LA SOLENNITÀ DELLA GIORNATA AIUTI TUTTI A RITROVARE IL SENSO DI COMUNITÀ E NON SMARRIRE LA SPERANZA;
Buona Pasqua a tutti

La Pasqua dei calabresi con l’incubo del virus
Distanti ma vicini, pensando a come ripartire

di SANTO STRATI – Rispetto alla drammatica e insopportabile realtà degli oltre diecimila morti in Lombardia, la Calabria affronta con meno ansia la festività di Pasqua, pur piangendo i suoi poveri morti. Senza abbassare la guardia contro l’incubo del coronavirus, la solennità della Resurrezione (per credenti e non) può dunque essere l’occasione per ritrovare tutti insieme il senso di comunità e, soprattutto, non smarrire la speranza.

Imparare dagli errori degli altri è buona pratica per chi ci amministra e la governatrice Jole Santelli ha mostrato di aver affrontato con la giusta determinazione e il rigore necessario l’emergenza, senza fare sconti ad alcuno, battendo i pugni ove necessario, mostrando convintamente la solidità dei provvedimenti adottati.

Certo, la tragedia dei troppi morti della casa di riposo di Chiaravalle non assolve nessuno, ma non è il tempo di cercare responsabilità che, al momento giusto, saranno accertate. Ora semmai bisogna fare tesoro anche dei propri errori e individuare il percorso più adatto per uscire dalla crisi sanitaria, senza trascurare il “dopo”.

Anche qui, è opportuno segnalare che l’esecutivo guidato dalla Santelli si è mosso con tempestività, sia per organizzare posti letti aggiuntivi in terapia intensiva, sia per limitare al massimo il propagarsi del contagio dopo i quasi 13mila rientri in Calabria, mandati subito in quarantena. Ma anche sul piano dell’impatto sociale della crisi, va ascritto a merito degli assessori Fausto Orsomarso e Gianluca Gallo l’essersi mossi con tempestività per rendere subito disponibili risorse a chi ha perso il lavoro, a chi è andato in cassa integrazione, a chi aspettava (i tirocinanti) da tempo immemorabile i pagamenti.

Certamente, i nostri figli avranno da raccontare ai loro figli  di questa strana e tristissima Pasqua di un anno più funesto che bisesto. E nessuno è in grado di prevedere senza ragionevoli dubbi la fine della pandemia, quando torneremo alla vita normale, alla vita di prima. Ma sarà uguale la vita che verrà? Questa asocialità forzata, siamo convinti, lascerà tracce difficilmente cancellabili nel breve periodo. Da un lato c’è chi ha scoperto il calore della vita domestica, famiglie che si incontravano solo per la cena hanno sperimentato (più o meno piacevolmente) lo stare insieme h24. Dall’altro, più d’uno avrà capito che non vale la pena di continuare a correre, come faceva fino all’8 marzo, in cerca di chissà cosa, riscoprendo il senso di unità della famiglia. E i ragazzi, perennemente attaccati al telefonino, avranno intuito che in cambio di una passeggiata, mano nella mano con l’amato/a, restare disconnessi sarebbe stato un prezzo da pagare molto volentieri.

No, non ci sarà più nulla come prima, perché nessuno potrà dimenticarsi le piazze deserte e le strade abbandonate, come in un film catastrofico che purtroppo si è subito rivelato come reale.

E cambieranno anche i rapporti in politica, perché in troppi hanno perduto l’opportunità dell’emergenza per dimenticare la conflittualità permanente – più utile a dare segno di esistenza sulla scena che altro – e tentare un avvicinamento per raggiungere – insieme – un obiettivo comune.

È successo, succede a livello di Parlamento, ma anche in sede regionale continuiamo a registrare banali baruffe verbali tra le varie parti politiche che non portano alcun benessere ai calabresi.

Non intendiamo dire che l’emergenza deve ispirare per forza l’evangelico “vogliamoci bene”, ma un minimo di disponibilità alla comprensione e a un comune sforzo per il raggiungimento di importanti obiettivi per la crescita e lo sviluppo della nostra terra sarebbe quanto meno auspicabile.

Il punto principale è che, per disgrazia di tutti noi, la politica nazionale (e ovviamente quella regionale e locale) ci ha costretti all’abitudine degli annunci.

Si consumano frasi ad effetto, lanciando mirabolanti aspettative, per poi dimenticarsene fino alla prossima occasione.

Così non va proprio e, da questo punto di vista, senza partigianerie, ci piace rilevare che nel primo mese l’esecutivo della Santelli ha cambiato rotta, stupendoci con “effetti speciali”. Avevamo presagito, forse presi da un insanabile ottimismo, che la Jole ci avrebbe sorpreso: ebbene, lo sta facendo. I primi segnali sono positivi e largamente apprezzabili, soprattutto a sostegno delle fasce più deboli, delle categorie sociali più a rischio e delle imprese che rischiano di non riaprire più.

Ben altra cosa rispetto ai continui pronunciamenti di capitan Tentenna (il nostro Presidente Conte) che ha adottato la formula dell’attesa per le sue conferenze stampa e le sue (anche se magari collegiali) decisioni. Se permettete i vari annunci sembrano più “armi di distrazioni di massa”; ovverosia, l’annuncite, chiamiamola così, serve a far dimenticare la realtà che ci circonda. L’ultima sortita che sembra prevedere il trionfo della cultura sull’abituale riluttanza degli italiani a leggere è la prevista riapertura delle librerie.

Ma, scusate, se la gente non può uscire di casa, come fa ad andare nei negozi che ricevono il nulla osta a riaprire? Come fa ad andare dal libraio che – in poco più di 40 mq – dovrebbe ricevere un cliente alla volta, invitandolo a mettersi guanti e mascherina e possibilmente non toccare i libri per evitare di trasmettere l’eventuale contagio? Le librerie, per chi le frequenta, sono dei favolosi punti di aggregazione sociale: si va a guardare i nuovi libri, a cercare qualcosa di cui si è sentito parlare, e con l’occasione scambiare un po’ di opinioni con gli altri frequentatori, spargendo o ricevendo consigli, suggerimenti segnalazioni.

Un tempo, scusate la nostalgia, c’era l’amico libraio (ancora per fortuna qualcuno è rimasto) che conosceva il cliente, lo guidava, gli metteva da parte qualche titolo di suo sicuro interesse e gli annunciava le novità in arrivo. Oggi ci sono impiegati desolati e scontenti che, al massimo, in una grande libreria indicano uno scaffale dove cercare o tutt’al più fanno un’interrogazione al computer per vedere la disponibilità di un titolo. E qualcuno si chiede perché Amazon e le altre librerie online hanno tanto successo? Se devo andare a frugare negli scaffali da solo, faccio prima a ordinare via internet, e il libro arriva il mattino dopo.

Scusate la digressione, ma questa politica delle riaperture parziali non ci convince proprio, se non c’è parvenza (almeno quella) di ritorno alla normalità. Ma vi immaginate la Mondadori su corso Mazzini a Catanzaro o la libreria Ave a Reggio aperte sulle due strade principali dove però non c’è nessuno? Ma che senso ha?

Del resto, cose sensate è difficile pretenderle da questi dilettanti allo sbaraglio che ci sono toccati come governanti. Non riescono a mettersi d’accordo (dem e cinquestelle) sulle cose più stupide, figuriamoci su quelle serie. E sono senza vergogna: quanti lavoratori autonomi stanno ancora aspettando il misero obolo di 600 euro promesso? Non c’è da indignarsi? Con esclusione dei giornalisti freelance (ai quali ha provveduto l’Inpgi, il proprio istituto di previdenza) tutti gli altri stanno ad aspettare.

Come sarà la loro Pasqua e quella di artigiani (parrucchieri, estetiste, ambulanti) che da un mese – un mese! – non vedono un centesimo di incasso? Cosa è stato fatto per loro? Nulla, se non l’annuncio che potranno portare in detrazione come credito d’imposta il 60% dei costi dell’affitto. Roba che le brioches di Maria Antonietta per il popolo che non aveva pane, diventano la bizzarra conferma che sono davvero tanti a non conoscere i veri problemi della gente. Con la differenza che la regina perse la testa (non in senso figurato) mentre i nostri governanti mostrano di non avercela proprio. E quando ce l’hanno è occupata nel mantenimento di privilegi che fanno infuriare la gente comune, quella che lavora e paga le tasse. E che ha servizi da terzo mondo e una pressione fiscale insostenibile

La distanza tra paese reale e paese legale sta, dunque, diventando sempre più incolmabile e ogni iniziativa per aiutare chi è stato colpito dall’emergenza si trasforma, abitualmente, in una beffa insopportabile. Chi ci guadagna, per esempio, dal cosiddetto decreto-liquidità varato appena qualche giorno fa? Ve lo diciamo noi: le banche che, sotto sotto, stanno posticipando prestiti già concessi prima dell’8 aprile, in modo da farli rientrare sotto l’ombrello della garanzia statale e che si faranno pagare “modeste” commissioni per istruire le pratiche di finanziamento. E ci guadagnano i solerti funzionari di finanziarie e pseudo associazioni di categoria che assicurano i propri servizi per aiutare le imprese a richiedere il finanziamento per liquidità. Da 300 euro in su per avviare la pratica e non è detto che poi il finanziamento arrivi (e non esiste, in questo caso, il rimborso dei costi sostenuti). Un vecchio giochetto che ha fatto arricchire tante associazioni per imprenditori: 800 euro o giù di lì per avviare la pratica di finanziamento (pur sapendo che la banca non avrebbe concesso in assenza di garanzie reali). Ci hanno raccontato imprenditori che anche in presenza dell’80% garantito da Confidi o altri consorzi analoghi, le banche hanno chiesto fidejussioni a garanzia dell’importo totale del prestito e non del rimanente 20%). Queste cose le sanno tutti, tranne chi ha scritto le 40 pagine del decreto finito sulla Gazzetta Ufficiale.

Per fortuna, siamo in Calabria e la Regione provvederà con “Riparti Calabria” a ridare fiato alle attività produttive fermate dall’emergenza. Come si fa, da parte del governo centrale, a non capire che la chiusura forzata (pur se pienamente legittimata dalla necessità di fermare il contagio) ha lasciato senza reddito migliaia di piccoli imprenditori, professionisti, artigiani, negozianti? Il diritto alla salute è ovviamente primario e prioritario, ma si pensi anche a chi – improvvisamente – si ritrova senza un euro in tasca.  Servivano soldi veri: sono stati fatti annunci e promessi finanziamenti, che quasi certamente – caso mai arriveranno – dovranno superare le lunghe e assurde procedure inventate dai burocrati di Stato.

Un appello pasquale, dunque, alla presidente Santelli e al suo assessore Orsomarso che affidano alla Fincalabra la gestione dei finanziamenti alle aziende in difficoltà: non lasciatevi incantare dalle sirene della burocrazia, fate in modo che i soldi giungano alle imprese, quelle vere, che hanno chiuso o ridotto l’attività. Sono i piccoli imprenditori la ricchezza di questo Paese, una ricchezza che anche la Calabria deve preservare.

Buona Pasqua a tutti. (s)