CORIGLIANO ROSSANO E IL POTENZIALE PER
ESSERE SIMBOLO DI RISCATTO E RESTANZA

di GIOVANNI B. LEONETTINon è mai semplice raccontare un sogno, soprattutto quando si parla di politica. Non è semplice, perché spesso i sogni e la politica da molti sono visti come concetti contrapposti.

Eppure credo che, dopotutto, la politica non sia altro che il percorso verso la realizzazione di sogni collettivi. Cos’è oggi Corigliano-Rossano?

La nascita della città ha indubbiamente sconvolto la geografia della nostra regione, ponendo finalmente anche l’area dello Jonio cosentino tra le realtà politiche, economiche e commerciali del Sud Italia.

Non dimentichiamo che Corigliano-Rossano è oggi la terza città della Calabria per popolazione e la prima per estensione (29° comune d’Italia per superficie). Vantiamo il tasso di occupazione maggiore e quello di disoccupazione minore della Provincia di Cosenza, con dati migliori anche rispetto all’area Cosenza/Rende/Castrolibero.

È questo, dunque, un momento cruciale per il nostro territorio; siamo sul punto di recuperare lo svantaggio che ha sempre caratterizzato questo pezzo di Calabria.

Abbiamo la possibilità di rappresentare un modello di sviluppo per le aree svantaggiate del Mezzogiorno, consapevoli di essere stati sempre penalizzati nella distribuzione delle risorse e degli investimenti statali, regionali e provinciali. Al contempo, però, dobbiamo continuare ad avere il coraggio di essere all’altezza delle nostre legittime aspirazioni, imparando a rivendicare i nostri diritti e a non permettere più che quanto ci spetta ci sia concesso per favore, per preghiera o per carità.

È necessario, ora, un nuovo patto sociale tra politica e cittadini. Potremo e dovremo, nei prossimi anni, giocare un ruolo da protagonisti a livello regionale. Sono maturi i tempi per costruire una realtà più aperta alla classe imprenditoriale, pur con la consapevolezza che la politica deve essere sempre libera di dire di no agli indebiti interessi dei pochi.

La nostra identità comune dev’essere ancora completata e sviluppata con progettazione a lungo termine e lungimiranza. Non possiamo solo essere sulla carta la terza città della Calabria, dobbiamo avere l’ambizione di continuare a guidare e non subire i percorsi politici.

Urge un nuovo patto sociale che veda cittadini, imprese e politica co-protagonisti nello sviluppo del territorio. Ogni cittadino deve sentirsi detentore di diritti, ma anche destinatario di doveri e obblighi verso la propria comunità.

È importante istituzionalizzare e diffondere maggiormente i patti di collaborazione tra enti, associazioni, comitati e Comune.

Mi permetto di far notare che esistono già meravigliosi esempi di collaborazione e cura degli spazi comuni, tra i quali il progetto del Bosco Urbano, curato da Auser con il contributo de “Gli amici del bosco urbano” o gli altri interventi a cura delle associazioni Ri-bellezza e SosteniAmo. È opportuno promuovere il modello della concertazione e codecisione nell’assunzione delle scelte strategiche, con un dialogo permanente tra Comune e cittadini.

Certamente, sul punto, sarà utile procedere con l’attuazione di forme di decentramento amministrativo, con la suddivisione del territorio comunale in quartieri o municipi.

Ma non basta.

Devono essere istituiti forum permanenti tra il Comune e le imprese turistico/ricettive, l’imprenditoria giovanile e gli operatori sociali (seguendo gli esempi virtuosi di Emilia Romagna e Puglia), anche con la partecipazione dei sindacati.

Ancora, è da favorire il dialogo tra istituti scolastici (in particolare quelli a vocazione professionale) e imprese, sfruttando le opportunità di alternanza scuola/lavoro o l’istituzione di indirizzi di studio più vicini al fabbisogno economico/industriale, anche mediante il decentramento di parte della didattica nelle sedi d’impresa.

Sarebbe anche auspicabile rafforzare la collaborazione con l’UniCal, mettendo a disposizione dell’Università immobili comunali da destinare a facoltà legate alla vocazione agricola, agroalimentare, turistica e marittima del territorio.

Questa è l’ultima occasione per permettere “la restanza” a noi giovani, per credere nel nostro futuro, investire risorse, tempo e ambizioni nella nostra comunità.

Questa è, davvero, l’ultima occasione per consentire “la ritornanza” dei nostri studenti, imprenditori, professionisti e operai costretti a spostarsi per cercare altrove migliori condizioni lavorative.

Per tutti questi motivi Corigliano-Rossano merita continuità, premiando il lavoro svolto dall’attuale amministrazione, capace di intercettare ingenti fondi per la realizzazione di opere strategiche e di essere uno dei principali comuni della Calabria fruitori dei fondi Pnrr. 

Non è mai semplice raccontare un sogno, soprattutto quando si parla di politica. Forse le riflessioni che precedono non sono altro che i desideri di un trentenne che ha deciso di restare e credere nella sua città e nei suoi cittadini.

Contribuiamo, perciò, tutti insieme a trasformare i sogni in obiettivi e gli obiettivi in risultati concreti. Con la consapevolezza che “chi non ha mai avuto un sogno forse ha solo sognato di vivere”. (gbl)

Vito Teti all’Aba di CZ: Gli artisti possono giocare un ruolo importante nel futuro del Mezzogiorno

«Credo si debba politicizzare la “restanza” che ha un senso se diventa una specie di movimento collettivo politico. Bisogna stanare la politica che ha una grandissima parte di responsabilità: senza interventi mirati e anche corposi, credo che queste zone fragili difficilmente ce la faranno». È quanto ha detto il prof. Vito Teti, nel corso dell’incontro con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, dove si è confrontato sul tema della Restanza e sul ruolo dei futuri operatori del mondo dell’arte e della cultura nel contesto sociale ed economico della Calabria e del Mezzogiorno.

L’incontro ha concluso il ciclo di seminari Art Talks, voluto da Dipartimento di Arti Visive. A maggio, la rassegna si chiuderà con una settimana di workshop con ospiti di caratura nazionale e internazionale.

«Io ho insegnato in questa Accademia e ne ho dei bei ricordi – ha detto Teti –: la memoria dello slancio creativo che c’era in quel periodo, della voglia di apprendere, dei colleghi splendidi e anche degli studenti splendidi. Credo, quindi che questo termine “restanza” dobbiamo depurarlo da incrostazioni retoriche, folcloristiche, come se fosse qualcosa di estremamente scontato, piacevole, automatico. Restare ha senso se uno cambia le cose nel posto in cui sta, se si muove in maniera attiva per migliorare i luoghi, per stabilire nuove relazioni». 

«Nel periodo in cui siamo – ha proseguito – abbiamo bisogno di immaginazione, di fantasia, di inventare qualcosa di nuovo: ai ragazzi dell’Accademia dico che il loro ruolo potrebbe essere decisivo. Gli artisti potrebbero giocare un grosso ruolo proprio in termini di immaginazione, di creatività: certo ci vogliono le strutture primarie, ci vogliono le strade, ci vorrebbe una buona sanità, ci vorrebbe l’occupazione, ci vorrebbero centri culturali; però ci vuole anche una motivazione forte per restare».

L’incontro con Vito Teti è stato moderato da Maria Saveria Ruga, storica dell’arte e docente Aba, e introdotto da Simona Caramia, coordinatrice del Dipartimento di Arti Visive, e Giuseppe Guerrisi, coordinatore della Scuola di Scultura, e ha visto l’intervento di Mauro Francesco Minervino, docente Aba di Antropologia culturale. 

«Ospitare Vito Teti – ha detto Virgilio Piccari, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro – è stato per noi un grande motivo di orgoglio. In questi anni abbiamo lavorato per radicare l’istituzione nel contesto sociale e culturale calabrese e nazionale: iniziative come questa contribuiscono a questo scopo e l’interesse dimostrato dagli studenti per occasioni del genere ci induce a proseguire su questa strada». (rcz)

Da Roma torna alla sua Calabria: Il prof. Carlo Capalbo “sposa” il progetto di Medicina all’Unical

di MARIACHIARA MONACO – Dopo una lunga parentesi romana, il dottor Carlo Capalbo, ha lasciato il suo incarico di professore associato presso la prestigiosa università “La Sapienza”, per sposare il progetto del nuovo corso di laurea in medicina e chirurgia dell’Università della Calabria, che sta progressivamente trasformando l’Azienda Ospedaliera di Cosenza in policlinico universitario.

Com’è noto, infatti, in applicazione della convenzione stipulata tra Unical e Azienda Ospedaliera di Cosenza, i reparti dell’ospedale dell’Annunziata, e quelli dei plessi del Mariano Santo ed eventualmente del Santa Barbara di Rogliano, si trasformeranno progressivamente in policlinico universitario. Il passaggio, avviato nel gennaio 2023, sarà completato entro il 2026 quando con l’avvio del secondo triennio, gli studenti si trasferiranno in corsia per le lezioni pratiche.

«Da giovane calabrese sono partito per formarmi a Roma – ha raccontato – Ho raggiunto l’obiettivo di passare dai banchi alla cattedra, ma questa sfida prospettata dalla Università della Calabria mi ha affascinato. Il richiamo della cosiddetta restanza è stato molto forte e spero possa essere la bussola per una nuova generazione di medici che proprio noi avremo il compito di formare. Sono entusiasta di far parte di questo progetto».

Un curriculum ricco di esperienze, nonostante la giovane età, ed una volontà sempre latente di tornare a casa, ma soltanto se ci fossero state le giuste condizioni, e a quanto pare, è arrivata la giusta occasione, per lui e per altri suoi colleghi rientrati alla base dopo anni di esperienze anche fuori dal Bel Paese: «Non chiamateci cervelli di ritorno – dice –. Preferisco pensare all’essere umano e dunque a menti di rientro, con le loro esperienze e le loro emozioni».

«Ho sempre tenuto a sottolineare fieramente la mia appartenenza alla Calabria – ha aggiunto – e proprio questo aspetto penso sia pure motivo di una certa attesa nell’opinione pubblica, per l’avvio di questo nuovo percorso. Qui ci sono tante potenzialità che spesso non si vedono, ma che ci sono».

Al Mariano Santo, Capalbo ha trovato un reparto nuovo di zecca, appena inaugurato: «L’impatto è stato straordinario. Credo che la forma abbia la stessa importanza della sostanza. In ambito oncologico ambienti nuovi, puliti, ordinati sono una parte della cura e della riuscita della cura. Questa struttura ha le carte in regola non solo nell’aspetto estetico ma anche nella funzionalità».

Si tratta di un percorso lungo, stimolante, e formativo. Un modus operandi diverso, per capovolgere di segno le esperienze negative di molti corregionali costretti a percorrere chilometri per fare valere il loro diritto alla salute: «Abbiamo un lavoro importante da compiere sotto il profilo della divulgazione culturale, anche con il supporto dei giornalisti, per scardinare gli stereotipi che tutti conosciamo – ha concluso Capalbo –. Il paziente anche qui deve sentirsi in un luogo sicuro, deve sapere che possono essergli garantite le migliori terapie. Questa sarà nostra missione». (mm)

La scappanza vince sulla restanza, purtroppo

di GREGORIO CORIGLIANOIn quello che, in tanti ormai – vedo – chiamiamo il luogo dell’anima, vado spesso. Assai spesso, rispetto a coloro i quali non vanno mai e avrebbero l’ardire di considerarlo un luogo privilegiato, pur senza averne titolo. E non è tanto il poter o dover fare qualcosa di concreto, quanto il sentire di dover andare.

Assai spesso il luogo dell’anima non coincide col luogo di vita o di residenza. Anzi! È tale, quel luogo, perché è vicino, ma è lontano, arrivi e scappi, rimani e vai via, lo pensi e fuggi.

E spesso, quando vai e ti fermi ore, uno o più giorni, stai chiuso in casa e leggi, rifletti, navighi, prendi il sole d’estate o ascolti il rumore del mare, la pioggia sui vetri, la goccia che cade dal tetto che deve andare in manutenzione, di inverno. Qualche altra esci, a piedi o in macchina, in bicicletta spesso. Soprattutto tra primavera o estate. D’inverno, mai. In autunno sicuramente. 

L’altro giorno ho fatto un giro in bici,  ho comprato i giornali che ho depositato nel cestino, sono andato al cimitero «una visita a quanti ci hanno voluto e non ci sono più è sentita ed è d’obbligo», poi ho girovagato, ripercorrendo strade scolpite nella memoria, ma che non facevo da tempo.

Vie normalissime, alcune curate, altre in totale abbandono ma che con la bici più che con la macchina risaltano. Tant’è! E la vicenda dei comuni, soprattutto calabresi, grandi e piccoli, sempre alle prese con i bilanci asfittici, con la mancata dedizione, col menefreghismo non solo degli amministratori, quanto dei residenti. Pulizia ed erbacce a parte, cosa balza subito agli occhi di chi ha elevato a luogo dell’anima quelle strade, quei luoghi quelle casette?

La chiusura ermetica, proprio ermetica delle porte di casa.

Dico ermetica perché ai portoncini c’è attaccato anche un lucchetto con catenella, oltre alla chiusura normale e che da sotto la porta non è stata fatta la pulizia da molto tempo. Segno evidente di una casa chiusa, non in “quel” senso, ma di una casa non frequentata, non abitata, qualcuna addirittura abbandonata.

Case nuove, recenti e case vecchie appartenente a gente che conoscevo e che mi ritorna in mente.
O case, pur abitate, nelle quali non abita più il vecchio proprietario, qualche volta venduta, qualche altra vissuta dai parenti. Lo capisco da tanti segni. Quella di mia nonna, per esempio, non c’è più. Un tuffo al cuore.

Al posto del “pilazzo” c’è una costruzione moderna che ha rivalutato e non di poco, quella dei miei zii. Mi sposto più avanti e vedo la casa di Amedeo, il portone con catena, mezzo sgangherato, la finestrella semi aperta (lui non c’è più, neanche Isa) in compenso nel cortile crescono –ed in quantità – limoni di pregio, res passantis.

Nei paraggi, la casa di una parente, i cui figli vivono a Roma, mi pare. Andando avanti, se non ricordo male, la casa di “Pilò” figli e figlie al Nord, forse.

Vado in piazza, la gente c’è, non come un tempo, ma c’è. Ercolino fa da attrattore di un gruppetto che parla, ride, sghignazza, taglia e cuce, gente ed amici vicini. «Ma tu ricordi a Giuvanni di coculi?

E a Cola u craparu? Vo ma vidi a fotografia i Fallara?… I figghioli!».

Giro l’angolo e vedo le case dei Palla, quasi tutte in abbandono, tranne la prima e l’ultima, i cui proprietari vivono di quella che Vito Teti chiama restanza.

Altri, invece si sono fatti fregare dalla “scappanza” come la chiamo io.  Sono scappati ed i figli vanno in vacanza a Tropea, perché più snob. Tutti colti dal fenomeno della scappanza, assai spesso motivata, intendiamoci.

Quello che non capisco, però, è il mancato ritorno, sia pure una volta all’anno o una volta ogni cinque. Mai, mai. Non si è mai più voluto ascoltare il richiamo delle radici, che, evidentemente, non c’erano o si erano seccate.

E la villa del commendatore del paese? Ristrutturata, ma chiusa. Peccato! In Via Lucca, pur stretta, ormai si parcheggia! In Via Torino, a parte mio fratello e Francesco, Carmelina del pesce, chi è rimasto? 

Dove c’era la casa dell’ingegnere La Ficara c’è un b&b. E la casa dell’Arciprete Sgambetterra? I sigilli, non c’è neanche la nipote che prima di fare il caffè diceva allo zio: “aspetta che prima mi lavo le mani e poi lu culu” (colare da macchinetta napoletana!) Pino La Ficara è fuggito a Bari, la casa del Pesco (requiem) è deserta, è tornata Elisabetta, non vedente ma auscultante la figlia dell’avvocato Rombolà, non c’è più la storica casa della DC (migliaia di assemblee), il bar del bacio del Cavallo, saracinesche abbassate.  Tutti scappati.  I genitori perché pensionati per restare accanto ai figli, i figli perché non c’è lavoro, le mogli per seguire i mariti, i figli dei figli perché hanno scelto l’estero.   Anche se a stancare è stata soprattutto la tristezza della scappanza, che non è solo o tanto un fatto materiale, quanto il taglio, per me ingiustificabile, delle radici. Che non ha giustificazione alcuna: nessuno ha mai sentito parlare di Pavese, men che meno ha letto “La luna ed i falò”.  Ercolino, aspettami. 

Io arrivo. Finchè posso.

San Ferdinando mare! (gc)