LA CALABRIA ADOTTI IL PORTO DI GIOIA: È
UN’ESSENZIALE OPPORTUNITÀ PER FUTURO

di SANTO STRATI – La Calabria adotti il Porto di Gioia Tauro: non è una preghiera o un’invocazione, quella lanciata da Pino Soriero a San Ferdinando di Rosarno nel bel convegno promosso dal PD e dal sindaco Luca Gaetano.

È un auspicio e, insieme, la constatazione di come ancora oggi manchi la giusta sensibilità nei confronti di un “gioiello” in grado di trasformare radicalmente, anche in termini occupazionali, l’economia e lo sviluppo non solo del territorio della Piana o dell’intera Calabria, ma anche del Paese.

Il Porto di Gioia Tauro è diventato il numero uno nel transhipment, che sarebbe la movimentazione dei container che arrivano da tutto il mondo e la loro veicolazione con consegna tramite gomma o ferrovia. E Gioia Tauro ambisce a fare molto di più, punta a “lavorare” i contenuti dei container attraverso processi di lavorazione e trasformazione industriale che possono trovare ampio spazio nell’immensa area del retroporto, pressoché inutilizzata. Perché ciò si realizzi occorre una visione industriale di tutta l’area portuale con lo sviluppo delle relative competenze di lavoro.

A cominciare  da quella che si chiama “piastra del freddo”. L’esempio più concreto lo porta il “re del tonno” Pippo Callipo che ha superato i 100 milioni di fatturato annuo, il quale, a San Ferdinando di Rosarno ha spiegato come lo stoccaggio della materia prima proveniente da tutto il mondo nel Porto, negli appositi capannoni industriali che l’azienda ha realizzato, ha permesso di incrementare la produzione e ottimizzare i tempi di lavorazione, con il conseguente incremento della manodopera e dell’occupazione.

Il Porto va considerato, dunque, come un’essenziale opportunità per la sua centralità nel Mediterraneo che andrebbe ulteriormente valorizzata mediante interventi strutturali che, ad oggi, sono stati realizzati solo con investimenti dell’Autorità di Sistema Portuale. Il suo presidente, ammiraglio Andrea Agostinelli, ha raccontato con sanguigna e autentica passione cosa ha trovato quando arrivò da Commissario a Gioia Tauro e cosa lascia, al termine del suo mandato (che sarebbe auspicabile venisse rinnovato senza alcuna perplessità, visto l’ottimo lavoro e i risultati ottenuti).

Da una situazione fallimentare con centinaia di operai mandati a casa dalla sera alla mattina e prospettive più che cupe, a uno straordinario rilancio di tutta l’attività portuale, con investimenti milionari da parte dei concessionari subentrati (MSC e Automar-Grimaldi) e una rivitalizzazione straordinaria di tutte le potenzialità Porto. I numeri parlano da soli. siamo arrivati a quasi 4 milioni di teus nel 2024 (l’unità di misura dei container) e nuovi record di preannunciano anche per quest’anno. Consideriamo che il Porto, nato sulle ceneri di quello che avrebbe dovuto servire il mancato V Centro Siderurgico (del famigerato pacchetto Colombo che avrebbe dovuto pacificare i rivoltosi reggini del 1970) ha un pescaggio così ampio da avere superato come operatività persino Genova: possono attraccare le gigantesche supernavi portacontainer la cui altezza richiede grandi profondità che solo Gioia, nel versante italiano del Mediterraneo, è in grado di offrire. Solo che, mentre per Genova vengono stanziati e messi a disposizione centinaia di milioni, al Porto di Gioia, fino a oggi sono state destinate soltanto briciole.

Per questa ragione, Soriero, che è stato sottosegretario nel Governo Prodi proprio ai trasporti e che conosce perfettamente le problematiche del Porto di Gioia ha lanciato l’appello perché la Regione si faccia portavoce delle esigenze di sviluppo del suo Porto, il più grande del Mediterraneo. Un Porto che potrebbe attivare migliaia di nuovi posti di lavoro, al pari di quello che è successo a Tangeri, a Port Said (sulle coste dell’Africa) o addirittura nella spagnola Algesiras. Soriero, che alla realtà di Gioia ha dedicato un corposo e documentato libro (Andata in Porto, Rubbettino), ha vissuto da esponente del Governo tutte le problematiche del Porto di Gioia, attivandosi, in maniera intelligente e con larga visione, affinché le soluzioni arrivassero nei tempi giusti (per esempio l’istituzione della Capitaneria) e tante altre soluzioni ottimali per rendere lo scalo attrattivo e funzionale.

Adesso è una realtà che identifica un’idea di sviluppo che ancora non ha raggiunto il suo traguardo immaginato, ma esistono tutte le condizioni perché questo “gioiello” possa costituire il volano di rilancio del Mezzogiorno, sfruttando la sua posizione nel Mediterraneo. Sono, in realtà, poche ma impegnative le cose da realizzare: ci scapperebbe da ridere se non fosse una vicenda grottesca, la mancanza della necessaria illuminazione per ampliare le movimentazioni anche di notte. Sono lavori di poco conto, ma il Governo centrale (quello che destina grandi risorse a Genova) fa orecchie da mercante.

E poi c’è la ferrovia: un tratto di pochi chilometri che ha dovuto aspettare vent’anni per vedere realizzato il collegamento diretto con il Porto. Il Presidente Agostinelli è uno che non le manda a dire: «I maggiori porti italiani – ha evidenziato – hanno un grave problema per mancanza di aree di stoccaggio, mentre Gioia Tauro ha dietro di sé ben 477 ettari: a fronte delle opportunità di sviluppo del Porto per il quale basterebbero forse solo 150 milioni, lo Stato destina appena 50 milioni riservando un miliardo e mezzo a Genova».

Non servono commenti, è necessaria la non più rinviabile e netta presa di posizione della Regione sul Porto di Gioia. Un investimento sul futuro dei giovani, sul futuro dell’area ma anche di tutta la Calabria.

Il Mediterraneo è il nuovo protagonista dell’economia e il Porto di Gioia, come la Calabria, ne sono al centro. Occhiuto non se lo dimentichi. (s)

SVIMEZ: SVILUPPO, L’ITALIA DELLE REGIONI
PERCHÉ IL MEZZOGIORNO CRESCE DI MENO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Dal 2025 il Sud torna a crescere meno del Nord. È quanto emerso dal Rapporto della Svimez in collaborazione con Ref Ricerche dal titolo “Dove vanno le regioni italiane. Le previsioni regionali 2024-2026”,  che ha rilevato come, di fronte a una crescita nazionale del Pil a +0,7% nel 2025 e dello 0,9% nel 2026, la Calabria – ma in generale il Sud – non cresce anzi, subisce una brusca frenata.

Un quadro sconcertante, considerando che, nel 2024, il Sud era un passo avanti rispetto al Nord ma, secondo le stime Svimez, il Pil del Mezzogiorno nel 2025 sarà + 5,4% e, nel 2026, + 0,68% contro il +1,04 del Nord-Est per il 2025 e 0,91% del Nord-Ovest. Ovviamente, anche la Calabria subirà questo brusco stop: se la differenza tra il 2024 e il 2025 è solo di qualche punto (nel 2024 era +0,62 e nel 2025 si stima sia allo 0,57), per il 2026 ci sarà un vero crollo: sarà al 0,54.

Per la Svimez «il rallentamento della crescita è la conseguenza di fattori comuni all’area euro, come il ripristino dal 2024 dei vincoli del Patto di Stabilità europeo, la recessione dell’industria dovuta a calo della domanda per beni durevoli, con la crisi di settori traino come l’automotive, la debolezza del commercio internazionale, l’aumento dei costi dell’energia».

Ma sono anche i fattori specifici del contesto italiano a incidere: un quadro di finanza pubblica nazionale che concentra la contrazione del deficit nel 2024-2025; un peso rilevante del settore automotive e un ruolo decisivo della domanda estera, con una forte interdipendenza con l’industria tedesca. Da sottolineare tuttavia, che le previsioni non tengono in considerazione la grande incertezza «Trump», provocata dalle ipotesi di inasprimento dei dazi sulle esportazioni verso gli Stati Uniti.

Per quanto riguarda le singole regioni italiane nel 2025 si prevede per il Veneto una crescita dell’1,2%, dell’1,1%, per la Lombardia, dell’1% per l’Emilia Romagna, regioni più strutturate capaci di compensare la debolezza dell’export con la tenuta della domanda interna, mentre arrancano l’Umbria con lo 0,2%, la Liguria 0,4%, Puglia e il Molise con lo 0,5% regioni meno esposte al rallentamento del commercio estero ma con meno elementi capaci di far decollare la crescita.

Il 2024 si dovrebbe chiudere con una crescita maggiore nel Mezzogiorno: 0,8% vs. 0,6% nelle regioni centro-settentrionali. Per il secondo anno consecutivo il Sud si muoverebbe così più velocemente del resto del Paese, anche se con un differenziale notevolmente ridotto (da un punto percentuale a due decimi). Sono due i principali elementi che concorrono al risultato previsto.

Nel 2024 l’evoluzione congiunturale risulta fortemente influenzata, in parte come l’anno precedente, dalla dinamica degli investimenti in costruzioni che verrebbero a confermarsi come una delle componenti più dinamiche della domanda. Per capire cosa ha significato negli anni recenti il boom osservato nel comparto immobiliare, si tenga presente che tra il 2021 e il 2023 la crescita registrata negli investimenti in costruzioni è stata di entità più che doppia rispetto a quella avvenuta nei dodici anni che vanno dal 1995 al 2007.

Dal lato dell’offerta, le nostre previsioni indicano un contributo negativo dell’industria in senso stretto alla dinamica del prodotto in entrambe le macroaree nell’intero periodo di previsione (con la parziale eccezione del Sud nel 2026). In primo luogo, ciò è riconducibile alla inusuale debolezza della domanda estera, che oramai influisce per circa la metà dell’intero output industriale delle regioni centrosettentrionali (specie in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto), dove si concentra quasi il 70% del valore industriale nazionale. A ciò si aggiunge una congiuntura complessivamente debole unitamente alle molteplici “crisi” aziendali indotte dai cambiamenti strutturali in atto (transizione ecologica e digitale su tutte) in assenza, anche a livello sovranazionale, di un quadro strategico e normativo certo, condizione imprescindibile per introdurre i necessari adeguamenti.

Con riferimento al biennio 2025-2026, l’evoluzione del Pil italiano è prevista permanere al di sotto dell’uno per cento, con un profilo in lieve espansione: +0,7% nel 2025; +0,9% nel 2026. In questo biennio il Centro-Nord dovrebbe risultare l’area più dinamica, con un differenziale di circa tre decimi di punto rispetto al Sud in entrambi gli anni. Sul piano estero, il tasso di crescita del Prodotto italiano nel biennio 2025-2026 verrebbe di nuovo a collocarsi nella fascia inferiore rispetto ai principali avanzati. Per crescita del Pil l’Italia scivolerebbe in fondo alla classifica europea, insieme alla Germania.

«Una decisa inversione di tendenza rispetto agli anni post Covid – ha rilevato la Svimez – quando la ripresa è stata sostenuta da politiche di bilancio dall’intonazione straordinariamente espansiva. Sul fronte interno, lo scenario previsivo ipotizza che dal 2025 si arresti il biennio di crescita più intensa, 2023-2024, sperimentato dal Sud, di per sé una circostanza abbastanza inusuale. Il differenziale Nord/Sud dovrebbe comunque mantenersi su valori molto più contenuti rispetto al ventennio pre-Covid: Centro-Nord +0,8%, Mezzogiorno +0,5% nel 2025; Centro-Nord +1%, Mezzogiorno +0,7% nel 2026. Le due aree dovrebbero perciò continuare a crescere a velocità simile come nella ripartenza post pandemica».

A contenere il differenziale di crescita Nord/Sud contribuisce in maniera decisiva il Pnrr i cui investimenti valgono il sessanta per cento della crescita del Mezzogiorno nel biennio 2025-2026. Se, quindi, la completa implementazione del Pnrr è un obiettivo nazionale, la realizzazione degli investimenti finanziati dal Piano sono decisivi per tenere il Sud agganciato al resto del Paese.

La spesa delle famiglie dovrebbe crescere a un saggio di entità quasi doppia al Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno in virtù di una analoga evoluzione del potere d’acquisto. Oltre che un differenziale di inflazione sfavorevole al Mezzogiorno, incidono su questo risultato alcuni provvedimenti governativi: l’indebolimento delle politiche a sostegno delle famiglie che impattano più pesantemente al Sud; l’intervento sul cuneo fiscale e la riforma dell’Irpef che favoriscono consumi soprattutto al Centro-Nord dove si concentrano i redditi da lavoro dipendente.

La crescita del Pil verrebbe a essere prevalentemente sostenuta dai servizi di mercato (market services) e, in misura inferiore, da quelli della PA. Con riferimento ai market services, nel Report si portano evidenze relative al fatto che: a) la quota dei servizi con un elevato contenuto di conoscenza (KIS) è modesta in entrambe le macroaree (di poco superiore al 20 per cento); b) le restanti attività, prevalenti, presentano un gap di produttività significativo, più marcato al Sud.

Tale circostanza, in primo luogo, limita le potenzialità di sviluppo delle due macroaree, specie nell’attuale congiuntura quando sono proprio i market services nel loro insieme a crescere di più; vincolo maggiormente ostativo nel Sud. Inoltre, questo primo fattore si incrocia con una delle grandi “questioni” del nostro Paese, quella salariale, intesa come livello e dinamica più contenuta delle retribuzioni nazionali nel confronto europeo. Precisamente, i minori salari unitari che si riscontrano nel nostro Paese, in misura maggiore al Sud, svolgono, sempre nel confronto internazionale, un ruolo “equilibratore” al ribasso dell’equilibrio economico delle imprese.

A livello regionale, relativamente al biennio 2025-2026, dovrebbero mostrare una crescita più vivace le economie dalla base produttiva più ampia, strutturata e diversificata, più pronte a intercettare le opportunità derivanti da un rafforzamento della domanda interna. Prevarranno sentieri di crescita regionale più differenziati al Nord e al Centro, più omogenei nel Mezzogiorno.

Tra le diverse ripartizioni emerge nel Nord-Ovest il traino della Lombardia; nel Nord-Est, le regioni più dinamiche sono Veneto e Emilia dove, nonostante debolezza dell’export, la crescita è sostenuta dalla domanda interna; si conferma la divaricazione interna al Centro: da un lato, più dinamiche la Toscana, per la maggiore presenza di imprese strutturate, e il Lazio, trainata da Giubileo e service economy; dall’altro, Umbria e Marche, alle prese con crisi settoriali di lungo periodo e alla ricerca di un nuovo modello di specializzazione; il Mezzogiorno risulta un’area in rallentamento ma compatta, meno esposta al rallentamento del commercio estero ma dove mancano elementi che accelerano il cambiamento strutturale, nonostante il Pnrr che sostiene la dinamica del Pil nel 2025-2026.

Il ciclo dell’export si presenterebbe debole rispetto ad altre fasi di ripresa: pochissime regioni arriverebbero nel biennio 20252026 a cumulare incrementi dell’export di una certa consistenza. Fra i territori a maggiore vocazione all’export solo Emilia-Romagna e Toscana arriverebbero a superare una crescita del 3 per cento in termini cumulati nel biennio. Guardando alla dinamica della spesa delle famiglie nelle diverse regioni, il biennio 2025-2026 dovrebbe essere segnato da una relativa divergenza fra le regioni del Nord e quelle del Mezzogiorno.

La differenza è riconducibile a due aspetti: gli effetti indotti dagli interventi fiscali in grado, almeno nel breve periodo, di salvaguardare maggiormente il potere d’acquisto delle regioni del Nord; la crescita dei consumi interni rifletterebbe anche l’evoluzione della spesa dei non residenti, con effetti positivi sul Lazio nel 2025 per effetto del Giubileo, e Lombardia, Veneto e Trentino Aldo-Adige per i giochi olimpici invernali. Infine, le regioni del Mezzogiorno, che negli anni scorsi avevano beneficiato del sostegno della politica fiscale, vedranno progressivamente inaridirsi il supporto del bilancio pubblico.

Questo cambiamento nelle politiche potrebbe ritardarne il recupero. Tuttavia, sempre le regioni del Sud risentirebbero maggiormente dell’effetto positivo degli investimenti del Pnrr. Grazie, soprattutto, al contributo delle opere pubbliche, il divario territoriale di crescita degli investimenti risulterebbe quindi contenuto.

L’OPINIONE / Sasha Sorgonà: Progetto di Falduto non può lasciare indifferenti

di SASHA SORGONÀIl progetto “Sette Fiumare per Sette Funivie”, lanciato dall’imprenditore Pino Falduto non può lasciare indifferente chi vuole credere nella crescita sociale ed economica di Reggio Calabria. L’idea è potenzialmente una svolta epocale, con un impatto diretto su turismo, economia locale e occupazione giovanile.

Rilanciamola con tutte le nostre forze. Questa infrastruttura potrebbe essere un tassello importante per trasformare Reggio da città di passaggio a destinazione turistica di livello internazionale.

I dati sono chiari: La Calabria ha registrato 9 milioni di presenze turistiche nel 2023, ma secondo i dati della Regione Calabria i visitatori si fermano in media solo 2,8 giorni. L’occupazione nel settore turistico è ferma al 9%, contro il 15% della media nazionale, segno di un potenziale inespresso.

La nostra terra ha un potenziale straordinario, e un progetto del genere è concreto e utile per trattenere i giovani e attrarre investimenti.

Le funivie non sarebbero solo un’attrazione turistica: rappresenterebbero un’opportunità per decine di imprese e per migliaia di giovani che oggi sono costretti a lasciare la Calabria in cerca di lavoro.

Facendo una stima sulle ricadute economiche, la realizzazione delle funivie potrebbe portare sicuramente ad un aumento del flusso turistico annuo, con una crescita dell’indotto locale. Un’Incremento nelle prenotazioni alberghiere nelle zone connesse al circuito delle funivie, Apertura di nuove attività come ristoranti, guide turistiche e servizi outdoor.

Un’infrastruttura come questa catalizzerebbe investimenti privati e potrebbe essere sostenuta da fondi europei. Reggio Calabria deve smettere di inseguire le opportunità perse: servono scelte coraggiose per costruire un futuro sostenibile e attrattivo per chi oggi è costretto a partire. Insomma un’opera sostenibile da concretizzare per non rimanere solo spettatori mentre le altre città italiane e del Mediterraneo investono in progetti innovativi. (ss)

[Sasha Sorgonà è founder di Spinoza – La Fabbrica del Futuro e Presidente di Reggio Impresa]

ZES UNICA, UNA OPPORTUNITÀ DIMEZZATA
SE MANCANO ANCORA LE INFRASTRUTTURE

di MARIAELENA SENESE – La Zes Unica potrebbe rappresentare un volano di sviluppo per la Calabria, ma senza un adeguato potenziamento infrastrutturale il rischio è che resti un’opportunità dimezzata.

Non si può parlare di attrattività per le imprese se la Regione continua a essere tagliata fuori dai grandi assi di collegamento ferroviario e stradale. I dati, infatti, evidenziano che questa potenzialità è ancora frenata da ritardi e carenze strutturali. Con sole 24 autorizzazioni uniche rilasciate, rispetto alle 221 della Campania e alle 75 della Puglia, è chiaro che il nostro territorio non sta sfruttando appieno le possibilità offerte da questo strumento.

L’ennesima dimostrazione di questa logica penalizzante è il divario negli investimenti sull’Alta Velocità: il governo ha stanziato 8 miliardi di euro per il Nord e solo 3,8 miliardi per il Sud, escludendo di fatto la Calabria.

Se per Alta Velocità in Calabria si intende il solo tratto fino a Praia a Mare, allora stiamo parlando del nulla. Rete ferroviaria italiana ha annunciato che la progettazione dei lotti da Praia fino a Reggio è in itinere, ma senza l’affiancamento delle risorse necessarie questa fase resta solo un esercizio tecnico senza prospettiva concreta.

Oltre, poi, a garantire il finanziamento dell’Alta Velocità fino a Reggio Calabria, è essenziale valutare con attenzione il tracciato della linea AV, in particolare il passaggio da Tarsia. Se non si considera una connessione efficace tra la nuova linea ad alta velocità e l’area jonica cosentina, si rischia di investire risorse senza garantire uno sviluppo equilibrato del territorio.

Escludere dalla rete AV la parte jonica cosentina significa condannarla a un isolamento infrastrutturale perpetuo, con il rischio di aggravare le disuguaglianze già esistenti tra i diversi territori della Calabria.

È fondamentale che le istituzioni regionali e nazionali tengano conto di questa criticità, assicurando collegamenti efficienti tra la linea AV e la fascia jonica, affinché l’alta velocità diventi davvero uno strumento di crescita per tutta la regione e non solo per una parte di essa.

La Calabria sconta decenni di ritardi e mancati investimenti, con un gap infrastrutturale evidente rispetto al Centro-Nord e perfino rispetto ad altre regioni del Mezzogiorno. Non bastano fondi ordinari, servono risorse straordinarie, superiori a quelle destinate altrove, perché qui il ritardo accumulato è enorme. Servono certezze sui finanziamenti, non solo progetti sulla carta.

La Calabria ha bisogno di risorse straordinarie, superiori a quelle destinate ad altre regioni, perché i ritardi infrastrutturali accumulati in decenni di disinteresse sono enormi. Senza un piano serio per il potenziamento della rete ferroviaria e stradale, si condannerà la regione all’isolamento. Senza le risorse economiche necessarie questa progettazione resta solo un esercizio di stile.

Non si può ignorare  la situazione della Strada Statale 106 relativamente alla quale siamo ancora in attesa del decreto di nomina del commissario straordinario!!!!

Senza collegamenti moderni ed efficienti, la Zes rischia di rimanere un’operazione di facciata. Le imprese non investono in territori isolati, privi di connessioni rapide con il resto d’Italia e d’Europa. Il porto di Gioia Tauro, principale hub del Mediterraneo, può diventare un volano per l’economia regionale solo se supportato da una rete ferroviaria e stradale all’altezza delle esigenze produttive.

La Uil Calabria chiede con forza che si metta fine alla logica delle promesse. Se vogliamo che la Zes Unica diventi un vero attrattore di investimenti e non solo un’etichetta vuota, bisogna garantire alle imprese collegamenti efficienti e competitivi. Non si può parlare di sviluppo senza infrastrutture.

La Calabria non può permettersi di marciare con il freno a mano tirato. La Zes Unica, se accompagnata da un serio piano di potenziamento infrastrutturale, può diventare il motore di sviluppo che questa regione attende da anni. È tempo di abbandonare l’immobilismo e dare alla Calabria la dignità infrastrutturale che merita. (ms)

[Mariaelena Senese è segretaria generale Uil Calabria]

LEGGE DI BILANCIO 2025, C’È UN GRANDE
ASSSENTE: NON SI PARLA DI MEZZOGIORNO

di ERCOLE INCALZA – Leggendo il Disegno di Legge di Stabilità 2025 nasce spontaneo un interrogativo: e il Mezzogiorno? Cioè quali siano o quali possano essere le risorse che il Governo intenda assegnare, sotto varie forme (in conto esercizio e in conto capitale) alla infrastrutturazione del Sud?

Io, in modo forse ripetitivo, ricordo sempre che la legge 27 febbraio 2017, n. 18, dispone che la quota delle risorse ordinarie delle spese in conto capitale a favore delle otto regioni del Mezzogiorno non sia inferiore al 34% del totale nazionale. Quest’ultimo valore non è casuale, in quanto è analogo al peso che la popolazione del Meridione ha sull’intero aggregato nazionale. Inoltre nella legge Finanziaria del 2005, era stato precisato che le Amministrazioni centrali si dovevano conformare all’obiettivo di destinare al Mezzogiorno almeno il 30% della spesa ordinaria in conto capitale.

Ma dal 2018 al 2022, se andiamo a leggere le dichiarazioni di Ministri del Mezzogiorno come Barbara Lezzi o Giuseppe Provenzano o Mara Carfagna e di Ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti come Danilo Toninelli o Paola De Micheli o Enrico Giovannini, scopriamo che era davvero scandaloso assegnare solo il 34%; una percentuale ridicola che non avrebbe mai incrinato il gap tra Sud e resto del Paese; almeno bisognava assegnare il 50% e il Ministro Giovannini dichiarò, addirittura, la soglia del 60%.

Appare evidente che allo stato attuale le risorse assegnate per interventi infrastrutturali rilevanti, sì per le cosiddette “opere strategiche”, nel Mezzogiorno dal 2015 ad oggi non superano, come preciserò dopo, il 6,5% del valore globale degli interventi infrastrutturali del Paese.

Ritengo opportuno precisare che in tale analisi non ho ritenuto opportuno inserire le risorse destinate al Ponte sullo Stretto di Messina perché non ho, in tale indagine, inserito gli interventi relativi al nuovo valico Torino – Lione, al Terzo Valico dei Giovi ed al Brennero; infatti ho sempre ritenuto questi quattro interventi come scelte mirate a realizzare i quattro anelli mancanti in grado di integrare il nostro impianto trasportistico con l’intero impianto comunitario.

Per questo motivo le opere infrastrutturali ubicate nel Mezzogiorno per le quali ci sono apposite risorse e sono in corso iniziative progettuali e realizzative sono: Un primo lotto dell’asse ferroviario ad alta velocità – alta capacità Salerno – Reggio Calabria per un importo di circa 2,2 miliardi di euro; Il collegamento ad alta velocità – alta capacità Napoli – Bari per un importo di circa 5,8 miliardi di euro; Alcuni lotti funzionali degli assi ad alta velocità – alta capacità Palermo – Messina e Messina – Catania per un valore globale di circa 3,8 miliardi di euro; Alcuni lotti (uno in costruzione altri in fase di appalto) della Strada Statale 106 Jonica che collega Taranto con Reggio Calabria per un valore globale di 4,3 miliardi di euro; Alcuni lotti dell’asse viario Palermo – Agrigento – Caltanissetta per un valore globale di circa 700 milioni di euro; Asse ferroviario ad alta velocità Taranto – Potenza – Battipaglia per un valore di circa 500 milioni di euro; Reti metropolitane e ferroviarie urbane di Napoli, Palermo e Catania per un valore globale di circa 900 milioni di euro.

Il valore globale di queste assegnazioni si attesta su un valore di 18,2 miliardi di euro e tutte sono opere previste nel Programma delle Infrastrutture Strategiche della Legge Obiettivo, opere che fino al 2022, escluso l’asse ad alta velocità Napoli – Bari, erano praticamente rimaste bloccate per scelta dei Governi Renzi, Gentiloni, Conte 1 e 2 e Draghi. Il valore del Programma della Legge Obiettivo era pari a circa 277 miliardi di euro (valore questo che non tiene conto, come detto prima, del valore dei valichi e del Ponte sullo Stretto) per cui i 18,3 miliardi di euro rappresentano appena il 6,5%.

Ma questa mia denuncia è davvero ridicola perché basata sulla logica delle risorse assegnate al Sud, una logica che, purtroppo, dopo molto tempo, ho capito che è solo un atto mediatico utile per testimoniare la esistenza di una volontà che si è trasformata in atti concreti solo con la Legge Obiettivo, dopo, invece, è rimasta solo una dichiarazione di buone intenzioni.

Pochi mesi fa ho fatto presente, in alcune mie note, che forse l’attuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) possono essere invece una prima misurabile occasione per uscire da questo equivoco e, soprattutto, un simile approccio ci farebbe scoprire che sarebbe necessario disporre per azioni infrastrutturali e servizi al Sud pari ad un valore di circa 14 miliardi di euro all’anno per un arco temporale di almeno dieci anni.

In realtà, quindi, la misura di un vero cambiamento dell’azione del  Governo nei confronti del Mezzogiorno non dovremmo più misurarla solo con queste percentuali inutili sul valore globale degli investimenti ma dovremmo convincerci, una volta per tutte, che l’unico modo per tentare di abbattere il gap del Sud nei confronti del Centro Nord, l’unico modo per evitare che il reddito pro capite medio si attesti sempre su un valore di 21 mila euro contro i 40 mila del Nord, l’unico modo per riconoscere al Mezzogiorno il suo ruolo chiave nel contesto nazionale e comunitario, l’unico modo per non rimanere, all’interno della Unione Europea, insieme alla Germania dell’Est la realtà economica incapace di crescere, l’unico modo è solo legato ad una azione organica nella omogenizzazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni.

Una azione che deve essere caratterizzata da iniziative non solo infrastrutturali ma anche in interventi capillari sulla miriade di servizi offerti: da quelli sul trasporto pubblico locale a quelli relativi alla offerta dei servizi sanitari e scolastici, ecc.

Ed allora, non avendo trovato risorse in conto capitale nel Disegno di Legge di Stabilità 2025 ho cercato quante risorse fossero state previste per l’attuazione dei Lep e non ho trovato alcuna risorsa e questa dimenticanza mi ha davvero preoccupato.

Addirittura ho pensato che il Governo speri, il prossimo 12 novembre, in una bocciatura, da parte della Consulta, della Legge n.86 del 26 giugno 2024 relativa all’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma della Costituzione. Sì è l’unico modo per evitare che una norma aggravi ulteriormente le sorti del Sud soprattutto perché, non disponendo il Governo di risorse, provocherebbe solo un rischioso conflitto non solo tra le Regioni del Sud e quelle del resto del Paese ma, addirittura, tra le stesse Regioni del Mezzogiorno. Mi spiace ma questo è uno dei primi passi falsi dell’attuale Governo. (ei)

ZES UNICA, LA VIA MAESTRA PER UN VERO
RILANCIO INDUSTRIALE DEL MERIDIONE

di ERCOLE INCALZA – Riporto di seguito un comunicato stampa, apparso su vari giornali, relativo al successo che, proprio in questi giorni, sta avendo lo strumento della Zes Unica: «Sette miliardi quelli relativi al solo 2024, precisa la Presidenza del Consiglio; una concessione del Credito di imposta al 100 per 100 della quota disponibile. Il massimo del tiraggio possibile cioè chi ha ottenuto l’autorizzazione unica ad investire nel Mezzogiorno ha potuto contare fino al 60% di credito di imposta come era stato garantito dalla norma varata dal Governo e di cui l’ex Ministro Fitto era stato l’artefice principale».

Due anni fa in una delle mie note avevo denunciato apertamente il fallimento delle ZES e avevo anche motivato la assurdità dello strumento e la anomala articolazione dello stesso sul territorio. Le mie critiche erano legate essenzialmente anche alla assenza di risultati concreti; infatti nel 2021 precisavo: «Il provvedimento istitutivo delle Zes è del giugno 2017, cioè è stato concepito più di cinque anni fa e finora non ha prodotto nulla, anzi mi scuso, ha prodotto una serie di altri provvedimenti che riporto di seguito utili solo a qualche membro delle Istituzioni per annunciarne l’esistenza e per assicurare l’immediato avvio operativo. Riporto di seguito solo alcuni dei provvedimenti: Il Decreto legge 20 giugno 2017 n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2017 n. 123  e successive modificazioni, nell’ambito degli interventi urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno, ha previsto e disciplinato la possibilità di istituzione delle Zone Economiche Speciali (Zes) all’interno delle quali le imprese possono beneficiare di agevolazioni fiscali e di semplificazioni amministrative; Con il Dpcm 25 gennaio 2018 è stato adottato il Regolamento recante l’istituzione di Zone Economiche Speciali (Zes).

Ebbene, dopo la serie di assicurazioni e di impegni presi anche dai Presidenti della Regione Sicilia, della Regione Campania e della Regione Puglia, oggi apprendiamo che un apposito Decreto del Presidente del Consiglio (Dpcm), trasmesso dal Ministro del Sud alla Presidenza per ottenere il previsto parere, attua quanto già previsto dal Decreto sul Pnrr dello scorso mese di aprile e definisce i requisiti delle Zes regionali e prevede una procedura straordinaria di revisione del perimetro delle aree individuate. Sarebbe stato invece utile effettuare una attenta analisi dello strumento istituito cinque anni fa e cercare intanto di capirne, innanzitutto, il significato e quindi soffermarsi sulle motivazioni per cui sono state costituite e cioè: dovevano essere zone geograficamente delimitate e situate entro i confini dello Stato, costituite anche da aree non territorialmente adiacenti purché presentassero un nesso economico funzionale e comprendessero almeno un’area portuale con le caratteristiche stabilite dagli orientamenti dell’Ue per lo sviluppo delle Reti Ten-T; dovevano avere l’obiettivo di attrarre grandi investimenti; dovevano avere l’obiettivo di favorire la crescita delle imprese già operative o la nascita di nuove realtà industriali nelle aree portuali e retroportuali; dovevano avere l’obiettivo di implementare le piattaforme logistiche, collegate anche da intermodalità ferroviaria.

L’allora Commissario della Zes relativa alle realtà della Campania e della Basilicata Giosy Romano difese l’operato dei vari Commissari ricordando che nella ZES da lui diretta si era riusciti, a differenza delle altre Zes, a far partire iniziative del valore di 30 – 40 milioni di euro. Io precisai subito che nei miei vari interventi non avevo mai messo in dubbio il suo operato e quello dei suoi colleghi, un operato che definii encomiabile ma, sempre due anni fa, precisai che erano poco difendibili due caratteristiche dello strumento: La limitata disponibilità delle risorse (appena 600 milioni di euro); L’assenza di una organicità dell’intero processo, una organicità che sarebbe stato possibile raggiungere solo con una Zes unica.

Oggi l’avvocato Giosy Romano, coordinatore della Struttura di missione della Zes Unica, ha  dichiarato: «Sono convinto che la semplificazione burocratica prevista per la ZES Unica debba essere comunicata costantemente al sistema delle imprese. Abbiamo in programma un road show per i prossimi mesi in giro per l’Italia per raccontare questa opportunità che accresce in modo esponenziale la convenienza ad investire nel Mezzogiorno. Per la sola Campania uno studio condotto da Ambrosetti ha ipotizzato un rimbalzo pari a 2,5 punti percentuali del Pil e forse anche oltre e questo conferma che tipo di percorso si sta delineando nell’attuazione della Legge sulla Zes unica. Siamo ad una rivoluzione nella capacità di attrarre investimenti senza precedenti».

Quindi dal 2017 al 2023, cioè fino alla scelta dell’allora Ministro Fitto e del Parlamento di varare la Legge sulla ZES Unica, avevamo perso, come Paese, una grande occasione: avevamo praticamente speso praticamente nulla e, invece, in meno di un anno si è riusciti ad attivare un volano di risorse di 7 miliardi di euro e come precisava Giosy Romano si è dato vita ad una possibile crescita di 2,5 punti percentuali del Pil.

Forse quattro Governi, quelli di Gentiloni, Conte 1, Conte 2 e Draghi dovrebbero sentirsi responsabili di questa perdita grave per l’intero Mezzogiorno; una perdita causata da un misurabile fallimento di una norma concepita e portata avanti in sette anni senza produrre nulla. Eppure, indipendentemente dal fallimento delle 8 Zes nel Mezzogiorno non possiamo non ricordare le gratuite dichiarazioni ed impegni assunti, sempre dai Governi prima richiamati, per il Mezzogiorno; addirittura nel 2017 fu varata la Legge 18/2017 con cui si disponeva «che la quota delle risorse ordinarie delle spese in conto capitale a favore delle otto Regioni del Mezzogiorno non sia inferiore al 34% del totale nazionale». Dal 2018 al 2022 la spesa per il Sud non aveva superato il 6%.

Bisogna ammetterlo la Zes Unica è il primo segnale di cambiamento concreto del Governo nei confronti del Mezzogiorno. (ei)

NO A INTERVENTI SPOT, ALLA CALABRIA
SERVE UN SERIO PROGETTO INTEGRATO

di ANGELO PALMIERI – La Calabria, una delle regioni più affascinanti ma anche più vulnerabili d’Italia, rappresenta oggi un banco di prova cruciale per l’elaborazione di strategie di sviluppo in contesti caratterizzati da vincoli strutturali e risorse sottoutilizzate. Il rilancio economico di questo territorio richiede una visione multidimensionale che sappia integrare interventi strutturali e strategie partecipative, con una particolare attenzione al capitale umano, sociale e culturale.

Una diagnosi strutturale: le cause profonde del ritardo

Il prof. Francesco Aiello, autore di numerosi studi sull’economia calabrese, ha sottolineato che le difficoltà della regione derivano da una combinazione di fattori storici e strutturali, che vanno dalla marginalità geografica alla fragilità istituzionale.

«La Calabria – scrive Aiello – vive una doppia perifericità, sia geografica, per la distanza dai principali mercati europei, sia istituzionale, per la debolezza di governance che caratterizza molti enti locali».

A queste criticità si aggiunge un problema storico di sottosviluppo infrastrutturale, che limita la mobilità delle persone e delle merci, rendendo meno competitivi i prodotti locali sui mercati nazionali e internazionali. Inoltre, la regione soffre di una scarsa integrazione tra il sistema educativo e il mondo del lavoro, con un conseguente fenomeno di emigrazione intellettuale che priva il territorio di risorse umane altamente qualificate.

Le risorse inespresse: un potenziale da valorizzare

Nonostante le criticità, la Calabria dispone di un patrimonio naturale, culturale ed economico di straordinario valore. Il suo paesaggio unico, che combina spiagge incontaminate, aree montane e borghi storici, rappresenta una risorsa fondamentale per il turismo sostenibile. Inoltre, il territorio calabrese vanta una tradizione agroalimentare di eccellenza, con prodotti come il bergamotto, il peperoncino e i vini autoctoni, che possono essere valorizzati attraverso strategie di marketing territoriale e l’integrazione in filiere produttive di qualità.

Dal punto di vista economico, l’innovazione tecnologica rappresenta un’opportunità per superare le barriere geografiche e favorire la competitività delle imprese locali. La presenza di centri di eccellenza come l’Università della Calabria offre un punto di partenza per lo sviluppo di progetti imprenditoriali innovativi, in particolare nei settori dell’ICT, delle energie rinnovabili e dell’agroalimentare.

Una strategia integrata per il rilancio economico

Per superare le storiche fragilità e costruire un percorso di crescita sostenibile, è necessario adottare una strategia integrata che coinvolga diversi livelli di intervento: istituzionale, economico e sociale. Ecco alcune proposte operative:

Sviluppo infrastrutturale e mobilità sostenibile: La prima priorità è migliorare la rete infrastrutturale della regione, con un’attenzione particolare alla modernizzazione dei trasporti. Un potenziamento delle linee ferroviarie e stradali, accompagnato da investimenti in mobilità sostenibile, potrebbe favorire l’accessibilità del territorio e attrarre investitori esterni.

Un piano regionale per l’innovazione: È fondamentale incentivare la creazione di startup e poli tecnologici, con il supporto di università e centri di ricerca. Questo piano dovrebbe includere finanziamenti per la digitalizzazione delle imprese e per lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi, con un focus particolare su settori strategici come l’agroalimentare, il turismo e l’energia verde.

Valorizzazione del turismo culturale e sostenibile: La Calabria può trasformarsi in una destinazione turistica di alta qualità puntando sulla valorizzazione del patrimonio culturale e naturale. È necessario sviluppare itinerari tematici che combinino cultura, natura ed enogastronomia, migliorare le infrastrutture turistiche e promuovere un brand territoriale riconoscibile. Un esempio concreto potrebbe essere la creazione di un “Parco culturale del Mediterraneo”, che metta in rete le eccellenze del territorio.

Rafforzamento delle comunità locali e delle reti sociali: Il capitale sociale è un elemento essenziale per lo sviluppo economico. La creazione di piattaforme partecipative, che favoriscano il dialogo tra imprese, cittadini e istituzioni, può contribuire a rafforzare la fiducia reciproca e a promuovere progetti condivisi. Inoltre, sarebbe utile incentivare forme di cooperazione tra le imprese locali, attraverso la creazione di distretti produttivi e reti di collaborazione.

Un programma di attrazione e rientro dei talenti: La Calabria deve invertire il fenomeno della fuga di cervelli, offrendo ai giovani qualificati opportunità di lavoro e crescita professionale. Un’idea potrebbe essere quella di istituire borse di studio e incentivi fiscali per giovani professionisti che decidono di rientrare in regione o di investire nel territorio.

Il ruolo delle istituzioni e della società civile

Il successo di qualsiasi strategia di rilancio dipende dalla capacità delle istituzioni di agire come catalizzatori del cambiamento. Questo richiede un forte impegno per migliorare la trasparenza e l’efficienza della pubblica amministrazione, nonché una maggiore integrazione tra le politiche regionali, nazionali ed europee. Allo stesso tempo, è fondamentale il coinvolgimento della società civile, che deve essere protagonista attiva del cambiamento.

Le esperienze di successo in altre regioni europee dimostrano che lo sviluppo sostenibile non è solo una questione di risorse economiche, ma anche di visione strategica e capacità di collaborazione tra i diversi attori. Come sottolinea Francesco Aiello, “lo sviluppo di territori marginali richiede una governance multilivello, capace di coordinare interventi locali e politiche nazionali in un’ottica di lungo periodo”.

Conclusioni: un nuovo modello di sviluppo per la Calabria

Il rilancio economico della Calabria non può basarsi su interventi frammentari o emergenziali, ma deve fondarsi su un progetto di sviluppo integrato, che metta al centro il territorio, le sue risorse e le sue comunità. Solo attraverso un approccio di questo tipo sarà possibile superare le storiche fragilità della regione e costruire un futuro di crescita inclusiva e sostenibile.

Il prof. Aiello, con le sue analisi, ci invita a riflettere su un punto essenziale: «La crescita non può essere imposta dall’alto, ma deve partire dal basso, dalle energie e dalle risorse del territorio».

Seguendo questa lezione, la Calabria può diventare un esempio di rinascita per l’intero Mezzogiorno, dimostrando che il cambiamento è possibile anche nei contesti più complessi. (ap)

[Courtesy OpenCalabria]

L’OPINIONE / Mariaelena Senese: È urgente cambio di passo nelle politiche regionali per sviluppo della Calabria

di MARIAELENA SENESE – Negli ultimi anni, il Sud Italia ha dimostrato una crescente attrattività e competitività, confermandosi la terza regione più attrattiva tra i 22 Paesi del Mediterraneo, secondo i dati del Mediterranean Sustainable Development Index (Msdi). Tuttavia, nonostante questi progressi significativi, la Calabria continua a soffrire di un grave ritardo infrastrutturale che ostacola il pieno sviluppo delle sue potenzialità economiche e sociali.

Dati significativi emergono dal rapporto Msdi, che evidenzia come il Sud si posizioni al quinto posto nell’analisi economica e al terzo posto nella dotazione di asset, dimostrando una capacità crescente di attrarre investimenti e sviluppare innovazione e cultura. Tuttavia, in Calabria, questi progressi sono ancora frenati da un’infrastruttura inadeguata, che impedisce alla regione di sfruttare appieno queste opportunità.

In particolare, il rilancio del Porto di Gioia Tauro rappresenta una priorità assoluta. Questo porto, uno dei più grandi del Mediterraneo, ha un potenziale strategico per trasformare la Calabria in un hub logistico di rilevanza internazionale, creando nuove opportunità di lavoro e crescita economica. È imperativo che si investa in maniera decisiva nel miglioramento delle infrastrutture portuali e delle reti di trasporto ad esse connesse, per aumentare la competitività del porto e attrarre investimenti internazionali.

La creazione di nuova occupazione è un’altra questione centrale per la nostra regione. Sebbene il Sud abbia registrato un incremento dell’occupazione del 3,1% nel 2023, superando la media nazionale, la Calabria deve fare molto di più per colmare il divario con le altre regioni italiane. È necessario potenziare le politiche attive del lavoro, incentivare la nascita di nuove imprese e sostenere l’innovazione tecnologica, in modo da offrire ai giovani e alle donne svantaggiate opportunità concrete di impiego stabile e qualificato.

Il Mezzogiorno, e con esso la Calabria, rivestono un’importanza strategica non solo per l’Italia, ma per l’intera area mediterranea. Con una visione lungimirante e investimenti mirati, la nostra regione può diventare un ponte naturale tra l’Europa e l’Africa, sfruttando il suo ruolo centrale nel contesto geopolitico ed economico del Mediterraneo. Il successo del Piano Mattei e della Zes unica dipenderà anche dalla capacità della Calabria di superare le sue carenze strutturali e di inserirsi pienamente in questo processo di trasformazione.

In conclusione, riteniamo indispensabile sottolineare l’urgenza di un cambio di passo nelle politiche regionali e nazionali, per trasformare le sfide in opportunità concrete di sviluppo, crescita e occupazione per tutta la regione. (me)

[Mariaelena Senese è segretaria generale Uil Calabria]

L’OPINIONE / Francesco Napoli: Investimento di Baker Hughes opportunità unica di crescita

di FRANCESCO NAPOLI – L’investimento di Baker Hughes rappresenta un’opportunità unica per la crescita e lo sviluppo di questo territorio per l’indotto che questo genererà anche a beneficio delle piccole e medie imprese.

La  confederazione della piccola e media industria privata è pienamente cosciente delle peculiarità e delle caratteristiche del tessuto imprenditoriale regionale, ecco perchè l’investimento di Baker Hughes rappresenta un volano per la crescita e lo sviluppo del territorio calabrese per l’indotto che questo genererà anche a beneficio delle piccole e medie imprese. Da poco si è riunita proprio in Calabria la Giunta nazionale della Confapi, preceduta da un importante e proficuo incontro con il Governatore Roberto Occhiuto.

Un segnale di grande interesse per la nostra regione ma è fondamentale creare le condizioni per rendere conveniente investire sul nostro territorio. Il rispetto delle regole è alla base di un qualsiasi programma di investimenti che richiedono però tempi certi della burocrazia e l’apertura delle amministrazioni comunali ad ogni possibilità di crescita e sviluppo.

La storia di Confapi Calabria dimostra come l’obiettivo precipuo della confederazione sia sempre stato quello di attirare investimenti per attuare un cambio di paradigma, per cambiare la storia economica e sociale della Calabria.

È impossibile pensare di colmare il gap tra la nostra regione e il resto dell’Italia in termini di Pil, reddito procapite e di livelli occupazionali solo con l’assistenzialismo. Lavoro e occupazione  sono elementi chiave per contrastare anche il dramma dello spopolamento. La Calabria ha bisogno di investimenti come quello della Baker Hughes per curare la sua malattia strutturale, il divario di produttività, restituire fiducia e ridare slancio alle sue energie vitali a partire dal capitale umano.

È difficile ipotizzare un rilancio effettivo dell’economia del paese senza focalizzare l’attenzione sulle strategie e le politiche che stimolano gli investimenti pubblici e privati. Ma per il rilancio degli investimenti siamo consapevoli della necessità di fare sistema lavorando soprattutto per risolvere quei problemi e quelle resistenze che non rendono conveniente l’attenzione delle multinazionali verso una determinata area geografica.

La nostra confederazione sosterrà il progetto della Baker Hughes, perché siamo convinti che aprirà la strada ad ulteriori investimenti. Siamo e saremo sempre dalla parte di chi produce. (fn)

[Francesco Napoli è presidente di Confapi Calabria]

IL SUD NON È UN’AREA DA ABBANDONARE
MA OPPORTUNITÀ DI CRESCITA E SVILUPPO

di VINCENZO CASTELLANOHo avuto modo di apprezzare il recente rapporto Svimez 2023 che mette in luce un quadro interessante e promettente per il nostro Sud, indicando che quest’area non solo può crescere, ma in alcuni casi può farlo a ritmi superiori rispetto al Centro-Nord. Tra il 2019 e il 2023, la Puglia, pensate, si è affermata come la regione più dinamica del Paese, dimostrando che il Sud ha le potenzialità per attrarre investimenti e trattenere i giovani sul territorio.

Questo sviluppo rappresenta un segnale chiaro: il Sud non è una regione da abbandonare, ma un’opportunità di crescita e sviluppo.

Le politiche nazionali devono cogliere questo segnale e agire di conseguenza. Il governo deve promuovere il Sud come un’area di opportunità, incentivando gli investimenti e migliorando le infrastrutture. In questo contesto, il Pnrr gioca un ruolo cruciale. Tali risorse se utilizzate correttamente, possono evitare la recessione e stimolare la crescita economica del Mezzogiorno, portando benefici tangibili a lungo termine.

Tuttavia, la politica nazionale da sola non basta. Lo ripeto sempre, è indispensabile il coinvolgimento attivo delle comunità locali. Le amministrazioni locali devono collaborare strettamente con il mondo della ricerca, le università e il settore privato per creare un ecosistema favorevole all’innovazione e allo sviluppo. Questo implica non solo la valorizzazione dei talenti locali, ma anche la promozione dell’imprenditoria giovanile. Ritorno al caso della Puglia che ci dimostra come investimenti mirati possano portare a risultati significativi, un modello che altre regioni del Sud potrebbero seguire per migliorare le proprie condizioni socio-economiche.

L’industria meridionale, in particolare, deve essere al centro di questa strategia. Le transizioni digitali ed ecologiche rappresentano opportunità uniche per rilanciare il settore industriale del Sud. Le imprese devono essere supportate nell’adozione di tecnologie avanzate e pratiche sostenibili, attraverso incentivi e facilitazioni mirate. La cooperazione tra pubblico e privato è essenziale per creare un ambiente favorevole all’innovazione, che possa attrarre investimenti e creare posti di lavoro di qualità.

Nonostante questi segnali positivi, il rapporto Svimez evidenzia anche sfide significative, come il calo demografico e l’emigrazione giovanile. Tra il 2002 e il 2021, badate bene, oltre 2,5 milioni di persone hanno lasciato il Mezzogiorno, aggravando il problema della depopolazione. Per affrontare queste sfide, sono necessarie politiche mirate a migliorare la qualità della vita, aumentando i salari e riducendo la precarietà lavorativa.

Particolare attenzione deve essere posta sull’occupazione femminile, che rappresenta un elemento chiave per contrastare il declino demografico e stimolare la crescita economica. Investire nei servizi per l’infanzia e favorire un miglior equilibrio tra vita lavorativa e familiare può incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Dunque, per trasformare il Sud in un motore di sviluppo, è necessario un approccio integrato che coinvolga tutti gli attori della società. La politica nazionale deve fornire le risorse e le condizioni necessarie, mentre le comunità locali devono attivarsi per valorizzare le proprie potenzialità. Solo attraverso una collaborazione stretta e continua tra pubblico e privato, istituzioni e cittadini, si potrà costruire un futuro prospero per il Mezzogiorno, rendendolo un’area di opportunità e crescita sostenibile. Il Sud ha dimostrato di poter essere dinamico e innovativo; ora spetta a tutti noi supportarlo nel suo percorso di sviluppo, trasformandolo in un modello di successo per l’intera nazione. (vc)

[Vincenzo Castellano è dottore commercialista]