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Ucraina, don Giuseppe Tedesco, l'eroe di Palmi

Ucraina, don Giuseppe Tedesco, l’eroe di Palmi

di PINO NANO – In Viale Stelvio 2 di Busto Arsizio, siamo in provincia di Varese, c’è oggi un vero e proprio villaggio calabrese, inteso come “cuore e famiglia”, come comunità di aggregazione, come gruppo di preghiera, come nucleo solidale, come cellula di vita vissuta e profondamente meridionale, dove si respira davvero tanta tradizione calabrese, e dove sono tantissimi i figli di Calabria che frequentano e animano l’oratorio e la chiesa di Busto.

Vi chiederete il perché. Come mai una chiesa così tipicamente “Calabrese” nel cuore del più profondo Nord? Semplicissimo. Perché alla guida della parrocchia di San Giuseppe di Busto Arsizio c’è don Giuseppe Tedesco, che è un giovane sacerdote di origini calabresi. Suo padre è di Palmi, e a Palmi c’è ancora una fetta della sua famiglia di origine. 

Don Giuseppe è finito in questi giorni sulle pagine dei grandi giornali stranieri per aver osato l’impossibile contro la violenza della guerra in Ucraina. Quando la guerra incominciava a entrare nel vivo, e non si sapeva ancora per la verità quali paesi sarebbero stati realmente interessati dai bombardamenti russi, don Giuseppe ha attraversato mezza Europa, con alcuni volontari, per arrivare ai confini estremi della Polonia e portare in salvo in Italia sei bimbi e una mamma con una neonata di 18 giorni. Un’impresa complicatissima, pericolosa, ma «non potevo fare altrimenti» ci dice don Giuseppe. Bambini di Chernobyl che erano già stati in passato ospiti del suo oratorio e che ora gli avevano mandato un messaggio ed una richiesta di aiuto.

Qualche giorno prima di partire don Giuseppe aveva postato sul suo profilo Fb il dolore della comunità di Busto Arsizio per gli orrori della guerra: «Ogni guerra,- scriveva– tutte le guerre sono sempre una tragedia. In questa guerra però, oltre che per il fatto che sia in Europa, per me e tante famiglie e tanti ragazzi anche del nostro Oratorio che mi hanno scritto questa mattina, è anche un immenso dolore personale perché in quella terra ucraina invasa questa notte c’è un pezzo del mio e nostro cuore: i bambini e le bambine di Chernobyl che abbiamo ospitato in estate e ancora durante queste vacanze di Natale con famiglie amiche di Busto, Samarate e Castano, e parecchi di questi bambini hanno giocato nel nostro Oratorio. Quanto è stato difficile cominciare la giornata con un messaggio al mattino presto sul cellulare: “per favore pregate per noi”».

Ma la preghiera, in questo caso- avrà pensato don Giuseppe- forse non basta. E allora, dopo aver ricevuto la benedizione e il benestare di suo padre, si è messo alla guida di un pulmino e in tre giorni ha percorso da solo 3 mila chilometri. Italia-Polonia-Busto Arsizio, un viaggio interminabile che alla fine però ha riportato in Italia alcuni dei bambini di Chernobyl che erano già stati in vacanza a casa di don Giuseppe. 

«Quando abbiamo saputo che stavano scappando e stavano attraversando la frontiera senza un posto in cui rifugiarsi, ci siamo chiesti: ‘Cosa facciamo?’. Così siamo andati a prenderli a Varsavia. Ci siamo organizzati con i permessi in tempo record e siamo andati. Il viaggio è stato faticoso e lungo, non finiva mai, quasi tremila chilometri tra andata e ritorno – spiega Don Giuseppe -. Quello che più mi ferisce però è che siamo riusciti a portare a casa solo quattro degli undici bambini che sono stati qui durante l’estate. Ce ne sono ancora sette rimasti lì, sotto le bombe. Uno dei bambini ci aveva scritto un messaggio nel primo giorno di guerra, non si poteva non ascoltare la sua richiesta, ci siamo organizzati e siamo partiti. Devo anche dire che non avrei potuto fare nulla senza il sostegno di chi ci ha aiutato, venti ore alla guida da solo sarebbero state troppe. Grazie agli amici, a chi ci ha sostenuto, accompagnato, alle autorità e tutti coloro che hanno pregato per noi».

Allo scoppio della guerra e all’ingresso dell’esercito russo nelle città ucraine, don Giuseppe ha immediatamente contattato i ragazzi che erano stati suoi ospiti a Busto Arsizio l’estate scorsa, e scopre che alcuni di loro avevano perso la casa, distrutta dai missili russi, molti di loro avevano visto amici e parenti imbracciare le armi per difendere la propria terra e quel che restava delle proprie vite. Altri ancora, infine, si erano rifugiati negli scantinati delle scuole per scampare ai bombardamenti, ammassati a centinaia, e sperando di poter uscire a rivedere la luce.

«Ragazzi provenienti dalla zona di Chernobyl – dice don Giuseppe – territorio dove si è combattuto alcuni giorni fa, che sono però riusciti a fuggire e a raggiungere la Polonia, “terra promessa” di migliaia e migliaia di ucraini».

Don Giuseppe parla di loro e si commuove, ci racconta delle loro vite spezzate e piange, ci spiega di non aver mai avuto il tempo di avere paura, “avevo un obbiettivo di raggiungere e non ci si poteva permettere nessun cedimento psicologico”. 

Ma cosa spinge un sacerdote della cinta industriale lombarda a lasciare la tranquillità di questa realtà produttiva del Paese e rischiare la vita per raggiungere dei bambini di cui sa poco o nulla? 

La carità cristiana- risponde don Giuseppe. «Questa è la vera missione di un sacerdote. Aiutare chi ha bisogno, e correre là dove c’è qualcuno che soffre. Questa è la Chiesa in cui credo e che mi appartiene».

Davvero commovente questo prete, quasi fuori dal tempo, missionario dalla testa ai piedi e angelo custode di chi non ha più voce. Allora mi chiedo, ma che famiglia avrà mai alle spalle don Giuseppe? Ecco allora che viene fuori la straordinaria “favola calabrese di Busto”.

Don Giuseppe ha un fratello, Alberto, che è prete come lui, anche lui sacerdote qui attorno a Varese, una vocazione forte che accomuna i due fratelli in quella che passerà alla storia come la “Chiesa di Francesco”. Alle spalle, padre e madre calabresi. Sono di Palmi. Suo padre Rosario sbarca a Milano ancora giovanissimo. Morta la mamma aveva scelto di raggiungere suo padre che a Milano faceva il falegname, ma il nonno di Giuseppe pretende che il figlio vada all’università. Si iscrive alla Cattolica, Lettere e Filosofia, e trova immediatamente lavoro al comune di Milano. Per 40 anni guida l’ufficio cultura e Pubblica Istruzione del comune di Milano, e questo gli permette di incontrare ogni giorno intere generazioni di insegnanti che dal sud arrivano al nord in cerca di lavoro. Anni 60/65, calabresi dovunque e comunque, insomma, nella loro vita di cittadini lombardi. 

«Uno dei miei collaboratori più cari qui in parrocchia – dice don Giuseppe – è calabrese anche lui, di Santo Stefano d’Aspromonte, si chiama Stefano Cento, lui insieme a sua moglie, e non poteva capitarmi persona più buona e più disponibile. Ma con loro c’è anche il signor Truglio, che è di Crotone, e non ricordo abbia mai detto “sono stanco o non posso farlo”. Ma anche l’amico più caro di mio padre è calabrese, di Palmi, si chiama Raffaele Saffioti e a differenza di mio padre lui è rimasto a Palmi dove oggi scrive tanto, soprattutto di temi legati al mondo dell’assistenza. Come vede, una parte importante di Calabria è rimasta laggiù, ma una parte altrettanto vitale è anche qui attorno a noi in Lombardia». 

Don Giuseppe, l’ultima volta che è stato in Calabria?

Appena due anni fa, poi è arrivato il Covid e ci siamo fermati, altrimenti ci saremmo tornati l’anno dopo certamente.

E il ricordo più vivo che ha di Palmi?

La Varia, questa processione indimenticabile ed emozionante. Come si fa a non ricordarsi della Varia?

E la cosa che invece più le manca?

Non vorrei apparirle blasfemo, ma sono i dolci. Laggiù c’è un bar ogni duecento metri e in ogni bar c’è un dolce più buono dell’altro. Non so se sa di cosa parlo? Ma ci sono i dolci di mandorla rosa che io letteralmente adoro.

Che effetto le ha fatto sentirsi chiamare il “Taxi di Dio”, o l’eroe di Busto?

Sono titoli da giornali, niente di più. Questa è la mia vita quotidiana e guai a pensare che avrei potuto o dovuto fare altro. Quello che ho fatto lo rifarei domani ancora, e dopodomani di nuovo se fosse necessario. 

Ma non è detto che la “Favola calabrese di Busto” si fermi qui, perché qualcuno ci dice in gran segreto che don Giuseppe ha già pronto zaino e sacco a pelo nel caso debba tornare laggiù per recuperare gli altri suoi piccoli amici di Chernobyl. Storia vera di queste ore. (pn)