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Il Palazzo di Giustizia di Catanzaro

L’OPINIONE / Indagini e giusto processo, di Marcello Vitale

di MARCELLO VITALE – Quello del “giusto processo” è un tema complesso tuttavia fondamentale, ai fini della trattazione per quanto succinta e per grandi linee dello stesso, risulta l’art. 111 della Costituzione Italiana che al comma primo recita: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”; così generando interferenze rilevanti con i principi cardine del vigente modello di tipo “accusatorio” voluto nel 1989 dal codice “Vassalli”.

Il giusto processo, introdotto dalla legge costituzionale del 23 novembre 1999 n.2, è, in estrema sintesi, il processo che tiene conto dei diritti delle parti e li garantisce in attuazione di vari principi fondamentali tra i quali, in primis, quello che vengano assicurati sia il contraddittorio tra le parti che la condizione di parità tra le stesse, accusa ed accusato, nella ricerca e formazione delle prove, tenuto conto che nel nostro sistema accusatorio la decisione del giudice si forma appunto sulle prove fornite dalle parti.

In quest’ottica, la persona dell’accusato deve essere nel più breve tempo possibile riservatamente informata che ha diritto a un’informativa di garanzia tempestiva, riservata ed esauriente, con specificazione della natura e dei motivi dell’accusa a suo carico. L’accusato deve altresì disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa (per incidens l’art. 24 della Costituzione nel caso di accusato non abbiente, per rendere effettiva la difesa, ha sancito l’istituito del patrocinio a cura dello Stato; e peraltro l’ordinamento, per sostenere il principio di parità nella ricerca e formazione della prova tra accusa ed accusato, ha introdotto, con gli artt. 327 bis e 391 bis c.p.p., la disciplina che consente al difensore della persona accusata di compiere indagini investigative).

Dunque, giova a questo punto precisare e sottolineare che con la legge costituzionale di cui all’art.111 il processo penale perde praticamente (nel bilanciare le esigenze di difesa con le istanze di giustizia tramite l’introduzione del principio di parità tra accusa e difesa)  la sua vecchia natura inquisitoria: sono separate nettamente le due fasi di un procedimento, quella delle indagini e quella del dibattimento, solo nel corso della quale ultima si forma in contraddittorio tra le parti la prova; ragion per cui le dichiarazioni rese durante le indagini non hanno più alcun valore di prova e potranno essere utilizzate dal magistrato soltanto ai fini della credibilità del dichiarante.se non confermate.

Ad esempio, ad eccezione di tre casi particolari tra i quali quello che il testimone sia stato sottoposto a violenza o minaccia, è escluso che quanto detto dai pentiti e testimoni durante la fase delle indagini, possa essere usato ai fini della decisione se non riconfermato in contraddittorio. Con il che trova generale e globale risposta anche la prima parte del tema assegnato: il ruolo delle indagini finalizzato al giusto processo.

In tale ottica direi che il ruolo delle indagini nel processo assume carattere propedeutico e preparatorio in direzione della fase dibattimentale in cui solo si forma la prova utile ai fini della decisione. Ciò beninteso, salvaguardando l’anticipata acquisizione della prova realizzatasi con l’incidente probatorio comportante la sua utilizzazione in sede dibattimentale.

Altro principio fondamentale sancito dall’art.111 della Costituzione è quello secondo cui la legge deve assicurare la “ragionevole durata del processo”; principio che non contrasta ma anzi esalta la serie di valori sanciti dal giusto processo, introdotto in adesione a quanto già in materia stabilito dall’art.6, comma 1, CEDU (“ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole”) e  dall’art.47, co. 2, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea (ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale , precostituito per legge”).

In Italia, per la Cassazione (cfr. sentenza 24901 del 2008) la durata ragionevole di un processo è considerata quella che rispetta il termine di 3 anni per il giudizio di primo grado e di 2 anni per quello di secondo grado (legge Pinto). Malgrado l’esistenza di precise norme nazionali e internazionali, la “ragionevole durata” del processo rappresenta in Italia una chimera per la difficile situazione in cui versano le nostre strutture giudiziarie per la cronica esiguità del personale (magistrati e ausiliari).

Dunque, da una parte occorre agire sull’organizzazione degli uffici giudiziari sotto il profilo dei mezzi in dotazione e delle risorse umane, e, dall’altra, varare, senza alcun spirito di rivalsa o peggio, la riforma delle regole che deve porsi come primario obiettivo la rapidità della decisione; il che necessariamente comporta l’espunzione di tutto ciò che in concreto allunga, complica e intralcia senza servire per davvero ad attuare un processo giusto in concreto ( si pensi ad esempio a tanti casi d’inutilizzabilità di atti).

Sotto tal profilo fondamentale è, forse più realistico dire sarebbe, l’individuazione di strumenti di collaborazione di giudice e parti processuali per il perseguimento dell’obbiettivo della ragionevole durata e del processo giusto, estromettendo le condotte delle parti, che spesso abusano del processo, aventi solo natura dilatoria in quanto non funzionali ad un effettivo diritto di agire e resistere in giudizio.

Sarebbe quindi opportuno individuare gli strumenti che il giudice può adoperare proprio per prevenire e reprimere le condotte abusive delle parti. La riforma del processo in tal senso otterrebbe peraltro il risultato di far diventare marginale il tema della fissazione dei termini di prescrizione dei reati; tema rovente che oggi è al centro del dibattito parlamentare. Se la durata del processo fosse equa, cioè ragionevole, è di tutta evidenza che nella stragrande maggioranza dei casi la conclusione del processo interverrebbe molto prima della maturazione dei tempi di prescrizione. [courtesy LabParlamento]

Marcello Vitale è Presidente Aggiunto Onorario della Corte di Cassazione