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L'OPINIONE / Marco Piccolo: Il male non è una psicopatologia e la violenza non è un sintomo psichiatrico

L’OPINIONE / Marco Piccolo: Il male non è una psicopatologia e la violenza non è un sintomo psichiatrico

di MARCO PICCOLOL’orribile uccisione di Giulia Cecchettin e i sospetti che si stanno accumulando sull’ex fidanzato ripropongono il tema del femminicidio, ed in generale quello delle violenze all’interno delle coppie, includendo così anche le diverse espressioni di violenza ad opera di donne nei confronti di uomini. 

Appiccicare su questi individui un’etichetta psicopatologica o psichiatrica è secondo me una generalizzazione ed un grave errore. Naturalmente non parlo a livello giudiziario dove le dinamiche sono altre, ma a livello culturale.

Attribuire un’etichetta psicopatologica ai mostri di turno – “narcisista”, “borderline”, “psicopatica”, “sociopatico”, “depressa”, ecc. – come pure tirare in ballo Sigmund Freud per attribuire colpe a madri o padri, ci fanno dimenticare che, come direbbe proprio il padre psicoanalisi, ognuno di noi è posseduto da pulsioni di vita e di morte.

Queste etichette hanno il solo scopo di difenderci dal male attribuendolo a qualcun altro, qualcuno o qualcuna che io non sono e non sarò mai, perché io non ho alcuna psicopatologia. 

I cosiddetti mostri, però, non sono tutti psicotici o borderline! Il male non è una psicopatologia e la violenza non è un sintomo del DSM-5!

La verità è che il male è presente come possibilità concreta in ciascuno di noi, sia a livello individuale che collettivo (si pensi agli stupri di gruppo, ai casi di bullismo, persino al mobbing…), ed è agito più spesso di quanto si pensi, semplicemente perché il più delle volte è silenzioso, lontano dalle pagine di cronaca, in ambienti familiari terribili che solo gli operatori della salute mentale o dei servizi sociali conoscono.

La verità è che il male esiste e agisce, ma noi uomini che viviamo questi tempi dominati dal narcisismo collettivo, dall’egoismo sfrenato, dall’arroganza del progresso tecnologico e scientifico, dalla rinuncia alla spiritualità, dalla derisione delle religioni e dal rifiuto delle antropologie tradizionali, non riusciamo più a vederlo e a contrastarlo. In un mondo sempre più perfetto, il malvagio è semmai un “bug” del sistema che deve essere medicalizzato, curato o, se incurabile, ucciso.

Io credo che la nostra società sia sempre più avvelenata dalla mancanza di rispetto per la vita e per la sacralità della persona, valori fondamentali che, senza accorgercene, stiamo barattando con le esigenze egoistiche ed egocentriche del consumismo sfrenato. 

Solo la retorica del mainstream può farci pensare che stiamo vivendo la vita migliore, l’epoca migliore, il mondo migliore. A me sembra invece che le barbarie continuano ad avvenire e in modi sempre peggiori e “indolori”: piangiamo solo per ciò che il mainstream mette sotto il riflettore, del resto non ci importa, fosse anche la cosa più tremenda.

Due esempi su tutti. Neanche una settimana fa una bambina inglese di 8 mesi, Indi Gregory, affetta da una malattia incurabile è stata uccisa mediante eutanasia su ordine dello Stato contro la volontà dei genitori. Anche oggi, in Palestina uomini, donne e bambini, civili inermi, vengono barbaramente e sadicamente massacrati dagli eserciti in guerra. Eppure qualsiasi opinione, qualsiasi lacrima viene strumentalizzata e quindi sterilizzata.

Per questo credo che le violenze nella coppia, sempre più frequenti e feroci, non sono (solo) frutto di presunte psicopatologie, ma sono anzitutto il prodotto della nostra società contemporanea, egoistica, egocentrica e sprezzante dell’altro, del suo valore, della sua sacralità. Valori oggi distrutti nel più “politically correct” dei modi: la loro relativizzazione.

Come psicologo perciò, oltre ad affermare la necessità di investire nell’educazione relazionale (e non solo quella sessuale) dei giovani e nei programmi pubblici di prevenzione, credo sia diventato indispensabile rilanciare una educazione ai valori della vita e della sacralità della persona umana.

Le psicoterapie più moderne e integrate, come la psicologia umanistico esistenziale e la psicologia positiva, lo stanno realizzando attingendo ai patrimoni millenari della spiritualità, religiosa e non, e della filosofia.

Questo approccio culturale non solo può contribuire a interpretare e quindi prevenire comportamenti violenti, ma anche promuovere una comprensione più profonda di sé e degli altri, e quindi favorire convivenze – nelle coppie, in famiglia, nel lavoro, fra gli Stati – più autenticamente umane, dignitose e pacifiche. (mp)

[Marco Piccolo è psicologo e responsabile del Sidef-Family Care Calabria]