CALABRIA, DELUSIONE INFRASTRUTTURE
CAMBIARE STRATEGIA PER LO SVILUPPO

di NINO FOTI – Se esiste una reale e concreta possibilità per il Mezzogiorno, probabilmente l’ultima, di riallinearsi al resto del Paese e diventare allo stesso tempo elemento trainante della nostra economia, è ormai chiaro che la si deve trovare nella capacità di sfruttare tutte le opportunità di sviluppo che questo momento storico ci offre, sia da un punto di vista politico che di risorse.

Negli assetti geopolitici mondiali, come ha di recente dichiarato il Presidente del Consiglio Mario Draghi, “l’Europa ha davanti un profondo riorientamento destinato a spostare sempre di più il suo asse strategico verso il Mediterraneo, ed in questo contesto il nostro Sud può giocare un ruolo fondamentale per il futuro dell’Europa”.

Il cambio di paradigma che sembra essersi messo in moto rispetto al Sud, che da problema del nostro Paese sembra poter rappresentare una possibile soluzione, ci incoraggia a sperare che siamo finalmente di fronte ad una svolta.

La disponibilità di risorse finanziarie che si concentrano in questa fase storica sembra volerci spingere nella medesima direzione. Siamo infatti nella fase di passaggio tra due cicli di programmazione della politica di coesione dove per il completamento del ciclo 2014/2020 dovranno essere spesi entro il 2023, oltre 30 miliardi ai quali si aggiungono i fondi della programmazione 2021/2027 che assegnano al Mezzogiorno 55 miliardi di euro, da utilizzare entro il 2030.

Ulteriori risorse saranno poi disponibili, provenienti come sappiamo dal PNRR, da spendere entro il 2026 -circa 86 miliardi-, pari al 40,8% dei 211,1 miliardi complessivi del PNRR stesso. Quello che bisogna assolutamente fare tuttavia è focalizzare gli obiettivi, affidarsi alla competenza ed evitare di ripetere gli errori del passato.

Se concretamente vogliamo parlare di sviluppo del mezzogiorno, ad esempio, non possiamo pensare di farlo senza mettere al centro lo sviluppo infrastrutturale e la realizzazione di alcune opere fondamentali, come ad esempio l’Alta velocità ferroviaria. Se pensiamo che, dagli studi sugli impatti dell’Alta velocità, è emerso come nei territori con l’AV, il PIL è cresciuto in 10 anni di 7 punti rispetto ai territori che ne sono privi risulta evidente che solo da questa strategia può passare la crescita del territorio.

Bisogna tuttavia valutare con attenzione le soluzioni migliori. Proprio nel caso dell’Alta Velocità, un’opera sostanziale che consentirebbe di ridurre, dopo quasi 35 anni, una parte di quel gap infrastrutturale che inspiegabilmente esiste fra le due parti del nostro Paese, al momento ad esempio esiste una proposta del Ministero dei Trasporti che presenta diversi aspetti poco chiari. Innanzitutto è prevista la costruzione di un nuovo tracciato – 445 chilometri – più lungo di 50 chilometri sia rispetto a quello studiato nel 2005 da RFI che a quello dell’attuale linea lunga 393 chilometri.

Questa nuova linea inoltre andrebbe ad attraversare, senza un apparente valido motivo, le zone più impervie della Calabria tagliando i Parchi Nazionali del Pollino e della Sila. Un progetto che nonostante costi 24 miliardi di euro, collegherebbe Roma e Reggio Calabria in 3 ore e 40 minuti facendo mancare quindi l’obiettivo dichiarato di collegare Roma a Reggio Calabria in 3 ore. Sarebbe oltretutto la prima volta in cui un nuovo tracciato che unisce le medesime destinazioni risulti più lungo di un tracciato precedente. Senza contare che il progetto presentato farà si che la nuova linea ad Alta Velocità non venga realizzata in continuità con quello esistente. La linea che senza interruzioni va da Milano a Salerno infatti, si interrompe per poi ricominciare da Battipaglia.

Non si capisce quindi perché si continui ad insistere sulla realizzazione di questo progetto che, proprio per via della maggiore lunghezza del tracciato, costerebbe oltre 2,5 miliardi in più rispetto ad esempio, ad un altro progetto esistente, già proposto in un documento condiviso da Professori ordinari di Strade, Ferrovie, Aeroporti e Trasporti di tutte le università Calabresi e Siciliane che, consentirebbe invece di collegare Roma e Reggio Calabria in 3 ore.

Come se non bastasse si naviga a vista anche sui tempi. Nell’ultimo aggiornamento del quadro economico di RFI per le principali opere in gara nel 2022, resosi necessario per monitorare l’andamento dei costi complessivi previsti in modo da non mettere a rischio gli equilibri previsti dal PNRR, non c’è traccia del progetto dell’Alta Velocità Salerno – Reggio Calabria che dovrebbe rappresentare, per il mezzogiorno, l’opera più importante prevista dal PNRR stesso. Ciò vuol dire, ad esempio, che l’avvio dei lavori dei primi due lotti calabresi di Alta Velocità, quelli relativi alla tratta Romagnano – Praia e il raddoppio della galleria che collega Paola e Cosenza, slitterà al 2023, con tempi di consegna che sforeranno il 2026, data prevista per la conclusione dei lavori.

Ma se pensiamo a un Sud che, finalmente, con un sistema di alta velocità ferroviaria si connette all’Europa in modo tale che l’Italia possa diventare la porta dell’Europa nel Mediterraneo come si può escludere da questo ragionamento la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina?

Non si può non prescindere da quest’opera, così come Genova è ripartita con il nuovo ponte Morandi, il Sud dovrà ripartire con il Ponte di Messina, che va rimesso al centro dell’agenda politica facendo tesoro degli errori del passato.

Basti pensare, ad esempio, agli effetti della scellerata scelta del Governo Monti che nel 2012 decise di interrompere bruscamente lo stato di avanzamento dell’opera facendo si che il definitivo abbandono del progetto finisse per pesare sulle tasche degli italiani più della sua stessa realizzazione.

Il costo complessivo dell’opera, infatti, al tempo era stato stimato in 8,5 miliardi di euro, dei quali erano a carico dello Stato solo 1,3 miliardi. La chiusura della società concessionaria Stretto di Messina Spa, che aveva già stipulato contratti e bandito gare ha obbligato lo Stato italiano al pagamento di penali per oltre 700 milioni di euro – per le quali ad oggi sono ancora aperti dei contenziosi – ai quali vanno aggiunti i soldi spesi per le opere propedeutiche, circa 300 milioni e i costi per la smobilitazione dei cantieri e il ripristino dei terreni già predisposti per l’opera. In sintesi, invece di spendere 1 miliardo 300 milioni per realizzare il ponte sono stati spesi circa 1 miliardo e 150 milioni per non farlo.

Tutto con un progetto esecutivo già stato approvato che consentirebbe, con un dovuto aggiornamento tecnologico e finanziario, anche oggi di iniziare subito a costruire.

L’ultimo esempio indicativo dello stato dell’arte, qualora fosse necessario, è evidenziato dall’allegato infrastrutture al Documento di economia e finanza. Su 280 miliardi destinati alla mobilità sostenibile, quelli cioè legati principalmente alla realizzazione di interventi sulle reti stradali, ferroviarie, portuali e viarie, quelli toccati alla Calabria sono solo 4, o forse no. Il finanziamento dei lavori di completamento della banchina di ponente lato nord del Porto di Gioia Tauro ad esempio, prevede un intervento da 16,5 milioni che, stando al documento, proverrebbero dal Pnrr.

Peccato che quei lavori fossero già contemplati nell’Accordo di programma quadro siglato nel 2018 tra Regione, Autorità portuale, Corap, lo stesso Mit e finanziato con risorse del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020. Uguale copione per gli interventi di adeguamento e risanamento della banchina “Margottini” di Reggio. Anche qui nell’allegato si fa riferimento a 6,5 milioni provenienti dal Pnrr, ma in realtà quelle somme erano già previste nell’Apq del 2018 con risorse Fsc 2014-2020. Così anche per la banchina del porto di Villa San Giovanni: 4 milioni contemplati come risorse Pnrr, ma già finanziati con risorse Fsc 2014-2020.

Insomma, come appare evidente, la strada da percorrere in direzione di un cambio di passo resta ancora molto lunga e non corrisponde alla realtà narrata dai buoni propositi. (nf)

[Nino Foti è responsabile Mezzogiorno di Noi con l’Italia e presidente della Fondazione Magna Grecia]