AUTONOMIA, DECISIONE DELLA CONSULTA
LASCIA PERPLESSI: QUALI LE PROSPETTIVE

di ERNESTO MANCINIIl 20 gennaio scorso la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo della legge Calderoli sull’autonomia differenziata. In attesa del deposito della sentenza la Corte ha emesso, come è prassi da qualche anno, un comunicato stampa che riassume i motivi principali di tale inammissibilità. 

Il quesito referendario, a dire del Giudice delle Leggi, non è chiaro e lo stesso referendum si trasformerebbe, se con esito abrogativo, in una sostanziale abrogazione dell’art. 116, terzo comma della Costituzione che ammette ulteriori forme di autonomia; il che, a dire della Consulta, non è ammissibile in quanto il referendum può avversare una legge ordinaria ma non una norma costituzionale.

1) I motivi su cui si fonda la decisione della Corte non convincono.

Quanto alla non chiarezza del quesito va detto che esso conteneva espressamente “l’abrogazione totale della legge” e cioè una formula chiarissima ed inequivocabile, peraltro emessa in data 13 dicembre 2024 dalla Corte di Cassazione competente a deliberare il testo definitivo del quesito anche ai fini di massima chiarezza.

Quanto all’implicita abrogazione dell’art. 116 terzo comma va detto che il quesito attaccava le modalità con le quali il “legislatore Calderoli” aveva inteso dare applicazione, ovviamente a modo suo, a tale parte della Costituzione. Ora, non è che avversando la legge ordinaria si avversa la Costituzione bensì si avversa il modo con il quale essa è stata attuata.

Si è trattato di un modo abusivo perché la legge avrebbe imposto un regionalismo competitivo ed egoistico in luogo di quello cooperativo e solidale, avrebbe creato ulteriori diseguaglianze tra i cittadini, spezzato l’unità della Repubblica, differenziato in modo ingiusto i vari territori. La legge inoltre avrebbe privato lo Stato di poteri sovraordinati in tema di istruzione, sanità, ambiente ed altre delicatissime materie, avrebbe frammentato in tante piccole repubbliche un ordinamento unitario creando caos istituzionale, avrebbe violato le prerogative del Parlamento. Ciò a tacer d’altro. 

L’elenco delle scelleratezze (più sobriamente dette “illegittimità costituzionali”) è ancora più lungo ed al riguardo basta leggere con un po’ di attenzione la sentenza n. 192 di novembre scorso con la quale la Corte Costituzionale aveva demolito tale normativa. Si è trattato di una “massiccia demolizione” come la stessa Corte di Cassazione del 13 dicembre scorso aveva espressamente detto alla pag. 32 della propria decisione in sede di definizione del quesito referendario.

Ora, in attesa del testo integrale della sentenza sull’inammissibilità del referendum, non è possibile fare ulteriori commenti. Si spera che il testo integrale fornisca motivazioni convincenti rispetto al recente comunicato.  Solo così i sostenitori del referendum potranno accettare l’esito con serenità. Altrimenti la delusione per la sentenza di gennaio sarà pari all’opposto entusiasmo per quella di novembre.

2) Le prospettive 

Bisogna ora chiedersi cosa farà il “legislatore Calderoli”. Egli è il dominus della partita in quanto finora Governo e maggioranza parlamentare gli hanno lasciato mano completamente libera. E così, stanti i patti della maggioranza (premierato, magistratura, autonomia differenziata), c’è da credere che ciò accadrà anche per il prossimo futuro.

Le ipotesi possono riassumersi come segue tenuto conto che la legge allo stato è inapplicabile perché svuotata dei suoi contenuti principali; tuttavia, rimane formalmente in piedi per le parti residue.

2.1) La revisione formale della legge e la revisione di fatto. 

Può darsi che Calderoli revisioni il testo della legge copiando materialmente i princìpi stabiliti dalla Corte Costituzionale ed incollandoli con destrezza giuridica nelle parti rimaste vuote per effetto del dictum della Corte medesima. 

Presenterà pertanto al Parlamento una legge revisionata perché purgata dalle illegittimità precedenti ed invece inclusiva dei princìpi dettati dalla Corte. Potrà dire che in questo modo ha dato perfetta applicazione al titolo V della Costituzione e che nessuna obbiezione può pertanto farsi al riguardo. 

Vi è però che il personaggio, così come ha violato la Costituzione con un’applicazione scellerata, eluderà la legge revisionata con la stessa attitudine. Ciò potrà fare proprio nella sede delle pre-intese con i Presidenti delle Regioni del Nord tuttora trattanti (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria). Formalmente non trasferirà a queste Regioni intere materie ma solo funzioni (come vuole il Giudice delle leggi) salvo a farlo “a modo suo” e cioè trasferendo funzioni che di fatto equivalgono ad intere materie o alle parti principali di esse, funzioni non specifiche ma generali, non tipiche di un territorio ma comuni ad altri e così via. Insomma, un modo solo apparente di applicare i princìpi dettati dalla Corte Costituzionale.

Il nostro non è un processo alle intenzioni poiché il personaggio è recidivo ed è capacissimo di reiterare il malfatto. 

L’altra ipotesi è che il Calderoli lasci la legge così com’è per non avere ulteriori “fastidi” procedimentali e si presenti in Parlamento con un disegno di legge che approvi le pre-intese nel frattempo negoziate con le regioni del Nord. Egli potrà dire che le pre-intese sono il frutto del combinato disposto tra il testo residuo rimasto vigente della legge ed i princìpi stabiliti dalla Corte che costituiscono già diritto vigente. Giuridicamente ciò è possibile anche perché la sentenza della Corte Costituzionale in gran parte è autoapplicativa e cioè non necessità di altri interventi.

Anche qui non si tratta di un processo alle intenzioni visto che il personaggio ha candidamente dichiarato che va avanti lo stesso. 

Sulle capacità emendative o di rifiuto del Parlamento non c’è da aspettarsi nulla vista la schiacciante maggioranza fondata sui patti di cui si è detto. 

3) Cosa si potrà fare per opporsi ai possibili artifizi e raggiri?

Per fortuna i Comitati No AD contro l’autonomia differenziata di Calderoli e gli stessi partiti e formazioni sociali componenti il Comitato Promotore, continuano nella loro determinazione nonostante la botta subita dalla dichiarazione di inammissibilità del referendum. Essi faranno la dovuta vigilanza e le dovute pressioni per prevenire ulteriori abusi. Vigileranno sulle pre-intese e ne denunceranno le illegalità che già si prospettano.

Lo stesso Giudice delle Leggi nella sentenza n.192 del 2024, quasi prevedendo questo possibile contenzioso, si è “riservato il giudizio sulla legittimità costituzionale delle singole leggi attributive di maggiore autonomia a determinate regioni…”.  Tale giudizio di legittimità potrà attivarsi, come precisa la stessa Corte, in via principale od in via incidentale. Nel primo caso perché alcune Regioni faranno ricorso contro le leggi di approvazione delle intese; nel secondo caso perché davanti ad un Tribunale ordinario od amministrativo singoli cittadini o associazioni chiederanno che venga sollevata dal Giudice adìto questione di legittimità costituzionale per risolvere controversie cui hanno interesse.

Ne discende che dopo la clamorosa e tuttora preziosa vittoria dei Comitati contro l’Autonomia differenziata si prospetta ora una lunga e tormentata fase di resistenza contro questo disegno nelle piazze e se del caso nei tribunali perché c’è da credere che il dominus dell’abuso costituzionale continuerà imperterrito nel suo disegno “criminoso”. 

“Resistere, resistere, resistere !!” si è detto in altre occasioni. Ora si tratta della più dannosa e pericolosa legge di riforma dal 1948 ad oggi. (em)

 

L’UNICO STRUMENTO CONTRO L’AUTONOMIA
È IL REFERENDUM: ECCO PERCHÈ FIRMARE

di ERNESTO MANCINILa legge Calderoli sull’autonomia regionale differenziata va abrogata tramite referendum nazionale perché è frutto di una concezione errata del regionalismo in quanto sceglie quello competitivo ed egoistico a fronte di quello cooperativo e solidale come invece previsto dai Padri Costituenti nel 1948.  Neppure il legislatore costituzionale riformatore del Titolo V nel 2001 ha mai inteso spingersi fino al punto da consentire una tale prospettiva discriminatoria perché in contrasto con le norme costituzionali di uguaglianza dei cittadini nonché di unità ed indivisibilità della Repubblica ai sensi degli artt. 3 e 5 e 7 della Costituzione.

Perché la legge sull’autonomia differenziata consente alle Regioni di legiferare in via esclusiva sui diritti fondamentali dei cittadini quali salute ed istruzione che possono trovare origine e disciplina solo nelle leggi del Parlamento e nell’ambito di una visione unitaria ed ordinata su tutto il territorio nazionale. Le Regioni concorrono con lo Stato per tali diritti fondamentali ma non possono sostituirsi ad esso.

Perché il trasferimento massivo alle Regioni, così come richiesto da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna di gran parte delle materie di legislazione, svuota la funzione dello Stato quale ente titolare delle scelte strategiche e delle normative fondamentali per lo sviluppo dell’intero Paese (per esempio: energia, trasporti, ambiente, beni culturali, attività produttive, ecc.). Viene così pregiudicata, nelle anzidette materie fondamentali, anche la legittimazione e la capacità negoziale dello Stato nei rapporti interni con le altre Istituzioni e nei rapporti internazionali con altri Stati.

Perché il regionalismo è già negativamente differenziato i gravi ritardi del Sud rispetto al Nord su diritti fondamentali come sanità, lavoro, protezione sociale, per cui un’ulteriore differenziazione aggraverebbe ancor di più il distacco fra le diverse realtà regionali. A tale divario contribuisce in modo rilevante l’antico ed infausto criterio della distribuzione delle risorse in base alla spesa storica per i servizi, la quale non comprende spese per lo sviluppo quali-quantitativo dei servizi medesimi. Perciò, se come già accade, un comune del nord viene finanziato per 15 asili nido ogni 100.000 abitanti ed un comune del sud per 3 asili nido per lo stesso numero di abitanti, il divario rimane permanente non ricevendo il Comune del sud alcun finanziamento per il miglioramento della propria offerta e la conseguente riduzione del distacco.

Perché autorevoli istituti (Eurispes, Svimez) nel corso del 2020 hanno calcolato che, violando il criterio della distribuzione delle risorse in base alla percentuale della popolazione residente (34% al Sud), alle Regioni del Mezzogiorno sono stati sottratti finanziamenti nel periodo 2000 – 2017 per circa 840 miliardi di euro, in media 46,7 miliardi l’anno. Con l’aggravante, secondo tali istituti, che dette risorse sono finite al nord. Quanti posti di lavoro si sarebbero potuti creare per evitare migrazioni al nord o all’estero di giovani lavoratori? Quanta maggiore quantità e qualità di servizi pubblici ci sarebbe potuti erogare nelle Regioni del Sud?

Perché è infondata la tesi opposta secondo cui l’arretratezza del Sud è dovuta ad alcune manifeste incapacità della propria classe dirigente politica o alla criminalità invasiva della Pubblica Amministrazione. A parte il fatto che il livello della classe politica appare uniforme verso il basso su tutto il territorio nazionale, va ricordato che i peggiori casi di criminalità politica corruttiva si sono verificati proprio nelle Regioni del Nord Italia e segnatamente nelle Regioni Veneto e Lombardia oggi reclamanti massima autonomia. Si veda, per il Veneto, il caso del Governatore Galan (concussione, corruzione, Mose di Venezia e Villa Rodella); per la Lombardia, il caso del Governatore Formigoni per i favori corruttivi alla sanità privata della sua Regione (Fondazione Maugeri e San Raffaele). Ora, per la Liguria, sub iudice Toti per corruzione e, in ogni caso, anche a prescindere dalla sussistenza dei reati, grave violazione del principio costituzionale di imparzialità per cui un Amministratore Pubblico non può ricevere finanziamenti da soggetti destinatari di suoi importanti provvedimenti concessori (Porto di Genova).

Perché il regionalismo differenziato crea una deleteria asimmetria delle competenze e perciò dei poteri e delle responsabilità pubbliche, nel senso che in alcuni territori una determinata materia sarà di competenza statale in altro regionale con conseguente caos normativo e frammentazione amministrativa gravemente pregiudizievole per cittadini, associazioni ed imprese nonché in violazione dell’art. 97 della Costituzione che impone “il buon andamento” della Pubblica Amministrazione.

Perché per molte materie (es.: ambiente, protezione civile, ecc.) i confini regionali hanno senso solo per la gestione amministrativa delle stesse in ambito specifico mentre richiedono globalità degli interventi legislativi ed amministrativi, uniformità della programmazione pubblica per tutto il territorio nazionale ed efficaci economie di scala.

Perché per le materie costituzionali oggetto di autonomia differenziata la funzione regionale non può che essere di dettaglio e soprattutto organizzativa per la puntuale applicazione della legge statale (es.: riforma sanitaria quale legge dello Stato ed organizzazione regionale di servizi sanitari in applicazione della legge statale). Con la funzione legislativa-organizzativa dei servizi pubblici le Regioni hanno già la possibilità di garantire uno sviluppo competitivo ma non egoistico perché misurano la loro capacità organizzativa, innovativa e di gestione rispetto alle altre Regioni ferma restando la base di partenza a parità di legislazione e finanziamento pubblico secondo criteri di proporzionalità.

Perché del tutto fuorviante è la promessa dell’attuale legislatore di garantire parità di condizioni di partenza di tutte le Regioni definendo i livelli essenziali delle prestazioni (c.d. Lep). Infatti i livelli essenziali non si sostanziano in livelli uniformi e adeguati su tutto il territorio ma in livelli minimi di prestazioni con la conseguenza che sarà ulteriormente incoraggiato il divario tra chi è già ben al di sopra di tali livelli a danno degli altri che ne sono ancora ben al di sotto.

Perché il legislatore promette di definire i livelli essenziali delle prestazioni ma si guarda bene dal finanziarli sicché i detti livelli rimangono mere enunciazioni di principio utili, al massimo, per certificare, raffrontando le diverse realtà, le ingiuste discriminazioni tra Nord e Sud.

Perché questa autonomia differenziata è figlia delle concezioni secessioniste della Lega cui gli altri partiti di maggioranza sono inopinatamente venuti incontro concorrendo a realizzare un misfatto giuridico-costituzionale senza precedenti nella storia della Repubblica. Si tratta, infatti, di un patto scellerato consistente nello scambio di reciproci favori (premierato, autonomia differenziata, separazione carriere magistrati) pur essendo in gioco l’unità e l’indivisibilità della Repubblica.

Perché la stragrande maggioranza degli osservatori qualificati nelle materie costituzionali, economiche e finanziarie hanno chiaramente enunciato con formali interventi nella Commissione Parlamentare e nelle altre sedi pertinenti gli effetti negativi dell’autonomia differenziata come concepita dall’odierna maggioranza. In particolare, hanno svolto serie e motivate obiezioni Banca d’Italia, Confindustria, Ufficio Parlamentare di Bilancio, Svimez, Sindacati maggiormente rappresentativi, Conferenza Episcopale Italiana, Anci, Anpi, Acli, ed inoltre, solo per citarne alcuni, Presidenti emeriti e giudici della Corte costituzionale (Flick, De Siervo, Zagrebelsky,Maddalena) docenti universitari di chiara fama (Azzariti, Pallante, Viesti, Villone) ed esponenti della società civile tra cui i numerosi Comitati per il ritiro di ogni Autonomia differenziata, il Coordinamento per la democrazia costituzionale, il Forum Disuguaglianze e Diversità, il Rettore dell’Università per stranieri di Siena, i presidenti di The Good Lobby Italia e Openpolis, insieme a decine di intellettuali che da tempo si battono contro lo “spacca Italia”, a partire da Gianfranco Viesti (“la secessione dei ricchi”),Marco Esposito (Zero al Sud),lo scrittore Maurizio De Giovanni, Isaia Sales, docente di Storia delle mafie, Giuseppe De Marzo, Responsabile delle politiche sociali di Libera contro le mafie, e così oltre per centinaia di altre personalità a fronte del quasi nulla nel versante intellettuale e scientifico opposto.

Perché è del tutto generica e demagogica è la tesi opposta per cui l’autonomia differenziata comporta maggiore responsabilità per i politici del sud favorendo perciò lo sviluppo dei relativi territori. Le responsabilità sono collegate ai poteri legislativi ed amministrativi per cui la riduzione di questi rispetto ad altre regioni non può che comportare la riduzione delle relative responsabilità.

Perché, come ha detto il Presidente Sergio Mattarella in occasione della sua visita in Calabria del 30 aprile, «la separazione delle strade tra le Regioni del Nord e quelle del Sud comporta gravi danni alle une ed alle altre». (em)

Il PD Calabria: La proposta per il referendum abrogativo per autonomia arrivi in Aula senza passaggi in Commissione

La proposta di provvedimento amministrativo per il referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata, già depositata al Consiglio regionale della Calabria, arrivi direttamente in Aula senza passaggi in Commissione. È quanto hanno chiesto i capigruppo Mimmo Bevacqua (Pd), Davide Tavernise (M5s) e Antonio Lo Schiavo (Misto) in occasione dell’iniziativa pubblica che si è svolta a Bisignano e che ha registrato una grande partecipazione da parte della cittadinanza. 

“Dalle parole ai fatti”, lo slogan scelto per l’iniziativa e che è stato il leitmotiv della giornata di mobilitazione, cominciata nel pomeriggio a Lamezia, con la conferenza stampa alla quale hanno preso parte anche il segretario regionale Nicola Irto e il responsabile nazionale per le riforme in seno alla segreteria del Pd Alessandro Alfieri, oltre agli altri componenti del gruppo regionale e ai dirigenti del partito. 

Da Bisignano, però, dove l’iniziativa del Pd ha registrato anche l’adesione di diverse forze sociali e sindacali, a partire dalla Cgil, è stata lanciata la vera sfida al centrodestra guidato da Occhiuto: basta cincischiare, si affronti subito il dibattito sull’autonomia e sulla proposta di referendum in Aula e il presidente della Regione dica finalmente da che parte sta. (rcs)

 

Autonomia, i capigruppo di minoranza depositano proposta per referendum abrogativo

I capigruppo della minoranza in Consiglio regionale, Mimmo Bevacqua (Pd), Davide Tavernise (M5s) e Antonio Lo Schiavo (Misto) insieme agli altri consiglieri del gruppo Pd (Alecci, Bruni, Iacucci, Mammoliti e Muraca), hanno depositato la proposta di delibera consiliare – “Proposta di referendum abrogativo ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione e degli articoli 29 e 30 della legge 25 maggio 1970, n. 352, della Legge 26 giugno 2024, n. 86, recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”.

I consiglieri regionali, che hanno sottoscritto la proposta, chiederanno al presidente della I Commissione permanente “Affari istituzionali” Luciana De Francesco, di calendarizzare la discussione sul testo con la massima urgenza.

Maggiori dettagli saranno forniti in occasione dell’iniziativa pubblica organizzata dal Pd per l’11 luglio, alla quale prenderanno parte anche gli altri capigruppo di minoranza, oltre al segretario regionale Nicola Irto e al responsabile nazionale per le riforme in seno alla segreteria nazionale dem, Alessandro Alfieri(rrc)

Autonomia, il PD Calabria annuncia iniziativa pubblica per proporre referendum abrogativo

Il gruppo del Pd in Consiglio regionale, presieduto da Mimmo Bevacqua, è al lavoro insieme al partito regionale e ai capigruppo di opposizione a palazzo Campanella Davide Tavernise (M5s) e Domenico Lo Schiavo (Misto) per l’organizzazione di un’iniziativa pubblica, aperta anche alle forze sociali, per fare in modo che anche il Consiglio regionale della Calabria si unisca alla battaglia e chieda il referendum abrogativo dell’autonomia differenziata.

L’iniziativa pubblica è prevista per il prossimo 11 luglio e registrerà la partecipazione del segretario regionale Nicola Irto e del senatore Alessandro Alfieri, responsabile per le Riforme in seno alla segreteria nazionale del Pd.

Le Regioni italiane, infatti, hanno avviato la mobilitazione per impegnare i Consigli regionali a chiedere l’abrogazione della legge che ha istituito l’autonomia differenziata, tramite l’istituto del referendum disciplinato dall’art. 75 della Costituzione. 

Emilia Romagna, Campania e Toscana hanno già intrapreso questo percorso e hanno avviato l’interlocuzione con le rispettive Assemblee regionali per riuscire a bloccare una riforma che rischia di parcellizzare l’Italia, come si può facilmente capire anche dalle richieste che iniziano ad arrivare dalle Regioni del Nord, in ordine a maggiore autonomia rispetto alle materie in cui non si applicano i Lep.

«È arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti – spiegato Bevacqua – e in coerenza alla posizione sostenuta fin dall’inizio della discussione sull’autonomia differenziata, adesso attiveremo ogni strumento utile per bloccarla, con la speranza che questa battaglia di uguaglianza e solidarietà venga condivisa in modo unanime dalla società e in Consiglio regionale». (rcz)

REGGIO – L’iniziativa di FDI su Referendum Abrogativi

Mercoledì 8 giugno, all’E-Hotel di Reggio, alle 17.30, è in programma una iniziativa sui Referendum Abrogativi organizzati da Fratelli d’Italia e che prevede la partecipazione del deputato Andrea Delmastro Delle Vedove, capogruppo FDI in Commissione Esteri e presidente della Giunta per autorizzazioni a procedere.

Si tratta di un momento di confronto fortemente voluto dal Commissario provinciale Denis Nesci che, con la fattiva collaborazione del Circolo cittadino ‘Reghion 2019’ presieduto da Marcello Altomonte, ha voluto dare impulso anche in riva allo Stretto  alla campagna per i referendum promossa da Fratelli d’Italia.

Dal titolo Verso la riforma della Giustizi’, il dibattito avrà un ricco parterre, a partire dal capogruppo in Consiglio regionale Giuseppe Neri, al capogruppo al Comune di Reggio Calabria Demetrio Marino e al vice commissario cittadino Pasquale Oronzio, fino ad arrivare ai responsabili del Dipartimento Giustizia Fdi, regionale, provinciale e cittadino, rispettivamente guidati da Giovanna Cusumano, Carmen Bertuccio e Michele Miccoli

L’iniziativa sarà anche l’occasione per presentare alla stampa i responsabili dei dipartimenti di Fratelli d’Italia, sia per quanto concerne la struttura dirigenziale provinciale sia per quella cittadina. (rrc)

L’OPINIONE / Nino Mallamaci: Referendum abrogativo, uno strumento inadatto per intervenire sulla giustizia

di NINO MALLAMACI  – L’istituto del referendum abrogativo è un problema in sé. Volgarizzando, si può affermare che il modo in cui vengono formulati i quesiti (per difficoltà oggettive a fare diversamente) porta a scriverli in ostrogoto, cioè il contrario di come dovrebbe essere in quanto è il cittadino comune a doversi esprimere su temi complessi e ostici, e al rischio di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Sui quesiti di questo referendum non ho pregiudizi o preconcetti. Non sono un tifoso, neanche quando si tratta di calcio. Se il Milan va nelle mani di Berlusconi, o la Reggina in quelle di un imbroglione che ha danneggiato migliaia e migliaia di lavoratori, non li supporto.

Se l’Inter, per la quale simpatizzo, gioca male o vince per un rigore inesistente, non gioisco. In tema di Giustizia bisogna andarci coi piedi di piombo, valutando bene e in profondità quali effetti possano scaturire dalle decisioni che si assumono. Io forse andrò a votare, forse in quanto ritengo che vi sia un ricorso eccessivo e smodato al referendum abrogativo. Se andrò, esprimerò convintamente la mia contrarietà alle abrogazioni per 4 quesiti. Anche sulla Severino, che andrebbe sì aggiustata ma non sottoposta alla mannaia di uno complessivo.

Sulla separazione delle carriere tra PM e Giudici ho molti più dubbi. Tuttavia, non credo che una scelta così netta possa determinare un miglioramento della situazione della Giustizia italiana. Credo che un punto di equilibrio possa rintracciarsi nella proposta Cartabia, che spero venga approvata in tempi ragionevoli. Altra considerazione sulla divulgazione delle notizie: anche in questo caso, c’è la necessità, secondo me, di una maggiore sobrietà da parte dei magistrati. Ma tra i magistrati star e il silenziatore all’informazione esistono molti gradi intermedi.

E su quelli bisogna che si metta a ragionare il legislatore. Insomma, torniamo all’incipit di questa riflessione: il problema è a monte, ed è il referendum abrogativo. La polarizzazione sta danneggiando seriamente la democrazia liberale, grazie anche al lavorio delle autocrazie e all’utilizzo, da parte loro, di strumenti manipolativi pervasivi e tecnologicamente potenti ed efficaci. Questi referendum sono polarizzanti, roba da tifosi. Per molte materie questo è un approccio pessimo, per la Giustizia può essere letale. (nm)