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Libro "La madonna del Carmine che sconfigge il drago"

La Madonna del Carmine che sconfigge il drago – di Mauro Santoro

di DEMETRIO GUZZARDI – In questo suo nuovo lavoro editoriale, Mauro Santoro ci offre ancora una volta uno spaccato molto interessante del paese in cui vive e di cui è amministratore: Terravecchia. Tutto in questo borgo è proteso verso la grande devozione mariana e la festa del martedì dopo Pasqua che si organizza. Desidero porre all’attenzione dei lettori il desiderio di Dio, espresso in varie modalità, che elenco, quale assaggio delle tematiche affrontate in questo volume.

La prima è l’immagine della Madonna del Carmine, trattasi di un dipinto realizzato su un muro, da un artista che conosceva perfettamente la tecnica degli affreschi, ma anche la tipologia iconografica realizzata: la Madonna bruna del Carmine di Napoli.

Questo iconografo da dove veniva? dove aveva visto l’immagine napoletana? l’unica della zona jonica si trova a Corigliano sul frontone della Chiesa dei carmelitani, che fa ancora bella mostra di sè, sulle rive del torrente Coriglianeto. Chi è stato ad affidargli il lavoro? chi lo pagò?, perché proprio in quel luogo non abitato? 

C’era una fonte d’acqua che serviva il paese, ma per realizzare quel manufatto, che grazie a Dio è giunto fino a noi, ci voleva qualcuno che sapeva come farlo; e perché la Beata Vergine del Carmelo, visto che la devozione verso questa immagine era propria dei carmelitani del Sud Italia e questi frati non hanno mai avuto un convento a Terravecchia. Questi solo alcuni degli interrogativi che Mauro Santoro si è posto nella ricerca portata avanti.

Ma continuiamo: alla raffigurazione della Vergine carmelitana si aggiunge l’episodio del drago, ma questa volta le ipotesi sono più facili da seguire.

Nella contrada denominata Santa Maria, vi era un acquitrino in cui dimorava un famelico serpente alato, con corpo e testa canina. Il mostruoso rettile si intrufolava nei pagliai e nelle case, rapiva e con ingordigia e voracità divorava i fanciulli del paese. La gente, pur avendo tentato in vari modi di sopraffarlo, non riuscì a liberarsi del mostro,

piangendo periodicamente i propri figli predati. I terravecchiesi, con preghiere e suppliche, si rivolsero alla Madonna affinché li liberasse da quell’insopportabile sofferenza; le loro esortazioni furono esaudite il martedì dopo Pasqua e la Vergine con in braccio il Bambino Gesù, con una lancia squarciò il ventre della bestia malefica; l’infante appena ingoiato fu liberato e dimostrando la sua gioia, alzò le braccia in segno di ringraziamento alla Vergine Maria. 

Questo il racconto, sintetizzato non in un affresco, ma in una tela, quindi un’opera che è stata realizzata in una bottega d’arte e facilmente trasportabile a Terravecchia. Ma l’uccisione del grosso serpente che viveva in un acquitrino, si verificò proprio dove ora c’è il Santuario o fu una trasposizione di un episodio verificatosi altrove? 

C’è una grande varietà iconografica che vede la Vergine combattere contro il drago e sconfiggerlo; da qualche anno fa bella mostra di sé nella Galleria nazionale di Cosenza, un dipinto di Carlo Maratta (artista romano del XVII-XVIII secolo) con la Vergine Maria che tiene in braccio il Bambino Gesù e con una lunga asta a forma di croce, trafigge la serpe attorcigliata sul mondo; un tema iconografico quello del trionfo di Cristo sul peccato; allegoria della continua lotta della Chiesa sul male.

La presenza di animali più o meno reali, nelle immagini religiose è un tema caro a molti artisti; solo il monaco San Bernardo di Chiaravalle, si dichiarò contrario alle raffigurazioni in chiese, chiostri e conventi di «mostri grotteschi, scimmie immonde, leoni feroci, bizzarri centauri, tigri maculate». 

Basta entrare nel più importante edificio cattolico del mondo, la Basilica di San Pietro in Vaticano, per fare un safari mistico, osservando un autentico zoo sacro. Qualcuno ha addirittura catalogato ben 67 specie animali: la fanno da padrone le api (500) e le colombe (470), ma ci sono 100 raffigurazioni di draghi, 38 leoni, 35 aquile e poi 24 serpenti, 15 agnelli, 7 delfini, 4 cani, 3 pipistrelli e 2 lucertole; nel conteggio c’è pure un gatto, un coccodrillo e un unicorno. 

Sono tante le creature zoomorfe (reali o fantastiche, mansuete o feroci) che ci raccontano episodi della vita di Gesù e dei santi. È un vero e proprio linguaggio che si serve di simboli e di segni per parlarci delle verità celesti, che forse non sappiamo più decifrare, ma che sono richiami simbolici che dalla terra rimandano al cielo. 

Tutta la Bibbia pullula di questa zoologia simbolica; prendiamo l’arca di Noè, dove nessun animale viene perso, nel corso del diluvio. Il bestiario cristiano si poggia sulla frase: «Da ciò che è in basso passiamo salire a ciò che sta in alto e da ciò che vediamo in terra possiamo avere conoscenza e comprensione di ciò che sta nei cieli». 

Ma altri significativi episodi simbolici sono contenuti nelle pagine di questo volume di Mauro Santoro: ad esempio la modalità come sono arrivate le statue mariane a Terravecchia e Crucoli. Quando le due raffigurazioni lignee della Vergine Maria giunsero in contemporanea alla marina di Cariati e si doveva decidere qual era la statua di Terravecchia e quale quella dei fedeli di Crucoli, il racconto popolare si innesta nella grande tradizione della scelta divina, affidata a un toro, un animale per nulla mansueto, ma molto forte per il traino di oggetti pesanti. Non c’è ritrovamento di immagini venute dal mare, che non arrivano a destinazione, non per volere umano, ma perché il carro trainato dai buoi, decide come, quando e dove fermarsi. L’elenco che si potrebbe fare è lunghissimo, cito solo due casi: l’icona della Madonna di Czestochowa in Polonia, che veniva dall’Ucraina e il carro si fermò nella radura di Jasna Gora e da lì non si mosse; il principe Ladislao capì che era un segno divino e in quel preciso punto fece costruire un monastero in cima alla collina, per dedicare l’intera zona alla Madonna nera, che secondo la tradizione era stata dipinta da San Luca. 

Anche in Calabria c’è un santuario costruito per un episodio che ha a che fare con un toro, la Madonna della montagna a Polsi. Un bovaro, mentre ritornava a casa, si accorse che gli mancava un torello, rifece tutta la strada per cercarlo e lo trovò in località Nardello, inginocchiato davanti a una croce di ferro, ritrovata scavando il terreno. Dopo quel prodigio, venne costruita la chiesa, e la croce custodita come una reliquia, qualche anno fa mons. GianCarlo Bregantini, l’ha definita croce fiorita o gloriosa, per via delle estremità arrotondate. 

Il mondo della pietà popolare riesce sempre a saper vedere segni del divino in tutte le manifestazioni dove l’uomo non sa darsi spiegazioni plausibili, come ha spiegato nei suoi studi il compianto padre Maffeo Pretto.

C’è anche un episodio recente, che a mio parere è degno di essere segnalato: è il resoconto redatto da don Agostino Tursi che riepiloga l’incontro-scontro tra mons. Giuseppe Agostino e il popolo di Terravecchia. Il vescovo crotonese con un suo decreto voleva sopprimere la festa del martedì dopo Pasqua, solo l’intervento di un laico-credente, Emanuele Paparella, risolse la querelle. A volte servono uomini di buona volontà che riescono a trovare le parole giuste per non scatenare conflitti, che poi sono difficili da risanare. 

L’accesa assemblea con mons. Agostino avrebbe potuto avere gravi conseguenze, ma l’autorevole parola di Paparella, che ha saputo prendere per mano sia il popolo di Terravecchia sia il vescovo, verso una soluzione di grande intelligenza. Una piccola storia, ma con un grande insegnamento: la fede del popolo merita sempre considerazione, se rettamente guidata.

L’ultima annotazione è l’agape fraterna che si svolge nei pressi del Santuario nel giorno della festa; il cristianesimo ha reso simbolo del divino il mangiare insieme. Il banchetto eucaristico è rendere grazie a Dio di aver mandato il suo Figlio unigenito a condividere con gli uomini la natura umana e tutta Terravecchia, e non solo, si ritrova il sabato a consumare insieme il cibo preparato per l’occasione. 

L’agape (banchetto comunitario, legame di una comunità umana riunita e vincolata dall’amore fraterno) richiama alla gioia, ma anche a saper guardare il bisogno dell’altro. Il lettore si accosterà a tutti questi aspetti nel libro di Mauro Santoro, che ne sono certo troverà grande accoglienza tra i terravecchiesi, ma anche tra gli studiosi di pietà popolare. (dg)