REGGIO – L’iniziativa di FDI su Referendum Abrogativi

Mercoledì 8 giugno, all’E-Hotel di Reggio, alle 17.30, è in programma una iniziativa sui Referendum Abrogativi organizzati da Fratelli d’Italia e che prevede la partecipazione del deputato Andrea Delmastro Delle Vedove, capogruppo FDI in Commissione Esteri e presidente della Giunta per autorizzazioni a procedere.

Si tratta di un momento di confronto fortemente voluto dal Commissario provinciale Denis Nesci che, con la fattiva collaborazione del Circolo cittadino ‘Reghion 2019’ presieduto da Marcello Altomonte, ha voluto dare impulso anche in riva allo Stretto  alla campagna per i referendum promossa da Fratelli d’Italia.

Dal titolo Verso la riforma della Giustizi’, il dibattito avrà un ricco parterre, a partire dal capogruppo in Consiglio regionale Giuseppe Neri, al capogruppo al Comune di Reggio Calabria Demetrio Marino e al vice commissario cittadino Pasquale Oronzio, fino ad arrivare ai responsabili del Dipartimento Giustizia Fdi, regionale, provinciale e cittadino, rispettivamente guidati da Giovanna Cusumano, Carmen Bertuccio e Michele Miccoli

L’iniziativa sarà anche l’occasione per presentare alla stampa i responsabili dei dipartimenti di Fratelli d’Italia, sia per quanto concerne la struttura dirigenziale provinciale sia per quella cittadina. (rrc)

L’OPINIONE / Nino Mallamaci: Referendum abrogativo, uno strumento inadatto per intervenire sulla giustizia

di NINO MALLAMACI  – L’istituto del referendum abrogativo è un problema in sé. Volgarizzando, si può affermare che il modo in cui vengono formulati i quesiti (per difficoltà oggettive a fare diversamente) porta a scriverli in ostrogoto, cioè il contrario di come dovrebbe essere in quanto è il cittadino comune a doversi esprimere su temi complessi e ostici, e al rischio di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Sui quesiti di questo referendum non ho pregiudizi o preconcetti. Non sono un tifoso, neanche quando si tratta di calcio. Se il Milan va nelle mani di Berlusconi, o la Reggina in quelle di un imbroglione che ha danneggiato migliaia e migliaia di lavoratori, non li supporto.

Se l’Inter, per la quale simpatizzo, gioca male o vince per un rigore inesistente, non gioisco. In tema di Giustizia bisogna andarci coi piedi di piombo, valutando bene e in profondità quali effetti possano scaturire dalle decisioni che si assumono. Io forse andrò a votare, forse in quanto ritengo che vi sia un ricorso eccessivo e smodato al referendum abrogativo. Se andrò, esprimerò convintamente la mia contrarietà alle abrogazioni per 4 quesiti. Anche sulla Severino, che andrebbe sì aggiustata ma non sottoposta alla mannaia di uno complessivo.

Sulla separazione delle carriere tra PM e Giudici ho molti più dubbi. Tuttavia, non credo che una scelta così netta possa determinare un miglioramento della situazione della Giustizia italiana. Credo che un punto di equilibrio possa rintracciarsi nella proposta Cartabia, che spero venga approvata in tempi ragionevoli. Altra considerazione sulla divulgazione delle notizie: anche in questo caso, c’è la necessità, secondo me, di una maggiore sobrietà da parte dei magistrati. Ma tra i magistrati star e il silenziatore all’informazione esistono molti gradi intermedi.

E su quelli bisogna che si metta a ragionare il legislatore. Insomma, torniamo all’incipit di questa riflessione: il problema è a monte, ed è il referendum abrogativo. La polarizzazione sta danneggiando seriamente la democrazia liberale, grazie anche al lavorio delle autocrazie e all’utilizzo, da parte loro, di strumenti manipolativi pervasivi e tecnologicamente potenti ed efficaci. Questi referendum sono polarizzanti, roba da tifosi. Per molte materie questo è un approccio pessimo, per la Giustizia può essere letale. (nm)

La buona giustizia parte da Sud: a Reggio la conferenza su Pnrr, riforma della Giustizia e divario Nord-Sud di Forza Italia

Questo pomeriggio, a Reggio, alle 16, nella sede del Coordinamento Provinciale di Forza Italia, è in programma una conferenza stampa su Pnrr, riforma della Giustizia, divario Nord-Sud, completamente del Palazzo di Giustizia di Reggio Calabria, uffici di prossimità giudiziaria, dematerializzazione e digitalizzazione del sistema.

Intervengono Francesco Cannizzaro, coordinatore provinciale e Responsabile nazionale per il Sud di Forza Italia, il sottosegretario per la Giustizia, Francesco Paolo Sisto e i consiglieri regionali, metropolitani e comunali di Forza Italia.  (rrc)

Giustizia, D’Ettore (CI): Interrompere conflitto politica e magistratura

Il depitato di Coraggio ItaliaFelice Maurizio D’Ettore, ha evidenziato come «il vero problema è quello della crisi della supremazia del potere legislativo. Il Parlamento e la politica legislativa devono trovare soluzioni coerenti e di sistema. Nel nostro ordinamento la separazione tra diritto e politica si supera nel momento della produzione della norma».

D’Ettore, infatti, ha organizzato insieme all’avvocato Mariagrazia Rosamilia, Vice Presidente dell’Associazione Nova Juris, il convegno dal titolo La riforma della Giustizia. Più efficienza, più garanzie? Il manifesto per la buona giustizia di Nova Juris. 

Oltre alle deleghe in materia penale e civile della Riforma Cartabia, sono stati affrontati anche i temi dell’ordinamento giudiziario dei quesiti referendari sulla Giustizia e della riforma del Csm.

«Ringrazio l’associazione Nova Juris per il lavoro fatto», – ha detto D’Ettore, spiegando che «La separazione fra diritto e politica, sul piano dell’applicazione del diritto, ha invece carattere istituzionale; gli organi giurisdizionali  devono attuare la legge che non ammette, in sede applicativa, influenze di natura politica».

All’evento sono intervenuti inoltre: Luca Monaco, avvocato, presidente dell’Associazione Nova Juris, Giusi Bartolozzi, deputato, Enrico Costa, deputato, Misto – Azione-+Europa-Radicali Italiani, Giovanni Fanticini, magistrato del Massimario della Corte di Cassazione e Patrizio Rovelli, avvocato, presidente dell’Osservatorio per la Giustizia di Cagliari.

«La magistratura – ha concluso DEttore – deve guardare al suo interno per costruire la sua indipendenza. Il conflitto permanente tra politica e magistratura non può continuare, deve terminare questa demonizzazione reciproca. Se non si parte dal principio d’indipendenza dei giudici e dall’idea che questi conflitti si risolvono in sede legislativa, dialogando, ogni riforma sarà inadeguata e insufficiente».

L’avv. Mariagrazia Rosamilia, in tal senso, ha concluso auspicando una rapida attuazione della cd. Riforma Cartabia e l’attenzione del Parlamento verso il ruolo fondamentale dell’avvocatura, come sottolineato nel suo intervento anche dal Presidente di Nova Juris, avv. Luca Monaco, con l’esposizione – nella Sala del Cenacolo di Palzzo Valdina – del Manifesto per la Buona Giustizia. (rp)

 

D’Ettore (CI): Bene Cartabia su Csm riforma condivisa

Il deputato di Coraggio ItaliaFelice Maurizio D’Ettore, ha commentato la relazione del ministro della Giustizia, Marta Cartabia, sottolineando che «ci consente, come Parlamento, di avere non un mero controllo ma un’informazione precisa ed un approfondimento tematico sulle attività del dicastero».

«Finalmente! – ha aggiunto D’Ettore –. Lo spirito della Costituzione, come sottolineato a Montecitorio dal Guardasigilli, illumina l’esercizio dell’attività propria del Ministero della Giustizia”,  e ha proseguito “non è vero che un ministro cosiddetto ‘tecnico’ non abbia un indirizzo politico, se il suo indirizzo è quello costituzionale ed è quello dei valori più profondi della nostra carta costituzionale». 

Il Coordinatore regionale di Coraggio Italia per la Calabria ha poi ricordato «che non c’è solo il processo penale tra le riforme proposte, ma anche la delega civile, ci sono le tematiche riguardanti il diritto di famiglia e quello minorile, che sono state affrontate da questo governo e dal Ministro sulla base di nuove prospettive di intervento normativo». 

Per il deputato bisogna, inoltre, «stare attenti» quando «parliamo di un organo di rilevanza costituzionale come il Csm». Sul tema le riforme, ha aggiunto, «vanno portate avanti con equilibrio e ragionevolezza. Consentiamo al ministro e al Governo di trovare una soluzione che sia condivisa nel modo più ampio possibile in parlamento».

E in queste ore è arrivata la conferma che sarà il Ministro della Giustizia Marta Cartabia ad inaugurare l’anno giudiziario a Reggio Calabria il prossimo 22 gennaio. 

Una decisione importante quella del Guardasigilli che ha scelto la città dello Stretto e che sottolinea l’impegno del governo anche con riguardo alla organizzazione ed alle risorse relative al “servizio” giustizia in Calabria, in un periodo tra l’altro di riforme e cambiamento a livello nazionale. (rp)

La vicepresidente Princi: Rendere efficienti sia macchina amministrativa che giudiziaria

«In Calabria abbiamo bisogno di una convergenza di forze, oltre che di risorse economiche. È necessario rendere efficienti al 100% sia la macchina amministrativa che quella giudiziaria». È quanto ha dichiarato la vicepresidente della Regione Calabria, Giusy Princi, in apertura dei lavori A Sud della Giustizia, convegno promosso dal Consiglio nazionale Forense e organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Reggio Calabria.

Per la vicepresidente, infatti, «sono presupposti di efficacia basilari per il nostro contesto. Insieme, possiamo farlo… e cambieremo questa Regione!».

«È una fase molto delicata quella che stiamo attraversando come Paese e come Regione – ha proseguito – in ogni settore, anche quello della Giustizia. È per questo che il Presidente Occhiuto tiene a rappresentare spesso la sua vicinanza al mondo della Giustizia tutta, perché sappiamo bene quanto fondamentale sia una Giustizia efficace ed efficiente, stando alla base della legalità e della sicurezza di una Comunità».

«Giustizia ed Amministrazione sono legate reciprocamente da un doppio filo invisibile: se vicendevolmente messe nelle condizioni di lavorare bene – ha concluso Giusi Princi – ritengo che proprio la Legalità possa diventare a sua volta volano di sviluppo e di crescita della Calabria e del Sud. Che questo giorno sia foriero di risultati positivi. Mi auguro sia la stagione del cambiamento. Lo dobbiamo ai nostri giovani, ai Calabresi tutti!».

La ministra per il Sud, Mara Carfagna, in un videomessaggio ha dichiarato che «una delle prime iniziative che ho preso è stata quello di concordare, con il ministro della giustizia Cartabia, l’istituzione di una commissione formata di magistrati, avvocati e tecnici».

«Siamo tutti consapevoli che solo una giustizia più efficace e più efficiente può garantire le condizioni per garantire lo sviluppo delle aree del Mezzogiorno» ha aggiunto, spiegando che «sappiamo tutti che il Sud ha problemi specifici rispetto ad altre regioni del Paese. L’analisi della commissione ci consentirà interventi mirati ed efficaci per ridare sostegno a una giustizia più rapida e più attenta ai diritti di tutti i soggetti del processo».

Presente, anche il vicesindaco della Città Metropolitana di Reggio Calabria, Carmelo Versace, che ha evidenziato come «il rapporto Svimez di qualche settimana fa conferma purtroppo ancora una volta il forte ritardo che si registra nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese sul fronte giustizia».

«Uno scenario – ha spiegato – che viaggia di fatto a due velocità e che vede ancora i nostri territori fortemente penalizzati a causa di un gap che incide in modo molto netto ed evidente non solo nel sistema dei servizi che vengono resi al cittadino in questo delicato e fondamentale settore della vita pubblica, ma anche per ciò che riguarda i processi di sviluppo e di crescita sociale ed economica delle comunità».

«Si tratta di un problema di stringente attualità – ha poi aggiunto il rappresentante di Palazzo “Corrado Alvaro” – che deve occupare un posto centrale nell’agenda politica nazionale, specie in un momento storico come quello che stiamo vivendo in cui proprio i territori del Mezzogiorno si trovano di fronte a sfide epocali e irripetibili come quella delle risorse e dei programmi di sviluppo e ripartenza che fanno capo al Pnrr».

«Sfide cruciali che richiedono, necessariamente – ha concluso – l’apporto di un sistema giustizia efficiente, capace cioè di garantire tempi di risposta adeguati perché, proprio come tutti i principali indicatori e osservatori socio economici rilevano ormai da tempo, le opportunità che un territorio ha di valorizzare risorse e investimenti, dipendono anche da una giustizia capace di assicurare certezza del diritto e nel contempo una definizione dei contenziosi in tempi ragionevoli». (rrc)

 

 

L’OPINIONE / Indagini e giusto processo, di Marcello Vitale

di MARCELLO VITALE – Quello del “giusto processo” è un tema complesso tuttavia fondamentale, ai fini della trattazione per quanto succinta e per grandi linee dello stesso, risulta l’art. 111 della Costituzione Italiana che al comma primo recita: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”; così generando interferenze rilevanti con i principi cardine del vigente modello di tipo “accusatorio” voluto nel 1989 dal codice “Vassalli”.

Il giusto processo, introdotto dalla legge costituzionale del 23 novembre 1999 n.2, è, in estrema sintesi, il processo che tiene conto dei diritti delle parti e li garantisce in attuazione di vari principi fondamentali tra i quali, in primis, quello che vengano assicurati sia il contraddittorio tra le parti che la condizione di parità tra le stesse, accusa ed accusato, nella ricerca e formazione delle prove, tenuto conto che nel nostro sistema accusatorio la decisione del giudice si forma appunto sulle prove fornite dalle parti.

In quest’ottica, la persona dell’accusato deve essere nel più breve tempo possibile riservatamente informata che ha diritto a un’informativa di garanzia tempestiva, riservata ed esauriente, con specificazione della natura e dei motivi dell’accusa a suo carico. L’accusato deve altresì disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa (per incidens l’art. 24 della Costituzione nel caso di accusato non abbiente, per rendere effettiva la difesa, ha sancito l’istituito del patrocinio a cura dello Stato; e peraltro l’ordinamento, per sostenere il principio di parità nella ricerca e formazione della prova tra accusa ed accusato, ha introdotto, con gli artt. 327 bis e 391 bis c.p.p., la disciplina che consente al difensore della persona accusata di compiere indagini investigative).

Dunque, giova a questo punto precisare e sottolineare che con la legge costituzionale di cui all’art.111 il processo penale perde praticamente (nel bilanciare le esigenze di difesa con le istanze di giustizia tramite l’introduzione del principio di parità tra accusa e difesa)  la sua vecchia natura inquisitoria: sono separate nettamente le due fasi di un procedimento, quella delle indagini e quella del dibattimento, solo nel corso della quale ultima si forma in contraddittorio tra le parti la prova; ragion per cui le dichiarazioni rese durante le indagini non hanno più alcun valore di prova e potranno essere utilizzate dal magistrato soltanto ai fini della credibilità del dichiarante.se non confermate.

Ad esempio, ad eccezione di tre casi particolari tra i quali quello che il testimone sia stato sottoposto a violenza o minaccia, è escluso che quanto detto dai pentiti e testimoni durante la fase delle indagini, possa essere usato ai fini della decisione se non riconfermato in contraddittorio. Con il che trova generale e globale risposta anche la prima parte del tema assegnato: il ruolo delle indagini finalizzato al giusto processo.

In tale ottica direi che il ruolo delle indagini nel processo assume carattere propedeutico e preparatorio in direzione della fase dibattimentale in cui solo si forma la prova utile ai fini della decisione. Ciò beninteso, salvaguardando l’anticipata acquisizione della prova realizzatasi con l’incidente probatorio comportante la sua utilizzazione in sede dibattimentale.

Altro principio fondamentale sancito dall’art.111 della Costituzione è quello secondo cui la legge deve assicurare la “ragionevole durata del processo”; principio che non contrasta ma anzi esalta la serie di valori sanciti dal giusto processo, introdotto in adesione a quanto già in materia stabilito dall’art.6, comma 1, CEDU (“ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole”) e  dall’art.47, co. 2, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea (ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale , precostituito per legge”).

In Italia, per la Cassazione (cfr. sentenza 24901 del 2008) la durata ragionevole di un processo è considerata quella che rispetta il termine di 3 anni per il giudizio di primo grado e di 2 anni per quello di secondo grado (legge Pinto). Malgrado l’esistenza di precise norme nazionali e internazionali, la “ragionevole durata” del processo rappresenta in Italia una chimera per la difficile situazione in cui versano le nostre strutture giudiziarie per la cronica esiguità del personale (magistrati e ausiliari).

Dunque, da una parte occorre agire sull’organizzazione degli uffici giudiziari sotto il profilo dei mezzi in dotazione e delle risorse umane, e, dall’altra, varare, senza alcun spirito di rivalsa o peggio, la riforma delle regole che deve porsi come primario obiettivo la rapidità della decisione; il che necessariamente comporta l’espunzione di tutto ciò che in concreto allunga, complica e intralcia senza servire per davvero ad attuare un processo giusto in concreto ( si pensi ad esempio a tanti casi d’inutilizzabilità di atti).

Sotto tal profilo fondamentale è, forse più realistico dire sarebbe, l’individuazione di strumenti di collaborazione di giudice e parti processuali per il perseguimento dell’obbiettivo della ragionevole durata e del processo giusto, estromettendo le condotte delle parti, che spesso abusano del processo, aventi solo natura dilatoria in quanto non funzionali ad un effettivo diritto di agire e resistere in giudizio.

Sarebbe quindi opportuno individuare gli strumenti che il giudice può adoperare proprio per prevenire e reprimere le condotte abusive delle parti. La riforma del processo in tal senso otterrebbe peraltro il risultato di far diventare marginale il tema della fissazione dei termini di prescrizione dei reati; tema rovente che oggi è al centro del dibattito parlamentare. Se la durata del processo fosse equa, cioè ragionevole, è di tutta evidenza che nella stragrande maggioranza dei casi la conclusione del processo interverrebbe molto prima della maturazione dei tempi di prescrizione. [courtesy LabParlamento]

Marcello Vitale è Presidente Aggiunto Onorario della Corte di Cassazione

GIUSTIZIA, CAMERE PENALI CONTRO IACONA
TEATRALITÀ IN TV O DIRITTO DI CRONACA?

di SANTO STRATI – Che la trasmissione Presa Diretta di lunedì scorso dedicata al processo Rinascita Scott avrebbe creato un po’ di scompiglio era più che scontato, meno prevedibile il pesante attacco firmato dalle Camere penali di tutta la Calabria contro il giornalista Riccardo Iacona. Da un lato, i penalisti parlano di «capziosa e partigiana rappresentazione di un processo – che solo sulla carta deve ancora celebrarsi»,  dall’altro, l’Unione Cronisti calabresi difende il lavoro di Iacona bollando come «sconcertante il documento sottoscritto dai presidenti delle Camere penali calabresi».

Il giornalista ha spiegato all’AdnKronos di non avere fatto «un processo in tv, il processo si fa nell’aula bunker di Lamezia Terme e non era l’oggetto della mia inchiesta. L’oggetto della mia inchiesta era l’indagine Rinascita Scott. E le riprese sono cominciate prima ancora che iniziasse la prima udienza a Lamezia Terme. Non è che noi facciamo cronaca processuale. Invece è importante che i giornalisti tornino a parlare di queste cose».

Secondo l’Unione Cronisti della Calabria, guidata da Michele Albanese, «Il lavoro realizzato da Riccardo Iacona e con i colleghi Marco Dellamonica e Massimiliano Torchia, contrariamente a quanto scritto dai penalisti calabresi ha, invece, avuto il merito di spezzare l’assordante silenzio dell’informazione nazionale su una delle vicende giudiziarie più importanti della storia italiana, ovvero il maxiprocesso Rinascita Scott la cui narrazione, anche a causa delle contestabili e contestate limitazioni imposte dal Tribunale di Vibo Valentia alle riprese audiovisive del dibattimento, è stata sin qui rassegnata al lavoro solitario ed encomiabile di pochissimi cronisti e testate calabresi».

I cronisti calabresi affermano che «la redazione di PresaDiretta ha reso, invece, un servizio al Paese, offrendo una eccezionale pagina di buon giornalismo, raccontando i fatti alla base dell’inchiesta la cui tenuta è adesso al vaglio di collegio di giudici che valuterà nel nome del Popolo italiano la colpevolezza e l’innocenza degli imputati. Nessun processo mediatico, dunque, nessuna sentenza anticipata, ma un’informazione corretta, completa, essenziale e puntuale. Restiamo esterrefatti, peraltro, di fronte  a certe affermazioni».

Di parere opposto i rappresentanti delle Camere Penali che sostengono: «L’attacco scriteriato e indiscriminato alla presunzione d’innocenza e ai principi costituzionali del giusto processo non ci sorprende più e, ancor di meno, ci meraviglia che il tribunale del popolo, imbastito abilmente dall’inchiesta giornalistica, si sia espresso per mezzo della televisione pubblica», affermando di avere «avvertito e denunciato il rischio che la diffusa delegittimazione della funzione difensiva – frutto dell’abusata assimilazione tra l’avvocato e le ragioni del proprio assistito – risultasse  “plasticamente” raffigurata dalla “colossale” macchina giudiziaria messa in piedi dalla Procura di Catanzaro, senza alcuna tutela per le istanze a presidio delle libertà individuali».

I penalisti calabresi indicano che «Violando la riservatezza e la salvaguardia della “verginità” cognitiva dei giudici, sono stati escussi testimoni, riprodotte intercettazioni (senza il filtro del perito), divulgate immagini, esibiti atti ripetibili d’indagini, il tutto nell’assenza assoluta di un valido contraddittorio. A chi interessa (non si è fatto minimo accenno nella trasmissione) se buona parte (circa 200) delle misure cautelari applicate siano state successivamente censurate nelle sedi giudiziarie del gravame».

Il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, nelle scorse settimane, aveva lamentato la scarsa attenzione riservata dai media a questo colossale processo che mette alla sbarra un incredibile quantità di presunti mafiosi e tanti, troppi, “colletti bianchi” supporter – secondo l’accusa – di un sistema criminale interamente in capo alla ‘ndrangheta. E l’inchiesta di Iacona ha raccontato come si è arrivati a istruire questo processo e a illustrare le ragioni della pubblica accusa (13mila pagine di ordinanza): il processo è ancora agli inizi e dovrà, ovviamente, avere tutta la visibilità mediatica dovuta. Quindi inspiegabili sono anche le limitazioni imposte dai giudici all’attività giornalistica e di documentazione audio-video.

Due posizioni contrastanti, dunque: tra diritto alla difesa e diritto all’informazione. A nostro modesto avviso, hanno ragione entrambe le parti. Da troppo tempo è invalsa l’abitudine di ritenere un avviso di garanzia l’equivalente di una condanna e da strumento a tutela dell’indagato/accusato si è trasformato in gogna mediatica garantita, oltre, naturalmente, alle custodie cautelari, ai sequestri e quant’altro previsto in casi del genere dal nostro codice penale. Presa Diretta ha esercitato il diritto di cronaca, cercando di spiegare, di informare, di contestualizzare il quadro processuale, senza emettere sentenze: non è compito dei giornalisti e la correttezza e la serietà professionale di Iacona non possono in alcun modo essere messe in discussione. E non si può dire che non abbia ascoltato anche le parti della difesa. Indubbiamente, in una sintesi televisiva, il rischio di teatralità è inevitabile, soprattutto se si prendono le intercettazioni e si fanno interpretare con tanto di inflessione dialettale, tanto da indurre più d’uno a immaginare che siano le registrazioni in mano ai magistrati. Questo modo di fare giornalismo, probabilmente, merita una presa di distanza: il racconto  distaccato del cronista – rischia di essere “viziato” di una inevitabile – anche se spesso involontaria – sponda a favore soltanto della pubblica accusa.

Intendiamoci, il lavoro – straordinario e non invidiato da nessuno – del dott. Gratteri è fuori discussione: il suo impegno per la legalità e il trionfo della giustizia sono sotto gli occhi di tutti, giorno dopo giorno, come una missione che solo un sognatore o un “fanatico della legge” come il procuratore di Catanzaro potrebbe portare avanti. La sua lotta contro il crimine organizzato, contro la ‘ndrangheta, ma soprattutto contro le cosiddette “zone grigie” di funzionari dello Stato, imprenditori, professionisti, che si ritrovano a fiancheggiare la mafia per la conquista di spazi a 360 gradi da parte delle varie cosche, la sua lotta deve avere il plauso e il sostegno incondizionato di tutti i calabresi, anzi di tutto il popolo italiano: la malapianta del crimine si può estirpare solo grazie a personaggi come Gratteri che hanno sacrificato un’esistenza tranquilla a favore di una guerra totale alla ‘ndrangheta. Che è fatta non più solo di capibastone e di picciotti, ma di troppi compiacenti personaggi dell’apparato della vita civile, che hanno contribuito alla crescita e permettono, ancora oggi, il prosperare di traffici illeciti che generano profitti pazzeschi.

Quindi, non solo non ci si deve fermare nella lotta indiscriminata alle consorterie mafiose, che crescono con le devianze massoniche o il favore di infedeli colletti bianchi dell’amministrazione statale, ma bisogna incrementare e sostenere tale battaglia, che, anzi, è una vera e propria guerra. Servono giudici, militari, forze dell’ordine: un rafforzamento in tutti i campi che piantoni il territorio e garantisca la legalità, proprio nel momento in cui le indagini scoperchiano un verminaio sempre più disgustoso di alleanze che i calabresi perbene (e sono tantissimi) vorrebbero vedere annientato una volta per tutte. Serve, in altre parole, lo Stato che faccia sentire la sua presenza e non abbandoni i suoi uomini migliori in questa lotta spesso impari con il crimine organizzato.

Allo stesso tempo, però, non si può fare a meno di sottolineare che il diritto a un giusto processo – che sia di ragionevole durata – è assolutamente inalienabile. E, invece, c’è, purtroppo, con una frequenza che mette paura, il ricorso “facile” alle manette e alle custodie cautelari, dimenticandosi di chi finisce dietro le sbarre o al chiuso dei “domiciliari”, lasciandolo in attesa di un giudizio che è lentissimo e che finisce col punire solamente l’innocente che si ritrova, per varie e spesso superficiali motivazioni, all’interno di un’inchiesta giudiziaria di mafia.

C’è il caso, a noi vicino, dell’ex sindaco di Marina di Gioiosa Jonica, Rocco Femia che ha dovuto aspettare dieci anni per vedere riconosciute le sue ragioni d’innocenza. Però, s’è fatto cinque anni di carcere durissimo, è stata distrutta la sua carriera politica, invalidata per sempre la sua attività di professore di liceo, frantumata l’esistenza e tentato (senza fortuna, grazie a moglie e figli)) di minare anche la stessa vita familiare. Per poi scoprire che è assolutamente estraneo agli infamanti fatti di mafia di cui era stato accusato. Chi ripagherà l’amministratore e l’uomo Femia delle infamie, dei soprusi subiti in carcere, dell’indegna carcerazione e del pubblico ludibrio della sua onorabilità calpestata senza un briciolo di prove?

La mancanza della “pistola fumante”, ovvero la prova incontrovertibile, dovrebbe essere il metro giusto per misurare le richieste di custodia cautelare e indagini rapide dovrebbero essere garantite per accertare se esistono ragionevoli indizi sulla presunta colpevolezza. Attenzione alla parola “presunta”: la nostra Carta Costituzionale garantisce la presunzione d’innocenza fino al terzo grado di giudizio: se i padri costituenti hanno ritenuto opportuno scrivere al secondo comma dell’art. 27 «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva», questa dettato va rispettato da tutti, senza se e senza ma. Ma non è quello che si vede, ai giorni nostri, leggendo molti giornali o guardando certe trasmissioni televisive.

Noi giornalisti, dobbiamo smettere di cercare il sensazionalismo evitando di applicare facili etichette di colpevolezza alla semplice emissione di un avviso di garanzia, dedicando semmai le proprie capacità (e, quando c’è, il talento) a fare quel giornalismo d’inchiesta di cui sembra si siano perse le tracce. Iacona fa questo tipo di giornalismo, con onestà intellettuale e massimo rigore, e dovremmo avere cento, mille Iacona a scoperchiare magagne e sollecitare l’interesse della magistratura su condotte non certo irreprensibili. Ma nella stessa misura non abbiamo bisogno di magistrati “giustizialisti” secondo i quali tutti sono colpevoli, salvo a dimostrare il contrario. Compito della pubblica accusa è dimostrare la colpevolezza e tocca alla difesa smontare l’ipotesi accusatoria, quando questa è basata sul nulla o non si regge su elementi probatori certi. Non si può mettere il timbro di “mafioso” a una persona perbene in base a intercettazioni indirette o a prove che risulteranno poi inesistenti: è accaduto, accade ancora, purtroppo.

Occorre trovare l’equilibrio perché la giustizia sia sempre tale  e non, come ha raccontato miseramente l’ex capo dell’Associazione Magistrati Palamara, a volte a favore dell’uno o dell’altro interesse personalistico. Ne va della nostra vita di cittadini: a nessuno sia consentito di continuare a delinquere, a corrompere, a imporre la logica mafiosa del potere che compra tutto e travolge tutto (ma non tutto, per fortuna), ma non è altresì tollerabile vedere una persona – apparentemente perbene – finire ai ferri, senza elementi certi di indagine, senza prove che non possono essere confutate perché inesistenti. La regola della “pistola fumante” sarebbe il primo passo per una riforma della giustizia che non può più essere rinviata: una giustizia che persegua mafiosi e gente di malaffare, ma non mortifichi e “uccida” socialmente qualche innocente. (s)

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LE REAZIONI E I COMMENTI

LEGA – Il commissario regionale della Lega, avv. Giacomo Saccomanno ricorda che «la Calabria e l’Italia intera sono stati distrutti dalla corruzione e dagli intrecci tra criminalità organizzata, politica e imprenditoria. Elementi questi che hanno completamente bloccato una possibile crescita della nostra regione, obbligando tanti giovani ad andare via. Danni gravissimi che, però, non vengono nemmeno esaminati. D’altro canto, scagliarsi contro chi ha evidenziato tale quadro, si allarmante, e come buttare avanti le mani! Eppure, tale attacco proviene da coloro che ben conoscono le regole del processo. La Procura fa delle indagini e se ritiene che vi siano degli elementi di rilevanza penale procede a formulare le proprie richieste. Queste vengono vagliate da altri magistrati terzi che, se ne ravvedono le condizioni, procedono ad accogliere o negare le richieste. Poi a seguire i tanti mezzi impugnatori che garantiscono l’indagato o l’imputato».

Secondo il legale di Rosarno, «È veramente intollerabile che si possa commentare negativamente l’azione giudiziaria portata avanti da un valente ed intransigente magistrato e da una Procura coraggiosa ed anche la libertà di stampa per un libero commento a tali indagini. La fragilità delle lamentele è tale che appare veramente incomprensibile. Sembra essere ritornati a tanti anni orsono allorquando si contestava una metodologia, ma non si rifletteva sulla sostanza delle conseguenti gravi scoperte»


TESORO CALABRIA – Carlo Tansi sostiene che si«attacca chi denuncia, non chi delinque, Ma è assordante il silenzio della politica». Secondo Tansi, «Iacona ha dunque scoperchiato il Vaso di Pandora, illuminando il tenebroso sottobosco in cui si saldano gli interessi perversi di vecchi boss ancora degni del Padrino, e simbolicamente legati a coppola e lupara, quasi fossero ‘chiddi cu i peri incritati’ tipo Riina e Provenzano; nuovi famelici capibastone più affaristici e intraprendenti; insospettabili colletti bianchi al completo servizio in cambio di fiumi di denaro da parte dei vertici delle varie ‘ndrine; appartenenti  alle forze dell’ordine corrotti e alcuni di quei ‘bravi cittadini’ a disposizione del Sistema in cerca di utilità di qualsivoglia genere. Una malapianta che cresce infestando una foresta sana e drogando l’economia e la società di una regione altrimenti fra le più belle d’Italia e non solo.
Ma quello che mi fa più male, addirittura sconvolgendomi, non è tanto l’affondo dell’Unci regionale a salvaguardia dei suoi interessi fra avvocati secondo l’accusa asseriti burattinai di certi giochi di potere e soldi, tantissimi soldi, imputati eccellenti e capimafia ottimi clienti, bensì l’assordante silenzio della politica. Un’Istituzione che avrebbe dovuto urlare tutto lo sdegno e la rabbia per quanto mostrato da Rai3 in diretta nazionale e viceversa chiusa a riccio, per i troppi inconfessabili strusci con quel mondo di… mezzo, in attesa di veder passare la tempesta. Una vergogna senza fine. Una pagina nera, da voltare al più presto.


CAMERE PENALI – Il coordinamento delle Camere Penali Calabresi, con le firme degli avvocati Valerio Murgano (Catanzaro), Armando Veneto (Palmi), Pasquale Foti (Reggio), Eugenio Minniti (Locri), Pietro Perugini (Cosenza), Liborio Bellusci (Castrovillari), Giuseppe Mario Aloi (Vibo Valentia), Romualdo Truncè (Crotone), Massimo Zicarelli (Paola), Giuseppe Zofrea (Lamezia Terme) e Giovanni Zagarese (Rossano) ha redatto il documento con cui sostiene che il giornalista Iacona ha «delegittimato il processo».

«Non servirà – si legge nel documento – un dibattimento, inutile ascoltare oltre mille testimoni – indicati in buona parte dalla Procura della Repubblica di Catanzaro – e attendere la perizia sulle intercettazioni; superflue le domande e le discussioni dei difensori, così come tutta l’impalcatura processuale sancita nel codice di rito.

Non occorreva l’indovino Tiresia (secondo la mitologia greca reso cieco dagli Dei affinché non profetizzasse argomenti “segreti”) per immaginare quello che sarebbe avvenuto da lì a poco nella trasmissione televisiva del servizio pubblico “presa diretta”: il processo Rinascita Scott è stato celebrato dalla Tv di Stato (Rai Tre) con la condanna anticipata di tutti gli imputati.

L’attacco scriteriato e indiscriminato alla presunzione d’innocenza e ai principi costituzionali del giusto processo non ci sorprende più e, ancor di meno, ci meraviglia che il tribunale del popolo, imbastito abilmente dall’inchiesta giornalistica, si sia espresso per mezzo della televisione pubblica.

Attraverso la capziosa e partigiana rappresentazione di un processo – che solo sulla carta deve ancora celebrarsi – è stata rivendicata la necessità che gli “orpelli” del diritto processuale penale siano smantellati attraverso una  scenografica rappresentazione delle istanze punitive della pubblica accusa.

Le camere penali calabresi avevano avvertito e denunciato il rischio che la diffusa delegittimazione della funzione difensiva – frutto dell’abusata assimilazione tra l’avvocato e le ragioni del proprio assistito – risultasse  “plasticamente” raffigurata dalla “colossale” macchina giudiziaria messa in piedi dalla Procura di Catanzaro, senza alcuna tutela per le istanze a presidio delle libertà individuali. Si è già detto: ”emerge lampante come un processo elefantiaco a carico di 480 imputati si risolva “fisiologicamente” (sia consentito l’ossimoro) in un rito sommario nei confronti di “categorie criminologiche” assistite dalla presunzione di colpevolezza. Il resto è teatralità”.

Da avvocati penalisti abbiamo il dovere di resistere alle barbarie del processo virtuale, mediatico, anticipato, capace di condizionare non solo l’opinione pubblica, ma soprattutto i giudici che compongono il Tribunale del processo Rinascita Scott.

Avevamo paventato – a ragione – che la spettacolarizzazione dell’inchiesta potesse nuocere alla dignità e alle sorti processuali dei soggetti coinvolti.

Oggi si ha la certezza che la sovraesposizione degli atti d’indagine, interpretati come nelle migliori fiction dai loro stessi protagonisti, verranno valutate come prove della responsabilità penale dei singoli.

Violando la riservatezza e la salvaguardia della “verginità” cognitiva dei giudici, sono stati escussi testimoni, riprodotte intercettazioni (senza il filtro del perito), divulgate immagini, esibiti atti ripetibili d’indagini, il tutto nell’assenza assoluta di un valido contraddittorio. A chi interessa (non si è fatto minimo accenno nella trasmissione) se buona parte (circa 200) delle misure cautelari applicate siano state successivamente censurate nelle sedi giudiziarie del gravame.

Sotto lo scudo del diritto di cronaca si è materializzato un attacco cruento ai principi cardinali del sistema penale, le informazioni somministrate senza il filtro di un interlocutore capace di offrirne un’analisi corretta all’opinione pubblica.

La libertà personale, la tutela dell’immagine, la difesa della dignità dei soggetti inquisiti, il diritto a un equo e giusto processo, tutti sacrificati sull’altare di un giustizialismo propagandistico e inquisitorio, degno di una TV di regime.

Assistiamo, oramai assuefatti, all’abuso costante del diritto-dovere di informare da parte dei media, i quali, pur di perseguire l’audience e il successo editoriale, prestano il fianco alle logiche di un potere illimitato nelle mani di un tiranno che tratta i propri cittadini come sudditi.

Una sorta di realtà “parallela” frutto sapiente di una sceneggiatura montata ad arte dalla testata giornalistica pubblica.

Il grido di dolore delle camere penali calabresi è ben condensato nelle sapienti parole che il Guardasigilli ha pronunciando solo due giorni fa in commissione giustizia alla Camera dei Deputati e con le quali il Ministro Marta Cartabia ha riaffermato, a questo punto anche lei inutilmente, il “no” al processo mediatico, denunciando “la sponda” che gli inquirenti cercano sui media per amplificare la forza delle accuse.

Ed allora, i giudici saranno chiamati a valutare fatti già accertati, a giudicare soggetti già condannati, a valutare prove già assunte.

L’uso distorto del diritto d’informazione, l’annientamento delle garanzie processuali, la violazione sistematica del diritto di difesa, non indeboliscono, ma all’opposto rafforzano la criminalità organizzata, amplificando logiche e spinte antistatali che trovano nuova linfa nell’animo di coloro che non credono più che l’imputato abbia il diritto di difendersi nel processo e nel rispetto delle regole.

Le Camere Penali Calabresi, nel ribadire il momento drammatico che l’esercizio del diritto di difesa vive sul proprio territorio, propongono alla Giunta di voler proclamare lo stato di agitazione dell’avvocatura penalista, accompagnata da iniziative di carattere politico sull’intero territorio nazionale».


UNIONE CRONISTI – Come riferisce il giornale online Giornalistitalia, diretto da Carlo Parisi, i cronisti calabresi sottolineano che «la redazione di PresaDiretta ha reso, invece, un servizio al Paese, offrendo una eccezionale pagina di buon giornalismo, raccontando i fatti alla base dell’inchiesta la cui tenuta è adesso al vaglio di collegio di giudici che valuterà nel nome del Popolo italiano la colpevolezza e l’innocenza degli imputati. Nessun processo mediatico, dunque, nessuna sentenza anticipata, ma un’informazione corretta, completa, essenziale e puntuale. Restiamo esterrefatti, peraltro, di fronte  a certe affermazioni».

«Frasi sottoscritte dai penalisti come “assistiamo, oramai assuefatti, all’abuso costante del diritto-dovere di informare da parte dei media, i quali, pur di perseguire l’audience e il successo editoriale, prestano il fianco alle logiche di un potere illimitato nelle mani di un tiranno che tratta i propri cittadini come sudditi” – incalza l’Unci Calabria – sono gravissime. I giornalisti italiani e calabresi, sottoposti essi stessi ad estenuanti procedimenti penali e cause temerarie milionarie, abusano davvero del diritto-dovere d’informare?
Oppure chi abusa sono, invece, coloro che ricorrono strumentalmente proprio dal diritto con lo scopo di intimidire e fermare i giornalisti stessi? E chi sarebbe il tiranno? Il procuratore Nicola Gratteri, forse? O la tirannide, invece, è quella dei mafiosi che, essi sì, trattano i cittadini come sudditi o, peggio, come schiavi e che costringono molti nostri colleghi a vivere sotto scorta o sottoposti a servizi di vigilanza dinamica dalle Prefetture?».
Dal Gruppo Cronisti Calabria, dunque, «solidarietà piena e convinta non solo a PresaDiretta, a Riccardo Iacona e ad i suoi inviati, ma anche a tutti coloro che, resistendo ad ogni forma di pressione, continuano a produrre un’informazione seria, coraggiosa e competente, rispettosa dei diritti costituzionali tutti»

 

 

La Calabria in prima pagina: l’arresto di Tallini sconcerta e sconvolge i calabresi

Non staremo qui a sindacare l’iniziativa giudiziaria contro il presidente del Consiglio regionale perché la magistratura non va né criticata, né contestata, ma non possiamo fare a meno di rilevare che il provvedimento degli arresti (pur se domiciliari) sconcerta e sconvolge i calabresi. Nel momento in cui già la regione era nell’occhio del ciclone per la grottesca vicenda dei commissari della sanità. E l’arresto eccellente del Presidente del Consiglio regionale in carica ha fatto scatenare i media, la stampa, la tv, le testate online, in un violento attacco generalizzato contro la Calabria e i calabresi. Tutto viene enfatizzato e massificato in un’idea che non può essere tollerata: se anche il capo dell’assemblea consiliare è accusato di collusioni mafiose, allora tutti i calabresi sono mafiosi. Senza contare gli effetti destabilizzanti che un arresto inevitabilmente clamoroso rischia di avere in una regione attualmente priva di guida politica: non fraintendiamo, di fronte alla legge non ci può essere ragion di Stato che tenga, ma probabilmente sono i risvolti mediatici dell’iniziativa che andrebbero considerati. Perché, diversamente, gli sciacalli del giustizialismo sfrenato (che è l’esatto opposto del sano concetto di giustizia) ci sguazzano dentro in un tritacarne mediatico che non risparmia nessuno.

Povera Calabria, addio reputazione: facciamo due passi avanti e tre indietro. Saranno i giudici a stabilire eventuali responsabilità e a perseguire i reati che saranno riconosciuti, ma la presunzione di innocenza, sancita dalla Costituzione nei suoi tre gradi di giudizio, va troppo spesso bellamente al diavolo nel nostro beneamato Paese.

Se la semplice parola “indagato” ha scatenato una valanga di fango contro l’ex Rettore della Sapienza designato commissario della sanità (che giustamente ha ritenuto opportuno fermare sul nascere l’ondata di sospetti che stava per scaricarsi su di lui), figuriamoci un ordine di arresto. Tallini è già condannato dall’opinione pubblica, indipendentemente se sono vere le accuse o se si riveleranno prive di efficacia probatoria: gli si è rovesciata addosso una pentola di letame che però non offende e insulta un “presunto innocente” ma anche delegittima l’istituzione. Cosa deve pensare un giovane calabrese di fronte a un arresto così clamoroso? Se accusano di mafia il capo dell’assemblea regionale, di chi potrà fidarsi nel futuro? Ci auguriamo che la decisione dell’arresto (ancor più drammatica vista la carica pubblica dell’indagato) poggi su concreti indizi e soprattutto prove inconfutabili: non possiamo permetterci, in questo terribile momento, in Calabria di avere dubbi anche sulla magistratura. (s)

Cannizzaro (FI): Stravolto il mio emendamento, una beffa per i tirocinanti della Giustizia

Il deputato forzista Francesco Cannizzaro ha preso posizione sul tema dei tirocinanti della Giustizia, dopo che il suo emendamento per la regolarizzazione del precariato è stato completamente stravolto. «Sui tirocinanti della giustizia, – ha dichiarato l’on. Cannizzaro – questo Governo PD-M5Stelle si conferma lontano anni luce dall’Italia che lavora e che produce. L’emendamento che avevo sottoscritto la scorsa settimana per garantire la regolarizzazione di 2.000 tirocinanti è stato completamente stravolto, saranno poco più di mille le figure che vedranno semplicemente prolungata la loro precarietà per appena 10 mesi, e senza neanche garantire i tirocinanti perchè il bando sarà aperto a tutti».

«È’ un duro colpo per gli uffici giudiziari – ha detto ancora Cannizzaro – che negli ultimi anni sono andati avanti grazie al sacrificio e all’impegno di queste persone, che hanno svolto un lavoro fondamentale a supporto di giudici, magistrati e avvocati. Oggi il Governo ha perso una grande occasione che avrebbe consentito ai tribunali di fare un salto di qualità per l’efficienza del lavoro quotidiano. Anziché pensare ad abolire la prescrizione trasformando il nostro Paese in uno Stato di diritto in una Repubblica dei processi infiniti, l’esecutivo dovrebbe invece impegnarsi per garantire l’efficiente funzionamento dei Tribunali e degli organi giudiziari. L’unico augurio è che il Centro-destra possa al più presto sostituire questi incapaci di sinistra dell’esecutivo giallo-rosso restituendo anche a questo settore le attenzioni che merita. Non ci possiamo e dobbiamo arrendere a questa mediocrità». (rp)

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