di GIUSEPPE DE BARTOLO – La storia demografica della Calabria è stata segnata da fasi ben distinte. Regione scarsamente popolata fino ai primi dell’800, con l’Unità conosce una dinamica naturale positiva, temperata, tra la fine dell’800 e l’inizio della Prima guerra mondiale, dal grande esodo migratorio.
Questo esodo, interrotto nel ventennio fascista, prosegue con rinnovata, ma più ridotta intensità, fino agli anni ’70 del secolo scorso, epoca in cui termina la parabola dell’emigrazione italiana.
In seguito, anche se con cadenze e intensità differenti da regione a regione, l’Italia da Paese di emigrazione diventa luogo di accoglienza di flussi migratori via via più consistenti. Negli ultimi trent’anni, la potenzialità demografica della Calabria ha conosciuto un forte rallentamento per effetto della lenta ma costante riduzione delle componenti naturali della sua popolazione, natalità e mortalità, che hanno completato quella che viene chiamata la “Transizione Demografica”.
Nel contempo si sono affacciati nuovi processi di redistribuzione della popolazione, continui nel tempo ed estesi nello spazio. Terminata l’emigrazione tradizionale, è via via cresciuto però il numero dei giovani istruiti che emigrano dalla Calabria, conseguenza diretta della crisi economica. Tutti questi accadimenti ci consegnano oggi una regione profondamente segnata da denatalità, spopolamento, nuova emigrazione e immigrazione straniera.
Sin dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso la propensione della donna a procreare (fecondità osservata) si è ridotta in tutte le regioni italiane, anche se in modo più o meno marcato, fino a scendere in ciascuna di esse al di sotto del livello di sostituzione delle generazioni di 2,1 figli per donna feconda. Si sono modificate anche le caratteristiche strutturali del comportamento riproduttivo, quali l’ordine e la cadenza delle nascite.
Questi cambiamenti hanno prodotto la contrazione del numero di nascite in tutte le regioni italiane, scese nel complesso del Paese sotto la soglia psicologica delle 400 mila unità. In Calabria, più in particolare, negli ultimi trent’anni le nascite sono diminuite del 28% e della medesima percentuale sono aumentati invece i decessi. L’effetto congiunto delle dinamiche naturali e migratorie ha fatto si che la popolazione calabrese sia diminuita progressivamente nel tempo: nel 1995 era di 2.064.738 abitanti, nel 2001 di 2.009.623 abitanti, al 1/1/2025 di 1.832.147 con una riduzione dell’11,3% nell’ultimo trentennio.
Un tratto che oggi caratterizza il territorio calabrese è lo spopolamento, definito come una sintesi delle conseguenze demografiche, economiche, sociali, culturali e psicologiche che si osservano in una popolazione a seguito dell’alterazione della sua struttura per età, sinteticamente rappresentata dalla forma quasi rovesciata della piramide della popolazione che per la Calabria del 2024 abbiamo qui di seguito riportato. La popolazione in età giovanile diminuisce per effetto della riduzione del numero delle nascite; quella anziana invece cresce grazie all’aumento dell’aspettativa di vita che negli ultimi trent’anni ha superato la soglia degli 80 anni (nel 1995 era di 77, 8 anni; nel 2024 di 82,3 anni). Ciò nonostante, si osserva un costante aumento del suo divario rispetto al valor medio italiano che oggi è di 83,4 anni; sintomo evidente del peggioramento del livello del servizio socio sanitario calabrese.
Lo spopolamento, pur presente su tutto il territorio regionale, segnato da denatalità e emigrazione giovanile, ha interessato soprattutto le zone interne e montane. A questo fenomeno, rilevante per le sue conseguenze negative, come lo svuotamento di interi centri abitati, lo sperpero di risorse umane e economiche, la perdita di un grande patrimonio culturale e ambientale, fino ad oggi è stata data poca importanza, e comunque è mancato un disegno integrato per contrastarne gli effetti negativi.
Conseguenza delle dinamiche prima descritte è stato il progressivo invecchiamento della popolazione, misurato dal rapporto vecchi/giovanissimi. Più in particolare, dal 1995 al 2025 il numero dei vecchi per 100 giovanissimi è aumentato da 75,5% a 196,2% con differenze molto marcate tra centri più urbanizzati e piccoli comuni. In questi ultimi si osservano infatti indici di vecchiaia elevatissimi: solo per fare qualche esempio ricordiamo che ad Alessandra del Carretto e a Castroregio in provincia di Cosenza oggi convivono rispettivamente 988 vecchi per 100 giovanissimi e 667 vecchi per 100 giovanissimi; a San Nicola dell’Alto in provincia di Crotone questo rapporto è di 620 vecchi per 100 giovanissimi.
L’invecchiamento demografico ha conseguenze potenzialmente molto negative, in particolare in una regione come la Calabria, caratterizzata in passato da un intenso esodo e da scarsi flussi migratori in entrata, per cui essa può essere considerata a ragion veduta un chiaro esempio di come la recente evoluzione dei comportamenti demografici e familiari (e le modificazioni quantitative che ne derivano) rappresentino un forte ostacolo ad un armonico sviluppo del sistema sociale ed economico del suo territorio. Una regione, dunque, a rischio concreto di implosione demografica e sociale se non saranno messi in campo strategie a livello nazionale e locale quanto meno per temperare le forti criticità prima segnalate.
La diminuzione della natalità, oltre alle conseguenze esaminate in precedenza, sta causando la riduzione numerica della popolazione giovanile: i giovani stanno divenendo sempre di più una risorsa rara. Di contro, l’aumento continuo della sopravvivenza sta gonfiando a dismisura le classi di età più elevate. Ricordiamo che questi trend demografici non rappresentano una prerogativa della popolazione italiana, ma sono un tratto comune a molti Paesi sviluppati. In Italia, però, questi accadimenti si caratterizzano per la forte intensità e velocità, provocando un intenso “inverno demografico”, che si avvia a divenire molto “severo” con conseguenze sociali ed economiche di grande impatto, per esempio anche sul mercato del lavoro e sul sistema pensionistico, per citarne soltanto due.
Recentemente la CGIA di Mestre in un suo Report ha mostrato, sulla base degli ultimi dati Istat disponibili, gli effetti della natalità sulle età giovanili, e in particolare nella fascia tra i 15 e i 34 anni, che è il segmento in procinto di entrare nel mercato del lavoro o che vi è entrato da poco, evidenziandone il calo nell’ultimo decennio e rimarcando i decrementi differenziali a livello regionale e provinciale. Per l’autorevolezza della fonte, quest’analisi ha avuto una vasta eco nei media, con considerazioni e prese di posizione e proposte a volte estemporanee da parte di commentatori politici, commenti che denotano una scarsa conoscenza dell’impatto delle dinamiche demografiche sulla società mentre, come le esperienze della storia sociale passata e più recente insegnano, far nascere più figli in un paese, e nel nostro in particolare, richiede una politica demografica razionale e molto pervasiva, di non facile implementazione, con corposi investimenti finanziari di lungo periodo che vadano a incidere in modo profondo sulla vita delle famiglie, in modo da creare un clima favorevole verso una prole più numerosa; che sappia trasformare l’immigrazione da problema a risorsa strategica.
Politica demografica fino ad oggi da noi del tutto assente, a parte alcuni interventi: semplici “ristori” alle famiglie che hanno già dei figli. Dai dati del Report della CGIA si coglie ancora che le regioni del Mezzogiorno negli ultimi dieci anni hanno occupato le prime posizioni nella graduatoria delle regioni italiane per diminuzione della popolazione giovanile (15-34 anni), con riduzioni che vanno da -19,9% della Sardegna a -19.0 della Calabria, che è il valore negativo più elevato del Mezzogiorno dopo la Sardegna, e via via fino ad giungere al -12,7% della Campania, a fronte di un calo medio dell’Italia di -7,4%. Ricordiamo che, sempre nello stesso periodo, il calo della numerosità della fascia giovanile nelle altre ripartizioni italiane è stato molto contenuto: Nord- Ovest -1,0%; Nord-Est -0,5%; Centro -6,6%.
Gli effetti della denatalità sulle popolazioni giovanili del Mezzogiorno si associano a livelli di disoccupazione molto elevati. Ricordiamo che nel 2022 i tassi di disoccupazione giovanile (15-24 anni di età) di queste regioni sono i più alti d’Italia: Sicilia 43,2%, Campania 42,6%, Calabria 34,8%, Puglia 32,0%, Molise 30,8%, Sardegna 27,4%, Basilicata 25,1%, Abruzzo 23,8%, valor medio Italia 23,7%. Secondo le previsioni Istat, ipotesi mediana, nel 2030 la popolazione complessiva della Calabria dovrebbe ridursi a 1.755.756, nel 2040 a 1.646.306, nel 2050 a 1.516.652 e addirittura a 1.236.168 abitanti nel 2070. Sulla base di queste previsioni la fascia dei giovani calabresi conoscerà una ulteriore e continua diminuzione, passando da 395.436 giovani del 2023 a 267.758 nel 2050 (-32,3%): una risorsa dunque sempre più rara ma nel contempo sempre più fragile.
Questi dati, insieme con gli alti tassi di abbandono scolastico e livelli educativi bassi osservati, marcano un’area del Paese, e la Calabria in particolare, con un grave disagio sociale che sarà ancora più acuto se andrà in porto l’autonomia differenziata, che costringerà le giovani generazioni del Mezzogiorno a emigrare verso le aree più ricche del Paese, dove avranno la possibilità di trovare più facilmente un lavoro e salari più elevati. Coloro i quali resteranno andranno verosimilmente incontro ad una vita lavorativa precaria e frammentata, destinata a concludersi,”, con una pensione molto prossima a quella sociale, stante il sistema pensionistico attuale del “retributivo puro.
In epoca recente la mobilità degli italiani è cresciuta notevolmente. Questo aspetto si coglie chiaramente dalle statistiche dell’Aire – l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero. Infatti, negli ultimi diciotto anni il numero degli iscritti all’Aire è raddoppiato, passando da 3 milioni 106 mila del 2006 a 6 milioni 134 mila nel 2023. Ciò è da attribuire, oltre all’accresciuta mobilità degli italiani, anche alla maggiore consapevolezza che l’iscrizione all’Aire è il requisito essenziale per poter usufruire di tutta una serie di servizi forniti dalle rappresentanze consolari.
L’esame degli espatri degli anni più recenti, oltre a confermare che la gran parte di essi riguarda i giovani e i giovani adulti, fa emergere anche un aspetto nuovo, e cioè l’aumento degli espatri nell’età adulta (classe 50-64, incremento del 21,0%), ma soprattutto quello dei pensionati (classe 65 e oltre, incremento del 43,4%), fenomeno, quest’ultimo, ancora tutto da analizzare. Da questa fonte, anche se lacunosa ma comunque importante, si coglie anche quanto sia consistente la comunità dei calabresi all’estero, conseguenza in parte della sua storia passata ma anche della nuova mobilità: nel 2023 è la Sicilia ad avere la popolazione residente all’estero più numerosa, 815 mila iscritti all’Aire, seguono Lombardia con 611 mila iscritti, Campania con 549 mila, Veneto con 526 mila, Lazio con 502 mila e la Calabria con 441 mila iscritti, che risulta altresì una delle prime regioni per incidenza rispetto alla popolazione residente (24%). Dunque, un patrimonio di persone molti dei quali possiedono un livello di istruzione elevato; importante oltre che dal punto di vista numerico anche sociale ed economico; una comunità fortemente legata alla terra di origine dalla quale si aspetta attenzione e considerazione.
Da regione di emigrazione a regione di immigrazione e di accoglienza. Sono questi anche altri due tratti importanti che si colgono da uno sguardo alla Calabria degli ultimi decenni. Ricordiamo che al censimento del 2023 la popolazione residente straniera in Calabria è risultata essere 99.097 su una popolazione di 1.838.568 (incidenza 5,4%; valor medio italiano 8,8%). Ricordiamo ancora che a fine 2023 sono stati oltre 6 mila i presenti nelle strutture di accoglienza regionali e che la Calabria si colloca al decimo posto per numero di persone accolte.
Questo fenomeno, pur ancora poco rilevante sia numericamente sia per incidenza sulla popolazione residente è comunque in crescita e sta trasformando sempre di più la nostra regione in una società multi etnica e multi culturale, facendo emergere è vero nuovi problemi, come quelli connessi per esempio all’integrazione, pur tuttavia non dobbiamo dimenticare gli indubbi apporti postivi dei lavoratori immigrati al settore agricolo, a quello dell’edilizia, all’assistenza familiare e il loro contributo alla crescita del Pil regionale. (gdb)
[Giuseppe De Bartolo, già ordinario di Demografia Università della Calabria]