L’OPINIONE / Raffaele Malito: Conte e Landini, i dioscuri del populismo corporativo

di RAFFAELE MALITO – Non mi pare che gli opinionisti dei salotti televisivi  che discettano  su tutto, si soffermino su un tema politico che sta emergendo e, probabilmente, condizionerà il controverso dibattito sulle sorti del Pd: quello del rapporto tra Maurizio Landini, leader del nostro più grande sindacato, la Cgil, e il nuovo camaleonte della politica italiana, Giuseppe Conte. 

Qualcuno li ha definiti  i dioscuri del populismo corporativo. In effetti si frequentano, si stimano, condividono idee ed analisi della situazione politica, economica e sociale.  Governano le proprie organizzazioni con un dominio totalizzante.                                                                   Landini non ha mai pensato di promuovere una qualche forma di protesta contro i due governi presieduti dal  Che Guevara di Scampia: ha detto, di fatto, sì al reddito di cittadinanza e a quota 100, misure, l’una pauperista e l’altra corporativa, disinteressandosi, da una parte dei conti pubblici e, dall’altro, di un’autentica emancipazione dei giovani attraverso il lavoro, la ricerca di un’occupazione. Si potrebbe aggiungere che non ha mai detto nulla contro i decreti sicurezza di Salvini. 

Ha, invece, solertemente, promosso uno sciopero, insieme con l’Uil ma senza la Cisl, contro il governo Draghi che stava riportando credibilità,  prestigio, all’Italia, capacità di governo, che aveva avviato un lavoro serio di ripresa del Paese. 

Uno sciopero, solo, dunque, per  una dimostrazione di esistenza in vita.

Un combinato disposto tra i settarismi di ribellismo sociale, politico, qualunquista, fatto di slogan: giù le armi, su i salari, assistenza a tutti. Queste le stelle polari che orientano i cinque stelle del Conte camaleonte. Ma non possono essere le stesse per chi rappresenta e dirige un sindacato come la Cgil che ha una grande storia di responsabilità di fronte ai grandi fatti politici del nostro Paese. 

Conte e Landini: entrambi condividono una sorta di spaesamento populista che pesa su una sinistra radicale, che trova, ahinoi ascolto in una parte del Pd,incapace di interpretare i mutamenti nel sistema economico e nelle trasformazioni avvenute nel mercato del lavoro: metodi rivendicativi  del passato- salario come variabile indipendente- rifiuto della decentralizzazione con contratti sempre più centrati sulla azienda piuttosto  che sui contratti nazionali.  Così come netto è stato il rifiuto di ogni innovazione riformista del mercato del lavoro nel senso della flessibilità.  Difesa ad oltranza dell’art.18, contro il jobs act – ottusamente contrastato – che ha aperto opportunità per i giovani,  i voucher  che consentivano lavori stagionali, contratti a termine, flessibilità di orari e tempi di lavoro. Lavorare, comunque, intanto. 

Poi,  certo, l’impegno contro la precarietà ma  anche contro forme di puro assistenzialismo, come il reddito di cittadinanza, vissuto sempre più come uno strumento corporativo. Ma guai a modificarlo né, tanto meno, ad abolirlo: insomma nella logica del conservatorismo sindacale e grillino i poveri diventano una categoria che fa comodo per mantenere e accrescere il consenso.                                                         

Oggi le cinque stelle dell’onda grillina,  identificata nel camaleonte Conte, rischiamo di essere la bussola impazzita di un sindacato sempre più corporativo e chiuso a ogni forma di autentico riformismo:  la storia insegna che quando si insegue e si sceglie la linea corporativa e “rivoluzionaria” si favorisce la destra conservatrice e autoritaria.

Il populismo corporativo di Conte e Landini non è la via migliore per rilanciare il progressismo in Italia e per promuovere una nuova stagione del lavoro. Vanno in questo senso le annunciate mobilitazioni, con scioperi regionali, di Cgil e Uil – ancora una volta senza la Cisl – nei prossimi giorni, a cui si lega, non casualmente, la manifestazione di piazza del Pd contro il governo per il 17 dicembre.

Ho seguito per molti decenni da vicino, da giornalista, l’impegno – o meglio, la missione-  del Sindacato,  dei  dirigenti calabresi  e quelli,  di grande prestigio, nazionali. Ne cito solo alcuni momenti cruciali: quando Luciano Lama e Giovanni Agnelli, nel 1975, firmarono il patto per la scala mobile contro l’inflazione; quando  Bruno Trentin, Pierre Carniti, Giorgio Benvenuto,  gli storici leader dei metalmeccanici, vennero, con Lama, a Reggio, nel 1972, capeggiando la grande “ marcia dei cinquantamila” per rispondere alla strategia fascista della “rivolta”; quando, a metà anni ’70, Bruno Trentin guidò una grande manifestazione a Gioia Tauro per il V Centro siderurgico;                                                                                                                                     quando  Cgil, Cisl e Uil, nel 1992, firmando, con il governo Amato,  in piena emergenza economica e politica,  l’accordo per la concertazione sulla politica dei redditi,  nuove relazioni industriali con la riforma del sistema contrattuale- nazionale e decentrato- si  caricavano sulle spalle il destino del Paese assumendo impegni e responsabilità da classe dirigente  nazionale, interpreti e portatori di interessi generali.                

Un abisso tra quei dirigenti sindacali del  passato e quelli del populismo corporativo di oggi. (rcs)

REDDITO DI CITTADINANZA, TRA POLEMICA
ELETTORALE E SOSTEGNO PER I PIÙ DEBOLI

di PIETRO MASSIMO BUSETTAVoto di scambio o grido di dolore? Il reddito di cittadinanza continua ad essere un tema centrale rispetto all’andamento della competizione elettorale.

In molti lo ritengono uno strumento che è stato utilizzato in modo perverso da un raggruppamento politico senza scrupoli. Il Movimento Cinque stelle lo difende a spada tratta sfidando chiunque voglia eliminare una misura che, sostengono, ha salvato molti dalla povertà in un periodo particolarmente difficile, prima caratterizzato dalla pandemia ed ora da un aumento dell’inflazione che sta erodendo molti dei redditi degli italiani e delle pensioni, soprattutto quelle più basse. 

La cosa più facile é dire che incoraggia molti a scegliere di non lavorare, perché è molto più comodo avere un sussidio, che ti arriva mensilmente, piuttosto che faticare per avere un salario decente. E poiché tale strumento è utilizzato prevalentemente nelle regioni del Mezzogiorno il pensiero conseguente é che i meridionali sono nullafacenti, scansafatiche, e per essere completi aggiungerei anche mandolinari e mangia spaghetti. Completando la serie di luoghi  comuni che individuano le popolazioni dello stivale. 

Peraltro lo strumento ha colpito  pesantemente una certa imprenditoria del Nord che era abituata, soprattutto per i lavori occasionali e stagionali, ad avere tutta la manodopera che serviva loro. Ed in molti casi avere manodopera bianca e che parla in italiano è molto più comodo che  averla nera e che balbetta la lingua. Ma ha disturbato anche molta imprenditoria del Sud, abituata ad avere una massa disponibile che pressava  sul mercato del lavoro e che invece con tale strumento è venuta meno. 

Il tema è diventato di quelli dirompenti soprattutto perché  le forze politiche, che ritengono che tale strumento vada abolito o perlomeno pesantemente modificato, si sono convinte che abbia indirizzato il voto di molti elettori verso il Movimento5S, adesso partito, che del suo mantenimento ne ha fatto un cavallo di battaglia della campagna elettorale. 

Mentre dall’altra parte il Movimento 5S sostiene che è un loro merito aver saputo interpretare le esigenze di una popolazione marginale, che versa in stato di grande bisogno. Certamente non si può nascondere che alcune volte lo strumento può incoraggiare alcuni, abituati a vivere di espedienti, mettendo insieme reddito  di cittadinanza e lavoretti in in nero, a rinunciare ad un vero lavoro strutturato.

La verità però è che di lavori che abbiano una dignità sufficiente per essere chiamati tali,  nel Mezzogiorno, ve ne sono pochi e che le esigenze di un mercato del lavoro asfittico, nel quale l’offerta dei lavoratori sopravanza pesantemente la domanda delle imprese, sono sempre estremamente limitate.

Il macigno dell’esigenza della creazione di un saldo occupazionale di oltre 3 milioni di posti di lavoro,  per arrivare al rapporto popolazione occupati dell’Emilia-Romagna,  sta sempre lì ad incombere per dare quella spiegazione del fenomeno che molti non vogliono comprendere. Se ogni anno vi sono 100.000 persone che abbandonano la realtà del Sud, con un costo per le varie casse regionali di oltre 20 miliardi, considerato che ogni individuo per essere portato alla scuola media superiore  costa 200 milioni, è evidente che la realtà meridionale è più complessa di quanti la vogliano semplificare con stereotipi che sarebbe l’ora di abbandonare. 

E che invece la capacità di affrontare le difficoltà che la vita presenta é forse molto più grande nei ragazzi del Sud di quanto non abbiano coloro che evitano pure di  andare all’università, perché tanto il lavoro lo trovano facilmente dopo le scuole medie superiori. Tra parentesi non bisogna dimenticare che moltissimi di coloro che emigrano ogni anno, per  il primo periodo, che spesso non si limita a pochi mesi,  vengono aiutati pesantemente dalla famiglia, con rimesse importanti perché la remunerazione che percepiscono non è sufficiente per mantenersi fuori casa, cosa che provoca il primo salasso. 

 Il secondo si verificherà quando i genitori compreranno loro la casa nella periferia milanese. La gente del Mezzogiorno é in cerca di una forza politica che lo rappresenti, che si prenda carico di una problematica che dal 1860 è diventata sempre più irrisolvibile.

Stanca di vedersi utilizzare come colonia dove si può catapultare la Brambilla animalista a Gela, come la Fascina semi moglie a Marsala,  cerca, delusa  da molti partiti che dichiarano di volersene occupare solo a parole, qualcuno che la rappresenti adeguatamente e che possa contrapporsi ad una Lega che porta 100 rappresentanti nel Parlamento italiano, e ad un partito unico del Nord, nel quale si inserisce anche Bonaccini del PD, che vuole quell’autonomia differenziata che in assenza dei Lep, dei quali non si parla più, possa consentire ai bambini di Reggio Emilia di avere quei servizi che quelli di Reggio Calabria non riescono nemmeno a sognare. 

Per questo quello che viene dal Mezzogiorno e che andrebbe adeguatamente interpretato é un grido di dolore, una richiesta di aiuto, ma anche un moto di rabbia, perché ormai in tanti si sono stancati di essere sudditi, non di un re, ma di una realtà nordica che indirizza risorse, investimenti, infrastrutture, servizi in generale solo verso una parte.

E che al momento opportuno fa carte false per non perdere l’investimento della Intel, che porterà tanti posti di lavoro in un Veneto che non ha nemmeno il capitale umano da impiegare nelle fabbriche. 

Quando Conte dice a Renzi di provare a scendere tra la gente, senza la sicurezza che lo protegga, in modo assolutamente sbagliato perché  è sembrata una minaccia, evidenzia che il Sud è diventato una polveriera e che il pericolo che il bisogno possa portare a delle reazioni scomposte  é immanente.  

D’altra parte anche il segnale di Cateno De Luca, che oltre ad avere poco meno del 30%, non essendo supportato da alcun partito alle elezioni regionali siciliane, riesce a portare due rappresentanti nel Parlamento nazionale dà la dimensione di un disagio che non può essere ridotto alla questua di un popolo mendicante. 

Ma non mi pare che tali chiavi di lettura siano comprese da una realtà nazionale che continua il suo percorso, minacciando con Zaia di far saltare la formazione del nuovo Governo se non si procede immediatamente con quell’autonomia differenziata che sarà un ulteriore passo verso la secessione di fatto di una parte del Paese, che apre un panorama che potrebbe portare a  scenari non prevedibili. (pmb)

SI VOTA CON L’INCOGNITA ASTENSIONISMO
CALABRESI AVVILITI MA NON CAMBIA NULLA

di SANTO STRATI – Tra populismo di ritorno, sovranismo mascherato, una sinistra senza identità e in caduta libera e un centro – da molti vagheggiato – in cerca di spazi, agli elettori oggi non si presenta un’offerta in alcun modo allettante. Anzi,  saranno in tanti a guardare con sollievo la fine di questa orrenda e volgarissima campagna elettorale dove è prevalso il dileggio dell’avversario, la sua demonizzazione (da una parte e dall’altra), piuttosto che un confronto leale tra programmi e idee. E quando la politica scende a livelli così bassi, con una disaffezione fin troppo evidente, è ovvio che il populismo, quello becero e più insidioso, riesce a trovare spazi insperati.

Cosa resterà ai quasi quattro milioni di ragazzi che oggi, per la prima volta, si avvicineranno (?) alle urne, con la facoltà di esprimere il voto anche per la Camera alta (in precedenza votavano per il Senato solo i maggiori di 25 anni)? Non sappiamo la percentuale di quanti rinunceranno per fattori oggettivi (il non voto di chi studia e lavora lontano dal luogo di residenza è un’infame situazione che il Parlamento si è rifiutato di sanare) o per scelta ideologica, o, peggio ancora, per disinteresse totale e rifiuto della politica. Ma sarebbe un grave errore immaginare che ai giovani la politica non interessi, è semmai il contrario: è la politica che si è disinteressata delle nuove generazioni, declinando in quest’occasione una serie di verbi al presente indicativo, dimenticando di usare il tempo futuro. Una scelta scellerata che avrà il suo peso nella formazione delle future classi dirigenti: i nostri ragazzi, quelli bravi, laureati a pieni voti e con lode, ma anche quelli con un voto di laurea risicato, hanno imparato a proprie spese che la Calabria non è un paese per giovani. C’è chi il trolley l’ha preparato già dal primo anno di università, rinunciando, ahimè, a tre atenei che nella loro terra sfiorano l’eccellenza ma pur preparando una classe formata e competente di laureati, soprattutto, in campo scientifico, non vedono offerta poi alcuna opportunità di lavoro, di crescita delle competenze, di utilizzo delle capacità dei loro laureati. È colpa della politica regionale, si potrebbe dire per assolvere i governanti che si sono succeduti in 50 anni di Regione pur con lampanti indizi di colpevolezza, ma in realtà è tutto il sistema nazionale che viaggia su binari paralleli a rafforzare l’odioso divario. Nord e Sud continuano a essere separati grazie a una politica miope e occupata a spremere il Sud (ricco serbatoio di competenze formate a spese dei meridionali) e a valorizzare le già ricche regioni del Nord.

Una delle prime scelleratezze che il probabile governo che ci toccherà subire (vista l’impossibilità per gli elettori di scegliere a piacimento i propri rappresentanti) riguarda l’ampliamento del divario, ovvero l’applicazione dell’autonomia differenziata, dove a far testo sarà l’incostituzionale criterio della “spesa storica”: più hai speso (avendo le risorse), più avrai; meno hai investito (per mancanza di fondi destinati al Sud, spesso inutilizzati per incapacità), meno ti tocca. Questo significherà disagi ulteriori per le popolazioni meridionali, ma ai politici che nelle ultime settimane hanno riscoperto il Sud per fare incetta di voti con marketing social-populista, poco importa. Stasera in molti prepareranno i fazzoletti per dire addio ai Palazzi e qualcuno festeggerà l’insperata rimonta.

È facile trascinare le folle, con spregiudicate tattiche subliminali di pseudo-convincimento, giocando la carta del reddito di cittadinanza. “Giuseppi” Conte – che qualcuno continua a ritenere ingenuamente  l'”avvocato del popolo” – ha giocato sporco – diciamo la verità – facendo balenare la possibile cancellazione del reddito di cittadinanza da parte degli avversari e terrorizzando una schiera di disgraziati che nella stragrande maggioranza dei casi sopravvive grazie a questo strumento di welfare sociale. In Calabria, per dire, sono circa 220mila i percettori del reddito di cittadinanza e probabilmente altrettanti sono coloro che aspirano a poterlo ottenere: una massa incredibile di elettori presi per la gola (ci si consenta questa crudezza) con la garanzia del mantenimento del reddito di cittadinanza, ma solo se premiati dal voto. In verità, Conte, da buon incantatore di serpenti, ops – scusate – di folle di disperati adoranti non ha fatto altro che cogliere al balzo l’opportunità che i suoi amici e avversari gli hanno offerto. Nessuno dei politici ha capito cosa significa per milioni di italiani poter contare su una risorsa mensile assicurata per consentire una qualche sopravvivenza: lo strumento è giusto, ma la sua modalità di applicazione sbagliata. Va mantenuto, ma dev’esser un sostegno a chi il lavoro l’ha perduto o non riesce a trovarlo, non a chi preferisce poltrire (o lavorare in nero) e aspettare i quattrini sulla Postepay sociale. Non è un mistero che centinaia di operatori del turismo, quest’estate, si sono visti rifiutare offerte di lavoro da tantissimi giovani percettori del RdC: chi gliela faceva fare di andare a lavorare?

Stupidamente le destre, ma anche la sinistra, hanno gestito male la questione del reddito di cittadinanza e hanno offerto su un piatto d’oro una valanga di voti al partito di Conte (che col Movimento 5 sStelle crediamo abbia poco a che fare) che da dato per disperso ha riconquistato facilmente le piazze dei percettori dell’aiuto di Stato, molti disperati, troppi furbastri. Conte non ha fatto altro che cogliere il sentiment di una piazza avvilita, stufa e scontenta e trasformarlo in consenso. Un po’ quello che Grillo e i suoi hanno fatto nel 2018: allora si sono schierati contro la casta (ma poi lo sono diventati molti di loro) e hanno raccolto la rabbia e la voglia, ovvero lanciato la scommessa, di cambiamento. E qui, non tanto la destra con i suo proclami anti-profughi e il sovranismo mascherato da aspirazione al presidenzialismo (leggi potere assoluto), ha sbagliato, ma soprattutto la sinistra ha perso il treno della rinascita, trascurando la larghissima voglia di riformismo che l’avrebbe portata alla vittoria. Si è toccato con mano quanto sia distante il Paese della politica da quello reale. Ma non sperateci: nessuno farà un mea culpa e tutto resterà come prima, secondo la logica gattopardiana “cambiare tutto perché nulla cambi“.

Stasera conosceremo il nuovo volto del Paese e quali scenari si andranno a prefigurare. Se la Meloni non supera il 40% con la coalizione avrà poco da pretendere dal Paese che non ha mostrato di andare in delirio per leghisti nordisti-pentiti o fratellanze di dubbia affettuosità. Ma se Atene piange, Sparta non ride: a sinistra si raccoglieranno i cocci di una politica inesistente e il risultato sarà di una ingovernabilità assicurata. Cosa che il Paese, in questo momento, non si può permettere. Una sola proiezione possiamo permetterci, in attesa del voto: passato il 25 settembre, tutti quelli che hanno riscoperto il Sud (per ovvie necessità elettorali) se ne dimenticheranno in fretta. I nostri giovani continueranno a vedersi rubare il futuro, la Calabria sconterà più degli altri gli effetti perversi e nefasti del caro-bollette, il Ponte sullo Stretto tornerà dentro l’immutabile wish-list che il carosello della politica propina da anni a calabresi e siciliani, e la crescita e lo sviluppo del Sud resterà un sogno. Malgrado il Pnrr e le buone intenzioni del governatore Occhiuto. Buon voto a tutti. (s)

Mercoledì Giuseppe Conte a Catanzaro

Mercoledì 8 giugno, Giuseppe Conte sarà a Catanzaro in Piazza Pola alle 21.

Conte, infatti, interverrà all’iniziativa pubblica insieme ai parlamentari calabresi del Movimento 5 Stelle, per sostenere il candidato sindaco Nicola Fiorita, la lista e l’intera coalizione. Lo ha reso noto il deputato Paolo Parentela, dichiarando che «partecipazione, condivisione, contenuti, unità ed entusiasmo ci contraddistinguono in questa campagna elettorale, che stiamo svolgendo tra i cittadini e nei quartieri, con l’obiettivo di vincere e di cambiare Catanzaro». (rcz)

LA CALABRIA DI CONTE CHE POI NON VOTA
E QUELLA, DISILLUSA, CHE VUOLE SOGNARE

di SANTO STRATI – A sette giorni dal voto di domenica prossima dove 1.893.606 elettori calabresi sono chiamati a scegliere il nuovo Presidente della Regione e il colore del futuro governo regionale, si può trarre una semplice e amara constatazione: non s’era mai vista una campagna elettorale così arida, così insulsa, così vuota. Dove attaccare l’avversario è stato l’unico leit-motiv ricorrente, giorno dopo giorno, al posto di presentare progetti, programmi e, soprattutto, idee. Sappiamo già che contro quest’affermazione insorgeranno i candidati, ognuno facendo valere il proprio impegno, indicando i km percorsi, le persone incontrate, i comizi e i confronti, ma la sensazione che si coglie nel popolo calabrese, tra gli elettori della regione, è prevalentemente di sconforto, quando non di amarezza e sdegno. Se c’era stato un timido riavvicinamento alla politica poco prima delle passate elezioni (dove peraltro le astensioni hanno raggiunto il 55,67 per cento), oggi la disillusione e la non fiducia nella classe politica hanno raggiunto livelli impensabili. Sono arrivate in redazione telefonate di “compagni” del vecchio Pci che, con le lacrime agli occhi e la voce strozzata hanno detto: «Non vado a votare, a che serve?».

Ci sarà pure una ragione per questa disaffezione alla politica che non è legata al lockdown forzato dell’anno scorso o al rinvio continuo delle elezioni, quanto piuttosto all’assoluta assenza di una classe politica dirigente locale in grado di emergere e farsi valere. Il gioco della ricerca di un candidato (forse sfogliando la rubrica del telefono) da parte del Partito Democratico non è piaciuto agli elettori della sinistra e ha finito per alimentare nuove amarezze e disillusioni. Il ticket Spirlì “imposto” da Salvini (manco fosse il tutore speciale del futuro della Calabria) ha generato, dall’altra parte un forte risentimento in chi si è sentito, ancora una volta, materia di scambio e non corpo elettorale, di cui difendere ideali e sogni. Lo stesso vale per il balletto De Magistris-Tansi della prima ora, finito con insulti e reciproche accuse di slealtà su un progetto che era fatto solo di dichiarazioni programmatiche. E, infine, l’ardimentoso quanto inutile e sofferto tira-e-molla dell’ex presidente Oliverio alla ricerca di legittimazione e del dovuto rispetto da parte del Nazareno, quanto meno per la sua storia politica, sfociato in una candidatura al singolare, col ruolo di guastafeste della sinistra (ma quale sinistra?).

Se si prova a fare un mix di queste realtà vissute prima e durante la campagna elettorale, il frullato che viene fuori è imbevibile e immangiabile (politicamente parlando): è la triste conferma che la politica in Calabria ha accettato di scomparire, alimentando disillusione e rabbia in tutti gli schieramenti. E pensare che, singolarmente, pure emergono personalità, dall’una e dall’altra parte, che hanno dignità e spessore per meritare attenzione e consenso, solo che si sono fatti stritolare da un ingranaggio diabolico, servito a rendere impossibile qualsiasi riscatto (con buona pace dell’indovinato slogan elettorale di Falcone/De Magistris) slegato dai compromessi partitici.

La sensazione più diffusa, tra i calabresi (almeno che coloro che non tengono a riposo il cervello), è di una terra che non interessa a nessuno, salvo a essere utilizzata come merce di scambio nel puzzle nazionale del bieco partitismo. L’incastro di interessi e opportunità non fanno il gioco della Calabria, tant’è che dall’alto sono state prese le decisioni su uomini, strategie e indirizzi, sempre ignorando il territorio, tradendo la base, dimenticando che non si governa su stupidi sudditi, ma è necessaria la condivisione di idee e soprattutto non può mancare il confronto con un elettorale che è molto più intelligente di quanto i politici pensino. Ma il confronto con il territorio non c’è stato, la prima fugace visita di Enrico Letta ha tenuto radicalmente lontana la base, e si è dovuto aspettare i riempi piazze come Salvini, Meloni e, da ultimo, Conte, per avere la sensazione (attenzione solo la sensazione) di un contatto diretto con il popolo. È vero che De Magistris e la Falcone hanno fatto un’ottima campagna sul territorio incontrando persone, imprenditori, lavoratori, studenti, ma anche qui si ha come la sensazione che l’area civica abbia vellicato più la rabbia popolare che stuzzicato sentimenti di buona politica. Ma è già qualcosa, dopotutto.

E non ci si faccia ingannare dagli affollati comizi dell’ex premier Giuseppe Conte, con la sua “toccata e fuga” (al pari di altri leader nazionali): l’assembramento (pur proibito e, ovviamente, largamente invidiato dagli avversari) non equivale sicuramente a consenso. Conte ha fascino, glamour, piace alle cosiddette “bimbe di Conte” che senza vergogna arrivano persino a offrirsi (in tutti i sensi), ma la notorietà non basta in politica, smuove al più qualche punto in percentuale, ma nulla di più. La gente – a nostro modesto avviso – ha affollato le piazze di Cosenza, Catanzaro, Reggio e delle altre città non per riaffermare la primazia politica dei CinqueStelle (conquistata inopinatamente nel 2018 e malinconicamente smarrita nel corso di questi anni) bensì per vedere e toccare l’idolo delle folle, alias Giuseppi (come l’ha ribattezzato Donald Trump), alla stessa stregua di quelli che sono andati a vedere Zucchero, Massimo Ranieri o un qualsiasi altro personaggio del mondo (solamente luccicante) dello spettacolo. Più per curiosità che per serio convincimento politico. Se Conte decidesse di fare monologhi a teatro riempirebbe certamente le sale come il suo aedo Marco Travaglio, peccato che nelle piazze calabresi abbia semplicemente recitato un copione vuoto e colmo solo di lapalissiane promesse. Ha replicato in ogni occasione – senza convincere molto – cose dette e ridette, ovvero promesse e illusori impegni che i calabresi hanno già classificato come tali. Basti pensare alla risposta che l’ex premier Conte ha dato a chi gli chiedeva dell’Aeroporto di Reggio, destinato a perire ingloriosamente per l’ignavia dei politicanti locali: «È un argomento da prendere in seria considerazione». Fine del film.

Con queste premesse i calabresi hanno, a ben vedere, mille ragioni per non nascondere il disgusto per questa politica, che si occupa più di poltrone e seggiole da assegnare piuttosto che puntare su competenze e capacità, che – ripetiamo –, in verità, ci sono, ma quasi sempre vengono messe da parte per far posto a scelte amicali, tra opportunismi e interessi di partito. Difficile non capire questo sentimento di sfiducia e di profonda mestizia che si rivela a prima vista tra gli elettori calabresi, né lo capiranno in questi sette giorni, i boss della politica che arriveranno a frotte a riempire gli spazi del popolo degli indecisi. A conti fatti, la volta passata, il 26 gennaio 2020 votarono 840.563 elettori (su 1895.990), ovvero il 44,33%. Quest’anno gli iscritti a votare sono 926.956 uomini e 966.650 donne e di questi ben 378.583 vivono all’estero (e non votano). Tra le tante corbellerie di questo governo “provvisorio” l’unica cosa seria (spingere per ottenere il voto per corrispondenza) non è stata fatta, né l’assemblea di Palazzo Campanella ha ritenuto di modificare la legge elettorale inserendo il voto disgiunto (in modo da poter votare per un presidente e contemporaneamente per una lista politica diversa): troppo facile, troppo comodo, a rischio per l’una e l’altra parte. Ma chi può sostenere che, al di là dell’interesse della destra e della sinistra, il voto disgiunto, in una campagna elettorale aspra e sterile come questa, non avrebbe fatto – stavolta sì – gli interessi dei calabresi? (s)

L’ex premier Giuseppe Conte a Reggio, tra folla, contestazioni e fuori programma

Il bagno di folla dell’altro ieri a Cosenza (ma il divieto di assembramento vale solo per i poveri “sudditi” di questo Paese?) ha confermato la popolarità di cui continua a godere l’ex premier Giuseppe Conte venuto in Calabria per un tour de force-maratona elettorale di due giorni. Ieri pomeriggio a Reggio, prima del suo arrivo un piccolo gruppo di ex attivisti dei 5 Stelle ha espresso a piazza De Nava una tiepida contestazione verso il Movimento, poi c’è stato un fuori programma con il giornalista Luigi Palamara che ha dichiarato di percepire il reddito di cittadinanza e di essere grato per questo sussidio che lo aiuta a sopravvivere. Conte, con alle spalle la candidata del centrosinistra Amalia Bruni, ha tenuto il microfono a Palamara per permettergli di esprimere il suo pensiero e il suo ringraziamento.

Un microfono “biricchino” ha fatto capire poco delle dichiarazione di Conte: «c’è una vergognosa campagna di delegittimazione del reddito di cittadinanza: non c’è nulla da vergognarsi, anzi. Si deve vergognare lo Stato e la società italiana se ci sono delle persone in povertà assoluta e prima che intervenissimo noi non era stato fatto nulla. Non consentiremo mai che venga cancellato: è una misura di protezione sociale. E noi dobbiamo garantire ai percettori del reddito di cittadinanza piena dignità sociale».

Conte ha parlato del giornalista reggino Luigi Palamara, “l’Arciere”: «lui gira dal mattino alla sera per testimoniare, per rendere un servizio pubblico. Bisogna pensare a progetti di pubblica utilità, come il suo, per offrire lavoro ai percettori del reddito di cittadinanza».

Conte ha arringato la piazza come un consumato politico: «se avete temi che vi stanno a cuore per la vostra città, parliamone, faremo un focus per trovare le soluzioni». E quando qualcuno gli lancia la parola aeroporto, l’ex premier se l’è cavata con una battuta: «L’aeroporto è chiaro che è un tema su cui lavorare». Un po’ pochino per una popolazione esasperata e incazzata nera per uno scalo lasciato a morire, isolando ancor di più tutta l’area metropolitana di Reggio.

Poi ha parlato di sanità: «È disastrata» – ha detto Conte – e ha tirato in ballo Amalia Bruni che «da governatrice risolverà i problemi». Ma si è dimenticato Conte che è stato lui a venire a Reggio nell’aprile 2019 con un Consiglio dei ministri straordinario a imporre alla Calabria un vergognoso commissariamento con un ancor più umiliante decreto. Gli attivisti pentastellati gli hanno già perdonato tutto e il premier inebriato da tanto consenso sogna di fare il pieno alle elezioni, dimenticando il serio avvertimento che il grande socialista Pietro Nenni amava ripetere spesso: piazze piene, urne vuote. (s)

Elezioni / Giuseppe Conte: Stop al commissariamento della sanità calabrese

Il leader del Movimento 5 StelleGiuseppe Conte, nel corso di un incontro a Catanzaro a sostegno della candidata del centrosinistra, Amalia Bruni, ha sottolineato come «la nuova amministrazione regionale, quella che uscirà da questo voto – e ovviamente confido che questo nostro progetto sia vincente – dovrà assumersi la responsabilità, dopo la gestione commissariale e dopo gli interventi normativi e finanziari che abbiamo fatto, di affrontare la politica sanitaria calabrese con mezzi ordinari. Quindi stop al commissariamento».

«Abbiamo contribuito – ha proseguito il leader – alla designazione di una candidata presidente della Regione che capisce di sanità. È una grande ricercatrice, è una punta di eccellenza nella ricerca nel campo medico e scientifico calabrese, quindi stiamo offrendo un progetto che pone la sanità e il miglioramento della qualità dei servizi sanitari al primo posto».

«Adesso c’è stata stata una pandemia – ha detto ancora Conte, in merito al Reddito di Cittadinanza – e abbiamo avuto un milione in più di persone in povertà assoluta. Il reddito di cittadinanza è una misura di civiltà che tutti gli altri paesi occidentali hanno. Noi l’abbiamo introdotta in ritardo quindi fare polemiche politiche solo perché è stato il Movimento 5 stelle che l’ha voluta e introdotta significa veramente essere vigliacchi. Questi sono comportamenti vigliacchi. Il Movimento 5 stelle è in prima linea per perfezionarne l’applicazione, per migliorare l’efficacia ma il reddito di cittadinanza non si tocca, che sia ben chiaro». (rcz)

Elezioni / Giuseppe Conte sarà in Calabria il 21 e 22 settembre

Il 21 e 22 settembre Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 Stelle, sarà in Calabria per le elezioni regionali del 3 e 4 ottobre, a sostegno della candidata Amalia Bruni.

Il 21 settembre, Conte sarà a Catanzaro, dalle 16 alle 17.30, per incontrare i cittadini. Lo ha reso noto il deputato Giuseppe d’Ippolito, spiegando che Conte «interverrà sulle necessità della Calabria, specie sulle prospettive per il territorio lametino legate ai miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza».

«Lamezia Terme e il suo comprensorio – ha continuato il deputato – possono finalmente riscattarsi da anni di degrado ed abbandono, di umiliazioni ed ombre che hanno precisi e noti responsabili politici. Adesso c’è la possibilità di votare per una prestigiosa candidata del territorio, la dottoressa Amalia Bruni, e di costruire un progetto, rivoluzionario, di governo pulito e competente della Regione».

«Ciò – ha concluso – anche grazie al contributo importante del nuovo Movimento 5 Stelle, guidato proprio da Giuseppe Conte, il più amato presidente del Consiglio della storia repubblicana». (rrm)

Carlo Tansi si schiera con Conte se farà una nuova formazione politica

Il candidato presidente alla regione Carlo Tansi, a capo della lista civica Tesoro di Calabria, ha annunciato che sarà al fianco dell’ex premier Giuseppe Conte (sconfessato da Beppe Grillo nel suo progetto politico), se dovesse dar vita a una nuova formazione politica.

«Il Prof. Giuseppe Conte, a mio avviso – dice Tansi –, per la sua alta competenza professionale, per il suo pragmatismo, per la sua capacità di mediazione e di essere risoluto nelle sostenere le scelte di governo e, non ultimo, per la sua integrità morale, può rappresentare un modello per una classe dirigente rinnovata e capace di dare voce ad una istanza politica di carattere civico, ma orientata verso un progetto di sviluppo socio–economico capace di utilizzare le risorse per la modernizzazione del Sistema Italia e soprattutto del Meridione.
Dal primo momento in cui si è affacciato alla vita politica nazionale, ho guardato a Giuseppe Conte con speranza e senza illusioni; ho sentito la sua passione civile, la sua visione politica, autenticamente vicina alle istanze del civismo costruttivo.
Mi sono sentito molto vicino a Lui, finanche oggi, a causa della sua inquietudine umana per la diversa impostazione organizzativa che ha tentato di dare al Movimento 5 Stelle; impostazione che lo accomuna, ancora di più, alla mia avventura civile e politica, che spero sia recepita e condivisa dagli aderenti e dai sostenitori di M5S.
Care calabresi e cari calabresi, non tutti i mali vengono per nuocere. Ho sofferto molto per la separazione politica da Luigi de Magistris, convinto però che il desiderio di riscatto per la nostra terra, sia comune e senza reticenza alcuna.
Abbiamo da sempre – e continueremo per sempre – cercato di mettere al primo posto della nostra agenda politica la Calabria e i calabresi, combattendo e contrastando quel sistema di potere trasversale che ha tutelato gli interessi di pochissimi in danno di un popolo. L’esperienza delle scorse elezioni è risultata straordinariamente rivoluzionaria rispetto alla reale volontà di cambiamento e coinvolgimento di 60.000 persone che, scegliendo la nostra proposta politica, hanno deciso di varcare il Rubicone e sfidare una oligarchia piena di mercenari al soldo del potere politico regionale. Consenso esponenzialmente consolidatosi con la netta affermazione di Enzo Voce eletto sindaco di Crotone con le liste di Tesoro Calabria. Pertanto non mi sono mai sentito né solo, né sconfitto, né instabile, per come vorrebbero descrivermi strumentalmente i miei avversari politici e personali.
Per queste ragioni, se Giuseppe Conte, dovesse decidere di costituire una nuova formazione politica, noi saremo al suo fianco e metteremo a disposizione tutto quello che abbiamo costruito con passione e sacrificio negli ultimi anni, nell’interesse esclusivo della Calabria». (rp)

Grillo boccia in modo sprezzante il progetto di Conte: è solo una bozza e via

Non sono passate neanche 24 ore dalla conferenza stampa dell’ex premier Giuseppe Conte che ha indicato le difficoltà di portare avanti un progetto politico senza un vero progetto politico che rilanci il Movimento 5 Stelle, e Beppe Grillo con un lungo post su facebook boccia in modo sprezzante il suo lavoro: «è soltanto una bozza, e via». La rottura pare ormai insanabile il M5S rischia di impantanarsi ancor di più senza alcuna via d’uscita e, soprattutto, una guida “politica2 in grado di oltrepassare questo insostenibile momento di confusione e disorientamento.

Grillo, registra su Facebook un messaggio che non lascia spazio al alcuna intermediazione e lancia una consultazione in rete degli iscritti, però di nuovo sulla piattaforma Rousseau solamente per l’elezione del Comitato direttivo. Non intende sottoporre al giudizio della base le proposte contenute nel nuovo statuto proposto da Conte e, di fatto, tronca qualsiasi ipotesi di compromesso che i capi storici del Movimento (Di Maio in testa) erano convinti di poter portare a compimento.

«Mi sento così – afferma Grillo–: come se fossi circondato da tossicodipendenti che mi chiedono di poter avere la pasticca che farà credere a tutti che i problemi sono spariti e che dia l’illusione (almeno per qualche mese, forse non di più) che si è più potenti di quello che in realtà si è davvero, pensando che Conte sia la persona giusta per questo.

Ma Conte può creare l’illusione collettiva (e momentanea) di aver risolto il problema elettorale, ma non è il consenso elettorale il nostro vero problema. Il consenso è solo l’effetto delle vere cause, l’immagine che si proietta sullo specchio. E invece vanno affrontate le cause per risolvere l’effetto ossia i problemi politici (idee, progetti, visione) e i problemi organizzativi (merito, competenza, valori e rimanere movimento decentralizzato, ma efficiente).

E Conte, mi dispiace, non potrà risolverli perché non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione.

Io questo l’ho capito, e spero che possiate capirlo anche voi.

Non possiamo lasciare che un movimento nato per diffondere la democrazia diretta e partecipata si trasformi in un partito unipersonale governato da uno statuto seicentesco.

Le organizzazioni orizzontali come la nostra per risolvere i problemi non possono farlo delegando a una persona la soluzione perché non sarebbero in grado di interiorizzarla quella soluzione e di applicarla, ma deve essere avviato un processo opposto: fare in modo che la soluzione decisa, in modo condiviso, venga interiorizzata con una forte assunzione di responsabilità da parte di tutti e non di una sola persona. La trasformazione vera di una organizzazione come la nostra avviene solo così.

La deresponsabilizzazione delle persone con la delega ad un singolo nelle organizzazioni orizzontali è il principale motivo del loro fallimento.

C’è un però. Assumersi la responsabilità significa smettere di drogarsi, smettere di voler creare l’illusione di una realtà diversa da quella attuale ed affrontarla. Insieme, con i tempi e le modalità giuste.

Come una famiglia, come una comunità che impara dagli errori e si mette in gioco senza rincorrere falsi miti, illusioni o principi azzurri che possano salvarla.

Perciò indìco la consultazione in rete degli iscritti al MoVimento 5 Stelle per l’elezione del Comitato Direttivo, che si terrà sulla Piattaforma Rousseau.

Il voto su qualsiasi altra piattaforma, infatti, esporrebbe il Movimento a ricorsi in Tribunale per la sua invalidazione, essendo previsto nell’attuale statuto che gli strumenti informatici attraverso i quali l’associazione si propone di organizzare le modalità telematiche di consultazione dei propri iscritti sono quelli di cui alla Piattaforma Rousseau (art. 1), e che la verifica dell’abilitazione al voto dei votanti ed il conteggio dei voti sono effettuati in via automatica dal sistema informatico della medesima Piattaforma Rousseau (artt. 4 e 6).

Ho, pertanto chiesto a Davide Casaleggio di consentire lo svolgimento di detta votazione sulla Piattaforma Rousseau e lui ha accettato.

Chiederò, poi, al neo eletto Comitato direttivo di elaborare un piano di azione da qui al 2023. Qualcosa di concreto, indicando obiettivi, risorse, tempi, modalità di partecipazione vera e, soprattutto, concordando una visione a lungo termine, al 2050.

Questo aspettano cittadini, iscritti ed elettori.

Una visione chiara di dove vogliamo andare e in che modo.

Il perché, il cosa e il come.

È sempre stata la nostra forza: consentire a tutti di sapere quale sarà il viaggio e accogliere chi è pronto per una lunga marcia». (rp)