di ANTONIETTA MARIA STRATI – Nel 2024 in Calabria il Pil non cresce. Anzi, diminuisce dello 0,2%, mentre quello del Mezzogiorno, per il terzo anno consecutivo, cresce più del Nord. È quanto emerso dal rapporto Svimez sul Pil delle regioni nel 2024.
Nel 2024, come nel biennio precedente, il Pil delle regioni meridionali è aumentato più del Centro-Nord: +1% contro +0,6%. Quel punto in più è stato possibile grazie al PNRR. La crescita è stata più sostenuta nelle regioni centrali (+1,2%), meno nel Nord-Ovest (+0,9%). Per il Nord-Est si stima una sostanziale stagnazione dell’attività economica (-0,2%).
La migliore performance di crescita del Sud è determinata dallo stimolo maggiore offerto dalle costruzioni (+3% contro il +0,6% del Centro-Nord), in continuità con il biennio precedente (Tab. 2). Leggermente superiore al dato del Centro-Nord anche la dinamica dei servizi (+0,7% contro +0,6%). Nella media d’area, il comparto industriale meridionale presenta una sostanziale tenuta (+0,1%), a fronte di una leggera contrazione nel resto del Paese (-0,2%). L’agricoltura cresce solo dello 0,5% al Sud rispetto al +2,9% del Centro-Nord. La crescita italiana, in un contesto di forte incertezza internazionale e di crisi di ampi comparti dell’industria europea, è stata sostenuta dalla spinta propulsiva degli investimenti in opere pubbliche, trainati dal Pnrr e da una migliorata capacità realizzativa delle amministrazioni. La Svimez ha stimato che il Pnrr ha offerto un contributo alla crescita del Pil nel 2024 pari a 0,6 punti percentuali nel Mezzogiorno e a 0,4 punti nel Centro-Nord.
Il Pil nelle regioni: forte eterogeneità interna alle macro-aree
Anche nel 2024 si conferma l’ampia differenziazione interna alle diverse ripartizioni territoriali nei tassi di crescita regionali osservata nel triennio precedente (Informazioni Svimez 4/2024). Al Sud, spiccano le performance di Sicilia (+1,5%) e Campania (+1,3%), accomunate dalle migliori dinamiche d’area del valore aggiunto delle costruzioni, rispettivamente pari a +6,3% e +5,9%.
In Sicilia anche l’espansione del settore industriale (+2,7%) contribuisce al risultato (Tab. 2). Basilicata (+0,8%), Sardegna (+0,8%) e Abruzzo (+1%) mostrano tassi di crescita simili, frutto però di diverse dinamiche settoriali: nell’economia sarda l’espansione riguarda i diversi settori ad eccezione dei servizi; in Abruzzo la crescita è trainata dai servizi che compensano la perdita di valore aggiunto delle costruzioni e dell’industria; nell’economia lucana pesa il calo del valore aggiunto industriale e il minor stimolo offerto dalle costruzioni, ma l’aumento dei servizi sostiene la crescita. Più distante dalla media meridionale la Puglia (+0,6%), frenata dalla stagnazione del terziario e da una crescita meno vivace del valore aggiunto delle costruzioni rispetto al resto del Mezzogiorno.
Infine, Molise (-0,9%) e Calabria (-0,2%) dovrebbero segnare un calo del Pil nel 2024. Nel primo caso, il dato risente della contrazione significativa delle costruzioni (-12,7%) – la più ampia a livello nazionale – e del ristagno di servizi e industria. Sullo stallo dell’economia calabrese incidono andamenti negativi diffusi tra settori, che sterilizzano la crescita dell’industria. Nel Centro, alla stagnazione delle Marche e alla crescita moderata della Toscana (+0,4%) si contrappongono le buone performance dell’Umbria (+1,2%) e, soprattutto, del Lazio, prima regione italiana per crescita del Pil nel 2024 (+1,8%). Nel Nord-Ovest, solo il Piemonte (+1,5%) registra una crescita significativa, seguito dalla Lombardia (+0,9%), mentre Liguria (-0,5%) e Valle d’Aosta (-0,1%) registrano il segno meno. La contrazione del prodotto in Veneto (-0,4%) ed Emilia-Romagna (-0,2%), principali economie dell’area, dovrebbero portare in territorio negativo il dato del Nord-Est (-0,2%).
A consuntivo di una inedita fase di ripresa, il Pil è cresciuto complessivamente dell’8,6% tra il 2022-2024 al Sud, contro il 5,6% del Centro-Nord, con uno scarto cumulato di 3 punti percentuali. Nel triennio 2022-2024, in termini di crescita cumulata del Pil, Sicilia (+11,2%), Campania (+9,5%) e Abruzzo (+9,2%) hanno registrato risultati superiori alla media del Mezzogiorno. Sardegna (+7,7%) e Puglia (+7%), pur collocandosi al di sotto della media dell’area, hanno comunque superato il tasso di crescita medio del Centro-Nord. Restano invece al di sotto della media meridionale Molise (+5,2%), Calabria (+4,2%) e Basilicata (+2,7%).
Un altro dato importante è la continua crescita degli investimenti pubblici: nel 2024 il progressivo indebolimento degli investimenti privati in edilizia, legati al Superbonus, ha ridotto il contributo alla crescita della componente privata delle costruzioni. Al contrario, è aumentato il contributo delle opere pubbliche, soprattutto grazie all’avvio della fase esecutiva del Pnrr. Nel 2024, per il complesso degli enti attuatori, gli investimenti pubblici hanno raggiunto circa 45 miliardi di euro. Poco meno della metà delle risorse è stata mobilitata dalle amministrazioni comunali, che si confermano primi investitori pubblici con una spesa pari a 21,7 miliardi. Nel complesso, gli investimenti pubblici sono cresciuti di circa 6 miliardi rispetto al 2023 (+3 miliardi per i Comuni).
Per la Svimez «si tratta di un risultato di notevole rilievo, considerato che il 2023 aveva beneficiato anche dell’effetto una tantum della chiusura del ciclo di programmazione 2014-2020 dei fondi europei della coesione, quantificabile, per le opere pubbliche, in circa 4 miliardi».
Tra il 2022 e il 2024, gli investimenti comunali sono aumentati del 75,3% nel Mezzogiorno, passando da 4,2 a 7,4 miliardi. A livello italiano, i Comuni hanno realizzato investimenti per 21,7 miliardi, +64% rispetto al 2022.
Ma non sono gli investimenti pubblici ad aver aiutato il Sud a crescere: una fetta di merito lo ha anche il settore dei servizi. Il valore aggiunto del comparto registra un aumento medio dello 0,7% nelle regioni meridionali, a fronte di un +0,6% nel resto del Paese (Tab. 2), con Abruzzo (+1,5%), Sicilia (+1,3%) e Campania (+1,1%) che si attestano su valori superiori all’1%. In calo il settore in Sardegna (-0,1%), Molise (-0,3%) e, soprattutto, in Calabria (-0,6%). Tra le attività del terziario, il comparto delle attività finanziarie e immobiliari, professionali e scientifiche ha mostrato la dinamica di crescita più pronunciata a livello nazionale, con una lieve prevalenza al Mezzogiorno (+2,3% contro il +2,1% Centro-Nord) per effetto da un lato dell’espansione delle attività immobiliari legate alla crescita del settore delle costruzioni e, dall’altro per il dato, rilevante soprattutto al Sud, della crescita dei servizi a più elevato valore aggiunto e contenuto di conoscenza.
La forbice della crescita del valore aggiunto a favore del Mezzogiorno è più ampia per i comparti – che risentono positivamente anche della spesa turistica – relativi a commercio, trasporti, servizi di alloggio e ristorazione, cresciuti nel Mezzogiorno dello 0,8% a fronte di una flessione del -0,2% nel Centro-Nord. In questo ambito, Basilicata, Sardegna e Molise registrano le migliori performance al Sud.
L’industria segna una sostanziale stagnazione livello nazionale (-0,1%), con andamenti simili tra macro-aree: (-0,2% nel Centro-Nord e +0,1% nel Mezzogiorno), ma con impatti molto più significativi al Nord per effetto del maggior peso sull’economia locale. Mentre in Lombardia e in Emilia Romagna si registra una contrazione, in Calabria l’industria cresce (5,8%), seguita da Sardegna (4,7%) e Sicilia (+2,7%).
Lo stallo dell’industria italiana si riflette nella contrazione dell’export (-1,1% sul 2023), che penalizza principalmente le economie esportartici del Nord, dove il contributo della domanda estera, espresso in percentuale al Pil regionale, supera il 30%.
Nel Mezzogiorno, la riduzione delle esportazioni è più pronunciata che nelle altre aree, ma il suo impatto sulla dinamica del Pil meridionale è contenuto in ragione di un contributo meno rilevante apportato dalla domanda estera alla crescita dell’area. Il risultato del Sud è in buona parte da attribuire al crollo dell’export di autoveicoli, in riduzione del 39,7% sul 2023, ai prodotti della raffinazione (-13%) e alla riduzione delle esportazioni dell’aerospazio che scendono del 9,9%. In negativo le esportazioni del settore dell’elettronica che si contraggono del 22%. Supera gli 11,5 mld l’export agroalimentare meridionale, con un aumento medio superiore al 10%.
Nel 2024 la crescita dell’occupazione si è confermata sostenuta, soprattutto nel Mezzogiorno, dove il numero di occupati è aumentato del 2,2% su base annua – oltre 142 mila unità in più – contribuendo per il 40% all’incremento nazionale (+1,5%). Il Sud ha risentito meno della crisi occupazionale dell’agricoltura (-0,5% contro -4,9% del Nord-Est e -12% del Centro), mentre rimane buona la dinamica occupazionale anche dei servizi legati al turismo (come alloggio e ristorazione), che fanno segnare +5,4% al Mezzogiorno a fronte di un +2,1% nazionale. In crescita in tutto il Paese anche l’occupazione nel commercio (+1,9% al Nord-Est; +3,9% nel Nord-Ovest; + 4% al Centro; +5,6% nel Mezzogiorno).
Al contrario, la variazione occupazionale degli addetti manifatturieri nelle regioni del Mezzogiorno risulta allineata al dato nazionale (+0,6%) e inferiore nelle circoscrizioni del Nord-est (+1,2%) e del Centro (+1,8%).
A livello nazionale, i servizi alle imprese hanno mostrato variazioni positive al Nord (+0,6% al Nord-est e +2,4% al Nord-ovest) e negative al Centro (-0,6%) e al Sud (-0,5%). Per i servizi Ict emerge un dato di interesse: con una crescita del +0,9%, il Mezzogiorno appare in positiva controtendenza rispetto alle altre aree che registrano dei cali di addetti.
Le retribuzioni reali nazionali mostrano un doppio divario: italiano rispetto agli altri paesi europei, e del Sud rispetto al resto del Paese, nell’intero periodo osservato.
La questione salariale italiana si riflette nella presenza di un’ampia platea di lavoratori poveri, soprattutto al Sud. La Svimez ha stimato i lavoratori in questa condizione a partire dai dati relativi alle retribuzioni disponibili per gli anni 2023 e 2024 mutuando la metodologia adottata a livello europeo. La soglia di reddito annuo al di sotto della quale un lavoratore dipendente o autonomo viene definito povero è pari a circa 7.300 euro annui (circa 600 euro mensili).
Al 2024, ricadono in questa condizione circa 4,6 milioni di lavoratori, pari al 21% del totale. Tale condizione al Sud interessa il 31,2% dei lavoratori, pari in numero assoluto a oltre 1,8 milioni. Rispetto al 2023, il recupero occupazionale non sembra aver alleviato il fenomeno del lavoro povero che risulta: in leggero peggioramento al Sud; stabile nel Nord-Ovest (16,6%; al 2024 1,1 milioni di lavoratori poveri); in deciso peggioramento nel Nord-Est (dal 14 al 15,6% del 2024; quasi 800 mila); in miglioramento significativo solo nel Centro (dal 20,5 al 19,4% del 2024; circa 900 mila).
«I dati che presentiamo – ha detto Adriano Giannola, presidente della Svimez – non sono pura statistica, dietro ai numeri c’è un’idea, fondata sui vantaggi comparativi dell’Italia e del Mezzogiorno, sui quali la Svimez suggerisce ai decisori alcune indicazioni programmatiche».
«Investire sulla logistica, sfruttando le opportunità delle aree doganali intercluse, e favorire le Autostrade del Mare – ha detto Giannola –; Implementare la transizione energetica, cogliendo le chance che ha il Sud sulle rinnovabili e sulla geotermia, piuttosto che puntare sul nuovo nucleare per il quale serviranno almeno 10 anni; Scommettere sulla rigenerazione urbana, che è anche parte del discorso sulla mitigazione del rischio, vista come strategia per evitare lo spopolamento delle zone interne, da collegare alle aree metropolitane attraverso un’adeguata rete infrastrutturale». (ams)