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L'OPINIONE / Franco Cimino: Perché mi candido a Catanzaro

Mimì Menniti, i 90 anni, altrove, di un grande ribelle per amore

di FRANCO CIMINO – Oggi, Domenico Menniti, Mimì per tanti amici, quindi anche per me, avrebbe compiuto novant’anni. E li avrebbe raggiunti, e di gran lunga superati, se le solite patologie che si intrecciano in una persona non più giovane non lo avessero fermato a dicembre del duemilasedici, quasi sei anni fa.

Lo avrebbero fatto vivere le vere medicine e i veri vaccini della sua esistenza. Quelli che lo hanno portato, lui da sempre comunista del PCI, coraggioso consigliere comunale negli anni settanta-primi ottanta, onesto lavoratore in Enel, strenuo combattente sindacalista, e della CGIL naturalmente, a battersi come un leone fino all’esaurirsi della sua ultima risorsa fisica. Quali erano le sue medicine vere? Il coraggio delle scelte, dalla prima, quella del campo in cui stare, fino all’ultima, la battaglia per i diritti della persona e per la tutela del luogo in cui essa vive. E vive con gli altri, parimenti titolari di quegli stessi diritti. Un’altra medicina: la coerenza rispetto agli ideali perseguiti e il sentirsi libero di poterli sostenere.

Mimì era, infatti, una personalità forte e speciale, perché possedeva insieme e la fede quasi cieca nell’appartenere, e disciplinatamente, a quel partito vivendo totalmente l’ideologia che lo nutriva, e quella sorta di laicità del suo essere, che lo spingeva, senza alcuna remora, a criticarli. Soprattutto, nell’azione delle sue classi dirigenti, anche locali, e nella non sempre coerente applicazione degli elementi fondatovi durante il farsi della politica.

Mimì, fu sempre un “fideista”, o come lo si voglia più elegantemente definire un uomo di fede accesa, ma anche un ribelle. Per la sua fervida intelligenza pulsante di grandi idee, egli fu un costruttore. Un creatore, cioè, di proposte concrete e di progetti tanto innovativi quanto pratici e realizzabili. Ma nel contempo era irrefrenabilmente oppositore. Non sempre e comunque, ma “necessariamente”. Ché l’opposizione “necessaria” è vitale per le istituzioni democratiche. Lo facevano così ribelle, Mimi, il suo spirito profondo di libertà.

E quell’idea, apertamente manifesta, che il potere, anche quello amico, avesse sempre bisogno di una forza che, quasi per principio, gli si opponesse. Una forza sana, pulita, squisitamente politica e, pertanto, non preconcetta o asservita altrove. Mimì credeva molto in questo spirito di libertà, perché esso contiene sempre la vera energia che libera tutte le cose, la ribellione.

Quel moto irrefrenabile dell’animo che trasforma la rabbia nei confronti dell’ingiustizia in una forza prepolitica utile alla Politica se incontrasse tanti, o anche soltanto pochi, ad esprimerla nelle forme che i conflitti, nella Democrazia e per la Democrazia( su questi temi discutevamo molto), consentono e rafforzano. Uno dei suoi maggiori dispiaceri, oltre quelli per la fine del PCI e la delusione per il comportamento “ opportunistico” di molti compagni, era di non trovare nei calabresi e nei catanzaresi, in particolare, questa voglia di ribellarsi. Questa necessità di opporsi. La delusione per la costante mancanza di un forte senso del dovere neppure verso ciò che più ci appartiene, la Città, lo inquieta non poco.

Mimì, invece, anche questo senso del dovere lo sentiva talmente forte che le battaglie “ buone” per Catanzaro e la Calabria se le faceva anche da solo. Anche contro il suo sindacato, mai abbandonato, e contro suoi vecchi compagni del PCI o della sinistra genericamente intesa. Onesto nella testa e nell’animo, umile fino al midollo nonostante quella sua spiccata intelligenza e quelle competenze straordinarie sui temi energetici( quel filone del Pnrr, e la sua filosofia, sembra sia stato dettato a lui dall’aldilà, egli gioiva quando sulla sua strada incontrava persone che sugli stessi temi, o su altri che lui avrebbe condiviso, si battevano con onestà e coraggio. Non gli importava da dove esse venissero, anche se sulle storie personali prestava rigorosa, talvolta indulgente, attenzione.

Gli interessava dove volessero andare. Su questa strada, noi due, il comunista coerente e il democristiano per sempre, che si sono conosciuti e stimati da lontano, ci siamo incontrati personalmente, divenendo anche amici. Di quell’amicizia buona, fatta da stima prima che dall’affetto. L’amicizia, che non finisce. Quella che non tradisce. E di battaglie, ne abbiamo vinte. Di una, particolarmente, ne andavamo orgogliosi. Perché l’abbiamo vinta davvero da soli. Noi due, con il contributo di Quirino Ledda. Un dono grande alla Città. Che ho la fortuna di carezzare ogniqualvolta, ed è davvero quotidianamente molte volte, vi passo davanti. O quando vi entro per godere dell’arte e della cultura che, pur ancora timidamente, vi si muove dentro.

Con lo sguardo accarezzo questo luogo e penso a Mimì, con cuore grato. (fc)