STALETTÌ (CZ) – Si proietta il film “Il matrimonio di Caterina” tratto dal romanzo di Mario La Cava

Domani sera, a Stalettì, alle 21.30, nell’anfiteatro di Palazzo Aracri, sarà proiettato il film Il matrimonio di Caterina di Luigi Comencini e tratto dal romanzo dello scrittore calabrese Mario La Cava.

L’evento di martedì rientra nel ricco calendario di attività organizzate (un grazie particolare all’assessore Salvatore Bocchino) dal Comune di Stalettì e in stretta e fruttuosa collaborazione con la Cineteca della Calabria.

Non si tratta di una semplice proiezione di film ma sarà l’occasione per approfondire il dibattito letterario su La Cava e il cinema, aperto alle riflessioni e alle domande del pubblico. Sul tema, interverranno personalità di assoluto rilievo e competenza: l’ideatore della rassegna, il regista Eugenio Attanasio, presidente della Cineteca della Calabria; il sindaco di Stalettì prof. Mario Gentile, particolarmente attento alle tematiche culturali che cerca di sostenere con molteplici iniziative; la professoressa Maria Brutto, Dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo “G. Bianco”, studiosa di letteratura che peraltro a suo tempo si è laureata con una tesi su Corrado Alvaro espressionista, che si interessò dello stesso La Cava; lo scrittore e poeta Mario D’Agostino, intellettuale poliedrico impegnato per tanti anni a Roma e rientrato nella nostra Calabria per continuare a dare il suo contributo di crescita; la professoressa Giovanna Moscato, dirigente scolastico dell’Istituto superiore “Montalcini”, promotrice culturale, apprezzata scrittrice di romanzi per i quali peraltro ha ricevuto il Premio Mar Jonio. Modera il giornalista Luigi Stanizzi, portavoce della Cineteca della Calabria fin dalla nascita di questa meritoria struttura, che tanto lustro sta donando alla nostra regione per l’autorevolezza e l’originalità delle iniziative. (rcz)

A Catanzaro un evento interamente dedicato a Mario La Cava

di ELISA CHIRIANOForse anche le fotografie, che Mario La Cava scattò nel corso del suo viaggio in Israele nel 1961, potranno, prima o poi, essere esposte nello Spazio Coriolano Paparazzo – Cine Sud: è questo l’auspicio di Francesco Mazza, che a Catanzaro, su Corso Mazzini, ha realizzato con il suo staff un suggestivo luogo di incontri e confronti d’autore.

Proprio qui, lo scorso giovedì 4 luglio, tra la mostra “Fotografie dell’umano”, l’incantevole volto di Nega ritratta da Nino Bartuccio e il dramma dei migranti raccontato da “Popoli in movimento” di Francesco Malavolta, si è svolto un evento interamente dedicato a Mario La Cava. Uomo leale e generoso, viaggiatore instancabile, animato da un’eccezionale passione per la lettura e per la letteratura, con la quale instaurò un rapporto diretto senza filtri o mediazioni.

Scrittore colto, che prese la lezione dei classici e la elaborò in maniera del tutto originale, rifiutando ogni tipo di poetica precostituita e orientandosi verso un personalissimo stile narrativo, alimentato anche dalla letteratura francese, russa e italiana dell’Ottocento e del Novecento. Incarnò il modello dell’intellettuale autonomo, indipendente, atipico, ben distante da luoghi comuni.  Il suo stile narrativo, sobrio, misurato, disadorno, attento alla sua gente, ma anche proiettato oltre i confini regionali, non è stato ancora pienamente compreso da certa critica, che ha tentato di storicizzarlo, facendolo entrare in questa o quella corrente letteraria.

Di Mario La Cava si è discusso in occasione del terzo “giovedì letterario” voluto, organizzato e moderato da Francesco Mazza, in dialogo con due critici e ben noti studiosi di letterature europee, Milly Curcio e Luigi Tassoni, fra l’altro legati allo scrittore di Bovalino da grande amicizia. Significativa la presenza in sala anche di Grazia e Rocco La Cava (figli dello scrittore), oltre a Domenico Calabria, presidente del Caffè letterario Mario La Cava di Bovalino.

Un pomeriggio dedicato alla riscoperta di un autore che sapeva guardare dentro e oltre, che ebbe, fra l’altro, una fitta corrispondenza epistolare con Leonardo Sciascia (notissima l’edizione curata proprio da Curcio e Tassoni), e che nel 1961 a proprie spese e con l’accredito della sede lucana del “Corriere del Mezzogiorno”, si recò a Gerusalemme per assistere alle fasi finali del processo a Adolf Eichmann (nella stessa sala stampa c’era anche il filosofo Hannah Arendt).

Viaggio in Israele, pubblicato per la prima volta nel 1967 da Edizioni Fazzi, e che La Cava definì “libretto”, in realtà è un testo di sorprendente attualità, unico nel suo genere, proprio perché non può essere ascrivibile a nessuna classificazione specifica. Tuttavia, come annotò con rammarico lo stesso autore, non godette di buona fortuna e passò pressoché ignorato sia dai lettori che dalla critica letteraria. L’ultima edizione, curata da Milly Curcio, con un saggio di Luigi Tassoni, è stata pubblicata nel 2011 da Edicampus, nella collana dell’Università di Roma Tor Vergata. Si tratta di un prezioso libro, ormai introvabile, e pertanto è indispensabile pensare a una nuova edizione, magari arricchita da ulteriore materiale documentario, come ad esempio la corrispondenza che legò Mario La Cava a cittadini israeliani al suo rientro in Calabria.

«È un romanzo sul bene e sul male, ma anche qualcosa d’altro –  sottolinea Milly Curcio – un unicum dal punto di vista stilistico e letterario (il protagonista, l’autore e l’io narrante, ad esempio, coincidono nella stessa persona). Erroneamente questo libro è stato presentato come un romanzo-inchiesta, un romanzo-storico, un reportage, un quaderno di viaggio, ma non è niente di tutto ciò».

Di pregio sono le dodici pagine centrali in cui La Cava descrive Eichmann, il suo aspetto, quegli occhi che «nemmeno per un momento si prestarono ad essere guardati”, “le labbra di chi non aveva mai sorriso ad alcuno». «È un libro che va letto anche facendo attenzione a tre livelli strutturali e formali che si integrano senza sovrapporsi, consiglia da semiologo Luigi Tassoni, confrontandolo con le diverse posizioni di Bellow e di Kertész. Il primo livello è dato dall’occasione del processo ad Eichmann; il secondo è costituito dal viaggio in sé, che diventa anche imprevedibile e avventuroso; il terzo caratterizza una sorta di viaggio nel viaggio, che La Cava compie tra la gente e le case di ebrei e musulmani, a scoprire, con il piglio del giornalista, ma anche del narratore, gli aspetti peculiari di una società così simile a quella del Sud d’Italia.

«Viaggio in Israele è un vero gioiello – prosegue Tassoni – anche e soprattutto se confrontato con opere scritte nello stesso decennio e sullo stesso tema, come ad esempio “Gerusalemme: andata e ritorno” del Nobel per la Letteratura 1976 Saul Bellow». L’intento che guida però i due autori è diverso: La Cava vuole conoscere la quotidianità di quella gente di Israele. Bellow cerca tipi umani che rispondano alla sua domanda “chi è un ebreo e cosa è – o non è – l’ebraismo?”

Il ricco epistolario Lettere dal centro del mondo 1951-1988” (Rubbettino, 2012), curato da Milly Curcio e Luigi Tassoni, è un essenziale punto di riferimento per il lettore o lo studioso che oggi voglia accostarsi alla riscoperta di due grandi narratori del Novecento. È la fitta corrispondenza (che si legge quasi come un romanzo) tra Mario La Cava e Leonardo Sciascia, e rivela i retroscena privati, le difficoltà, persino il freddo e la solitudine, che dànno origine alle opere di due maestri del romanzo e del racconto europeo. Molte sono le somiglianze tra il più giovane scrittore siciliano e l’amico maestro calabrese sin dagli esordi. Racalmuto e Bovalino: la provincia diventa centro del mondo, grazie agli occhi aperti di scrittori, che sapevano guardare al mondo, al di là di angusti confini regionali.

Ne dànno prova i venticinque Racconti di Bovalino, pubblicati da Rubbettino nel 2008, con una prefazione di Luigi Tassoni e postfazione di Milly Curcio, in un linguaggio nitidamente classico e semplicemente moderno, che ci offrono un microcosmo di fortune e sfortune, di grazia e disgrazie, amori e disamori, aspirazioni, disdette e sogni, appartenenti a una memoria comune e alla radice della nostra storia di oggi.  Il fascino della narrazione di La Cava è in quel tempo sospeso che tuttavia conserva il pregio dell’attualità. «Le cose di La Cava costituivano per me esempio e modello del come scrivere: della semplicità, essenzialità e rapidità a cui aspiravo» – scriverà Leonardo Sciascia nel 1987.

L’incontro di Catanzaro si è concluso con la lettura di alcuni brani estratti dalle opere di La Cava (riportati anche nel volume Terzo Regno. Parole come pietre e luci. Scrittori calabresi, pubblicato nella collana editoriale Cine Sud, a cura di Francesco Mazza), con un intervento del Presidente del Caffè Letterario di Bovalino, Domenico Calabria, e del prof. Franco Cimino.

Forte commozione ha suscitato tra i presenti anche la proiezione di un estratto di “Mario La Cava. L’arte della semplicità”, film-documentario girato nel 1985 con la regia di Mario Foglietti e con testo di Luigi Tassoni, che, come i film-documentari realizzati con la regia di Francesco Mazza, offre una testimonianza diretta e utile ai giovani lettori sugli scrittori calabresi.

Mario La Cava: una vita spesa per scrivere della Calabria

“…ho speso una vita per scrivere, per analizzare la Calabria, non so se bene o male; questo non tocca a me dirlo. Posso dire che ho fatto grandi sacrifici, sperando che questa terra potesse avere una sorte migliore, come credo che avrà“. (Mario La Cava)

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Era Novembre. Per fortuna il 16 e non il 17, ma probabilmente non avrebbe fatto differenza.  Sapeva bene che quando la morte arriva non guarda in faccia né i giorni né i mesi né gli anni. Niente e nessuno. Ma ugualmente novembre sembrava essere un mese un po’ più modesto rispetto agli altri per compiere la dipartita. E per Mario La Cava andò proprio così. 

Il 16 novembre 1988, lo scrittore si spegneva nella sua casa di Bovalino, dove aveva trascorso la sua vita. Tra l’odore dei libri e quello dello Ionio. All’età di 80 anni, moriva il padre dei Caratteri del Sud. Intellettuale stimato dalla gente a apprezzato dalla critica. Uomo dal pensiero libero, da sempre impegnato nella lotta ai diritti civili. 

Sacrificio e abnegazione, legati agli anni duri di una Calabria povera, da cui però La Cava non fugge, anzi, appunta ogni cosa. Il dolore, la fame, il valore della terra, l’inettitudine umana. Una vita da scoglio in una Bovalino amatissima, ma che si scopre anche da mare aperto, nel racconto delle sue storie, dove La Cava viene fascinosamente sorretto dall’ardore della conoscenza. Gli anni di formazione, i viaggi, il rapporto con il resto del mondo. Uno scrittore che non falsa mai la sua identità, e resta uomo anche nei libri, rifacendosi a un’esistenza che non è mai agiata né ricca, né troppo ricercata. 

«Sono nato a Bovalino, un paese della Locride, sul mar Ionio, nel 1908. 

Sono uno scrittore ormai anziano, ma molto fortunato per aver vissuto così a lungo. Abbastanza fortunato se penso che i dispiaceri, i disturbi e le seccature che si hanno, non siano cose sempre perdute per l’animo umano. L’esperienza di dolore serve alla conoscenza. Ed io, alla mia età, non dico che mi rallegro di quello che è stata la mia vita, ma la posso accettare con notevole coraggio.

Scrivo. Ho cominciato a scrivere da giovane. La mia passione da principio è stata quella di fare qualcosa che fosse servita a farmi segnalare sugli altri, ma non sapevo che cosa.

Avevo da studente il complesso dell’inettitudine linguistica, dell’incapacità di esprimermi in un linguaggio corretto. Sono calabrese e non avevo dietro di me le glorie letterarie della Toscana. Il linguaggio che parlavo in famiglia era il dialetto, e credevo che il linguaggio delle lettere fosse fortemente lontano. Invece ho visto che il linguaggio letterario può fondarsi benissimo sulla lingua parlata, sul dialetto comune. 

Ho scritto varie opere. Molti sanno che sono uno scrittore, ma pochi mi hanno letto. In Calabria soprattutto, si legge poco, sono molti quelli che scrivono, poeti soprattutto. Tutti vogliono giudizi, chiedono di essere letti, ma nessuno è disposto a leggere gli altri. Noi che viviamo in Calabria, non possiamo dire di essere in luogo ideale per comunicare, avere chi ci voglia leggere e ascoltare, però è un luogo ideale per altri versi. È un luogo in cui la natura parla con la sua bellezza, in cui gli uomini sono, anche nel male, schietti, non falsati dall’estrema civiltà. Abbiamo stimoli culturali notevoli, pur vivendo qui, in questa regione, in un lembo della Calabria, come vivo io da tanti anni. 

Sono nato all’inizio del secolo, e sono stato fortunato, perché avrei potuto morire molto tempo prima. Ancora non sono morto, e spero di prolungare questa mia permanenza sulla terra più che sia possibile, purché abbia la capacità di una mente vigile, perché altrimenti non è vita. 

Questo volevo dirvi».

Mario La Cava, nella veste di romanziere e sopraffino meridionalista, dà un contributo unico ed inequivocabile alla letteratura italiana. Nelle sue opere viene raccontata, e con ricognizione reale, la tragicità della gente di Calabria. Il destino, quasi sempre avverso, di un popolo a volte incapace, altre  impossibilitato, a scegliere. Per questo, i libri dell’avvocato, come tutti riconoscevano Mario La Cava, laureato in Giurisprudenza a Siena, pur con una grande cultura umanistica, vengono considerati necessari alla vita. Pagine di trattati umani apprezzatissime persino da Leonardo Sciasca, il quale, su La Cava, ebbe sempre parole di grande merito. 

«Come quelli di Enrico Morovich, quelli di La Cava sono libri che stanno, che non si muovono, che non si rimuovono, che non conoscono ascese e cadute, cui né ombre né risalto danno il mutare dei gusti e delle mode».

Uno scrittore fortemente legato alla sua terra, Mario La Cava, quella Calabria che, scrive Repubblica, ricordandolo nel giorno della sua morte, ha fornito i prodotti più tipici del realismo meridionalista. Uno scrittore mite e incompreso, titola invece il Corriere della Sera, lo stesso giorno dello stesso anno, in un articolo firmato da Giuliano Gramigna.

«Piccolo, minuto, il cranio lucido, gli arguti e allarmati dietro gli occhiali, Mario La Cava appariva ciò che era, un uomo mite. Ma capitava che si animasse di colpo, per uno sdegno, un impegno civile o letterario: allora la sua voce un poco stridula si alzava per un momento a toni acuti, i gesti diventano fitti e frenetici».

Uno dei massimi autori calabresi, scrivono ancora Il Tempo e Il Giorno. Uno scrittore prolifico e raffinato, “Una voce scomoda del Sud”, Il Sole 24 Ore.

La Cava guarda il mondo attraverso i ritratti, gli scorci, i racconti autentici di una Calabria che è dentro di lui e dentro cui egli ha responsabilmente deciso di restare. Non avrebbe potuto, altrove, trovare ispirazione per i ritratti e i bozzetti dell’umanità che egli narra in Caratteri, la sua opera più celebre. 

Mario La Cava, resta uno dei pochi esclusi dalla categoria degli intellettuali meridionali delle partenze. Egli non lascia la Calabria, non parte per affermarsi altrove. Un calabrese intellettuale anomalo come Fortunato Seminara, i soli due rimasti in terra natia. La Cava deve alla sua restanza, l’autenticità della sua narrazione, sempre  geniale, sincera, mai falsata, e senza per nulla mai prendere in presto storie o situazioni altrui. 

Il professore Pasquino Crupi, uno dei più grandi meridionalisti e intenditori della letteratura calabrese, recandosi a casa di Mario La Cava, nel giorno dei suoi funerali, ai microfoni di una tv locale, fa un’analisi dello scrittore che è intima e altrettanto realista. «La Cava – dice Crupi – restando in Calabria, è consapevole di essere uno scrittore di provincia, lo ha scelto, ma mai, mai di La Cava nessuno potrebbe dire di uno scrittore provinciale. Uno scrittore progressivo, invece, di cui però molti si sono ricordati in morte. La Martin – aggiunge – diceva che la letteratura italiana è una letteratura dei morti, e aveva ragione. Dei nostri scrittori bisognerebbe ricordarsi quando sono in vita, per aiutare loro e al tempo stesso noi.

Ricordare La Cava, vuol dire ricordare gli ambienti e i personaggi della vita meridionale, che hanno dato senso e significato alle pagine dei suoi romanzi. I suoi libri infatti sono testamento di una Calabria spesso sconfitta, dentro la quale è lo stesso La Cava a essere trascurato e incompreso». 

«La scarsa fortuna commerciale dei suoi libri, – afferma Giuliano Gramigna – non aveva mai intaccato la sua dignità. Semmai si rammaricava appena di avere tanto lavorato e di trovarsi alla fine con quasi nulla in mano, soprattutto dal punto d vista pratico; e di avere i cassetti pieni di inediti, e ancora molto da raccontare».

La Cava fu maestro di un genere letterario, oltre che scrittore dal respiro europeo. La  sua letteratura ha avuto e a tutt’oggi ancora ha un compito importante nella società civile. Pur narrando una storia semplice, essa è una letteratura elevata, rivolta alla conoscenza piena dell’uomo. 

Oggi in pochi ricordano lo scrittore di Bovalino. A 33 anni dalla sua morte, molti hanno dimenticato il nome di Mario La Cava. Una disattenzione inaccettabile, che può essere riparata solo studiandolo e leggendolo (nelle scuole).

«…Le cose di La Cava costituivano per me esempio e modello del come scrivere: della semplicità, essenzialità e rapidità a cui aspiravo». (Leonardo Sciascia).  (gsc)

Anniversari / Il compleanno di Mario La Cava (11 settembre 1908-16 novembre 1988)

di GIUSY STAROPOLI CALAFATILa Calabria, nella sua lunga storia, sembra spesso far coincidere disgrazie e gioie E da sempre a tratti piange e altri sorride. Senza scomponimento, ma con accurata risolutezza. Essa infatti è proprio nella dualità dei sentimenti che prova e provoca, e che le circostanze le suscitano e originano negli altri, che trova la sua forza. E si ostina, risale, e con audacia procede.

Nel 1908 per esempio, le due sponde dello Stretto, furono interessate da uno degli eventi sismici più catastrofici del XX secolo. Il 28 dicembre di quell’anno, nell’arco di soli 37 secondi, fu danneggiata gravemente la città di Reggio Calabria. Ma appena tre mesi prima, esattamente l’11 di settembre, mentre le finestre delle case di Bovalino, se ne stavano ancora aperte sullo Ionio, donna Mariannina Procopio, dava alla luce uno dei più grandi geni letterari del ‘900 italiano. Mario La Cava. 

La Calabria ha sempre affrontato la sua storia, seguendo precise teorie di sopravvivenza. Mai si è lasciata spaventare o anche sottomettere, né dal dolore né dagli accadimenti, ché mentre la tribolazione e l’accoramento passano, le gioie restano, si imprimono nella pancia dei giorni, e sulla base di esse si istruiscono i popoli.

La nascita di Mario La Cava, qualora fosse sfuggita come gioia vera allora, lo diventerà nel tempo. In tanti infatti, dal mondo culturale a quello civile, a ricordo di quella nascita, a tutt’oggi confermano che senza quel pezzo di letteratura bovalinese, la Calabria sarebbe stata un’altra e l’Italia pure.

La Cava nasce in una famiglia medio borghese. Il padre, Rocco, è un insegnante, la madre, Marianna Procopio, una donna a cui, nonostante i pochissimi studi, tanto da esser costretta, in età adulta, a prendere lezioni di lettura proprio dal figlio Mario, viene attribuita la fama di scrittrice, per aver narrato con un linguaggio decisamente parlato, piccoli racconti, in grado di trasmettere al lettore, per intensità e forza, sentimenti legati a vicende ed esperienze, cariche di partecipazione affettiva, capaci di rievocare alla mente la memoria.

Mario La Cava, terminati gli studi presso il liceo classico di Reggio Calabria, si trasferisce a Roma, dove per tre anni frequentò la facoltà di medicina. Insoddisfatto della scelta decise di cambiare e si trasferì a Siena dove nel 1931 conseguì la laurea in Giurisprudenza. La lontananza dal paese però, non sarà mai un desiderio né un piacere per il giovane La Cava, così terminato il ciclo di studi, decide di ritornare al paese natio dove rimarrà, quasi ininterrottamente, fino alla fine dei suoi giorni. Bovalino infatti, con le sue storie, la sua vita, i suoi racconti e la sua gente, diventa il suo centro del mondo. Non sarà mai attratto né interessato particolarmente dai viaggi, Mario La Cava. A fornirgli continui e nuovi elementi di conoscenza saranno le storie incontrate direttamente, e dalle quali verrà costantemente ispirato.

“Ho speso una vita per scrivere, per analizzare la Calabria. Non so se bene o male. Questo non tocca a me dirlo. Posso dire che ho fatto grandi sacrifici sperando che questa terra potesse avere una sorte migliore, come credo che avrà…”

Conosciuto da tutti come l’avvocato, La Cava, abbandona giovane l’avvocatura e si dedica interamente ai suoi interessi letterari. Un rischio che l’autore coglie pur sapendo, come diceva Corrado Alvaro, che non si vive facendo solo gli scrittori. Eccellente ricostruttore della vita paesana e cittadina. Perfetto osservatore della realtà attraverso la quale riesce a vedere il mondo e coglierne l’essenza. Scrittore di verità e mai di fantasia, che non inventa storie, ma le traccia, le intreccia e le snoda, su fatti vissuti e raccontati. Radicato ai luoghi come alle origini, senza per questo mai perdere di vista la visione universale dell’uomo, facendone osservazioni morali e notazioni di vita.

La sua narrativa si pone deliberatamente a difesa degli umili e dei miti che affida alla terra e a cui la terra gliel’affida. “… spero di aver pure dato una voce ai più umili della mia terra…”

Mai affine alle logiche culturali moderne, né alle mode che queste sempre tentano di seguire, nel 1932 scrive il suo primo racconto lungo Il matrimonio di Caterina, apprezzatissimo tra gli altri, da Alvaro e Moravia, che pubblicherà però a ben 45 anni dalla sua prima stesura ed esattamente nel 1977. E da cui, nel 1983, venne tratto un film per la televisione di Luigi Comencini.

Nel 1939, pubblica il suo libro più conosciuto, Caratteri. 354 descrizioni, di singoli tipi umani, in cui la descrizione, spesso ironica, dei personaggi, si traduce in un vero e proprio affresco sociale.

A seguire: I misteri della Calabria (1952), Colloqui con Antonuzza (1954), Le memorie del vecchio maresciallo (1958), Mimì Cafiero (1959), Vita di Stefano (1962), Viaggio in Israele (1967, ristampato nel 1985), Una storia d’amore (1973), I fatti di Casignana (1974), La ragazza del vicolo scuro (1977), Terra dura (1980), Viaggio in Lucania (1980), Viaggio in Egitto e altre storie di emigranti (1986), Tre racconti (1987), Una stagione a Siena (1988), Opere teatrali (1988), Ritorno di Perri (1993), Mario La Cava, Personaggio ed Autore (1995). 

La Cava, grazie alla sua scrittura, rende sempre più fervente e vivo il suo impegno culturale e civile.

Nel 1953, Elio Vittorini, scrive a Mario La Cava: “… Coltiva un suo genere speciale di brevissimi racconti in cui fonde il gusto dell’imitazione dei classici e lo studio naturalistico del prossimo… (…)”. 

Leonardo Sciascia invece, sempre riferito allo scrittore di Bovalino, in un articolo del 1987, sostiene che: “…le cose di La Cava costituivano per me esempio e modello del come scrivere: della semplicità, essenzialità e rapidità cui aspiravo”.

La letteratura di Mario La Cava mette in luce i valori fondanti della cultura meridionale che prolifica nella parte più mite e intima della società. I suoi libri si sviluppano sulla base di ambienti precisi come quello del contadino calabrese, lasciando libera la voce della sofferenza e anche quella dell’emarginazione che il popolo di cui lo stesso scrittore si sente parte, è costretto a subire, come d’altronde chiunque vive alla fine e nei finali delle terre. E la Calabria di La Cava, come quella di tutti gli altri geni letterari calabresi, è una terra che trova posto sempre e solo negli ultimi banchi di un’Italia fanatica e progressista, negli ultimissimi di un’Europa lontana e frammentaria, in cui a contare è più la struttura che l’uomo. Ma è una Calabria che non si arrende, e che riemerge dal pantano, o almeno ci prova.

“Vivere accanto alla gente comune, soffrire della sua incomprensione ed ottusità, contrastare con la sua malignità, può essere una grande scuola di vita. Niente è più nocivo allo scrittore che credere reale il mondo sofisticato dei salotti culturali. Solo nei piccoli centri è possibile seguire gli itinerari di vita della gente per ricavarne trame di romanzi.”

Il genio di Mario la Cava nasce nella specificità di una Calabria semplice e identitaria, che vede sbucare, come dalla terra i germogli,  dal suo luogo fisico ben definito, la forza prorompente della letteratura. Un’area geografica precisa in cui a prolificare assieme alla società contadina e all’onorata società sono l’ispirazione, la scrittura e i libri. La necessità di una narrazione a volte dannata, che straforma il luogo identitario e primordiale in stato d’animo diffuso e nuovo. E dove a concentrarsi sono i nomi di Corrado Alvaro, Saverio Strati, Francesco Perri, Saverio Montalto e quello dello stesso Mario La Cava, che non si sottrae nel sottolineare il genio intellettuale di cui fu madre-Patria, la sua Locride.

“ Nel pezzo di costa che a Roccella va a Capo Spartivento, le intelligenze sono scoppiettanti, concentrate. È un luogo – la Locride – benedetto da Dio:  scrittori, pittori, intellettuali, gente d’ingegno, e delinquenti, ahimé, ma pure loro geniali.

Ma nonostante la sua grandezza intellettuale, La Cava è costretto anch’egli a una forma scoraggiante di oblio, non trovando posto tra i banchi di scuola. Né in Calabria né altrove. E rimane esiliato nella sua piccola Bovalino. Quasi come se lo Ionio, mare striato da una quantità indefinita di azzurri, fosse rimasto sempre, come per Cesare Pavese, luogo di confino. E lì vi si ritrova a far solitudine tra colleghi di parola e di Calabria.

Eppure, a Bovalino, contro la resistenza di una Calabria spesso inconcludente, è possibile trovare un esempio concreto di come la letteratura può salvare la Calabria, di questa carta su cui personalmente insisto, affinché venga giocata per la salvezza della tanto blasonata calabresità.

A Bovalino è possibile scoprire la necessità della parola, e proprio negli scritti di Mario La Cava. Così come a San Luca, negli scritti di Alvaro, a Careri in quelli di Perri, a Sant’Agata in quelli di Saverio Strati. 

I libri di uno scrittore possono quanto più possibile essere interpretati a piacimento da chiunque ne intraprende la lettura, il pensiero invece no, quello va capito. Ma a parte la società civile, il guaio è che la scuola, in quanto massima istituzione della conoscenza e del sapere, non si sforza nella comprensione del messaggio che La Cava, e gli altri parimenti a lui, lanciano attraverso la propria scrittura, il proprio racconto e la propria opera. E la mancata comprensione lascia dannatamente indietro. Arretra le piccole comunità rispetto al resto del mondo. E le confina.

A Bovalino, i libri e l’opera di Mario La Cava, a tutt’oggi, fortuna per chi ne coglie l’occasione, continuano a vivere grazie al Caffè letterario Mario La Cava e all’omonimo premio che, con entusiasmo, riescono a far arrivare nella città natale dello scrittore esponenti di spicco della letteratura mondiale, e continuano a far viaggiare per il mondo, l’opera e il pensiero di Mario La Cava. 

Un merito, una riconoscenza, ma soprattutto un forte senso di responsabilità nei confronti di una terra – la Calabria – che si genera e si rigenera negli scritti e nel pensiero dei suoi più grandi autori.

Se la  scrittura è strumento in grado di raccontare ciò che l’autore “geniale” è capace di scrutare e di intendere dell’animo umano, allora La Cava e tutti gli altri calabresi, geni delle lettere, non sono assolutamente da considerare semplici scrittori, ma maestri di pensiero, da cui apprendere e imparare. E senza la cui conoscenza non vi è alcun genere di futuro, né preparate future generazioni.  

L’11 settembre 2021, Mario La Cava avrebbe compiuto 113 anni. Forse tanti per la vita di un uomo, ma mai abbastanza per la forza che emana il pensiero di un intellettuale come lui. (gsc)

REGGIO – “Cinquanta lettere a Mario La Cava”

Questo pomeriggio, a Reggio, alle 19.30, presso lo Spazio Open, l’evento Cinquanta lettere.

L’evento è stato organizzato dal Rhegium JuliiCittà del Sole Edizioni.

La giornalista Anna Foti converserà con il saggista Santino Salerno, curatore del volume Cinquanta lettere a Mario La Cava, edito da Città del Sole Edizioni. Nel corso dell’incontro, inoltre, sarà proiettato un filmato su Domenico Zappone.

Cinquanta lettere che il giornalista Domenico Zappone (Palmi 1911 – 1976) destinò a Mario La Cava.  Scritte in un arco di tempo che va dal 1950 al 1976, le lettere qui pubblicate rivelano il clima di cordialità che anima il rapporto tra i due intellettuali, affratellati da una medesima passione: la scrittura; e danno conto, altresì, di una vicenda culturale ed umana che per molti tratti li accomuna nel difficile e tormentato rapporto con editori, direttori, redattori di riviste e giornali, ma anche in quelle che sono le difficoltà familiari e della vita quotidiana.

Inoltre, queste lettere evidenziano inequivocabilmente la condizione di isolamento degli intellettuali meridionali che, lontani dal dinamismo culturale centro – urbano, pagano con un surplus di fatica lo svantaggio della perifericità che, fatalmente, trasforma il già difficile mestiere di scrivere, nel più difficile mestiere di vivere. (rrc)

REGGIO – Si parla di Mario La Cava

10 dicembre 2018 – Oggi a Reggio, alle 16.45, presso la Biblioteca Comunale “Pietro De Nava”, l’incontro sul tema L’opera di Mario La Cava nel panorama letterario e culturale del Novecento.

L’evento è stato organizzato dal Centro Internazionale Scrittori della Calabria in occasione del centenario della nascita e del trentennale della morte dello scrittore.

Relaziona Paola Radici Colace, professore ordinario di Filologia Classica presso l’Università di Messina, e direttore scientifico del Cis della Calabria. Coordina Loreley Rosita Borruto, presidente del Cis della Calabria. All’incontro sarà presente Rocco La Cava, figlio dello scrittore. (rrc)