È QUANTO EMERGE DAI DATI AGGIORNATI AL 2021 DEL RAPPORTO AGENAS SULLA MOBILITÀ SANITARIA;
Il 50% dei malati oncologici in Calabria prefesce farsi curare fuori regione

IN CALABRIA UN MALATO ONCOLOGICO
SU DUE PREFERISCE FARSI CURARSI FUORI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Un malato oncologico su due sceglie di curarsi fuori dalla Calabria. È quanto emerge dai dati aggiornati del rapporto Agenas dedicato alla Mobilità sanitaria.

Il quadro presentato dall’Istituto è un vero e proprio disastro: nella nostra regione sono stat 2.887 i ricoveri di residenti e 2.757 i pazienti che hanno deciso di curarsi fuori regione, con un indice di fuga del 49,7%. Un dato secondo solo al Molise, dove l’indice di fuga è del 50,6%.

Si tratta di dati riferiti al 2021, in cui è emerso che sono 24.744 i pazienti, provenienti da Sud, a essersi spostati al Nord per le cure oncologiche. Nel 2021, la Lombardia ha avuto, ad esempio, 33.940 ricoveri di residenti e 7.264 provenienti da fuori regione; il Veneto ha avuto 19.407 ricoveri di residenti e 3.794 da altre regioni; l’Emilia Romagna ha avuto il 17.029 ricoveri di residenti e ne ha ospitati 2.171.

La Calabria, tra il 2017 e il 2021, per la mobilità sanitaria ha perso circa -159,57 mln di euro, posizionandosi penultima dopo la Campania, che ha registrato un saldo del -185,76 milioni di euro.

Maglia nera, poi, per l’assistenza sanitaria a minori e adolescenti. Come raccontato al Corriere della Calabria, il Stefano Vicari, ordinario di Neuropsichiatria Infantile dell’Università Cattolica di Roma nonché direttore di Neuropsichiatria Infantile del “Bambino Gesù” di Roma, «al pronto soccorso del “Bambino Gesù” accogliamo molte famiglie calabresi che sono costrette a viaggi lunghissimi per poter trovare una risposta ai loro bisogni, al loro diritto di cura».

Altro dato, aggiornato al 4 aprile, riguarda la domanda di prestazioni specialistica ambulatoriale per ogni 100 abitanti. I dati della nostra regione non sono pessimi, ma questo non significa che ci si possa adagiare sugli allori. Per quanto riguarda le visite di controllo, in Calabria sono il 33,71% contro il 45,547% del dato nazionale. Per le ecografie addominali, che vengono fatte 3,1 per ogni 100 abitanti, la Calabria è ultima. Migliora la posizione per l’ecografia ginecologica, che sono 2,0 per ogni 100 abitanti. Per ogni 100 abitanti, vengon fatte 4,6 ecografie, mentre vengono fatte 1,38 prime visite neurologiche. Inferiore il dato per la prima visita ginecologica, che ne vengono fatte l’1,8 per ogni 100 abitante. Alto, invece, il valore per le TC al cranio: ne vengono fatte 1,55 per ogni 100 abitanti, posizionando la Calabria quarta dopo Lombardia, Puglia e Campania.

Questi dati, nel complesso, presentano una sanità che, da una parte, può funzionare ma che, dall’altra, ha bisogno di più strumenti, personale medico e, soprattutto, fondi. Dopo tutto, quella della mobilità sanitaria è un problema atavico della Calabria. Un problema provocato principalmente dal riparto dei fondi sanitari. La Calabria, infatti, «è la regione che riceve pro capite, da più di 20 anni a questa parte, meno fondi per la sua sanità pur avendo tra i suoi circa due milioni di abitanti ben 287000 mila malati cronici in più che non in altri due milioni di altri italiani per come certificato anche dall’ormai lontano», ha denunciato Giacinto Nanci, medico dell’Associazione Medici di Famiglia di Catanzaro.

«Per rendere l’idea di quanto la Calabria e le regioni del sud sono penalizzate – ha continuato Nanci – dall’attuale criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni basti dire che nel 2017 è stata fatta una modifica “parziale” (per come specificato dall’allora presidente delle Conferenza Stato-Regioni on. Bonaccini) dei criteri di riparto basati sulla “deprivazione” e non su quelli “demografici” correnti. Ebbene in base a questa parziale modifica (non riproposta ne tantomeno ampliata negli anni successivi e da qui il ricorso al Tar) alle regioni meridionali sono stati assegnati in più nel 2017 rispetto al 2016 ben 408 milioni di euro e se si considera che la modifica era solo parziale si potrebbe moltiplicare la cifra almeno per 4 e se questo riparto fosse stato fatto da 20 anni a questa parte in cui il riparto è stato fatto invece  con il criterio “demografico” la sanità del sud e quella calabrese, che è quella più penalizzata da questo criterio di riparto, avrebbero avuto molte più opportunità».

«La sanità calabrese – ha evidenziato – oltre a questo handicap del criterio di riparto è penalizzata anche dal piano di rientro stesso cui è sottoposta da oltre 13 anni perché esso fa ulteriori tagli alla sua spesa sanitaria, già insufficiente, proprio per ripianare il presunto deficit, e impone una maggiorazione delle tasse (Irap, Irpef, Accise etc..) ai calabresi, peggiorando oltre alla salute anche l’economia calabrese. Che fare allora?».

Per Nanci, infatti, con i fondi in più si potrebbe pensare di creare «dei centri di eccellenza per le varie patologie perché uno dei fenomeni che peggiorano i conti della sanità calabrese sono proprio le spese per le nostre cure fuori regione nei centri di eccellenza del Nord, che nel 2021 sono giunte alla stratosferica cifra di 329 milioni di euro».

«Un esempio per capire – dice Nanci –: La Calabria con una prevalenza di diabete mellito del 12% non ha un centro per la cura del piede diabetico, la regione Lombardia con una prevalenza di diabete del solo 4% ha più centri per la cura del piede diabetico, per cui i calabresi poi devono andare in questi centri al nord solo per l’amputazione del piede e non per la sua cura. Lo stesso vale per altre patologie». (rrm)