di ERCOLE INCALZA – Da molto tempo, in modo sistematico, ho ricordato che con il mese di settembre ha inizio il triennio finale dell’attuale Governo. Un triennio in cui sarà necessario cominciare a predisporre i possibili bilanci sia di quello che si è fatto finora, sia di quello che in questi tre anni si sarà in grado di fare.
Ritengo da sempre che i prossimi tre anni saranno ricchi di sorprese molto più imprevedibili di quelle che hanno caratterizzato i primi due anni ed in cui il riferimento più nuovo e proprio quello legato alla carenza di risorse pubbliche.
Ho già in varie mie note che dovremo necessariamente fare ricorso a nuove procedure in grado anche di coinvolgere il privato, di coinvolgere capitali privati attraverso forme innovative di Partenariato Pubblico Privato e, al tempo stesso, per ridimensionare in modo sostanziale la disponibilità immediata di risorse, utilizzare lo strumento del “canone di disponibilità”. Tutto questo però impone una nuova impostazione programmatica, cioè non ha più senso elencare opere già inserite in Contratti di programma delle Ferrovie dello Stato o dell’Anas o interventi inseriti nel Pnrr o in atti pianificatori supportati dai Fondi comunitari come il Fondo di Sviluppo e Coesione (FSC) o il Repower o dal Piano definito dalle Reti Ten – T. Bisognerebbe avere il coraggio di dare mandato ad un organismo, magari ad un Commissario, il compito di portare a conclusione la miriade di attività approvate, in corso di realizzazione e, in alcuni casi già in fase manutentiva. Dovremmo cioè avere il coraggio di delegare ad un altro soggetto il compito di portare a compimento scelte e decisioni che sono ormai il passato.
Sicuramente sarà necessario rileggere e reinventare l’approccio finora seguito nei confronti delle seguenti sette macro aree strategiche: una nuova strategia per la città; Una nuova politica gestionale degli Hub logistici; Una rivisitazione delle competenze dell’organo centrale e dell’organo locale. Una nuova strategia per il Mezzogiorno; Una uscita, nel rispetto dell’ultimo Patto di Stabilità comunitario, dal debito pubblico delle opere ubicate sulle Reti Ten – T; Una nuova strategia mirata al contenimento dei consumi energetici; Una rilettura organica degli invasi e delle reti idriche del Sud.
Comincio affrontando la prima delle sette aree, cioè “la città”.
Senza dubbio dopo oltre un secolo e mezzo rimane invariata la definizione data da Max Weber e cioè “ambito territoriale caratterizzato dalla presenza di un complesso di funzioni e di attività integrate e complementari, organizzato in modo da garantire elevati livelli di efficienza e da determinare condizioni ottimali di sviluppo delle strutture socio-economiche”, tuttavia si sono modificati in modo sostanziale delle categorie e delle funzioni che una volta caratterizzavano le abitudini dei fruitori della “città”.
Fermo restando che già quasi un terzo della popolazione del Paese vive in realtà urbane ubicate sulla rete ferroviaria ad alta velocità e quindi ormai anno dopo anno sta leggendo ed interpretando il suo luogo urbano in modo tutto nuovo e particolare in quanto fruitore per una parte del giorno di una realtà urbana e per un’altra parte del giorno di un’altra, anche le città ubicate in territori o non serviti o lontani dalla rete ad alta velocità hanno subito, negli ultimi anni, delle evoluzioni o delle involuzioni che, a mio avviso, hanno reso l’urbano sempre meno adatto a rispondere alle esigenze dei suoi fruitori diretti o indiretti.
Le cause di questa crisi sono tantissime, la principale è senza dubbio la stasi sui processi di pianificazione della città ho, a tale proposito, poche settimane fa ricordato che abbiamo ancora come riferimento normativo nella pianificazione delle città la Legge 1150 del 1942, cioè una Legge varata più di ottanta anni fa al cui interno l’elemento più innovativo era ed è il Ptc (Piano Territoriale di Coordinamento) cioè un atto pianificatorio che affrontava ed affronta in modo organico non solo il limitato contesto urbano ma l’intero sistema territoriale in cui è ubicato una determinata realtà comunale. Solo come precisazione storica ricordo che la legge 1150/1942 prevedeva che il soggetto competente per i piani territoriali fosse lo Stato, con il Dpr 8/1972 tale competenza è passata alla Regione che ha provveduto a predisporre tali strumenti, ciascuna per il proprio ambito territoriale.
Addirittura, il Decreto legislativo 267/2000 “Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali” ha definito i ruoli e le competenze degli Enti locali, riservando competenze di pianificazione territoriale alle Province, attraverso i piani di coordinamento provinciali (articolo 20). Per il resto il PRG (Piano Regolatore Generale) o altri strumenti come il Putt/p (Piano Urbanistico Territoriale Tematico/Paesaggio) o il Put (Piano Urbano del Traffico) o i Piani particolareggiati, sono e rimangono strumenti utili solo al disegno del “costruito”, utili alla articolazione delle cubature, mentre oggi penso che la città abbia bisogno di un Piano dei servizi della città, cioè di un Piano che cadenzi i rapporti sistematici tra la residenza, tra l’ambito dell’abitare ed i luoghi che forniscono servizi come quelli legati alla sanità, alla scuola, al commercio, al terziario in genere. In fondo vorremmo attrezzare la città di un atto che risponde in modo coerente alla volontà weberiana prima riportata.
Molti diranno che in fondo sono alla ricerca di qualcosa già detto in merito alla cosiddetta “città di 15 minuti”, cioè di ambiente urbano in cui il cittadino è in grado di raggiungere la maggior parte dei luoghi di suo interesse (lavoro, scuola, negozi e altri servizi) nel giro di un quarto d’ora, migliorando così la sua qualità della vita; invece no, non intendevo assolutamente inseguire una teoria senza dubbio interessante ma la città non la si rende vivibile ridimensionando la distanza dei collegamenti ma ottimizzando la offerta dei servizi.
Carlo Tognoli è stato un grande sindaco di Milano ed è stato anche il Ministro delle aree urbane, sì di un Dicastero che poi è stato, insieme al Ministero dei Lavori Pubblici, della Marina Mercantile e del Ministro dei Trasporti, inserito nel dicembre del 2001nel Dicastero unico Infrastrutture e Trasporti; quindi è stato solo trasferito all’interno di un unico organismo ma le sue finalità non sono state annullate; ebbene, Carlo Tognoli diceva che le aree urbane dovevano disporre essenzialmente di un quadro chiaro, programmato ed attuato di servizi. Tutti ricordano il Piano parcheggi e la relativa (Legge 122/89), in realtà quel provvedimento era proprio una tessera chiave della famiglia dei servizi. Aggiungo un’altra considerazione: le Ferrovie dello Stato ultimamente hanno offerto al Paese la fruizione di una serie di stazioni (ricordo che vi sono 1200 stazioni a servizio di comuni sotto i 15.000 abitanti) in cui inserire una serie di servizi, una serie di esigenze avanzate proprio dai singoli Enti locali.
Voglio inoltre aggiungere che due aree fondamentali nell’offerta dei servizi è rappresentata dalla “sanità” e dalla “scuola”; la qualità di tali servizi, la loro ubicazione nel territorio, la corretta gestione di tale offerta di servizi, non può essere non omogeneo sull’intero territorio nazionale, cioè senza invocare il tema legato ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep), non è pensabile che esista tra il Sud ed il Nord un indicatore quale quello relativo ai servizi socio – assistenziali dove si passa da 22 euro pro capite in Calabria ai 540 euro nella Provincia di Bolzano o dove la spesa sociale del Sud è di 58 euro pro capite, mentre la media nazionale è di 124 euro, tutti indicatori che denunciano che siamo lontani da un obbligato diritto dei cittadini di essere fruitori di servizi omogenei.
Potrei continuare nella descrizione dei fattori che ci portano da uno strumento pianificatorio quale è il Piano Regolatore Generale a qualcosa che si basa essenzialmente sulla costruzione di una offerta organica di servizi e di funzioni che diventa il nuovo motore di ciò che necessariamente è diventato ciò che oggi chiamiamo “città”. (ei)