di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – La Calabria, nella sua lunga storia, sembra spesso far coincidere disgrazie e gioie E da sempre a tratti piange e altri sorride. Senza scomponimento, ma con accurata risolutezza. Essa infatti è proprio nella dualità dei sentimenti che prova e provoca, e che le circostanze le suscitano e originano negli altri, che trova la sua forza. E si ostina, risale, e con audacia procede.
Nel 1908 per esempio, le due sponde dello Stretto, furono interessate da uno degli eventi sismici più catastrofici del XX secolo. Il 28 dicembre di quell’anno, nell’arco di soli 37 secondi, fu danneggiata gravemente la città di Reggio Calabria. Ma appena tre mesi prima, esattamente l’11 di settembre, mentre le finestre delle case di Bovalino, se ne stavano ancora aperte sullo Ionio, donna Mariannina Procopio, dava alla luce uno dei più grandi geni letterari del ‘900 italiano. Mario La Cava.
La Calabria ha sempre affrontato la sua storia, seguendo precise teorie di sopravvivenza. Mai si è lasciata spaventare o anche sottomettere, né dal dolore né dagli accadimenti, ché mentre la tribolazione e l’accoramento passano, le gioie restano, si imprimono nella pancia dei giorni, e sulla base di esse si istruiscono i popoli.
La nascita di Mario La Cava, qualora fosse sfuggita come gioia vera allora, lo diventerà nel tempo. In tanti infatti, dal mondo culturale a quello civile, a ricordo di quella nascita, a tutt’oggi confermano che senza quel pezzo di letteratura bovalinese, la Calabria sarebbe stata un’altra e l’Italia pure.
La Cava nasce in una famiglia medio borghese. Il padre, Rocco, è un insegnante, la madre, Marianna Procopio, una donna a cui, nonostante i pochissimi studi, tanto da esser costretta, in età adulta, a prendere lezioni di lettura proprio dal figlio Mario, viene attribuita la fama di scrittrice, per aver narrato con un linguaggio decisamente parlato, piccoli racconti, in grado di trasmettere al lettore, per intensità e forza, sentimenti legati a vicende ed esperienze, cariche di partecipazione affettiva, capaci di rievocare alla mente la memoria.
Mario La Cava, terminati gli studi presso il liceo classico di Reggio Calabria, si trasferisce a Roma, dove per tre anni frequentò la facoltà di medicina. Insoddisfatto della scelta decise di cambiare e si trasferì a Siena dove nel 1931 conseguì la laurea in Giurisprudenza. La lontananza dal paese però, non sarà mai un desiderio né un piacere per il giovane La Cava, così terminato il ciclo di studi, decide di ritornare al paese natio dove rimarrà, quasi ininterrottamente, fino alla fine dei suoi giorni. Bovalino infatti, con le sue storie, la sua vita, i suoi racconti e la sua gente, diventa il suo centro del mondo. Non sarà mai attratto né interessato particolarmente dai viaggi, Mario La Cava. A fornirgli continui e nuovi elementi di conoscenza saranno le storie incontrate direttamente, e dalle quali verrà costantemente ispirato.
“Ho speso una vita per scrivere, per analizzare la Calabria. Non so se bene o male. Questo non tocca a me dirlo. Posso dire che ho fatto grandi sacrifici sperando che questa terra potesse avere una sorte migliore, come credo che avrà…”
Conosciuto da tutti come l’avvocato, La Cava, abbandona giovane l’avvocatura e si dedica interamente ai suoi interessi letterari. Un rischio che l’autore coglie pur sapendo, come diceva Corrado Alvaro, che non si vive facendo solo gli scrittori. Eccellente ricostruttore della vita paesana e cittadina. Perfetto osservatore della realtà attraverso la quale riesce a vedere il mondo e coglierne l’essenza. Scrittore di verità e mai di fantasia, che non inventa storie, ma le traccia, le intreccia e le snoda, su fatti vissuti e raccontati. Radicato ai luoghi come alle origini, senza per questo mai perdere di vista la visione universale dell’uomo, facendone osservazioni morali e notazioni di vita.
La sua narrativa si pone deliberatamente a difesa degli umili e dei miti che affida alla terra e a cui la terra gliel’affida. “… spero di aver pure dato una voce ai più umili della mia terra…”
Mai affine alle logiche culturali moderne, né alle mode che queste sempre tentano di seguire, nel 1932 scrive il suo primo racconto lungo Il matrimonio di Caterina, apprezzatissimo tra gli altri, da Alvaro e Moravia, che pubblicherà però a ben 45 anni dalla sua prima stesura ed esattamente nel 1977. E da cui, nel 1983, venne tratto un film per la televisione di Luigi Comencini.
Nel 1939, pubblica il suo libro più conosciuto, Caratteri. 354 descrizioni, di singoli tipi umani, in cui la descrizione, spesso ironica, dei personaggi, si traduce in un vero e proprio affresco sociale.
A seguire: I misteri della Calabria (1952), Colloqui con Antonuzza (1954), Le memorie del vecchio maresciallo (1958), Mimì Cafiero (1959), Vita di Stefano (1962), Viaggio in Israele (1967, ristampato nel 1985), Una storia d’amore (1973), I fatti di Casignana (1974), La ragazza del vicolo scuro (1977), Terra dura (1980), Viaggio in Lucania (1980), Viaggio in Egitto e altre storie di emigranti (1986), Tre racconti (1987), Una stagione a Siena (1988), Opere teatrali (1988), Ritorno di Perri (1993), Mario La Cava, Personaggio ed Autore (1995).
La Cava, grazie alla sua scrittura, rende sempre più fervente e vivo il suo impegno culturale e civile.
Nel 1953, Elio Vittorini, scrive a Mario La Cava: “… Coltiva un suo genere speciale di brevissimi racconti in cui fonde il gusto dell’imitazione dei classici e lo studio naturalistico del prossimo… (…)”.
Leonardo Sciascia invece, sempre riferito allo scrittore di Bovalino, in un articolo del 1987, sostiene che: “…le cose di La Cava costituivano per me esempio e modello del come scrivere: della semplicità, essenzialità e rapidità cui aspiravo”.
La letteratura di Mario La Cava mette in luce i valori fondanti della cultura meridionale che prolifica nella parte più mite e intima della società. I suoi libri si sviluppano sulla base di ambienti precisi come quello del contadino calabrese, lasciando libera la voce della sofferenza e anche quella dell’emarginazione che il popolo di cui lo stesso scrittore si sente parte, è costretto a subire, come d’altronde chiunque vive alla fine e nei finali delle terre. E la Calabria di La Cava, come quella di tutti gli altri geni letterari calabresi, è una terra che trova posto sempre e solo negli ultimi banchi di un’Italia fanatica e progressista, negli ultimissimi di un’Europa lontana e frammentaria, in cui a contare è più la struttura che l’uomo. Ma è una Calabria che non si arrende, e che riemerge dal pantano, o almeno ci prova.
“Vivere accanto alla gente comune, soffrire della sua incomprensione ed ottusità, contrastare con la sua malignità, può essere una grande scuola di vita. Niente è più nocivo allo scrittore che credere reale il mondo sofisticato dei salotti culturali. Solo nei piccoli centri è possibile seguire gli itinerari di vita della gente per ricavarne trame di romanzi.”
Il genio di Mario la Cava nasce nella specificità di una Calabria semplice e identitaria, che vede sbucare, come dalla terra i germogli, dal suo luogo fisico ben definito, la forza prorompente della letteratura. Un’area geografica precisa in cui a prolificare assieme alla società contadina e all’onorata società sono l’ispirazione, la scrittura e i libri. La necessità di una narrazione a volte dannata, che straforma il luogo identitario e primordiale in stato d’animo diffuso e nuovo. E dove a concentrarsi sono i nomi di Corrado Alvaro, Saverio Strati, Francesco Perri, Saverio Montalto e quello dello stesso Mario La Cava, che non si sottrae nel sottolineare il genio intellettuale di cui fu madre-Patria, la sua Locride.
“ Nel pezzo di costa che a Roccella va a Capo Spartivento, le intelligenze sono scoppiettanti, concentrate. È un luogo – la Locride – benedetto da Dio: scrittori, pittori, intellettuali, gente d’ingegno, e delinquenti, ahimé, ma pure loro geniali.
Ma nonostante la sua grandezza intellettuale, La Cava è costretto anch’egli a una forma scoraggiante di oblio, non trovando posto tra i banchi di scuola. Né in Calabria né altrove. E rimane esiliato nella sua piccola Bovalino. Quasi come se lo Ionio, mare striato da una quantità indefinita di azzurri, fosse rimasto sempre, come per Cesare Pavese, luogo di confino. E lì vi si ritrova a far solitudine tra colleghi di parola e di Calabria.
Eppure, a Bovalino, contro la resistenza di una Calabria spesso inconcludente, è possibile trovare un esempio concreto di come la letteratura può salvare la Calabria, di questa carta su cui personalmente insisto, affinché venga giocata per la salvezza della tanto blasonata calabresità.
A Bovalino è possibile scoprire la necessità della parola, e proprio negli scritti di Mario La Cava. Così come a San Luca, negli scritti di Alvaro, a Careri in quelli di Perri, a Sant’Agata in quelli di Saverio Strati.
I libri di uno scrittore possono quanto più possibile essere interpretati a piacimento da chiunque ne intraprende la lettura, il pensiero invece no, quello va capito. Ma a parte la società civile, il guaio è che la scuola, in quanto massima istituzione della conoscenza e del sapere, non si sforza nella comprensione del messaggio che La Cava, e gli altri parimenti a lui, lanciano attraverso la propria scrittura, il proprio racconto e la propria opera. E la mancata comprensione lascia dannatamente indietro. Arretra le piccole comunità rispetto al resto del mondo. E le confina.
A Bovalino, i libri e l’opera di Mario La Cava, a tutt’oggi, fortuna per chi ne coglie l’occasione, continuano a vivere grazie al Caffè letterario Mario La Cava e all’omonimo premio che, con entusiasmo, riescono a far arrivare nella città natale dello scrittore esponenti di spicco della letteratura mondiale, e continuano a far viaggiare per il mondo, l’opera e il pensiero di Mario La Cava.
Un merito, una riconoscenza, ma soprattutto un forte senso di responsabilità nei confronti di una terra – la Calabria – che si genera e si rigenera negli scritti e nel pensiero dei suoi più grandi autori.
Se la scrittura è strumento in grado di raccontare ciò che l’autore “geniale” è capace di scrutare e di intendere dell’animo umano, allora La Cava e tutti gli altri calabresi, geni delle lettere, non sono assolutamente da considerare semplici scrittori, ma maestri di pensiero, da cui apprendere e imparare. E senza la cui conoscenza non vi è alcun genere di futuro, né preparate future generazioni.
L’11 settembre 2021, Mario La Cava avrebbe compiuto 113 anni. Forse tanti per la vita di un uomo, ma mai abbastanza per la forza che emana il pensiero di un intellettuale come lui. (gsc)