministero dell’Economia che da quello della Salute, nel quale decreto, con tanto di specifiche tabelle, si calcolano in 287.000 i malati cronici in più nei circa due milioni di calabresi che non in altri due milioni di italiani, oggi sono sicuramente molti di più.

Quindi, il Governatore Commissario Occhiuto invece di “programmare” la sua campagna elettorale sulle spalle dei malati calabresi dovrebbe andare alla Conferenza Stato-Regioni, battere i pugni sul tavolo e far si che venga fatto un riparto dei fondi che soddisfa i reali bisogni delle popolazioni.

Se non riesce in questo il Governatore-Commissario dovrebbe chiedere al suo governo di centralizzare la sanità, visto che questo tipo di regionalizzazione crea forti disparità. Abbiamo una legge sanitaria tra le migliori al mondo e quando era centralizzata avevamo sempre una sanità migliore al mondo e per tutti gli italiani. (gn)

[Giacinto Nanci è medico ricercatore Healt Search e medico di famiglia in pensione Catanzaro]

QUELLE SCELTE SBAGLIATE PER LA SANITÀ
CALABRESE CHE DANNEGGIANO I CITTADINI

Di DOMENICO MAZZA – Navigando in rete mi è apparso un vecchio articolo in cui si riproduce un’intervista al già assessore alla sanità calabrese e futuro candidato sindaco della città di Lamezia, Doris Lo Moro. Vi chiederete perché un’intervista di quasi un lustro fa abbia destato in me particolare interesse.

Le motivazioni potrebbero essere molteplici. Tuttavia, ciò che mi ha attratto, invogliando la mia curiosità verso l’articolo in questione, sono state le recenti richieste del Presidente della Regione Calabria, di dichiarare lo stato di emergenza del settore ospedaliero calabrese.

Ritornando all’articolo richiamato in premessa, mi hanno lasciato basito le dichiarazioni della Lo Moro che, a un certo punto dell’intervista, parla di una riforma che avrebbe dovuto prevedere 8 e non già 5 Aziende sanitarie.

Giusto per richiamare alla memoria, prima che l’allora Giunta regionale decretasse la nascita delle attuali 5 Asp, in Calabria operavano ben 11 Asl. La caratteristica di quest’ultime era appunto la base locale e non già provinciale del distretto di competenza.

I più attenti ricorderanno che già alla fine degli anni ‘90 le allora nuove Asl avevano accorpato le ex USSL (unità socio-sanitarie locali). Tali strutture, nelle linee essenziali, si caratterizzavano per l’autonomia gestionale di ogni ospedale al tempo operante in Regione.

Il sostanziale aziendalismo, poi, operato a livello centrale dai vari Governi della Seconda Repubblica, invitò le Amministrazioni periferiche dello Stato a una riorganizzazione su basi territoriali e demografiche dei vari settori. Anche la Sanità fu costretta ad adeguarsi e, per quanto lo Stato non avesse ordinato alcuna revisione su base provinciale, ma solo su criteri territoriali, la nostra Regione optò per un riforma che ricalcasse lo scriteriato disegno degli Enti intermedi calabresi.

Ebbene, stabilire nottetempo la chiusura, sic et simpliciter, di ben 6 ex Asl (Palmi, Locri, Lamezia, Paola, Castrovillari e Rossano), senza porsi minimamente il problema della orogenesi territoriale calabrese, fu un errore di non poco conto. Vieppiù, quando nell’intervista si sostiene che la nuova geografia sanitaria avrebbe dovuto prevedere 8 e non 5 aziende, la trama si infittisce e dimostra plasticamante quanto la materia sanitaria sia stata mercificata sull’altare del volere centralista a danno esclusivo della popolazione calabrese: soprattutto quella residente nelle lande più periferiche e dimenticate.

D’altronde, se la Locride, il Lametino e la Sibaritide fossero rimaste in essere, magari utilizzando l’acronimo di AST (aziende sanitarie territoriali) piuttosto che Asp (aziende sanitarie provinciali), probabilmente, in un clima di spendig review, sarebbe stato complicato giustificare la nascita delle AO. Tali Enti, infatti, hanno elevato gli ospedali dei Capoluoghi storici a presidi Hub, estromettendoli dalla gestione delle Asp e consegnandoli ai nuovi organismi appositamente creati e nominati Aziende Ospedaliere.

Ecco, conclamare a quasi un ventennio dalla dissennata riforma sanitaria, la necessità di maggiori poteri per la velocizzazione del percorso che dovrà portare alla nascita dei nuovi ospedali (Sibaritide, Vibo e Piana di Gioia) ai quali, nel frattempo, si è aggiunto anche il nuovo ospedale di Cosenza, comprova quanto una riorganizzazione di un deviato regionalismo amministrativo sia necessaria. E non solo in capo al settore sanitario. Invero, diversi servizi (giustizia, sicurezza, conservatoria, ecc.) dovrebbero rispettare i principi di omogeneità territoriale nella perimetrazione delle circoscrizioni di competenza locale.

Pertanto, inviterei qualche novello sognatore della Sibaritide e del Comune di Corigliano-Rossano che immagina la creazione di nuovi orti dove potrebbero sorgere praterie, a ritornare con i piedi per terra, riflettendo sulla bontà e concretezza delle idee promosse.

Così come mi auguro che un distratto establishment pitagorico, inizi a pensare in grande abbandonando la condizione di limbo amministrativo del Crotonese per aprirsi a una visione accurata e puntuale di tutto l’Arco Jonico calabrese. Non fosse altro che per avviarsi a nuove prospettive territoriali, rispettose di quei numeri necessari a trasformare le idee in progetti politici e non già nei soliti carrozzoni che la Calabria conosce fin troppo bene. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

SANITÀ CALABRIA, OCCHIUTO ANNUNCIA:
«A BREVE FINISCE IL COMMISSARIAMENTO»

di SANTO STRATI – Sanità in Calabria, fine del commissariamento? Lannuncio lo dà il presidente Roberto Occhiuto durante un incontro/forum alla sede de Il Quotidiano del Sud, promosso dal direttore Massimo Razzi.

È una notizia shock, bellissima, difficile persino da credere. Ma bisogna crederci, visto che sulla Sanità calabrese Occhiuto ci ha messo la faccia e rischia quotidianamente la sua credibilità.

È ottimista Occhiuto, visibilmente provato da un recupero post operatorio che appare troppo lento, e, nella redazione centrale di Castrolibero azzarda che entro qualche settimana la sanità calabrese sarò fuori dal commissariamento. Se lo afferma, non solo ne è convinto, ma evidentemente ha ricevuto le dovute rassicurazioni dal Governo che siamo davvero al traguardo.

Una buona notizia per la Calabria e per i calabresi che dal 2009 sono sotto commissariamento e ne hanno viste di cotte e di crude, tra annunci, incapacità gestionali, promesse e, soprattutto, chiusure di ospedali. Uscire dal commissariamento quantomeno significa poter ricominciare a investire per garantire la salute ai calabresi, che continuano a regalare” milioni (340 secondo lultima stima) ogni anno alle altre regioni, dove vanno a farsi curare in ospedali più “avanzati” e dove, loro malgrado, trovano ottimi medici calabresi.

Si parla dialetto calabrese a Roma, Milano, Pavia, Padova e in gran parte delle strutture sanitarie del Nord: è il risultato degli esodi (molti controvoglia) di ottimi specialisti che hanno dovuto lasciare la propria terra e che nessuno riesce a far tornare (mancano soprattutto le possibilità economiche).

La fine di questorrendo bavaglio alla sanità pubblica potrebbe significare un nuovo slancio tutto a respiro regionale nella gestione della sanità pubblica il cui patatrac – non dimentichiamolo – è stato anche provocato da commissari di Governo inviati dallo Stato, che, però, continua a non volersi assumere alcuna colpa pur avendo gestito, per indiretta persona, lo scandalo di fatture pagate più volte, di ospedali chiusi, di reparti mai aperti, di attrezzature lasciate a morire nella loro obsolescenza senza venire utilizzate alla bisogna.

La storia della sanità calabrese è drammaticamente insopportabile e insostenibile sotto tutti i punti di vista e i rimedi, ad oggi, sono stati troppo blandi se non forieri di ulteriori spese.

Certo, va considerato che la fine del commissariamento non significa che viene annullato il piano di rientro, a cui prima o poi bisognerà venirne fuori, ma è decisamente un grosso passo in avanti per riorganizzare, con responsabilità unicamente regionale, tutto lapparato, mettendo ordine nelle tantissime, troppe, criticità.

Al direttore Razzi – cui bisogna dare atto di avere promosso una intelligente e coraggiosa campagna giornalistica attraverso il Quotidiano del Sud per la sanità calabrese – il presidente Occhiuto risponde mostrando sicurezza: «Sono assolutamente convinto che il commissariamento non sia una buona cosa per il governo della sanità in Calabria, lo ha anche detto la Corte costituzionale due volte. Ho lavorato nei mesi passati per ottenere dai Ministeri affiancanti la possibilità di poter uscire dal commissariamento. Io ho maturato un’esperienza nei palazzi della politica romana e spesso faccio cose che vengono interpretate come strappi. Un esempio sono gli emendamenti».

«Volevo un’assunzione di responsabilità dei Ministeri – ha spiegato – che ci dessero i dati sul punteggio Lea e si esprimessero sulla chiusura dei bilanci e la loro certificazione. Gli emendamenti sono serviti a questo. Li farò ritirare perché ho avuto la rassicurazione da parte del governo che la sanità calabrese uscirà, da qui a qualche settimana, dal commissariamento. E io vorrei che uscisse non per una norma ma per una delibera del Consiglio dei ministri proposta dal Mef e dal Ministero della Salute».

Secondo il Presidente Occhiuto, «Avendo finalmente il governo dei conti e i Lea in crescita, il commissariamento non ha più senso di esistere. Chiaramente rimarremo in piano di rientro, ma il mio obiettivo di medio periodo e quello di uscire anche da questo. Utilizzeremo parte della fiscalità aggiuntiva per colmare il deficit».

«Se noi riuscissimo con i Lea del 2024 ad essere verdi su tutti e tre gli aggregati (ospedaliero, prevenzione e distrettuale) potremmo chiedere l’uscita dal piano di rientro – ha detto –. Altra cosa: ho chiesto al governo di darmi una mano per concludere i tre grandi ospedali. Sibari procede e sarà completato prima della fine della legislatura, a Vibo c’è stato un incontro con il concessionario e aggiorneremo il piano finanziario per accelerare i lavori. Sulla Piana il concessionario ha chiesto 190 milioni in più, noi siamo disponibili ad un aggiornamento del Pef».

«Mi sto assumendo tantissime responsabilità – ha ricordato – e rischio di essere rincorso dalla Corte dei Conti per i prossimi decenni. Però l’ho fatto perché altrimenti non l’avremmo finito. Ho chiesto al governo poteri di Protezione Civile per procedere più velocemente con gli adempimenti previsti. E questo per i tre ospedali più il Policlinico universitario di Cosenza e una parte dell’ospedale di Reggio. Ho fiducia».

Lo scetticismo dei calabresi è duro da scalfire, nonostante liniezione di fiducia e ottimismo del Presidente Occhiuto. Il percorso non è libero da ostacoli e, probabilmente, lAzienda Zero non ha ancora le capacità operative (tipo bacchetta magica…) per sistemare conti e aziende e, soprattutto, poter garantire ai calabresi che vivono in regione e hanno diritto di curarsi adeguatamente vicino ai loro affetti e alle loro case, il livello di prestazioni sanitarie degne di questo nome. È un impegno, non soltanto una promessa, quanto affermato da Occhiuto. (s)

PER LA SANITÀ CALABRESE NON BASTANO
I FONDI PER POTER GARANTIRE LEA E LEP

di GIACINTO NANCIIl dott. Rubens Curia, portavoce di Comunità Competente, nonché autorevole, da molto tempo, operatore anche in ambito sanitario nella regione Calabria ci esorta a smetterla di chiedere solo i giusti finanziamenti per la sanità calabrese negati da trenta anni (per non corretta applicazione della legge 662 del 1996) e di operare comunque per il suo miglioramento indicandoci numerosissime e valide iniziative.

Intanto il sottofinanziamento non è cosa secondaria per come segnalato dallo stesso dott. Curia, quando scrive che la spesa pro capite per un calabrese è più di dieci volte inferiore alla spesa pro capite della regione che riceve più fondi e se si calcola che ciò dura da circa 30 anni si capisce bene che l’ammontare del sottofinanziamento non è di milioni di euro ma di miliardi di euro.

E, comunque, la sua esortazione non dovrebbe essere fatta ai calabresi e ai suoi amministratori ma direttamente al Governo perché, come tutti sappiamo, la Calabria ha la sua sanità commissariata dal 2011 e ha commissariate dal 2019 anche tutte e cinque le sue Asp e i suoi tre maggiori ospedali regionali (gli altri 18 ospedali minori sono stati chiusi in nome del risparmio.) E se dopo tutti questi anni di omni commissariamento (ricordiamo che il commissariamento per definizione è una istituzione di breve durata come per la grande opera della ricostruzione del ponte di Genova fatta in un anno) nel 2023 abbiamo superato perfino i 300 milioni di euro per le spese dei calabresi fuori regione, anche un bambino capirebbe che ci sono problemi al di la della cattiva gestione (sempre dei commissari) non credendo che tutti i commissari inviati in Calabria sono stati degli incompetenti.

A meno che nel loro mandato non ci sia stata solo l’attenzione al risparmio delle spese sanitarie anche perché ogni decreto commissariale, che quindi tratta di problemi sanitari, per poter essere pubblicato non va al ministero della Salute ma va prima a quello dell’Economia che deve valutarne la spesa ed è poi questo Ministero che lo trasferisce a quello della Salute. Della serie l’obiettivo principale è il rientro del presunto deficit sanitario non la salute dei calabresi?

Intanto noi calabresi stiamo pagando un prestito oneroso fattoci dal governo all’inizio del piano di rientro (2009) di 30 milioni l’anno fino al 2040 di cui 20 solo per interessi e 10 di capitale, praticamente usura statale. Nelle indicazioni fatte dal dott. Curia c’è il potenziamento della medicina territoriale ed io, che sono stato un medico di famiglia, ne so qualcosa e vi cito un solo dato: il dott. Battaglia Annibale, medico dell’associazione medici di famiglia Mediass, prima di morire di Covid, in una giornata ha fatto ben 185 accessi (quanti accessi ha in media un pronto soccorso?) cioè ha curato ben 185 dei suoi assistiti (dato verificabile perché il dott. Battaglia era medico ricercatore Health Search e questi dati sono depositati), per cui una riorganizzazione della medicina territoriale andrebbe prima di tutto beneficio dei medici di famiglia oltre che degli assistiti.

Ma la richiesta del giusto finanziamento della sanità calabrese è giustificato da un altro decisivo elemento, e cioè la assoluta maggiore prevalenza delle malattie croniche presenti in Calabria rispetto al resto d’Italia. Per certificare quanto appena detto cito il Dca n. 103 del lontano 30/09/2015 firmato dall’allora commissario al piano di rientro ing. Scura che alla pg. 33 dell’allegato n. 1 così recitava “si segnala maggiore presenza in Calabria di almeno il 10% di patologie croniche rispetto al resto d’Italia”.

Visto che il decreto, vidimato dal ministero dell’Economia e da quello della Salute (della serie tutti sanno), è fornito di specifiche tabelle si è potuto calcolare il maggior numero dei malati cronici presenti in Calabria rispetto al resto d’Italia che era allora di 287.000 e riteniamo che oggi siano di più perché i calabresi sono anche in testa alla classifica per le mancate cure. Ma il Dca aveva anche una specifica tabella sulla comorbilità nella quale noi calabresi siamo purtroppo sempre in testa alla classifica. Comorbilità è quando in una stessa persona ci sono due o più malattie croniche, il che comporta una maggiore spesa sanitaria del caso in cui le due malattie sono in due persone diverse.

Il decreto n. 662 del 1996 prevedeva anche il finanziamento in base alla epidemiologia e alla comorbilità ma non è stato mai applicato prova ne è il fatto che la regione Campania nel 2022 ha fatto ricorso al Tar proprio contro gli ingiusti criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni fatta dalla Conferenza Stato-Regioni. Significativo è anche il fatto che subito dopo questo ricorso al Tar il governo, prevedendo l’accettazione dello stesso, ha modificato lievissimamente i criteri di riparto basandoli, ma solo lontanamente, sul criterio citato dal dott. Curia della “deprivazione”. Concetto questo che già era stato applicato nel 2016 quando l’allora presidente della Conferenza Stato-Regioni on. Bonaccini lo ha annunciato ma in modo (è parola sua) “parzialissimo”.

Ebbene nel 2017 in base a questa “parzialissima” applicazione del concetto di deprivazione alla Calabria sono arrivati 29 milioni di euro e a tutto il sud ben 482 milioni in più. Basterebbe moltiplicare questo dato per quattro e poi per i 30 anni in cui non è stato fatto per capire l’enorme (molti miliardi) sottofinanziamento della sanità calabrese e meridionale. Ovviamente, la modifica non è stata né ampliata né riproposta. Ma c’è un ultimo elemento da tenere in considerazione, ed è il fatto che noi calabresi paghiamo più tasse degli altri italiani proprio a causa del piano di rientro.

Per risanare il presunto deficit sanitario calabrese un lavoratore calabrese con un imponibile lordo di 20.000 euro paga 480 euro di Irpef in più di un altro lavoratore italiano e un imprenditore calabrese con un imponibile lordo di un milione di euro paga ben 10.000 euro di Irap in più di qualsiasi altro imprenditore italiano. Inoltre, noi calabresi paghiamo un’accisa maggiorata sulla benzina sempre a causa del piano di rientro. Della serie il piano di rientro danneggia, oltre alla sanità, anche l’economia calabrese.

Infine una segnalazione circa l’arroganza vera e propria con cui i rappresentanti delle regioni come il Veneto, Lombardia, Piemonte, Toscana Emilia gestiscono i lavori della Conferenza Stato-Regioni, per come riferito a me personalmente da chi ci andava per la Calabria dieci anni fa. I rappresentanti di queste regioni non ammettevano contestazioni alla “loro” ripartizione e minacciavano chi avesse richiesto un giusto riparto dei fondi sanitari alle regioni vere e proprie ritorsioni.

In conclusione ottime sono le indicazioni delle cose da fare indicate dal dott. Curia ma, se dopo 15 anni di omnicommissariamento siamo a questo punto, il cambiamento si potrà avere se 1) si chiude il piano di rientro, 2) si condona l’ingiusto debito che stiamo pagando, 3) si finanziano le sanità regionali in base alla numerosità delle malattie e delle comorbilità nelle diverse regioni e 4) si revocano le ingiuste tasse aggiuntive ai calabresi.

E bisogna far presto perché alla luce dell’autonomia regionale, ai Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) dopo tanti anni di commissariamento mai migliorati, si aggiungerà la mancata applicazione dei Lep (livelli essenziali delle Prestazioni) negli altri campi non sanitari.

Fatto questo, si possono anche lasciare i commissariamenti proprio per dimostrare che la vera causa del disastro della sanità calabrese è stato il miliardario inveterato sottofinanziamento della nostra sanità. (gn)

[Giacinto Nanci è medico di famiglia in pensione dell’Associazione Medici di famiglia]

IL PAZIENZE “CALABRIA” SI PUÒ CURARE:
RIPARTIRE EQUAMENTE FONDI SANITARI

di GIACINTO NANCI – I danni ai malati calabresi vengono, oltre che dalle infiltrazioni mafiose, prima di tutto dal cronico ultraventennale sottofinanziamento della sanità calabrese. Infatti la Calabria è la regione che da sempre è nelle ultime posizioni per i finanziamenti pro capite (oltre 100 milioni annui di euro in meno rispetto alla regione più finanziata) per la sua sanità in base alla legge 386 del 18 luglio 1996. Da qui l’accumulo di un deficit sanitario di un miliardo e mezzo per cui nel 2009 la decisione da parte del Governo di imporre alla Calabria il piano di rientro sanitario e nel 2011 il commissariamento.

Le infiltrazioni mafiose nella sanità hanno solo peggiorato la qualità della sanità calabrese, sottraendo ulteriori fondi dedicati ai malati calabresi. Ma, ad aggravare pesantemente la situazione della sanità calabrese e a bocciare definitivamente l’attuale criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni, è il fatto che in Calabria ci sono molti più malati cronici che non nelle altre regioni e da ciò ne consegue che la Calabria avrebbe dovuto in passato e dovrebbe ricevere in futuro molti più fondi delle altre regioni e non meno fondi.

A certificare la presenza di molte malattie croniche che necessitano quindi di maggiore spesa sanitaria in Calabria è stato perfino il commissario Scura, firmando il decreto 103 nel lontano 15 settembre 2015. Decreto che, con le sue specifiche tabelle, quantificava in 287.000 malati cronici in più tra i circa due milioni di abitanti calabresi, rispetto ad altri due milioni di altri italiani. Come se ciò non bastasse, vi è che per le spese sanitarie dei calabresi fuori regione ormai spendiamo fino a 300 milioni di euro, che sono fondi sottratti agli investimenti della sanità in Calabria.

Ancora vi è il fatto che il piano di rientro, oltre a far danno ai malati calabresi, peggiora anche l’economia della Calabria perché, proprio perché siamo in piano di rientro, da 15 anni a questa parte noi calabresi paghiamo più tasse (Irap, Irpef, accise sui carburanti e per un periodo anche maggiori ticket sanitari) degli altri italiani. A conferma di quanto fin qui scritto, vi è il fatto che nel 2016 la Conferenza Stato Regioni ha fatto una parzialissima (per come affermato dal suo presidente on. Bonaccini) modifica ai criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni, considerando la presenza delle malattie nelle varie regioni. Ebbene, in seguito a questa “parzialissima modifica” nel 2017, la Calabria ha ricevuto ben 29 milioni di euro in più del 2016 e tutto il Sud ben 408 milioni in più. Ovviamente la modifica non è stata ne ampliata ne riproposta.

Un’altra conferma è il fatto che nel 2022 la regione Campania (l’unica che riceve meno fondi pro capite anche rispetto alla Calabria, ha fatto ricorso al Tar proprio contro i criteri distorti del riparto dei fondi sanitari alle regioni. Significativo è il fatto che, dopo questo ricorso al Tar, il Governo ha modificato i criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni, introducendo il criterio della “deprivazione” per dare più fondi (pochissimi) alle regioni del Sud. Allora cosa fare per salvare la sanità calabrese? Oltre ad aumentare la lotta alla mafia, che non è comunque la causa principale del disastro della sanità calabrese, bisogna chiudere con il piano di rientro perché esso stesso è dannoso per la sanità calabrese, e modificare i criteri del riparto ai fondi sanitari alle regioni basandolo sulla presenza delle malattie.

Oggi sappiamo quanto costa curare una malattia cronica, sappiamo quante malattie croniche ci sono nelle varie regioni e, quindi, non sarebbe difficile finanziare le sanità regionali in base ai reali bisogni delle popolazioni. La chiusura del piano di rientro, tra l’altro giudicato parzialmente anticostituzionale da una sentenza della Corte Costituzionale nel 2021, dovrebbe essere una cosa ovvia considerando il fatto che, dopo 15 anni di piano di rientro, la regione Calabria è maglia nera nell’applicazione dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenziali) e lo è anche nonostante dal 2019 siano anche commissariate anche tutte le Asp calabresi, e i tre maggiori ospedali regionali. I commissari non sono stati utili neanche per la lotta alla infiltrazione mafiosa, visto la che la Asp di Vibo Valentia ha avuto forse più di 4 commissari negli ultimi anni.

È chiaro cosa fare per un giusto finanziamento delle sanità regionali, ossia il riparto in base alla presenza delle malattie. Si punti su questo. (gn)

[Giacinto Nanci è medico di famiglia in pensione dell’Associazione Mediass]

LA SOLUZIONE TRIDICO: SPESA SANITARIA
SIA SOTTRATTA ALL’OBBLIGO DI PAREGGIO

di PASQUALE TRIDICOUn’incertezza fissa accomuna il ponte sullo Stretto e l’Alta velocità ferroviaria per la Calabria, che ancora non ha il proprio tracciato. Il ministro Salvini parla con enfasi smodata di entrambe le infrastrutture previste, segnate da una storia di rinvii in successione e finanziamenti aggiuntivi, di dubbi e problemi gravi ancora pendenti.

A dispetto delle tesi di Matteo Salvini, segretario di una Lega bifronte, secessionista nella sostanza e nazionalista nella forma verbale, ripensare i collegamenti all’interno del territorio calabrese costituisce una priorità assoluta, anzitutto per ragioni economiche e di tutela della salute. Migliorare la viabilità intraregionale è un’esigenza macroscopica, però non colta, tematizzata e discussa a dovere, né a livello locale né da parte del governo in carica, riluttante rispetto ai dati, all’analisi obiettiva.

Nel centrodestra prevale il discorso a effetto sul ponte di Messina, segnato da una retorica celebrativa di vecchio stampo, strumentale a eludere il dibattito sullo stato dei Servizi sanitari e sulle possibilità di sviluppo economico delle regioni che l’opera dovrebbe collegare. 

La sanità calabrese è vittima di una progettazione a tavolino delle reti assistenziali, strutturate a Roma sulla scorta di modelli che da quasi 15 anni prescindono dalle specificità delle aree costiere e interne della Calabria, dalle condizioni stradali e climatiche, dai dati epidemiologici e dalla maggiore insistenza, nella regione del Sud, di patologie croniche, con percentuali di comorbilità superiori alla media nazionale. 

Molte realtà locali della Calabria hanno risentito della suddetta impostazione standard, in parte ricavata su elementi delle regioni benchmark del Centro e del Nord, che però hanno minore isolamento geografico, viabilità migliore e mobilità agevolata. Tra le zone calabresi penalizzate, per esempio, si annoverano, oltre a quelle montane, di cui dirò più avanti, quelle disagiate di Trebisacce sullo Ionio e di Praia a Mare sul Tirreno, luoghi di frontiera, simboli di una sanità pubblica lungamente negata, nella fattispecie a due porzioni dell’Italia meridionale spinte negli anni verso un arretramento infondato, illogico, ingiusto: la prima servita dalla Statale 106 delle troppe morti per incidente; la seconda dalla Statale 18 della cementificazione selvaggia, simbolo di modernità apparente, ambigua, illusoria.

Queste due strade sono state lasciate al loro destino, al pericolo pubblico, alla percorrenza variabile in relazione al periodo, al traffico, al caso; abbandonate alle corse in auto, agli urti violenti tra i veicoli, agli inevitabili ritardi delle ambulanze e spesso all’impossibilità di soccorsi efficaci, come la cronaca ha riportato molte volte. 

Ubicati in territori con pesanti difficoltà di spostamento, i due ospedali di Trebisacce e Praia a Mare subirono la chiusura con l’avvio effettivo del Piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali. Questi presìdi hanno poi vissuto vicende giudiziarie e amministrative antitetiche: sentenze di riapertura sistematicamente ignorate nel concreto, con resistenze all’adempimento da parte dello Stato e della Regione, assieme a incredibili lungaggini che non hanno permesso di recuperare i servizi presenti prima del riassetto della rete ospedaliera, firmato nel 2010 dall’allora presidente regionale e delegato del governo, Giuseppe Scopelliti, che tagliò 18 dei 73 ospedali calabresi, un migliaio di posti letto nel pubblico e circa 1700 nel privato.

Tuttavia, nel tempo fu obnubilata, se non addirittura sepolta, la lezione – derivante dallo smantellamento degli stabilimenti ospedalieri di Trebisacce e Praia a Mare – sull’importanza di avere nosocomi attrezzati al servizio di aree disagiate e frontaliere in senso lato; da ultimo anche per la premura, a livello centrale dopo la pandemia da Covid-19, di rilanciare l’assistenza sanitaria territoriale. Tuttavia, per raggiungere tale obiettivo, sarebbe servita un’interlocuzione profonda in Conferenza Stato-Regioni, purtroppo mancata, volta a riordinare le reti ospedaliere e quelle territoriali sulla base delle peculiarità delle singole aree regionali: epidemiologia, viabilità, clima, deprivazione sociale e così via. 

Ancora, in sede di ultima definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, finanziato massicciamente dall’Ue grazie alla capacità negoziale del presidente Giuseppe Conte, non si è tenuto conto delle differenti condizioni tra le regioni italiane, che il centrodestra vorrebbe archiviare per sempre con il ddl Calderoli.

Per l’effetto, in Calabria si è prevista una nuova assistenza sanitaria territoriale che, oltre a essere stata concepita all’ultimo momento, letteralmente in «zona Cesarini» e solo per non perdere i circa 130 milioni disponibili al riguardo, non può soddisfare le esigenze e i bisogni primari dell’utenza. 

Non solo: se si dà una lettura veloce all’aggiornamento della rete ospedaliera predisposto di recente dal commissario governativo attuale, il presidente Roberto Occhiuto, si intuisce il destino delle aree più svantaggiate, cioè quelle montane, i cui ospedali – di Acri, San Giovanni in Fiore, Serra San Bruno e Soveria Mannelli – sono lasciati, anche in forza di una fiducia ideologica sulla telemedicina, alla progressiva dismissione finale; ridotti da anni a semplici strutture di Pronto soccorso con reparti di Medicina poco utilizzati e con pensionamenti in vista degli ultimi medici colà in servizio. 

Eppure, la normativa vigente sugli standard ospedalieri consentirebbe di attivare, proprio in questi ospedali montani unità operative che, trattenendo i Drg, potrebbero produrre salute ed economie sanitarie, a partire da reparti di Chirurgia con posti di degenza e terapia intensiva. Lo stesso ragionamento si può svolgere per l’ospedale di Cariati, che serve pure zone montane ed è ormai simbolo nazionale di lotta civile per il diritto alla salute, grazie alle battaglie dell’associazione locale “Le Lampare” e dei cittadini residenti, come al coinvolgimento del musicista internazionale Roger Waters.

Negli anni, invece, la Regione Calabria ha seguito politiche differenti, rinunciando a riqualificare tali presìdi montani – o, come quello di Cariati, utili ad aree montane – e strizzando l’occhio alle cliniche private, che in generale non danno molte prestazioni integrative nell’ambito del Servizio sanitario ma in larga misura si sostituiscono al pubblico, sino a supplirlo, per come il sistema è ciecamente organizzato. 

La verità, allora, è che le zone disagiate e montane della Calabria sono – e in prospettiva lo saranno sempre di più – private di un’assistenza sanitaria efficace sul posto, spesso indispensabile e insostituibile, di là dalle mistiche correnti sull’elisoccorso, che non può essere una soluzione strutturale, per quanto utile. Nel frattempo, le difficoltà dei cittadini, residenti nei riferiti territori, di spostarsi verso altri centri sanitari della regione restano tali e quali, ponte sullo Stretto e Alta velocità ferroviaria a parte. 

A questa ingiustizia inaccettabile, si aggiunge il vulnus della ripartizione del Fondo sanitario. Dal 1999, il criterio prevalente è fondato sul calcolo della popolazione pesata, che penalizza in generale le regioni meridionali, in particolare la Calabria, che, come qui già detto, ha molti più casi di patologie croniche e comorbilità.

Secondo i calcoli di Mediass, un’attiva Associazione di medici di famiglia che opera nel Catanzarese, per questo motivo la Calabria riceve circa 150 milioni in meno all’anno, rispetto al fabbisogno di cure per i pazienti cronici: cardiopatici, ipertesi, diabetici eccetera. A mia memoria, i dati di Mediass sono addirittura confermati da un decreto commissariale del 2015, in cui nero su bianco si riportano le maggiori percentuali di pazienti cronici che la Calabria ha in rapporto alla media nazionale. Allora c’è un problema di natura strutturale che viene sistematicamente eluso; rispetto al quale, come i fatti ci dimostrano, il commissariamento del Servizio sanitario regionale non è affatto una soluzione.

Per quanto qui esposto, bisognerebbe: 1) modificare i criteri di ripartizione del Fondo sanitario in base ai fabbisogni di cure nelle singole regioni; 2) riformare l’istituto del commissariamento sanitario, come già aveva proposto il Movimento 5 Stelle; 3) nelle aree montane, incentivare il lavoro nella sanità pubblica con misure e risorse statali aggiuntive; 4) sottrarre le spese sanitarie dall’obbligo del pareggio di bilancio, aspetto che andrebbe discusso nelle sedi europee e per cui è fondamentale avere parlamentari dell’Ue informati, avveduti e decisi; 5) modificare le reti assistenziali della Calabria sulla scorta delle omogeneità territoriali e non sulla base di schemi inutili del passato, per cui oggi vi sono ospedali funzionalmente collegati che distano addirittura 150 chilometri l’uno dall’altro.

6) Responsabilizzare e sostituire i dirigenti della sanità che non diano risultati o che a vario titolo risultino inadempienti, come nei casi di datato aggiornamento dei Registri dei tumori; 7) dare spazio, a livello dirigenziale, ai nuovi laureati, ai giovani, ma con trattamenti economici congrui e investimenti mirati, magari recuperando le somme occorrenti con una legge nazionale che riporti in Calabria – come nel resto del Sud, che ne condivide la sorte – parte degli importi che la regione non ha avuto in virtù del vigente criterio di riparto del Fondo sanitario. (pt)

[Pasquale Tridico è già presidente dell’Inps]

IN CALABRIA UN MALATO ONCOLOGICO
SU DUE PREFERISCE FARSI CURARSI FUORI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Un malato oncologico su due sceglie di curarsi fuori dalla Calabria. È quanto emerge dai dati aggiornati del rapporto Agenas dedicato alla Mobilità sanitaria.

Il quadro presentato dall’Istituto è un vero e proprio disastro: nella nostra regione sono stat 2.887 i ricoveri di residenti e 2.757 i pazienti che hanno deciso di curarsi fuori regione, con un indice di fuga del 49,7%. Un dato secondo solo al Molise, dove l’indice di fuga è del 50,6%.

Si tratta di dati riferiti al 2021, in cui è emerso che sono 24.744 i pazienti, provenienti da Sud, a essersi spostati al Nord per le cure oncologiche. Nel 2021, la Lombardia ha avuto, ad esempio, 33.940 ricoveri di residenti e 7.264 provenienti da fuori regione; il Veneto ha avuto 19.407 ricoveri di residenti e 3.794 da altre regioni; l’Emilia Romagna ha avuto il 17.029 ricoveri di residenti e ne ha ospitati 2.171.

La Calabria, tra il 2017 e il 2021, per la mobilità sanitaria ha perso circa -159,57 mln di euro, posizionandosi penultima dopo la Campania, che ha registrato un saldo del -185,76 milioni di euro.

Maglia nera, poi, per l’assistenza sanitaria a minori e adolescenti. Come raccontato al Corriere della Calabria, il Stefano Vicari, ordinario di Neuropsichiatria Infantile dell’Università Cattolica di Roma nonché direttore di Neuropsichiatria Infantile del “Bambino Gesù” di Roma, «al pronto soccorso del “Bambino Gesù” accogliamo molte famiglie calabresi che sono costrette a viaggi lunghissimi per poter trovare una risposta ai loro bisogni, al loro diritto di cura».

Altro dato, aggiornato al 4 aprile, riguarda la domanda di prestazioni specialistica ambulatoriale per ogni 100 abitanti. I dati della nostra regione non sono pessimi, ma questo non significa che ci si possa adagiare sugli allori. Per quanto riguarda le visite di controllo, in Calabria sono il 33,71% contro il 45,547% del dato nazionale. Per le ecografie addominali, che vengono fatte 3,1 per ogni 100 abitanti, la Calabria è ultima. Migliora la posizione per l’ecografia ginecologica, che sono 2,0 per ogni 100 abitanti. Per ogni 100 abitanti, vengon fatte 4,6 ecografie, mentre vengono fatte 1,38 prime visite neurologiche. Inferiore il dato per la prima visita ginecologica, che ne vengono fatte l’1,8 per ogni 100 abitante. Alto, invece, il valore per le TC al cranio: ne vengono fatte 1,55 per ogni 100 abitanti, posizionando la Calabria quarta dopo Lombardia, Puglia e Campania.

Questi dati, nel complesso, presentano una sanità che, da una parte, può funzionare ma che, dall’altra, ha bisogno di più strumenti, personale medico e, soprattutto, fondi. Dopo tutto, quella della mobilità sanitaria è un problema atavico della Calabria. Un problema provocato principalmente dal riparto dei fondi sanitari. La Calabria, infatti, «è la regione che riceve pro capite, da più di 20 anni a questa parte, meno fondi per la sua sanità pur avendo tra i suoi circa due milioni di abitanti ben 287000 mila malati cronici in più che non in altri due milioni di altri italiani per come certificato anche dall’ormai lontano», ha denunciato Giacinto Nanci, medico dell’Associazione Medici di Famiglia di Catanzaro.

«Per rendere l’idea di quanto la Calabria e le regioni del sud sono penalizzate – ha continuato Nanci – dall’attuale criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni basti dire che nel 2017 è stata fatta una modifica “parziale” (per come specificato dall’allora presidente delle Conferenza Stato-Regioni on. Bonaccini) dei criteri di riparto basati sulla “deprivazione” e non su quelli “demografici” correnti. Ebbene in base a questa parziale modifica (non riproposta ne tantomeno ampliata negli anni successivi e da qui il ricorso al Tar) alle regioni meridionali sono stati assegnati in più nel 2017 rispetto al 2016 ben 408 milioni di euro e se si considera che la modifica era solo parziale si potrebbe moltiplicare la cifra almeno per 4 e se questo riparto fosse stato fatto da 20 anni a questa parte in cui il riparto è stato fatto invece  con il criterio “demografico” la sanità del sud e quella calabrese, che è quella più penalizzata da questo criterio di riparto, avrebbero avuto molte più opportunità».

«La sanità calabrese – ha evidenziato – oltre a questo handicap del criterio di riparto è penalizzata anche dal piano di rientro stesso cui è sottoposta da oltre 13 anni perché esso fa ulteriori tagli alla sua spesa sanitaria, già insufficiente, proprio per ripianare il presunto deficit, e impone una maggiorazione delle tasse (Irap, Irpef, Accise etc..) ai calabresi, peggiorando oltre alla salute anche l’economia calabrese. Che fare allora?».

Per Nanci, infatti, con i fondi in più si potrebbe pensare di creare «dei centri di eccellenza per le varie patologie perché uno dei fenomeni che peggiorano i conti della sanità calabrese sono proprio le spese per le nostre cure fuori regione nei centri di eccellenza del Nord, che nel 2021 sono giunte alla stratosferica cifra di 329 milioni di euro».

«Un esempio per capire – dice Nanci –: La Calabria con una prevalenza di diabete mellito del 12% non ha un centro per la cura del piede diabetico, la regione Lombardia con una prevalenza di diabete del solo 4% ha più centri per la cura del piede diabetico, per cui i calabresi poi devono andare in questi centri al nord solo per l’amputazione del piede e non per la sua cura. Lo stesso vale per altre patologie». (rrm)

QUESTI NOSTRI RAGAZZI FOLLI E GIUDIZIOSI
MERITANO DI PENSARE QUI IL LORO FUTURO

di GIUSY STAROPOLI CALAFATICaro, presidente Occhiuto, le scrivo perché dopo aver passato anni a ribadire il concetto alvariano secondo cui lo scrittore di San Luca afferma che “i calabresi vanno parlati”, giunto è il momento per i calabresi di parlarsi tra loro.
Io sono calabrese, lei lo è. I nostri figli, le nostre famiglie lo sono. Parliamoci.

Scrivo al governatore della mia amata Calabria, dopo un pomeriggio frastornato e convulso presso il nosocomio di Lamezia Terme, perché ci sono cose per le quali se nessuno fa rapporto, nessun altro potrà mai sapere, tantomeno risolvere. Allora parliamone.

Se esistono strategie legali per aggirare la burocrazia nella sanità, in Calabria, le intercetti, presidente. Attuiamole. 

Per le madri come me, ma soprattutto per i ragazzi come mio figlio e per tutti i medici come quelli che lo hanno preso in carico dopo il triage in pronto soccorso, lo scorso 13 marzo. Antonino frequenta il terzo anno del Liceo scientifico G. Berto di Vibo Valentia, ha 16 anni e un forte senso di appartenenza alla Calabria che spesso misuro il doppio rispetto al mio (mea culpa).
Antonino è caduto bruscamente mentre sciava in Trentino.

È il 12 marzo, e nonostante un ginocchio problematico (presunta lesione del menisco) attende di rientrare in Calabria, il 13, per farsi visitare.

Leggerezza adolescenziale? No, esagerato senso di responsabilità. Verso chi? Verso la nostra Calabria, presidente.  Antonino piuttosto che far gravare sulla nostra regione un ulteriore debito per un altro calabrese che si fa curare fuori, preferisce sopportare il dolore. E solo dopo lo scalo a Lamezia Terme, andare in pronto soccorso.

Non sono folli i nostri ragazzi, presidente? Folli e geniali. 

Antonino mi ha fatto scoppiare il cuore. Come madre mi ha fatta arrabbiare, come calabrese piangere. Ha atteso di toccare la sua terra con tutti i rischi che la sanità qui porta con sé. Non gliene è importato nulla. 

«Piuttosto che un medico calabrese lì», ha detto, «un medico calabrese qui».

I nostri ragazzi danno, presidente. Ed è forza la loro, è coraggio, ostinazione, ma anche senso altissimo dell’onore. Non abbiamo il diritto né di illuderli né di tradirli, ma il dovere morale di consegnargli un presente forte su cui costruire un futuro fortissimo. È questione di giustizia sociale.

Gli ospedali in Calabria raccontano miseria e speranza. Sacrificio ed estenuazione. In essi rimbomba il frastuono del resto del mondo anche quando si parla solo il dialetto. Quando i medici all’estremo, senza forze, si affidano al suono della lingua per tradurre la loro solitudine.

Il personale medico e paramedico, in Calabria, è stremato, è al collasso. È troppo poco, sottodimensionato, non ce la fa a rispondere alle urgenze di una massa che chiede di essere curata tutta insieme, contemporaneamente. I medici cubani tamponano, ma non stagnano l’emorragia, non arginano il problema. Mancano le condizioni, materiali e immateriali, necessarie a che venga fuori l’eccellenza che i nostri medici li contraddistingue.

Non è garantita la dignità di chi cura, né quella di chi viene curato Eppure Alvaro diceva che la dignità è al sommo del pensiero dei calabresi. E lo è, alla radice del pensiero lo è, ma c’è un sistema controverso che la mette sotto scacco. E piuttosto che un paradiso dove si recupera o si allunga la vita, gli ospedali diventano inferni dove la vita scorre alla meno peggio con una buona dose di fortuna per chi riesce a scamparla, e un destino crudele per chi invece muore. 

Presidente, se c’è un metodo legale per aggirare la burocrazia, in sanità, in Calabria, lo metta in atto. Utilizziamolo.
I ragazzi come Antonino potrebbero finire, i medici andare altrove, e le madri come me finire di impazzire.
Jole Santelli morì con l’ostinazione di curarsi in Calabria, molti altri dai nomi sconosciuti hanno fatto e fanno e faranno la stessa cosa… 

In Calabria finiti i medici (volontari), Presidente, finiremo anche noi (involontariamente). E Antonino sarà costretto a riprendere l’aereo verso il Trentino, ma con un biglietto di sola andata.

Se esistono sistemi legali per aggirare la burocrazia, in sanità, in Calabria, li consideri, presidente. Potersi curare dignitosamente è al sommo dei pensieri dei calabresi. Anche di Antonino, che ai medici dell’Ospedale di Lamezia Terme dice grazie, e al presidente Occhiuto chiede di lottare perchè il numero chiuso in medicina venga immediatamente abolito. (gsc)

L’AUTONOMIA ESISTE GIÀ DA PIÙ DI 20 ANNI
AL NORD PIÙ SOLDI E AL SUD SOLO BRICIOLE

di GIACINTO NANCILa spesa sanitaria delle regioni ammonta a più del 70% di tutta la spesa pubblica regionale per cui le regioni che ricevono più fondi pro capite per questa spesa sono già differenziate “avvantaggiate” rispetto alle altre.

Da più di 20 anni le regioni del Nord ricevono molti più fondi rispetto a quelle del sud perché il criterio scelto dalla Conferenza Stato-Regioni in applicazione dell’art.1 comma 34 legge 23/12/1996 n. 662 è stata quella del calcolo della popolazione pesata. Questo criterio che da pochi fondi pro capite per la giovane età e molti più fondi per la popolazione anziana ha favorito le regioni del nord che hanno avuto e hanno una popolazione più anziana.

La Conferenza Stato-Regioni per ripartire i fondi sanitari alle regioni non ha mai tenuto in conto i criteri epidemiologici (cioè la numerosità delle malattie presenti nelle regioni) pur contenuti nella sopra citata legge. Ciò ha fatto sì che per più di 20 anni sono stati dati più fondi a quelle regioni che avevano sì più anziani ma in buona salute e meno fondi a quelle regioni che pur avendo meno anziani avevano più malati cronici e quindi necessità di maggiore spesa sanitaria. Di ciò tutti erano e sono al corrente, infatti basta leggere le dichiarazioni di insoddisfazione dei governatori delle regioni del Sud all’ascita della Conferenza Stato-Regioni ogni anno alla fine del riparto dei fondi sanitari e di contro quelle di soddisfazione dei governatori delle regioni del Nord.

Ma ancora più eloquente è ciò che avvenuto nel 2017 quando, per bocca dell’allora presidente della Conferenza Stato-Regioni Bonaccini, è stato annunciata una “parziale” (per come dichiarato dallo stesso Bonaccini) modifica dei criteri di riparto dei fondi sanitari non più solo sul calcolo della popolazione pesata ma bensì su quella della “deprivazione” in rispetto della legge 662.

Ebbene nel 2017 grazie a questa parziale modifica alle regioni del sud sono arrivati ben 408 milioni di euro in più rispetto al 2016, ovviamente la modifica fatta non è stata ne ampliata ne riproposta  negli anni successivi. Se la modifica invece di parziale fosse stata inter e in rispetto della legge 662 la cifra di 408 milioni di euro si dovrebbe moltiplicare per 4 e ogni anno da 20 anni a questa parte. Per rendere l’idea di quanto ampia è la ampia la differenza di numerosità delle malattie croniche presenti nelle varie regioni basta citare ad esempio il Dca n. 103 del lontano 30/09/2015 a firma dell’allora Commissario al piano di rientro sanitario calabrese ing. Scura e vidimato per come prevede il piano di rientro prima del ministero dell’Economia e poi da quello della Salute, nel quale Dca alla pag.33 dell’allegato n. 1 si legge: “Si sottolineano valori di prevalenza più elevati (almeno il 10%) rispetto al resto del paese per diverse patologie”.

E siccome il Dca è fornito di dettagliate tabelle è stato facile calcolare che nei circa due milioni di abitanti calabresi c’erano allora (e oggi ancor di più) ben 287.000 malati cronici in più rispetto ad altri due milioni circa di altri italiani. Nonostante ciò la Calabria è la regione che, da oltre 20 anni a questa parte, è la regione che in assoluto riceve meno fondi pro capite per la sua sanità. Le altre regioni del Sud sono, anche se con meno criticità, nella stessa situazione della Calabria sia per la maggiore presenza di patologie che per il fatto di essere le regioni che ricevono meno fondi per la loro sanità. Ciò è talmente vero che questa estate il governatore della Campania De Luca ha fatto un ricorso al Tar proprio per il fatto che ritiene ingiusti i metodi di riparto dei fondi sanitari alle regioni.

Ma ancora più significativo è il fatto che il governo ha promesso che per l’anno venturo saranno rivisti i metodi di riparto dei fondi e sarà applicato il criterio della deprivazione e non con quello demografico (popolazione pesata), e lo ha fatto ancor prima della pronuncia del TAR immaginando che il ricorso è giusto e il Tar lo accetterà sicuramente.

Le regioni del Sud, a questo punto, devono far sì che nella prossima Conferenza Stato-Regioni sia applicato il criterio epidemiologico, cioè più fondi alle regioni che hanno più abitanti con patologie croniche e non come è stato fino ad adesso: meno fondi alle regioni con più malati. (gc)

[Giacinto Nanci è medico dell’Associazione Medici di Famiglia a Catanzaro]