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L'OPINIONE / Franco Cimino: «Che bello, sono alla festa di Mario Casalinuovo!»

L’OPINIONE / Franco Cimino: Massimo Nisticò, il suo nameless e la serata spettacolare donata alla città

di FRANCO CIMINO – Ieri sera è nata una stella. Ovvero, molta gente l’ha potuta vedere. Finalmente! Ché già brillava nel cielo, pur coperto di nuvole ancora scure, di Catanzaro. Ché in fondo quella stella c’è da tempo. Solo che, intimidita dalla Luna, la mia e la sua, la nostra luna, si è fatta timida anch’ella. E poi si è fatta discreta e riservata, quasi gelosa di sé stessa. Quasi “scornusa”, come diciamo a Catanzaro.

Ciò é potuto verificarsi fino a quando… Fino a quando non si è messa a parlare. Meglio, a scrivere. Perché a parlare, la stella, l’ha fatto del suo scrivere. E di più, quasi fosse maggiormente ispirato, delle letture più alte. Le sacre. La Sacra Scrittura. Ah, quando ascolti le sue parole! Non sai se è meglio leggerla o ascoltarla. Non darti pensiero, potrei consiliare chiunque le si avvicini, tanto la “sentirai” in ognuno dei due modi. Ché quella voce ti entra dentro. Ti scava nella corazza che metti sopra l’anima e rompe le catene della mente, costruite a gran fatica per ripararti, tu credi, dall’ interrogazione più profonda.

«Che ci faccio io qui, in questo piccolo mondo che, come tutti gli innumerevoli piccoli mondi, lo rappresenta tutto? Qual è il mio compito di uomo, cui il mondo è stato donato, e perché solo agli esseri umani tra tutti i viventi, anche intelligenza e coscienza?». Queste le domande che trovi stampate nei suoi occhi, questa l’acqua della fonte che, chiara e fresca, scende nel mare profondo dell’incommensurabile bellezza e infinitezza.

«Fare il bene, donarsi totalmente agli altri. Amarli tutti. Mettendo avanti, come simbolo anche, perché contamini, l’amore anche più privato e intimo». Quello per la propria stella. La stella che ti sta accanto e che si vede in eguale bellezza, da qualsiasi punto la guardi. Ché Amore è la regola fondamentale. Una Legge, la più importante, che dovrebbe orientare leggi e ordinamenti, gesti privati e azioni pubbliche. Chiese e istituzioni. Progetti umani, nel disegno, proprio per nulla imperscrutabile, divino. E se la stella parla, lo fa con gli occhi. Con i gesti. Lo fa anche con i silenzi. L’Amore può far tutto. E con ogni strumento dire di sé. Ma è la voce quello che può meglio dire della Parola. Delle parole. La stella, che ascoltato e visto in almeno duecento persone, stipate come piccole stelline dentro la bella sala del bel palazzo comunale, con quel gonfalone giallo e rosso su cui campeggia l’aquila reale che vola sui tre colli, a ricordarci dell’antica grandezza della Città, ce lo dice con la sua voce particolare. Una voce un po’ attore, un po’ oratore, un po’ maestro, un po’ anima che si libera.

«Come l’anima, c’è solo un elemento della persona che resta suo proprio, irripetibile, insostituibile. È la voce. Ascoltate la mia nelle brevi cose che dirò. E soprattuto nell’unica brevissima frasa che vi leggerò». Ed è bella. Di suo la frase. Più bella perché letta da chi l’ha scritta. Con il suo cuore. Da cui, poi, a fiume “impetuoso” ed elegante, sono nate le centinaia dalle migliaia di parole, che hanno, in dieci anni di “dolce fatica”, costruito una storia straordinaria che ha dato vita a un libro bellissimo. È quella che si trova nella prima pagina del libro che è stato presentato, per la prima volta, ieri sera in quel palazzo. È per il valore insostituibile della voce, «su cui neppure l’intelligenza artificiale potrà fare nulla che la alteri o la sostituisca» (sono parole sue), che ha fortemente voluto, quella stella, che tre donne ricche di straordinarie bellezza leggessero lunghi brani tratti dal quel volume. Sono tutte anche docenti e tra le migliori in assoluto, Vittoria Amantea, Loredana Marzullo, Elisa Stranieri.

È stato bello ascoltarle. Più bello ancora vedere in sala molti a seguire la lettura con il libro in mano. È stato molto interessante ascoltare anche i brevi interventi che le hanno precedute, svolti da due intellettuali di riconosciuto valore, Umberto Mancino e Antonio Cavallaro. E, infine, tutti con gli occhi lucidi e gli sguardi puntati su quel magico duo, per l’ascolto della canzone, forse la più bella, dei Beatles. Let I Be, che ha fatto da ispirazione e da colonna sonora al libro. L’hanno eseguita con una intensità coinvolgente lo stesso autore, al pianoforte, e quella “voce” magica di Patrizia Carullo, una catanzarese autentica, artista nata, che io colpevolmente non conoscevo. Donna e artista di forte fascino in questa sua passione-vocazione (di professione fa ben altro) che ha fatto della voce lo strumento del bel canto, che, e lo si nota subito, avrà pure tecnicamente studiato. Voce per il canto che, dicono gli esperti, in lunghi anni di esibizioni ha spaziato su tutti i generi musicali. Con loro si è chiusa una serata speciale.

Resa tale da un folto pubblico. Non ricordo, tranne che in una occasione a me molto particolare, circa dieci anni or sono, di aver visto mai tanta gente per la presentazione di un fatto editoriale. E che gente! Tutte persone colte. Ma di quella cultura non aristocratica, fatta di elitismo, chiuso dietro ad alte pile di libri da esibire per segnare la propria presunta superiorità. Cultura vera, invece. Quella fatta di sensibilità. E anche di buone letture. Di desiderio di conoscere e di apprendere. Di donarsi ricevendo, anche se finora non si sono visti grandi risultati in una città, la nostra, che scoraggia ancora simili slanci verso la crescita complessiva della società e della nostra realtà urbana. È stato bello vedere che tante persone fossero arrivate già con il libro. Bello vedere entrare in sala, a sorpresa, pur se a motivo dei numerosi impegni vi è rimasto il tempo di un saluto, il Sindaco. E ancora più bello è stato vedere non poche persone leggere, sulla pagina aperta, i brani che le prof hanno letto a “voce” alta. È stato bello vedere “gettarsi” tantissimi di loro, facendo pure una lunga fila, su quel tavolo grande dietro il quale il fine scrittore scriveva le dediche. Tutte specifiche. Una per una. E tutte diverse, a seconda di chi gli porgeva il libro. Parole compiute per dare “voce” ai sentimenti. L’autore alzava gli occhi sul viso della persona e scriveva la dedica a quella “persona”. Come se dicesse «io ti conosco, ti riconosco. Conosco il tuo nome e la tua voce».

Una fatica enorme per chiunque. Per lui una gioia che alleggeriva quella mano sul foglio. Uno spettacolo nello spettacolo. Che è andato ben oltre l’evento in sé. Spettacolo di umanità per la ricerca del comune sentire. La Voce ”del mondo. E il cuore degli uomini che si mettono insieme. Lo spettacolo di questa stella, ricca di sensibilità sconfinata, di occhi che ti divorano quando scrutano nei tuoi. E di cultura profonda, fatta di poesia e di filosofia, di teologia e scienza, di fede e ragione. Che, in questa stella, si incontrano tutte in quel punto dell’universo, in cui vive e trionfa il soggetto, mezzo e fine anche di verità, a cui tutto l’universo è dedicato, l’essere umano. L’uomo nella sua pienezza. E il libro, l’altro attore principale della serata? Non ne parlo. Non qui. Non prima di averlo approfondito. Pienamente respirato. Non senza essermi dotato di un minimo di “competenze” su di esso per poterne dire a “voce” piena. E, di certo, per evitare di disturbare tutti coloro che invito a leggerlo, per trarne singolarmente le proprie sensazioni. Le più ricche emozioni. Dico solo che è bellissimo. E, con modestia dei miei mezzi culturali, che è uno dei più belli, dei tanti che per fortuna si trovano nelle librerie. E che sia così lo dimostra anche la grande attenzione che vi dedica Rubbettino, che l’ha editato. E anche ben confezionato in una “oggetto” da tenere in mano o sulla scrivania o sul comodino o sul mobile più visibile della casa o delle librerie. Dico solo che in esso si trovano tante storie che, tra suspense e batticuore, si raccolgono in una che sarà ricomposta dallo stesso lettore. Il titolo poi è già una guida, quasi misteriosa, che ti conduce nelle tante pagine dei racconti, Nameless, la parola più adatta per significare in anticipo ciò che il lettore troverà. Una parola inglese che ne racchiude tante diversamente utilizzabili: senza nome o anonimo, indefinibile o fermamente sconosciuto. E io aggiungo: perché il nome non ha o perché si nasconde chi e per chi? E, ancora, noi chi siamo nel Nameless di quelle storie? No, basta così, altrimenti faccio danni. Vi dico solo della stella che finalmente è apparsa chiara nel cielo della Città e della cultura italiana, con orgoglio per quella ancora troppo timida calabrese. Lei non è Nameless. Il suo nome e il suo volto sono conosciuti, per la sua grande bellezza. Che dalle sale operatorie del nostro Pugliese-Ciaccio-De Lellis, ora Dulbecco, fino ai luoghi della “poesia” (racchiudo in questa parola ogni intensità letteraria), dona a tutti insegnamenti preziosi. E lo fa con due strumenti che, così strettamente legati, pochi scrittori e intellettuali possiedono. Sono: la scrittura fine e penetrante, affilata e rapida, come una sciabola, un fulmine, un battito di cuore, e il pensiero profondo. Ambedue adagiati sull’anima bella che sa mettere insieme cuore e ragione, emozioni e idee, fantasia e realtà. Questa stella è Massimo Felice (di nome e di fatto) Nisticó. E non dico altro, perché mi commuovo forte, come in questo momento. E come ieri quando l’ho visto trionfare. E brillare della sua luce. Luce di stella. (fc)