la lunga lettera della scrittrice calabrese giusy staropoli calafati per smuovere le coscienze;
focus elezioni regionali in Calabria

INTELLETTUALI E IL VOTO: ALLA CALABRIA
SERVONO UOMINI E DONNE LEALI E OSTINATI

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – A partire da oggi, il tempo ha una precisa data di scadenza. E sarà il principiare dell’autunno a tirare i conti precisi di cosa sarà della Calabria nel prossimo futuro. Cinque anni non saranno nulla, né granché per rimediare alle carenze ineccepibili su fronti alterni, di una Regione patimento d’Italia, ma saranno sufficienti a determinare il prossimo ventennio dello status regionale calabro, in cui le nuove generazioni o scriveranno la morte definitiva della Calabria, o saranno i testimoni del suo risorgimento.

Il 3 e il 4 ottobre, la Regione andrà al voto, e se una coscienza esiste, non saranno i nomi degli amici a dover essere scritti sulla tessera elettorale, ma quelli dei propri figli, affinché, le annose partenze obbligate, possano diventare scelte di pensiero. 

Ad occuparsi della Calabria ci vuole coraggio. Tutti sanno che se cresce la Calabria, cresce l’Italia. E il Sud ritornerebbe prontamente a scrivere la storia. 

È il senso di responsabilità verso il dovere che scrive la storia di un uomo. È questione di lealtà, ostinazione e senso altissimo dell’onore, direbbe Saverio Strati. E la Calabria ha bisogno di uomini e donne responsabili. Leali e ostinati. Per cui l’onore ha lo stesso valore della dignità. Necessita di calabresi, uomini e donne, che non sono stati, non sono, né mai saranno colti dalla disperazione, dovuta al dubbio che vivere rettamente sia una cosa inutile, e il cui impegno non deve avere altra corrispondenza se non quella della propria morale e della propria etica. 

Chi abita una terra, deve poter essere padrone del pezzo che gli spetta, e lì, in quello spazio, decidere dove piantare l’albero e dove il futuro. È disumano rimanere a guardare compiersi il destino dei luoghi, in cui l’inettitudine e l’indifferenza, la corruzione e il tradimento diventano complici della decadenza, promotori attivi del terremoto sociale e del suo disfacimento. Davanti al compiersi delle sorti della Calabria, di cui nessuno sembra avere pietà né temenza, non si può assistere come da un palco d’opera. A  partecipare al peccato, si rischia l’inferno.

La Calabria, prendendo in prestito le parole di uno straordinario racconto della scrittrice italiana Donatella Di Pietrantonio, non può più essere terra di spolpo né di spopolo. Troppi cimiteri vivi e paesi morti. Un numero esorbitante di abitanti nei primi, e una cifra irrisoria di sopravvissuti nei secondi, che mentre i camposanti si presentano pieni zeppi, le piazze si aprono vuote. E i morti non votano. Non danno preferenze né fanno favori.

Per tutto questo, affinché si possa finalmente compiere il vero giorno della Calabria, di cui Leonida Repaci narrò, e con assoluto devotio, i più intimi particolari, Cari candidati alla Presidenza della Regione Calabria, vi scrivo. E non per distrarmi un po’, ma per ricordarvi che qualcosa qui non va.

A scrivervi è una donna italiana e una madre calabrese. 43 anni di Calabria e 4 figli che non riesco più a trattenere. Questa terra chiede il doppio di quello che da, mi dicono. Ride quando ci nasci, piange quando gli parti, ma non fa niente per farti restare. È incapace di trattenerti. Quaggiù chi si strafoga di potere e chi muore di fame, chi fotte lo Stato sottomettendo la terra, e chi suda come nostro padre. E non paga mai nessuno le malefatte, i torti, i dinieghi, le asfissianti corruzioni che la deflagrano.

Si lotta per i sogni in ogni parte del mondo, ma la Calabria non ne ha. O non capiamo bene se le sono stati tutti uccisi. L’hanno schiacciata questa terra, insistono. I calabresi nemici l’hanno spellata viva, e alle madri, perché la terra lo è, terra madre, non si può riservare certa fine. E non è una lavata di conoscenza la nostra, continuano nella ribellione dello stato d’animo che li affligge, ma proprio non ce la facciamo a vederla sepolcro, quando invece avrebbe dovuta essere culla. Non c’è più posto per noi da questi parti, o forse lo hanno già occupato tutto i forti. Ma comunque il tempo è nostro, e non ne abbiamo più da perdere. 

I miei figli, hanno poche  speranze ormai, non so i vostri, ma le campane di vetro non durano mai a lungo per nessuno. Né per i figli dei poveri, né per quelli dei signori. Né per i lavoratori del popolino, né per i registi che abitano le stanze dei bottoni.

Cari candidati alla Presidenza della Regione Calabria, a scrivervi è una moglie calabrese. 23 anni di sacramento ispirato dalla vita, e piantato in questa terra come una bandiera, e un marito che del lavoro fa le sue giornate intere. Era meglio ce ne fossimo andati, mi dice quando torna casa e si fa sera. Ai nostri figli non abbiamo potuto dare ciò che avremmo voluto. La scelta, non abbiamo dato. L’occasione non gliel’abbiamo mai fornita. Non sono mai potuti essere padroni delle loro scelte, e per colpa della Calabria che li ha delusi, rimarremo soli. Questa terra sfratta prima o poi, insiste, e in essa, prolifica la mafia. Si incarognisce la ‘ndrangheta. Ed io non riesco a dargli torto, ma neppure ragione. La Calabria è un destino dentro al cuore che ti prende e non lo sia lasciare, un destino prepotente che rischia di lasciarti senza niente.

Cari candidati alla Presidenza della Regione Calabria, a scrivervi è una figlia calabrese che mai ha pensato di partire. Come i miei genitori, sono sempre rimasta aggrappata alla mia terra per dovere e responsabilità. Con la speranza che la modernità a venire, avrebbe ucciso i tormenti antichi, le disparità, ma invece non è mai accaduto. Il tempo ha solamente accomodato finali ignobili, e perdite irrecuperabili. Sottraendo ogni millesimale di bene possibile ai luoghi e agli abitanti. Difendere la propria terra resta una delle prove più difficili dell’esistere, e in Calabria c’è sempre uno scarto tra quello che siamo e quello che potevamo essere.  

Cari candidati alla Presidenza della Regione Calabria, a scrivervi è una scrittrice di provincia, meridionale e meridionalista, che ha deciso di fare della Calabria la sua più bella e intensa novella. Il suo racconto, il suo primo romanzo. 

Traccio in questa terra rotte di ritorno e  non indico mai le stazioni di partenza. E nonostante siano finiti gli inchiostri di tutte le penne e delle belle stagioni calabresi, ancora scrivo. Nessuna terra può restare sola, e la Calabria non può, non deve morire, perché quando i miei figli, e quelli delle madri pari a me, torneranno, perché torneranno quando sarà irresistibile il richiamo della terra, e potrebbe essere per restare, quaggiù è necessario vi sia sempre qualcuno ad attendere, ed io non vado altrove, racconto da qui per il resto del mondo. E mi faccio voce, Calabria mi faccio, volto e cuore di tutti quei calabresi a cui manca invece il coraggio di parlare, esporre le proprie idee, e contendersi addirittura la libertà che gli spetta. 

Alla Calabria ho dedicato tutto quanto ho potuto. Sempre. Da quando ero bambina. E sono stati giochi, frasi, temi dalle pagine infinite, poesie, libri, premi, sguardi teneri e curiosi. Lotte, battaglie, convinzioni, idee, progetti, ma soprattutto è stato amore. Perché la Calabria è la terra di cui sempre mi sono scoperta innamorata. Ed è la mia terra. È il mio paese. Il mio centro del mondo. L’alfa e l’omega, direbbe qualcuno.

Abitare in Calabria vuol dire occuparsene. Poteggerne i contenuti, la storia, l’identità, le tradizioni. Abitare in Calabria vuol dire mantenerla. Preservarne il creato e i suoi abitanti. Donarle giuste cure, occasioni, ma soprattutto speranze.

Abitare in Calabria vuol dire fare la sua buona politica. Proporne le risorse, crearne nuove. Occupare gli spazi liberi, e soprattutto e onestamente condurla al trionfo.

Abitare la Calabria vuol dire parlare ai calabresi. Corrado Alvaro diceva che il calabrese va parlato, ed è vero. Io aggiungo che va anche soprattutto ascoltato e voluto bene, e in special modo da quel sé stesso che spesso lo disconosce, pur di prendere possesso di quel po’ di roba che ha.

Cari candidati alla Presidenza della Regione Calabria, il prossimo 3 e 4 ottobre, non portate nomi con voi nelle vostre liste, ma programmi, idee, progetti. Portate il futuro, portate la Calabria. Portate il pensiero di Corrado Alvaro, è l’unico che potrà salvare questa terra dal martirio inflittole dalla storia e per cui ancora è crocifissa nella storia; portate il desiderio di riscatto di Saverio Strati, nelle cui opere riaffiora costantemente la necessità di rinascere Magna Grecia; portate la rosa nel bicchiere di Franco Costabile, il suo cuore cantastorie; e se non vi spiace, anche un pizzico di quella sana follia di Lorenzo Calogero. Portate i miti, i racconti e le leggende, portate anche me se potete, annegata in quella calabresità che più il tempo passa, maggiormente mi comprime il muscolo del cuore. E Come Strati, portate con voi la gente di Calabria come il cuore nel petto. Ri-Portate a casa chi è partito, chi quaggiù non ha trovato un lavoro, le menti, le eccellenze, gli uomini, le donne, il cuore senza cui la Calabria a voi non potrà portare nulla. Né sostegno, né coraggio.

Stilate programmi a lungo termine, e che abbiano visioni lungimiranti,  quasi profetiche, e servitevi, vi prego, dei nostri manuali di vita, di conoscenza, di memoria. Gli unici marcatori identitari in grado di fornire assistenza alla buona politica di questa terra, fatta di valori morali, sociali, culturali civili e soprattutto umani. La letteratura salverà la Calabria, lo dissi, lo dico e lo dirò per sempre. E se questa tesi è follia, allora, Cari candidati alla Presidenza della Regione Calabria,  a scrivervi è una folle donna calabrese, le cui radici sono più forti delle ali, e che qui ha deciso di restare «finché morte non mi separi e un figlio m’atterri lontano senza l’odor dei mandarini». 

In Gente in Aspromonte troverete le domande e le risposte ai guai, alle pene e alla rinascita della Calabria; in Tibi e Tascia il tracciato dei nostri ragazzi, dei giovani che non sanno avere una giusta intesa con la terra in cui sono nati; in Emigranti scoprirete le cause e gli effetti dell’antica dualità tra erranza e restanza; in Caratteri invece avrete modo di tracciare sui volti e sulle storie, le modalità con cui andrebbe presa in carico la Calabria; ne La via degli Ulivi, scoprirete la strada da percorrere per arrivare fino a qui. Nel mio La terra del ritorno infine, le istruzioni per promuovere il viaggio inverso a quello di partenza. 

Un popolo per capirsi deve conoscere i suoi artisti, altrimenti rimane indietro, scriveva Saverio Strati. E aveva ragione. Se candidarsi alla presidenza di questa Regione è un atto di coraggio, allora con coraggio nel programma che andrete a redigere per il bene di questa terra e del suo popolo, inserire lo studio a scuola dei nostri geni letterari, sostenete il manifesto promosso dalla scrivente, e che ormai da mesi campeggia sui tavoli regionali e ministeriali, sottoscritto dai più grandi intellettuali italiani e dai rappresentanti del mondo civile e delle professioni. 

Se con la cultura non si mangia, con l’ignoranza si muore. La cultura fa il mondo bello, intelligente, ricco e operosamente sveglio. L’ignoranza rende la vita della gente brutta, disperata, povera e oziosamente lenta.

Cari candidati alla Presidenza della Regione Calabria, tanto ci sarebbe da dirci ancora, ma a volte per capirsi può bastare anche poco. Il compito di un presidente è certamente arduo, ma è una precisa scelta di campo. La nostra terra è al giro di boa. Continua a sopravvivere come emergenza nell’emergenza. La sanità, il lavoro, i trasporti, e poi anche la scuola e i disagi sociali che persistono, anzi aumentano.  E se oggi è già tardi, figuriamoci domani.

La Calabria non può, non deve sprecare il suo voto, dietro false promesse. La propria libertà va guadagnata. E non una questione di scommessa su questo o su quel nome, ma l’occasione indiscussa in cui essere responsabili è un  dovere.  Per sé e per gli altri. Mangeremo in base all’albero che avremo piantato e alla cura che gli avremo dato. E tutti avremo colpe o meriti, allo stesso modo, nella stessa misura.

Non servono vincitori né vinti, ma senso innato di forte responsabilità per rendere a questa terra ciò di cui ha bisogno. Ai calabresi, la propria terra. Il maltolto. In fondo non serve altro che cercare di fare bene agli altri prendendo ispirazione da Cristo. (gsc)

[Giusy Staropoli Calafati è scrittrice calabrese]