LO SPETTRO DI UN CAMBIAMENTO DEL PNRR
SPAVENTA IL SUD: SALVARE IL 40% DEI FONDI

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – La storia degli ultimi anni ci insegna che le risorse che provengono dalla Comunità Europea sono sempre servite come un aiuto più che alle parti più fragili a sostenere il Paese. Contrariamente a quello che è accaduto alle realtà comunitarie che hanno utilizzato molto bene i fondi strutturali, il nostro Paese ha ritenuto l’utilizzazione di tali risorse come un fatto assolutamente marginale e riguardante soltanto le parti più disagiate. 

Il loro impiego o la loro perdita era un fatto che riguardava le Regioni e nemmeno spesso il Ministero per le politiche di coesione; il meccanismo del disimpegno automatico non era assolutamente studiato mentre l’unico correttivo che si poneva era quello di contenere le risorse ordinarie destinate a quei territori in modo che quelle definite strutturali servissero a sostituire quelle ordinarie. 

Che avessero effetto o che non si utilizzassero era un problema che non riguardava il Paese. Ogni tanto considerata l’incapacità strutturale di spesa, dovuta ad amministrazioni inadeguate ed alla mancanza di investimento nelle strutture amministrative comunali e regionali, per qualche emergenza si attingeva a tali fondi che spesso sono diventati il bancomat pronto all’uso. 

Il Next Generation UE ha cambiato l’approccio facendo capire al Nord che si presentava un’occasione unica con la quale venivano messi a disposizione del Paese oltre 209 miliardi, che potevano essere un’occasione importante per una serie di obiettivi da raggiungere e per finanziare numerosi progetti che per mancanza di risorse erano rimasti nei cassetti, soprattutto di amministrazioni ben dotate da un punto di vista amministrativo ed agguerrite nel caso in cui i progetti venivano messi a bando. 

L’occasione si è rivelata talmente ghiotta che gli equilibri complessivi del Paese si sono adattati a tale importante intervento dell’Unione Europea, che attiene al primo debito che ricadrà  su tutti i contribuenti comunitari. Le fasi che si sono succedute adesso ci vedono nella fase operativa della spesa, che dovrà concludersi per il 2026. Che ci fosse una volontà di continuare il gioco delle tre carte, in cui il Sud perde sempre, emerge dal fatto che l’unico progetto cantierabile, il ponte sullo Stretto di Messina, che vi era nel Mezzogiorno, non è stato inserito, con scuse risibili, nei progetti finanziabili.

Perché se è vero che probabilmente in quattro anni il Ponte sullo stretto non si poteva completare è anche vero che moltissimi dei lavori sulle due sponde di preparazione potevano essere finanziate con il Pnrr, cosa che non si è pensato minimamente di fare, mentre molte delle opere già finanziate con altre risorse, una per tutte la Palermo-Catania di alta velocità farlocca, 2 ore per duecento chilometri, viene inserita nel Pnrr per liberare risorse.  

Il retro pensiero che purtroppo pervade ogni decisione relativa alla spesa delle risorse europee è un mantra nel pensiero nazionale: “le risorse che vanno al Sud sono perse e non servono allo sviluppo del Paese”. 

Il concetto che vi sia una locomotiva che bisogna far correre, che fondamentalmente staziona dall’Emilia a Milano fino a Venezia, lasciando indietro peraltro anche la Toscana, il  Piemonte e la Liguria è qualcosa che ha pervaso il pensiero dominante nazionale, aiutato dalla propaganda continua di una Lega Nord, sedicente buona amministratrice di Regioni e Comuni, senza peraltro nessuna prova a favore.

Anzi con la pandemia si è vista come la ricca ed efficiente Lombardia sia caduta pesantemente, dimostrando tutta la propria inadeguatezza. Ricorderemo tutti l’assessore al welfare Giulio Gallera della Regione lombarda poi sostituito dalla Moratti. E prima la gestione del Veneto del Mose ci dimostra quanta sia falsa l’immagine propalata. 

Il pericolo che adesso si corre e che in un accordo, che vede insieme l’Emilia Romagna  di Bonaccini con Zaia e Fontana che nei rispettivi partiti hanno un peso non indifferente, si proceda ad un cambiamento del Pnrr, che porti a dirottare le risorse destinate per esempio per finanziare l’alta velocità Salerno Reggio Calabria o la Napoli Bari per aiutare le imprese energivore a chiudere i propri bilanci senza chiudere le imprese.

Operazione assolutamente opportuna se non prevedesse come sempre di utilizzare le risorse per il Mezzogiorno come il bancomat per tutto quello che di emergenza ci può essere. Ed allora l’attenzione deve essere massima, perché quel 40%, maldigerito dagli amministratori nordici, molto più contenuto della percentuale assegnata all’Italia sulla base di tre parametri, popolazione, tasso di disoccupazione, e reddito pro capite, che ha portato il Paese ad avere risorse molto più abbondanti sia a fondo perduto che in prestito di quanto non siano state destinate a Francia e Germania, diminuisca ulteriormente. 

E potrebbe scendere al di sotto del 33% della popolazione. Essere riusciti a chiudere il Pnrr destinando risorse importanti al Mezzogiorno, anche se più contenute di quelle che si dovevano assegnare, è stata una grande vittoria dovuta ad un Governo che è riuscito a contrapporsi alle volontà di tanti di limitare gli importi destinati ad esso.

Ma oggi il quadro politico probabilmente muterà. Il Partito Unico del Nord potrebbe ritornare alla carica, come sta facendo già nella comunicazione, per continuare a strappare altre risorse ad un Sud spesso disattento, nel quale i Presidenti delle Regioni non riescono a fare nemmeno una comunicazione congiunta sull’autonomia differenziata. 

L’attenzione è dovuta non solo per evitare che si continui quello scippo che è assodato avviene con i fondi ordinari, che se fossero destinati in base alla spesa pro capite dovrebbero essere aumentati di 60 miliardi, ma anche con quelli straordinari considerata la debolezza della amministrazione governativa centrale. E questo non per l’interesse di una parte ma perché come è chiaro a molti, il Paese sarà quello che saranno i giovani quel che saranno le nostre donne sopratutto del nostro Mezzogiorno. 

Pensare che basti tagliare lo stivale e farlo affondare da solo, soluzione semplicistica che pare vogliano adottare con l’autonomia differenziata, non è una soluzione per il Paese ma piuttosto un modo di  continuare in quella deriva che ormai da oltre 10 anni viene immaginata e temuta da Adriano Giannola. (pmb)

MEZZOGIORNO, STRATEGIA FALLIMENTARE
TOLGONO AL SUD PER LE REGIONI RICCHE

di GIOVANNI MOLLICA – Negli ultimi giorni, Calabria.live, ha ospitato una perfetta rappresentazione dell’incapacità di questo Governo di comprendere l’urgenza di cambiare la pluridecennale e fallimentare strategia adottata per interrompere il degrado sociale ed economico dell’estremo Sud e la perdita di competitività del Paese.

Lo spunto iniziale è venuto dall’articolo nel quale Roberto Di Maria stigmatizzava lo spreco di denaro pubblico derivante dal velleitario tentativo di ristrutturare la Logistica del glorioso porto di Genova, al fine di renderlo competitivo con gli scali del Mare del Nord.

Gli addetti ai lavori non condizionati da interessi diretti sanno bene che la Lanterna ha ormai ben poco da offrire al Paese. 

Doveroso modernizzarne le dotazioni, ma aspettarsi che possa produrre ricchezza analoga a quella di altre realtà mediterranee e anseatiche è una pericolosa illusione. O uno studiato inganno. Serve solo a togliere risorse a Gioia Tauro, Augusta e Taranto che rappresentano il vero futuro del Paese.

A tale riflessione si sono contrapposte le dichiarazioni del Ministro Giovannini che, al Meeting di Rimini, ha ribadito la validità del modello di portualità nazionale fondato sugli scali liguri e dell’Alto Adriatico. 

L’ottusa protervia del Ministro nel sostenere un’idea di sviluppo vecchia e ampiamente fallita non è passata inosservata: sia il direttore di Calabria.live, Santo Strati, che il segretario della Uiltrasporti Calabria, Giuseppe Rizzo, hanno contestato con durezza le parole di un ministro che mostra di ignorare il ruolo della Logistica nel mondo globalizzato, ma anche temi come la coesione nazionale e la Questione meridionale. 

Il che è ancora più grave. Triste dimostrazione della totale e acritica adesione alla stantia teoria del trickle down (gocciolamento) che concentra sulla parte ricca del Paese più risorse possibili nella convinzione che anche la parte povera, in qualche modo, ne trarrà beneficio. Quel “Put the money where the mouth is” (metti i soldi dove c’è la bocca) di thatcheriana memoria, espressione di un’iniqua cultura ultra liberista che tante ingiustizie ha causato nel mondo. Respinta da leader come Xi Jinping e Biden e in contrasto con le direttive europee sulla politica di coesione per uno sviluppo sostenibile, equilibrato e inclusivo. 

È veramente incomprensibile come Draghi, europeista per antonomasia, accetti senza reagire esternazioni che contraddicono platealmente il suo meritorio impegno. 

Spiace anche il prudente silenzio elettorale della Cgil e, soprattutto, della Cisl il cui segretario confederale, Luigi Sbarra, da calabrese, avrebbe dovuto reagire di fronte a quest’ennesima mortificazione dell’estremo Sud. 

Alle suddette denunce si è aggiunto – il 28 agosto, sempre su Calabria.live –  l’articolo di Pietro Spirito che, dando al tema un’interpretazione ancora più ampia, ha deplorato l’inadeguatezza del governo e delle forze politiche nell’affrontare un tema che determinerà gli assetti economici planetari dei prossimi decenni. 

Una mancanza di attenzione figlia di una visione della Logistica a trazione settentrionale sostenuta da forze politiche inadatte a guidare il Paese intero.

A questa situazione quasi disperata, si aggiungono i limiti della classe politica meridionale che, invece di coalizzarsi verso obiettivi comuni – neanche il leader di partito più ignorante può oggi credere che la Logistica e le sue derivazioni possano essere concepite su scala locale e non su modelli sovraregionali se non euromediterranei –, preferisce tentare di arraffare un consenso locale fragile quanto transitorio.

Sul quali moderne teorie di Economia dei Trasporti – e/o realtà di consolidato successo -, il ministro basi le sue balorde ricette non è dato sapere. Certo è che è ignora sprezzantemente l’autorevolissima schiera di tecnici, economisti ed esperti che hanno elaborato e continuano a divulgare solidi programmi neo meridionalisti che, oltre a uno sviluppo equilibrato e sostenibile, favoriscono quella coesione che, incredibilmente, sembra essere il meno importante obiettivo dei governi italiani.

È ormai evidente che avere Giovannini come interlocutore è assolutamente inutile. Resta la speranza di suscitare l’attenzione del Premier, ultima dea per un Meridione il cui voto potrebbe dare risultati inattesi. 

Come nel 2018. Se ciò accadesse, si può essere sicuri che alcuni partiti accuseranno i cittadini del Sud di “avere sbagliato a votare”. (gmo)

C’È POCO MEZZOGIORNO NEI PROGRAMMI
PERÒ È BOOM DEL “TURISMO ELETTORALE”

di SANTO STRATI – In attesa di conoscere domani la composizione finale delle liste e quindi le candidature definitive per il voto del 25 settembre, non possiamo fare a meno di mettere in evidenza due aspetti di quella che si preannuncia una “cruenta” e pessima campagna elettorale.

Il primo riguarda tutta la popolazione del Mezzogiorno (un terzo degli italiani): nei vari programmi elettorali elaborati sì in tutta fretta c’è poca considerazione per il Sud, diremmo uno sguardo superficiale della serie “fa fine e non impegna”. Di tutte le belle parole e le dichiarazioni d’impegno programmatico, se vogliamo analizzare con cura i documenti proposti agli elettori dalle singole formazioni e coalizioni, non c’è da scialare. L’altro aspetto, non meno singolare, in grado di far arrabbiare il più tranquillo degli elettori, quello che crede ancora nella democrazia e nella scelta consapevole del voto, riguarda il fenomeno del “turismo elettorale”. C’è un gran daffare con spostamenti, a volte incompatibili con la logica della conoscenza del territorio, per attribuirsi un seggio, un collegio sicuro. La conferma che questa legge elettorale – il Rosatellum – che colpevolmente il Parlamento appena sciolto in quattro anni s’è guardato bene di aggiornare e modificare, neanche dopo la soppressione di 345 parlamentari votata da tutti quei partiti che adesso lacrimano a dirotto, questa legge elettorale fa davvero acqua da tutte le parti. 

L’hanno mantenuta cinicamente in vita con l’idea (sbagliata) di fottere l’avversario, gli uni contro gli altri, tutti convinti di poter usufruire del premio di maggioranza previsto dal Rosatellum, senza pensare che se già col vecchio parlamento di 945 membri eletti c’era comunque un problema a costituire una sana maggioranza in grado di sostenere senza affanno un governo, adesso, con la riduzione del numero dei parlamentari e la nuova mappatura dei collegi, c’è il rischio serio che non ci siano “posti sicuri” e garantiti. Il che, ovviamente, non è vero, salvo che gli elettori non s’incazzino veramente e puniscano i giochi di Palazzo fatti sulle loro teste. Per cui, tranne alcune blindature che fanno inorridire perché sicure al 99,9%, tutti i candidati se la giocano senza sapere come andrà a finire.

Facciamo il caso della Calabria: da 30 parlamentari ne sono rimasti a rappresentare la regione appena 19, con un nuovo disegno dei collegi che lascia francamente a desiderare. Un elemento spicca subito agli occhi: gli elettori della Piana devono votare i candidati del collegio di Vibo e quelli di Vibo devono scegliere per la loro area candidati di Palmi, Gioia e Rosarno. Vista l’antica e mai sopita rivalità tra il Vibonese e la Piana diventa davvero difficile immaginare un voto che non sia espresso malvolentieri. 

Un voto, per quel poco che vale la volontà popolare, che – a livello nazionale – porta a zero il valore delle urne: nei collegi plurinominali (ovvero a elezioni proporzionale) ci sono i “prescelti”  delle segreterie dei partiti o dei leader (il prof. Conte ne sa qualcosa, ma nessuno degli altri si salva, né Letta, né Berlusconi, né la Meloni, né Salvini a proposito di “nomi” calati dall’alto e assolutamente “intoccabili”). Bene, per questo s’è attivato il fenomeno, non nuovo, ma oggi portato a estreme conseguenze, che ci piace battezzare “turismo elettorale”. 

Giusto per fare qualche esempio, il ministro della Cultura, il ferrarese Franceschini va a Napoli, Maria Elena Boschi (Italia Viva) viene in Calabria, la Lorenzin (pd, romana, va in Piemonte), Fassino (pd, piemontese) corre in Veneto, ma la lista dei “fuorisede” è lunga. Se guardiamo in Calabria, non mancano i maldipancia in casa Cinque Stelle con i due magistrati paracadutati al Senato (Federico Cafiero de Raho, che è stato comunque procuratore antimafia a Reggio e un legame anche modesto almeno ce l’ha con i calabresi) e il palermitano Spampinato alla Camera. Premesso che l’unica possibilità di raggiungere il quorum per i Cinque Stelle sta nel voto di chi riceve il Reddito di Cittadinanza e ha paura di perderlo (ma non è detto che si rechi alle urne) i numeri del 2018 appaiono un miraggio lontanissimo e un ricordo molto sbiadito.Della pattuglia uscente (al di là delle rinunce: Morra, Corrado, Misiti, etc) sarà molto difficile trovare tracce nel nuovo Parlamento che uscirà dalle urne il 25 settembre.

Gli elettori sono a dir poco schifati da queste “scelte” fatte sulla loro testa e, ancora una volta, a cominciare da Letta e finire a Berlusconi, sono decisioni che non hanno tenuto in alcun conto i sentimenti della base (pur con qualche lieve eccezione in Calabria: a Reggio si candida Cannizzaro e a Vibo Mangialavori, espressioni del territorio).

Più che un invito al voto, sembra, quindi, un gioco delle tre carte: vince sempre e solo l’imbonitore (imbroglione) che propone abilmente la carta sbagliata agli allocchi che lo stanno a guardare.

Dopo la presentazione delle liste, ne riparleremo.

Torniamo, invece, per un momento ai programmi elettorali che trascurano come sempre il Sud. Belle parole nel programma PD che parla di cambio di paradigma per colmare il divario e genericamente indica la necessità di razionalizzare i meccanismi di incentivazione, per favorire l’occupazione. Francamente con un ex ministro per il Sud, oggi vicesegretario come Provenzano, proveniente dalla Svimez, era lecito aspettarsi molto, ma molto di più. 

Né cambia con la controparte: nei 12 punti del programma del centrodestra la parola Mezzogiorno nemmeno compare e per i 5 Stelle c’è solo il riferimento al stabilizzazione della decontribuzione per proteggere e creare nuovi posti di lavoro. Un po’ pochino, se permettete. 

L’unica formazione che si è ricordata del Sud (ma non raggiunge la sufficienza, se si deve dare un voto scolastico) che parla di risorse Ue per il Mezzogiorno con un capitolo dedicato che sviluppa in 12 punti linee programmatiche che appaiono più auspici che modelli di intervento. Auguri e speranze: le solite promesse elettorali da dimenticare il giorno dopo lo spoglio.

La verità è che la gente è disorientata, aggredita dall’inflazione, con la paura di un ritorno del covid e le ristrettezze che il continuare della guerra ucraina inevitabilmente dovranno essere introdotte. Avremo un inverno al freddo e da queste elezioni prevediamo un solo vincitore sicuro: chi fabbrica fazzolettini di carta. Ne serviranno tantissimi per asciugare le lacrime di chi non vedrà più né Montecitorio né Palazzo Madama e di quelli, poveri illusi, portatori d’acqua, pardon di voti, che per un istante, fino al 25 settembre ci avevano fatto un pensierino.

Il Rosatellum non premia capacità e competenza ma rivela la debolezza di una democrazia imperfetta che si misura con la crescita dell’astensionismo. Quest’ultimo spesso involontario (succede di frequente in Calabria), ma anche qui il Parlamento uscente ha fatto orecchie da mercante all’unica proposta seria, partita dai giovani del circolo Valarioti di Rosarno: “voto sano da lontano” (ovvero la possibilità di votare anche lontano da casa). Neanche per idea. (s)

MA QUALI MERIDIONALISTI DI PROFESSIONE
GIANNOLA DIFENDE RUOLO DELLA SVIMEZ

di SANTO STRATI – È passato quasi un mese dal Convegno di Sorrento promosso dalla ministra per il Sud Mara Carfagna con l’organizzazione affidata allo Studio Ambrosetti, ignorando del tutto la Svimez, ma la sottile polemica sui “meridionalisti di professione” continua a strisciare insidiosa.

È un modo di pensare che, alla luce delle ultime proposte della ministra Gelmini sull’autonomia differenziata (che è tornata improvvisamente alla ribalta) va respinto in toto, perché non si può ignorare il grandissimo sforzo e il ruolo precipuo recitato dalla Svimez a favore del Sud.

Non si può immaginare un “Mezzogiorno senza Svimez”, anche perché si farebbe torto ai padri fondatori Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno non erano figli del Meridione, bensì esponenti della politica e dell’economia dell’Italia industriale del Nord: basti pensare a Beneduce, Menichella, Giordani, Cenzato e Saraceno e al loro impegno per sostenere una politica di industrializzazione e di crescita che vedesse protagonista l’intero Paese e non soltanto le già sviluppate economie del Settentrione.

A dar fuoco alle polveri, con la consueta amabilità che lo contraddistingue è stato qualche giorno fa il presidente della Svimez Adriano Giannola con una lettera al Corriere del Mezzogiorno che aveva pubblicato un editoriale di Marco Demarco che ascriveva l’ostracismo riservato alla Svimez a una guerra d’indipendenza della ministra per il Sud rispetto a De Luca e ai “professionisti del Mezzogiorno”.

Secondo Giannola, “l’enfasi sulla presunta novità del «Mezzogiorno senza Svimez» si deve, probabilmente, alla “scoperta di una novità a ben vedere vecchia di trent’anni; un fuoco fatuo, un abbaglio per l’acuto interprete (Demarco) di vicende nazionali «viste da Sud».

Si commenta da sola – scrive Giannola – l’allusione al «meridionalista di professione» della Svimez: tali sarebbero Saraceno (Iri), Rodolfo Morandi (Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia), Menichella (istituto ricostruzione industriale-Banca d’Italia), la Cassa del Mezzogiorno presieduta da Pescatore, ecc… che furono in sintonia con i Governi, in autonomia e con discreto successo. Oggi – certo – non si può cercare di stare dignitosamente sulle spalle di quei giganti – chiosa Giannola nella sua lettera.

“A scanso di equivoci – prosegue il presidente della Svimez – Demarco commette un errore marchiano quando afferma che Sorrento inaugura l’era di un “Mezzogiorno senza Svimez». C’è da chiedersi dove egli fosse nella boriosa-sterile stagione dei boys della Nuova Programmazione, o in quella dei patti territoriali e da quale spiaggia abbia osservato i disastri delle politiche di coesione tanto case a Governi e «Governatori». In altri termini, non si è accorto che sul Mezzogiorno da più di trent’anni il Governo ragiona senza e spesso contro la Svimez.

“A Sorrento – scrive Giannola – la politica ha provato a verniciare a nuovo uno scenario preso a prestito; autorevoli sponsor contribuiscono da par loro con suggestioni che hanno un qualche distillato di analisi untradecennali. Certo fa effetto – a noi, non a Demarco – vedere all’improvviso declamati slogan Svimez mai assurti prima alle luci della ribalta del governo. Ben venga perciò se la volenterosa ministra saprà «cambiare rotta» al Paese costruendo quel «Secondo Motore», anche esso rigorosamente marcato Svimez pur non rivendicando copyright”.

Giannola rimarca nella sua lettera che “il quesito oggi non è se e come la Svimez sia in gioco, ma quale sostanza e credibilità possa attribuirsi all’annuncio di cambio di rotta. Ora (la ministra è baciata dalla fortuna) le risorse abbondano, vanno spese: è il progetto che rimane ignoto. In attesa di verificare la sequenza intenzioni-fatti non professiamo affatto granitica fiducia. Ministeri-chiave (mobilità sostenibile e transizione) a fronte di un’emergenza energetica che mette a rischio gli appuntamenti con la decarbonizzazione di Ue 2030 e 2050, palesano evidente inerzia, carenza di visione e di condivisione di questa opzione nel Pnrr. Di questo, sia consapevole la ministra e si attivi con fantasia. Serve a poco proclamare slogan Svimez (messi volentieri a disposizione) se dopo il maquillage non si passa in sala macchine ad accendere «il motore» per innescare quella sapiente, controllata reazione a catena che vale molto di più dell’ossessione del 40% al Sud. Per garantire un percorso di riequilibrio territoriale nei diritti di cittadinanza e va condiviso nel Paese grande malato d’Europa”.

È una replica, questa di Giannola che i nostri politici (ma non soltanto quelli carichi di pulsioni meridionalistiche) dovrebbero utilizzare come monito a una continua “distrazione” sui problemi del Mezzogiorno e sull’ – ahimè – crescente divario Nord-Sud. “Sul Sud– scrive ancora Giannola – si ha pieno diritto di ragionare: dico anzi che è tempo che Milano rompa il silenzio che, finora, segnala evidenze del suo malessere in fortuiti «fuori onda». Scenda invece in campo, magari aprendosi al confronto sul rivendicazionismo del «vento del Nord» e la bocconiana idea che per «far correre Milano» vale la pena di «rallentare Napoli» (Tabellini). Proporrei al presidente di Ambrosetti di ragionare sulla crisi di Milano che, per correre e non zoppicare, oltre a prendersela con Napoli crede di poter tornare locomotiva, con la scorciatoia di una incostituzionale autonomia che un’altra ministra di affretta a sfornare, senza che il presidente del Consiglio batta ciglio”.

Quest’ultimo riferimento alla Gelmini dovrebbe ulteriormente indurre a riflettere. Nel primo governo Conte la ministra Erika Stefani dovette battere in ritirata con le carte pronte per un’autonomia differenziata che mortificava il Sud e non aiutava, sicuramente il Nord. La Gelmini, si ritrova con una patata più bollente di prima che ha subito provocato la stizzita reazione della “collega” di partito Carfagna.

Il problema è e rimane ancora una volta la necessità di ragionare in termini di Paese e non di Nord-Sud dove l’uno corre e l’altro arranca. L’occasione del Pnrr è sicuramente più unica che rara e questo treno, una volta perso, non ha locomotive d’emergenza né corse aggiuntive su cui poter contare. Il Mediterraneo è la vera sfida (Giannola chiama “la via di Damasco – il cambio di rotta – da molti anni indicata dalla Svimez al Governo. Il vento gira e gonfia le vele di un Euro-Mediterraneo che da noi è ancora in cerca di identità, da costruire in casa prima che sull’altra sponda”.

Il fatto è che da troppo tempo gli illuminati rapporti della Svimez che avrebbero dovuto costituire un faro ideale per una sequela di governi insensibili al problema Mezzogiorno, non vengono presi in considerazione. Sono allarme circostanziati, con indicazioni di soluzioni affatto peregrine e che, anzi, potrebbero rappresentare il percorso più adatto per sostituire la parola crisi con ripartenza, la parola abbandono con ripresa, il termine degrado con sviluppo. La verità è che manca una precisa volontà politica a vedere finalmente crescere e avanzare il Mezzogiorno per un malcelato timore di un improbabile quanto impossibile “sorpasso”. I numeri del Pil sono impietosi e indicano ancora sofferenza in tutto il Meridione, ma senza i consumi delle popolazioni del Mezzogiorno – questo ancora non lo vogliono capire al Nord – le fabbriche e le industrie settentrionali si troveranno con ricavi dimezzati o azzerati. Ma alla popolazione del Mezzogiorno, oltre a offrire pari dignità abbattendo qualsiasi divario in qualsiasi campo, occorre offrire occupazione e lavoro stabile, garantire il futuro fino ad oggi rubato alle nuove generazioni del Sud. Se riparte il Sud, non dimentichiamolo, riparte il Paese. E non è uno slogan. (s)

L’OPINIONE / Nino Foti: Le criticità e le opportunità di sviluppo per il Mezzogiorno

di NINO FOTI – L’appuntamento di oggi mette al centro del dibattito politico il concetto di Mezzogiorno come punto di forza per la rinascita del nostro Paese e lo fa focalizzando l’attenzione sull’importanza di investire sul capitale umano, quello che c’è già, e soprattutto quello che va potenziato, fatto esplodere e diventare fondamenta di sviluppo etico, sociale ed economico.

È bene evidenziare tuttavia, quali sono le criticità che al momento limitano lo sviluppo del Mezzogiorno e concentrarsi sulle opportunità. Nel nostro Sud peggiorano le condizioni di vita delle famiglie e diminuiscono le opportunità di crescita delle imprese. Esiste inoltre un importante problema di natura sociale. Una parte rilevante della popolazione si sente intrappolata da una struttura sociale e da una cultura politica che rende difficile la cooperazione e la solidarietà tra cittadini. Tuttavia, mai come in questo periodo storico abbiamo di fronte una possibilità di cambiamento importantissima, forse l’ultima.

In soli 8 anni ci saranno a disposizione oltre 150 miliardi di euro considerato che ci troviamo nella fase di passaggio tra due cicli di programmazione della politica di coesione. Per il completamento del ciclo 2014/2020 dovranno essere spesi entro il 2023, oltre 30 miliardi di euro ai quali si aggiungono i fondi della programmazione 2021/2027 che assegnano al Mezzogiorno 55 miliardi di euro, da utilizzare entro il 2030. Ulteriori risorse saranno poi disponibili, come sappiamo, con il Pnrr da spendere entro il 2026 -circa 86 miliardi-, pari al 40,8% dei 211,1 miliardi complessivi del Pnrr.

Ma come investire tutte queste risorse? Sicuramente, continua Foti, partendo dalle infrastrutture, con due opere chiave come l’Alta Velocità e il Ponte sullo Stretto. Nel primo caso bisogna fare attenzione alle soluzioni da mettere in campo. Al momento ad esempio esiste una proposta del Ministero dei Trasporti che presenta diversi aspetti poco chiari. Innanzitutto è prevista la costruzione di un nuovo tracciato più lungo (445 Km) rispetto a quello attuale (393 Km) che andrebbe ad attraversare, senza un apparente valido motivo, le zone più impervie della Calabria tagliando i Parchi Nazionali del Pollino e della Sila e che, nonostante costi 22,8 milioni di euro, collegherebbe Roma e Reggio Calabria in 4 ore, non riducendo quindi in modo drastico i tempi di percorrenza. Un’opera che, per via della maggiore lunghezza del tracciato costerebbe oltre 2,5 miliardi in più rispetto ad un altro progetto esistente, già proposto in un documento condiviso da Professori ordinari di Strade, Ferrovie, Aeroporti e Trasporti di tutte le università Calabresi e Siciliane che, consentirebbe invece di collegare Roma e Reggio Calabria in 3 ore.

Sul Ponte sullo Stretto invece, basterebbe riprendere il progetto esecutivo già approvato che consentirebbe, con un dovuto aggiornamento tecnologico e finanziario, di iniziare subito a costruire. L’importante è fare tesori degli errori del passato. Ricordo, ad esempio, che la chiusura della società concessionaria Stretto di Messina spa, ad opera del Governo Monti nel 2012, ha obbligato lo Stato italiano al pagamento di penali per oltre 700 milioni di euro – per le quali ad oggi sono ancora aperti dei contenziosi – ai quali vanno aggiunti i soldi spesi per le opere propedeutiche, circa 300 milioni e i costi per la smobilitazione dei cantieri e il ripristino dei terreni già predisposti per l’opera pari a circa 150 milioni di euro. In sintesi, invece di spendere 1 miliardo 300 milioni per realizzare il ponte sono stati spesi circa 1 miliardo e 150 milioni per non farlo.

Oltre a questi aspetti, abbiamo elaborato, con il Dipartimento per il Mezzogiorno di Noi con l’Italia, 5 idee per la ripartenza del Sud: fare sistema nelle vie del mare con un hub unico per i 4 porti transhipment del Mezzogiorno, investire sull’orientamento per migliorare l’accesso delle donne al mercato del lavoro, investire sulla formazione dei giovani per abbattere il digital divide culturale, istituire una Commissione Parlamentare per la sburocratizzazione, rimettere la persona al centro dello sviluppo investendo sulle periferie, sul contrasto alla povertà educativa e sui servizi alla persona.

Per concretizzare queste idee inoltre, impostando una programmazione concreta ed articolata, sarebbe opportuno che l’Italia si dotasse di un Ministero per il Futuro, sulla falsa riga di quello già attivo in Svezia. (nf)

È ORA DI APRIRE LA VERTENZA CALABRIA
FRONTE COMUNE TRA SINDACATI E REGIONE

È stato deciso di presentare unitariamente al Governo, facendo fronte comune Governo regionale e sindacati confederali, al Governo la Vertenza Calabria: un documento composto da cinque punti chiave – che deve essere definito in un prossimo incontro – su cui l’esecutivo guidato da Mario Draghi si dovrà concentrare per risolvere le troppe e continue emergenze in Calabria.

Che sia l’inizio di una svolta? Di sicuro, lo è l’incontro da cui è nato questo documento, che ha visto, per la prima volta, il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, confrontarsi, presso la sede di rappresentanza di Roma della Regione Calabria, con il segretario generale nazionale della Cgil, Maurizio Landini, il segretario generale nazionale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, e il segretario confederale della Cisl, Andrea Cuccello (in rappresentanza del segretario generale nazionale della Cisl, Luigi Sbarra).

Presenti, anche i segretari regionali, Angelo SposatoTonino RussoSanto Biondo che, in una nota congiunta, hanno ribadito che «la Calabria  non può rischiare la marginalità».

Occhiuto, invece, ha ricordato come «in Calabria abbiamo un’alta qualità della rappresentanza sindacale, l’ho sperimentato in questi primi mesi di governo. Nella mia Regione abbiamo tanti problemi, ma la nostra è anche una terra di grandi opportunità, e il mio compito non è quello di lamentarmi, ma di trovare delle soluzioni».

«Sono molto soddisfatto dell’incontro odierno – ha spiegato –. Coinvolgere i corpi intermedi, i sindacati, è per me un percorso ineludibile. Voglio cambiare la Regione che ho l’onore di governare, ma per farlo ho bisogno della partecipazione attiva di tutte le energie positive del Paese. Con Cgil, Cisl e Uil abbiamo affrontato tanti argomenti, dalle infrastrutture al lavoro, dal Pnrr alla sanità. Abbiamo stabilito un metodo di lavoro concreto, che, ne sono convinto, già nelle prossime settimane potrà far intravedere i primi importanti passaggi».

«L’obiettivo comune – ha proseguito – è quello di presentare al governo una ‘vertenza Calabria’, per chiedere al presidente del Consiglio, Mario Draghi, e all’intero esecutivo uno scatto in avanti in merito ad emergenze la cui risoluzione non può più essere rinviata. Questa ‘vertenza’ avrà cinque punti chiave, indispensabili tanto per il governo regionale quanto per i sindacati. 1. Il rifacimento e l’ampliamento della Strada Statale Jonica; 2. Lo sviluppo e il reale finanziamento delle Zone economiche speciali, e in particolare della Zes incidente sul porto di Gioia Tauro; 3. Risorse certe per avere una linea ferroviaria ad alta velocità e ad alta capacità fino a Reggio Calabria; 4. La possibilità di investire più facilmente e con meno vincoli burocratici sulla produzione di energia da fonti rinnovabili; 5. Lo sblocco delle assunzioni e l’assorbimento del bacino dei precari per la sanità, e in particolare per i pronto soccorso».

«Queste le priorità individuate oggi – ha spiegato ancora –. La Regione costruirà nel più breve tempo possibile un cronoprogramma con costi, numeri e tempistiche per la realizzazione di questi punti. Sottoporremo il documento ai segretari regionali di Cgil, Cisl e Uil, e loro tramite fisseremo un nuovo incontro con i leader nazionali dei tre sindacati per stilare la versione definitiva della ‘vertenza Calabria’ da presentare al governo nazionale».

«Stiamo scrivendo una bella pagina di politica e di relazioni sindacali – ha concluso – Sono davvero felice che ci sia questa apertura di credito nei confronti della mia amministrazione e della nostra Regione. Lavoriamo per il cambiamento e per costruire la Calabria dei prossimi decenni».

«Il confronto, per il quale sottolineiamo la disponibilità del Presidente Occhiuto e delle Segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil –, dichiarano in una nota unitaria Sposato, Russo e Biondo – si è svolto in un clima costruttivo. Sono stati posti sul tappeto i temi della Zona Economica Speciale e del rilancio del Porto di Gioia Tauro, della realizzazione delle infrastrutture, della S.S. 106, dell’alta velocità ferroviaria, della sanità, del precariato».

«Il denominatore comune di questi temi centrali per la Calabria – hanno proseguito – è la creazione di nuovo lavoro insieme alla qualità e alla dignità del lavoro stesso, in una prospettiva di crescita e di sviluppo per la nostra regione. Il che comporta l’esigenza di qualificare la spesa, di avviare le opere previste e di monitorarne l’iter di realizzazione per scongiurare il pericolo dell’infiltrazione della criminalità negli appalti».

«Anche oggi, inoltre – hanno proseguito i Segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Calabria –, abbiamo evidenziato l’esigenza di spendere e di spendere bene le risorse del PNRR. Urge, perciò, una riorganizzazione della pubblica amministrazione che deve essere messa in grado di affrontare le sfide che attendono la Calabria colmando i vuoti negli organici, stabilizzando le migliaia di lavoratori precari qualificati che ringiovaniscono la macchina amministrativa degli enti locali, le permettono di funzionare, la arricchiscono di competenze nuove».

«L’incontro di Roma – hanno spiegato ancora – si colloca in un percorso che da anni sta vedendo impegnate Cgil, Cisl e Uil non solo a livello regionale, ma anche a livello nazionale, come è accaduto ad esempio a Siderno nel luglio scorso, con la presenza dei tre Segretari generali Landini, Sbarra e Bombardieri, o nel giugno 2019 con la grande manifestazione di Reggio Calabria. La crescita del Paese nel suo insieme non può che ripartire dal Mezzogiorno. Apprezziamo l’apertura del Presidente Occhiuto al dialogo con le organizzazioni dei lavoratori: siamo convinti, infatti, della necessità di lavorare insieme sui programmi e di coesione».

«Ribadiamo, dunque – hanno concluso i Segretari generali regionali di Cgil, Cisl e Uil Angelo Sposato, Tonino Russo e Santo Biondo –, la nostra piena disponibilità a proseguire nei prossimi giorni il cammino del confronto su priorità e scelte strategiche. È emersa la volontà comune di aprire una vera e propria vertenza Calabria che trovi alleanze e condivisioni, per presentare in tempi brevissimi al Governo un pacchetto di proposte concrete per sbloccare tutte le risorse destinate alla nostra regione, perché sia liberata dall’isolamento rispetto degli altri territori del Paese». (rrm)

 

L’ALLARME DOCUMENTATO DELLA SVIMEZ
QUOTA SUD DEL PNRR OBIETTIVO DIFFICILE

di LUCA BIANCHI e CARMELO PETRAGLIA – Il Dipartimento per le Politiche di Coesione (DPCoe) della Presidenza del Consiglio dei ministri ha presentato la prima Relazione istruttoria sul rispetto del vincolo di destinazione alle regioni del Mezzogiorno di almeno il 40% delle risorse allocabili territorialmente del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del Fondo complementare (FoC).

Basandosi sulle informazioni aggiornate al 31 gennaio 2022 fornite dalle 23 Amministrazioni titolari dei 253 interventi previsti (di cui 223 finanziati dal PNRR e 30 dal FoC), la Relazione quantifica le risorse con destinazione territoriale, restituendo il quadro informativo da utilizzare come base per le verifiche in fase di attuazione dell’obbligo normativo della “quota Sud” del 40%. Al netto delle azioni di sistema (interventi di valenza nazionale per complessivi 11 miliardi di euro), la dimensione delle risorse destinate al Mezzogiorno si attesta su 86 miliardi, pari al 40,8% dei 211,1 miliardi in dotazione del PNRR e del FoC con destinazione territoriale.

A contribuire a questo risultato sono le quote del Ministero per il Sud e la coesione territoriale (79,4%) e delle altre Amministrazioni centrali che riportano percentuali significativamente al di sopra della soglia minima; nell’ordine, Infrastrutture e Mobilità Sostenibili (48,2%), Interno (47%), Innovazione tecnologica e transizione digitale (45,9%). Viceversa, le due Amministrazioni centrali che riportano “quote Sud” molto distanti dall’obiettivo sono il Ministero dello Sviluppo economico (24,8%) e il Ministero del Turismo (28,6%). Nel complesso risulta che, rispetto alla soglia minima del 40% (pari a 84,4 miliardi di euro), la fase di attuazione del Piano può avvalersi di un “margine di sicurezza” piuttosto limitato: 1,6 miliardi, appena 320 milioni di euro annui dal 2022 al 2026.

È questo, da solo, un dato che qualifica la “quota Sud” come un obiettivo che non sarà facile conseguire, a meno di non introdurre azioni correttive e di accompagnamento “in corsa”, sui quali la Relazione opportunamente si sofferma fornendo utili e condivisibili indicazioni. Deve trattarsi di necessari aggiustamenti da apportare alle procedure di attuazione già avviate, con particolare riferimento a due ambiti: gli interventi che vedono come soggetti attuatori gli enti decentrati beneficiari di risorse distribuite su base competitiva dalle Amministrazioni centrali; gli interventi di incentivazione a favore delle imprese. Aggiustamenti urgenti, non solo necessari.

Infatti, degli 86 miliardi potenzialmente allocabili al Mezzogiorno, ben 62 finanziano misure per le quali è stato espletato almeno un atto formale che già sta orientando l’allocazione territoriale delle risorse nelle fasi successive dell’attuazione. La Relazione fa emergere diversi profili di criticità, discussi in dettaglio per ciascuna delle quattro diverse modalità seguite dalle Amministrazioni centrali per quantificare le risorse da destinare alle regioni del Mezzogiorno. Le uniche risorse “certe” sono i 24,8 miliardi che finanziano progetti già identificati e con localizzazione territoriale e costi definiti. Meno di un terzo degli 86 miliardi della “quota Sud”.

Queste risorse sono per oltre la metà (14,6 miliardi) di titolarità del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, e in buona parte finanziano “progetti in essere”, ovvero interventi per i quali già esistevano coperture nel bilancio dello Stato poi sostituite da quelle del PNRR. I rimanenti 61,2 miliardi di euro rappresentano risorse “potenziali”, la cui destinazione effettiva alle regioni del Mezzogiorno dovrà realizzarsi in fase di attuazione superando diverse criticità che la Relazione tecnica porta all’attenzione del decisore politico. Una prima criticità riguarda i 28,2 miliardi “stimati” dai diversi Ministeri per finanziare prevalentemente misure non ancora attivate formalmente o attivate con procedure prive di specifici vincoli di destinazione territoriale. In diversi casi, le Amministrazioni dichiarano “solo un’adesione di principio” al rispetto del livello programmatico del 40% al Mezzogiorno.

Per alcuni Ministeri le risorse “stimate” incidono in maniera rilevante sulle risorse gestite che si prevede di allocare al Sud: l’82% per l’Agricoltura, il 61% per l’Istruzione e per il Lavoro, il 56% per la Transizione ecologica. Anche la destinazione finale dei 23,4 miliardi quantificati dai Ministeri per “riparto” (nel caso di misure attivate con procedure che prevedono una quota destinata al Mezzogiorno, ma non ancora arrivate alla selezione dei progetti da finanziare) è soggetta ad un certo grado di incertezza, con particolare riferimento alle risorse da distribuire agli enti territoriali su base competitiva. Al di là delle criticità legate alle diverse modalità di integrazione della clausola del 40% nei bandi ministeriali già rimarcate dalla Svimez e dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, la Relazione del DPCoe porta all’attenzione un aspetto particolarmente critico per il conseguimento dell’obiettivo del 40%. In ben 15 su 28 procedure attive, per un valore complessivo di oltre 3 miliardi, non è stata disposta nessuna modalità di salvaguardia della quota Mezzogiorno sulle risorse non assegnate per carenza di domande ammissibili. Un’eventualità tutt’altro che remota alla luce del primo anno di attuazione del PNRR.

In altri casi, come nel bando Asili Nido, in presenza di insufficiente capacità 3 progettuale per circa il 50% delle risorse, è stata prevista una proroga dei termini, che però difficilmente sarà sufficiente a colmare il gap. In assenza di interventi sui meccanismi allocativi e sui soggetti attuatori, soprattutto nell’ambito dei diritti di cittadinanza, la mancata allocazione delle risorse nelle aree a maggiore fabbisogno richiederebbe l’attivazione dei poteri sostitutivi previsti dalla governance del PNRR. A completare il quadro vi sono infine 9,6 miliardi di euro di competenza del Ministero della Transizione ecologica (5,9 miliardi) e del Ministero dello Sviluppo economico (3,7 miliardi) per il finanziamento di misure nazionali già attivate per le quali sono disponibili dati storici di tiraggio a livello territoriale, anche se parziali.

La già citata notevole distanza dal target del 40% del Ministero per lo Sviluppo economico è determinata in larga misura ai crediti d’imposta previsti per l’intervento Transizione 4.0, che vale 13,4 miliardi (il 74% delle risorse gestite dal Ministero), e per il quale si fornisce un dato di “quota Sud” pari al 19,4% basandosi sui primi quattordici mesi di operatività dell’incentivo. Questa misura presenta quindi un’elevata problematicità dal punto di vista del rispetto del vincolo del 40%. Le risorse sono allocate in base alla dinamica “spontanea” delle richieste giudicate ammissibili, che a sua volta riflette la distribuzione delle imprese attive e dei relativi investimenti nelle diverse macroaree.

Ne consegue, come già evidenziato dalla Svimez, che il Sud vi accede in misura molto limitata, beneficiando di una parte molto esigua di risorse. Un quadro simile emerge anche con riferimento alla quota Mezzogiorno del Ministero del Turismo che si attesta solamente al 28,6%. Tale percentuale è riferita all’importo complessivo delle risorse con destinazione territoriale, che ammontano a 2,29 miliardi di euro, il 95% del totale delle risorse PNRR in capo al Ministero. Lo scostamento dal target del 40% è riconducibile a investimenti per 650 milioni di euro in cui il Mezzogiorno ha quota a pari a zero. Un rischio di ulteriore erosione della quota meridionale è imputabile al meccanismo spontaneo di allocazione territoriale delle risorse per i crediti d’imposta riservati alle imprese attive nel settore turistico.

Quest’ultimo, basato su procedure a bando o a sportello a livello nazionale, potrebbe penalizzare la partecipazione di imprese e iniziative localizzate nel Mezzogiorno potenzialmente beneficiarie. Analoghe conclusioni sussistono per le risorse PNRR a titolarità del Ministero per la Transizione ecologica (39,2 mld di euro, di cui poco più di 38,5 con destinazione territoriale), la cui quota complessiva destinata al Mezzogiorno è inferiore di 3 punti percentuali rispetto al vincolo normativo del 40%. Oltre al fatto che per alcuni interventi le risorse sono state territorializzate ex 4 ante nel Centro-Nord mentre per altri la quota al Sud è stata stimata modesta o nulla (per vincoli tecnologici, assetto di mercato, etc.), per gli investimenti per i quali non sussistono vincoli tecnici alla localizzazione nel territorio meridionale sono previste procedure competitive rivolte a imprese o a enti locali il cui esito finale è dipendente dalla capacità progettuale e di risposta dei territori.

Proprio per questi motivi, l’adesione delle regioni del Mezzogiorno potrebbe essere insufficiente ai fini del pieno utilizzo di tali risorse. Timori sulla capacità di spesa delle regioni meridionali riguardano anche le risorse in capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la cui quota destinata al Mezzogiorno si attesta al 37%. Il mancato rispetto del vincolo normativo è in questo caso giustificato dai criteri di riparto adottati, che hanno privilegiato la spesa storica per gli obiettivi di occupabilità, e dalla massima capillarità e copertura territoriale per ciò che concerne i progetti in infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore a titolarità degli Ambiti Territoriali Sociali. Per raggiungere la quota del 40%, per questi come per altri strumenti di sostegno, è necessario prevedere meccanismi correttivi che compensino eventuali inefficienze nelle capacità progettuali e attuative delle Amministrazione meridionali, e favoriscano la partecipazione dei soggetti economici del Sud. È necessario altresì predisporre modalità di salvaguardia in caso di mancato assorbimento.

Il tema è quello della declinazione a livello territoriale degli interventi nazionali di incentivazione da conseguire con una pluralità di strumenti come, ad esempio, maggiori aliquote di agevolazione per il Sud o criteri privilegiati di accesso agli interventi, soprattutto per quelle attività produttive e quegli ambiti tecnologici che presentano eccellenze nelle regioni meridionali. In definitiva, dalla Relazione arriva un forte monito al livello politico: il 40% è tutt’altro che un risultato acquisito, è un obiettivo che sarà possibile conseguire solo se saranno rimosse diverse criticità, avvalendosi di tutti gli strumenti di cui si è dotata la governance del PNRR, incluso il potere sostitutivo da parte dello Stato nei casi di palese inadeguatezza progettuale e realizzativa degli enti decentrati. Con efficacia, la Relazione evidenzia il trade-off tra efficienza allocativa ed equità perequativa che connota l’attuazione del Piano.

Esiste il rischio concreto, cioè, che per rispettare target e milestone da rendicontare in Europa, si debba sacrificare l’obiettivo del superamento dei divari territoriali che il governo italiano ha declinato con l’impegno a destinare alle regioni del Mezzogiorno almeno il 40% delle risorse con destinazione territoriale. Un rischio che va scongiurato. Sarebbe davvero 5 paradossale sacrificare l’equità in nome dell’efficienza per rispettare i tempi di attuazione di un Piano che ha per obiettivo la riduzione delle disuguaglianze. (lb – cp)

Il ministro Giovannini: Per Mezzogiorno l’obiettivo è il 56% di risorse del Pnrr

«Noi ci siamo posti l’obiettivo del 56% delle risorse, non del 40%. Tale percentuale è stata una scelta politica, non il frutto di un algoritmo». È quanto ha dichiarato il ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, in una intervista a La Repubblica, parlando delle risorse del Pnrr destinate al Mezzogiorno.

«Per le infrastrutture e la mobilità – ha spiegato – è cambiato il modo di assegnare i fondi e non solo per il Pnrr, perché ora vengono assegnati solo su progetti ben definiti» e «le tipologie di investimenti previste nel Pnrr sono molto variegate: ci sono opere come la Salerno-Reggio Calabria di alta velocità e investimenti sulle nuove scuole. Pensare di avere lo stesso approccio per tutti i progetti sarebbe sbagliato».

«Abbiamo fatto – ha proseguito – una scelta di semplificazione delle procedure rispetto al Codice degli appalti per tutte le opere, anche quelle relativamente piccole, mentre per le opere di maggiore peso del Pnnr ci sono procedure speciali. Inoltre, è stata creata la Commissione Via dedicata al Pnrr».

Il ministro ha spiegato che «le stazioni appaltanti sul territorio sono concentrate sulle città metropolitane e sulle province, i piccolissimi Comuni non sono direttamente coinvolti» e che la selezione dei progetti del Pnrr è stata fatta sulla base della possibilità di concluderli entro il 2026».

«Abbiamo distribuito – ha spiegato ancora – con Regioni, Comuni e Province oltre 25 miliardi per progetti Pnrr e fondo complementare nel settore dei trasporti e delle infrastrutture». Per le gare del 2022 e 2023 «abbiamo anche cambiato radicalmente i meccanismi di adeguamento ai costi dopo l’assegnazione dell’appalto, rendendoli molto più bilanciati e favorevoli alle imprese». (rrm)

 

ENERGIE RINNOVABILI: DA CALABRIA E SUD
PUÒ PARTIRE L’EOLICO E IL FOTOVOLTAICO

di BIANCA VIOLANTE – Il Mezzogiorno e la Calabria come punto di partenza per lo sviluppo degli impianti eolici e fotovoltaici. È quanto è emerso dal rapporto realizzato dalla Svimez in collaborazione con Ref Ricerche, che evidenzia come gli effetti del sistema economico di tali investimenti andrebbero a privilegiare sopratutto il Mezzogiorno, «divenendo un ulteriore strumento con cui sostenere lo sviluppo delle regioni meridionali nei prossimi anni».

«Gli investimenti nelle Fer – si legge nel rapporto – possono quindi rappresentare uno strumento utile a definire una nuova politica energetica e industriale, basata sulla diffusione di tecnologie altamente innovative, e in grado di favorire l’aggancio del Sud e del Paese alla nuova catena globale del valore».

Nel rapporto, infatti, che ha analizzato «gli investimenti sarebbero necessari nelle rinnovabili per partecipare al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione già oggi inseriti nel Pnieco» e «gli effetti macroeconomici che tale mole di investimenti teoricamente necessaria comporterebbe in termini di produzione, valore aggiunto e occupazione per l’Italia e il Mezzogiorno», viene specificato come i «nuovi investimenti teoricamente necessari nelle rinnovabili, oltre a rappresentare una condizione indispensabile per conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione assunti dall’Italia e dall’Europa, verrebbero allocati in misure prevalente nel Mezzogiorno».

Questo perché il Sud, per quanto riguarda le energie rinnovabili, svolge un ruolo importante: «considerando il livello di potenza installata, nell’ultimo decennio, al nord e al centro è andato riducendosi il peso relativo della potenza idroelettrica e geotermica, a favore di quella fotovoltaica. Viceversa, al Sud si osserva una crescita relativa del peso sia di eolico che di fotovoltaico».

«Il buon posizionamento del Sud del Paese – si legge ancora – emerge chiaramente dalla ripartizione territoriale della produzione di energia elettrica da FER. Su un totale di 115.847 GWh prodotti nel 2019 dalle FER, il 33,5% è riconducibile al Mezzogiorno, il 27,7% al Nord-Ovest, il 24,8% al Nord-Est e il 14% al Centro Italia. Contribuisce al risultato del Mezzogiorno la sostanziale concentrazione in quest’area dell’eolico (96,5%) e il ruolo di primo piano nel solare (40,5% a fronte del 22,4% del Nord Est, del 18,9% del Centro e del 18,2% del Nord Ovest)».

Il Rapporto, inoltre, ricordando che per raggiungere gli obiettivi previsti dal Pniec al 2030 servono nuovi investimenti negli impianti rinnovabili, ha individuato in circa 82 miliardi gli investimenti necessari per la creazione di nuovi impianti da Fer, che andrebbero a privilegiare le regioni meridionali, verso cui sarebbero destinati circa 48 miliardi di investimenti, pari al 58,9% del totale.

Per la nostra regione, nello specifico, per l’eolico si tratterebbe di 3 milioni, 1 milione per il fotovoltaico per un totale di più di 4 milioni, ovvero il 5,6% del totale. Con questo investimenti, il valore aggiunto attivato sarebbe di oltre 1 milione, con la quota valore aggiunto sul Pil del 4,8%.

In una analisi macroeconomica, la mole di interventi «genererebbe, su scala nazionale, un incremento nel valore della produzione ‒ al netto delle attività non market ‒ di 148 miliardi di euro; per ogni euro di investimento se ne creerebbero 1,8 nell’intero sistema economico»: non si registrerebbe solo un valore aggiunto addizionale pari a 55 miliardi di euro, ma anche un impatto sul Pil, che sarebbe pari al +3,1% sul 2019 a livello nazionale, mentre per il Mezzogiorno sarebbe del +5%, rispetto al Centro-Nord che registrerebbe un +2%.

«Gli investimenti complessivamente ipotizzati – si legge nel rapporto – sarebbero tali da attivare, nell’intero periodo, 373 mila occupati aggiuntivi, di cui 156 mila nelle regioni meridionali e la parte restante, pari a 164 mila, in quelle del Centro-Nord». Nella nostra regione, poi,  si tratterebbe di 11 mila occupati in più.

Le analisi dei principali istituti internazionali (sono stati presi in considerazione gli ultimi Outlook pubblicati prima della COP 26 di Glasgow), pure con approcci e obiettivi differenti, concordano nell’evidenziare che Per raggiungere gli obiettivi di Zero Emission al 2050 è necessaria un’ulteriore spinta che sostenga lo sforzo per la decarbonizzazione, individuando: a) nel decennio 2020-2030 la fase cruciale per potere aspirare a conseguire gli obiettivi al 2050; nello sviluppo delle FER la chiave di volta, essendo particolarmente significativo l’apporto delle fonti fossili alla produzione di energia elettrica; per raggiungere gli obiettivi al 2050 e sviluppare davvero le rinnovabili è necessario un approccio che tenga insieme il ruolo della finanza verde, gli interventi del decisore pubblico, quelli del privato, dei grandi operatori, così come lo sviluppo di una rete diffusa.

Inoltre, secondo la Svimez, «le scelte della Ue, in questo contesto, sono strategiche:« L’Europa – si legge nel rapporto – si dimostra l’area mondiale che presta maggior attenzione alle politiche e alle strategie di sviluppo dell’economia verde e circolare. In questo senso un riferimento essenziale è lo European Green Deal e, più recentemente, l’approvazione del Fit for 55 e del Next Generation EU che assume il binomio innovazione ecologica/digitale e lo declina a livello europeo con attenzione all’economia vede, circolare e alle rinnovabili».

L’Italia, da questo punto di vista, non è da meno: è, infatti, tra i primi in Europa «per potenza installata e consumi di energia rinnovabili. Secondo i dati Arera, dal 1997 al 2020 l’apporto delle rinnovabili al totale dell’energia prodotta in Italia sale dal 18,5% al 41,2%, a fronte di un parallelo calo del termoelettrico dal 79,6% al 58,1%. Questo in particolare grazie alla crescita dal 1997 a oggi di solare ed eolico».

«Tuttavia, negli ultimi anni si è assistito a un parziale rallentamento: i nuovi campi fotovoltaici hanno continuato a salire, ma a velocità ridotta. Il Paese rischia così di perdere terreno di fronte ad altri grandi protagonisti delle rinnovabili come Germania o Spagna, sia nel fotovoltaico che nell’eolico. Secondo diversi osservatori uno degli elementi di freno risiede nel sistema autorizzativo che rischia di rallentare iter di installazione dei nuovi impianti. Il Pnrr rappresenta un possibile ulteriore motore per lo sviluppo delle rinnovabili. Anche se deve essere visto come un pezzo di una strategia più ampia, a oggi perimetrata dal Pniec».

Per la Svimez, appare, poi, necessario rivedere e migliorare il sistema autorizzativo, segnalando «il rischio di un’eccessiva frammentazione dei centri decisionali; la presenza di normative spesso non omogenee nei diversi territori; la necessità di accelerare il percorso di individuazione delle aree idonee. Un passo avanti in questo senso nell’individuazione delle aree idonee sembra arrivare dal recente D.Lgs. n. 199/2021, di recepimento della Direttiva RED II, finalizzato a semplificare e accelerare le procedure».

È inutile dire che, per la Calabria, quella delle energie rinnovabili potrebbe essere una grande opportunità di ripresa post-pandemia e di rilancio economico, sopratutto a livello occupazionale. Viene da chiedersi, dunque, perché ci siano politici che, invece di cogliere l’occasione, preferiscano andare contro a quelle soluzioni che gioverebbero a una terra che ha bisogno e necessita di riscattarsi. (bvi)

 

Risorse idriche, bando da 313 milioni di euro per ridurre gli sprechi nel Mezzogiorno

Sono 313 milioni di euro la somma del bando del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili per ridurre la dispersione di acqua nel Mezzogiorno, rendere più efficienti le reti idriche di distribuzione nei territori delle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e colmare il divario territoriale in un settore di vitale importanza per i cittadini.

Si tratta di risorse europee del programma React Eu messe a disposizione dal Ministro per il Sud e la Coesione territoriale e gestite dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Si tratta di fondi europei del Pon Infrastrutture e Reti 2014-2021.

Entro 45 giorni, gli Enti d’Ambito delle cinque Regioni del Sud potranno presentare progetti volti a migliorare la qualità e la gestione del servizio, anche attraverso l’impiego delle migliori tecnologie digitali per il monitoraggio delle reti e il miglioramento della resilienza, tenendo conto dei principi e gli indirizzi europei, della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile e del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.

«La riduzione delle perdite idriche nelle reti di distribuzione è una delle principali sfide per il Sud del Paese – ha dichiarato il Ministro Enrico Giovannini –. È infatti un obiettivo fondamentale inserito tra le riforme previste dal Pnrr. È necessario rafforzare il processo di industrializzazione del settore con la costituzione di operatori integrati, pubblici o privati, con l’obiettivo di realizzare economie di scala e garantire la gestione efficiente di un comparto che ancora oggi risulta frammentato e complesso».

«Questo bando è una prima risposta a un problema che incide sulla qualità della vita e le potenzialità di sviluppo del Sud – ha aggiunto il ministro Carfagna –. Grazie agli investimenti dell’Unione Europea e al piano che come governo italiano abbiamo predisposto nell’ambito di React Eu, finalmente c’è la possibilità di iniziare a migliorare la gestione delle risorse idriche al servizio dei cittadini meridionali. Spero in una risposta rapida ed efficace degli Enti per cogliere al meglio questa opportunità». (rrm)