IL MEDITERRANEO TEATRO DELL’ECONOMIA
MONDIALE: COLTIVARE LA VISIONE STORICA

di ERCOLE INCALZA – Il Mediterraneo è uno dei più grandi teatri della economia mondiale. Nel 1983, proprio agli inizi della stesura del Piano Generale dei Trasporti l’allora Ministro dei Trasporti Claudio Signorile ritenne opportuno che si affrontasse l’approccio alla redazione del Piano tenendo conto anche delle caratteristiche storiche, dei fattori esogeni ed endogeni che, direttamente o indirettamente, avevano condizionato la crescita e lo sviluppo del Paese e quelli che, in futuro, avrebbero potuto condizionare l’attuazione di alcune linee strategiche. Incontrammo, quindi, prima lo storico Fernand Braudel che ci indicò delle linee metodologiche utili per una lettura dei fenomeni che avevano, nel tempo, condizionato la crescita e ne avevano ritardato la sua naturale evoluzione. Dopo fu incaricato formalmente, tra gli esperti preposti alla redazione del Piano, il professor Valerio Castronovo. Trovammo, in particolare, interessante che i due storici erano convinti della importanza del teatro economico rappresentato dal bacino del Mediterraneo.

Fernand Braudel, quindi, prospettò solo una serie di approcci utili per una lettura organica delle evoluzioni che avevano caratterizzato la crescita e lo sviluppo dei commerci e delle logiche trasportistiche soprattutto nell’intero bacino del Mediterraneo. Un approfondimento che poi abbiamo trovato nella famosa pubblicazione del libro: “Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II”. L’opera ha innovato profondamente la nostra visione della vita europea e mediterranea nel Cinquecento: allo schema tradizionale della crisi sopraggiunta come conseguenza delle nuove vie di navigazione atlantica, Braudel contrapponeva – con la forza di convinzione che derivava da una conoscenza precisa di fonti sterminate – la  visione di un mondo ancora pieno di traffici e di contrasti, di tensioni e scambi, di cui erano partecipi, direttamente o indirettamente, non solo i Paesi rivieraschi, ma anche Stati lontani. In altre parole, la vitalità dell’area mediterranea risultava dirompente ed essenziale, per le civiltà del vecchio mondo, ancora per tutto il XVI secolo.

Valerio Castronovo invece, seguì tutti i lavori del Piano e approfondì le interazioni tra le grandi aziende industriali del Paese e la loro incidenza nelle fasi di crescita non solo del Paese ma del sistema di Paesi al contorno del nostro. Altro suo contributo fu quello relativo alla distinzione tra ambito continentale ed ambito insulare e, all’interno di tale distinzione, la difficile tematica territoriale: una continuità territoriale possibile quella con la Sicilia ed una impossibile quella con la Sardegna e poi il rapporto tra il nostro Paese ed i Paesi che si affacciano sul bacino.

Per Valerio Castronovo le interazioni politiche trovavano sempre il Mezzogiorno come cerniera capace di amplificare la crescita e lo sviluppo. In vari interventi Castronovo ribadiva sempre che il Regno delle due Sicilie conteneva nel nome già un chiaro riferimento sull’autonomia di un territorio che poteva diventare un ottimo spazio di autonomia governativa. Il Mediterraneo per quel Regno era una occasione per relazionarsi con tutti i Paesi che si affacciavano su tale bacino, ma senza dubbio anche un facile rischio per far crollare il ruolo e la funzione dello stesso Regno. Castronovo, poi, comparava sempre le due Italie quella del Centro Nord e quella del Sud in termini di potenzialità e di incisività logistica, ribadendo che “il Centro Nord ha interessi ben strutturati e si interfaccia con l’Europa e, quindi, con realtà economiche forti, il Mezzogiorno, invece, si interfaccia con un numero elevato di Paesi, quelli del Mediterraneo, che avevano forti potenzialità di crescita e forti evoluzioni proprio in alcune filiere commerciali”. Noi in realtà pur avendo disegnato una ottima Costituzione non abbiamo, sempre secondo Castronovo, inciso minimamente su un approccio organico sulla intera area che con i Borboni era la stessa di quello che ora chiamiamo Mezzogiorno.

Le iniziative industriali del Sud, tra le più importanti quella dei canteri navali di Palermo avviati nel 1897 su iniziativa della famiglia Florio, non erano state supportate da azioni dello Stato; bisogna arrivare al dopo guerra, addirittura negli anni ’60, per trovare interventi diretti dello Stato, alcuni fallimentari come le Aree di Sviluppo Industriale (ASI) (46 identificate e approvate urbanisticamente e solo 9 avviate concretamente) e i grandi complessi industriali come la FIAT a Termini Imerese, come la Liquichimica a Ferrandina, il centro siderurgico e poi il polo logistico a Gioia Tauro, come la Montedison a Brindisi e l’ILVA a Taranto.

In realtà, secondo Castronovo, avevamo perso nel Sud il riferimento geografico unitario borbonico ed avevamo solo ottenuto un impegno dello Stato a creare condizioni di sviluppo. In più occasioni Castronovo, nelle riunioni di lavoro del Piano Generale dei Trasporti, ricordava che forse l’approccio unitario all’intero Mezzogiorno, un approccio seguito fino alla fine della esperienza borbonica, era crollato con la istituzione delle otto Regioni. Castronovo non intendeva con questo invocare la istituzione di una macro regione ma voleva solo evidenziare la perdita di una visione unitaria di ciò che chiamavamo Mezzogiorno e quindi del suo ruolo strategico nel Mediterraneo.

Castronovo in modo lungimirante ribadì la opportunità di evitare un conflitto fra il Mar Mediterraneo ed il Mare del Nord; i due Mari dovevano invece essere una occasione di ricchezza della intera Unione Europea e ricordo che accolse con grande entusiasmo la istituzione nel 2005 del Corridoio comunitario delle Reti TEN – T Genova – Rotterdam. In fondo avendo seguito in modo capillare la evoluzione del sistema imprenditoriale del nostro Paese precisava sempre che per una impresa piccola, media, grande, la ubicazione di una offerta portuale, l’accesso e la qualità gestionale di un impianto portuale, devono essere slegate da logiche di schieramento e da principi puramente localistici. Ricordo che in un convegno avevo denunciato come una anomalia logistica quella dell’invio dei container dall’interporto “Quadrante Europa” di Verona a Rotterdam e non a Genova o a Trieste. Lui mi disse: “Sono porti della Unione Europea, convertiti alla efficienza della offerta logistica e non ai colori e alla storia del passato; il Mediterraneo ed il Mare del Nord sono occasioni da sfruttare e non possono in nessun modo essere occasioni di potere; la logistica insegue solo le offerte efficienti”.

Ho preferito fare riferimento, parlando del Mediterraneo, a due storici e non a grandi economisti o a soggetti politici o istituzionali perché ritengo che forse la loro onestà mentale ci aiuti a capire tante scelte infelici che spesso hanno compromesso i successi del nostro Paese all’interno del Mediterraneo. (ei)

SIGNORILE: IL NO AL PONTE SULLO STRETTO
CI È COSTATO ALMENO 8 MILIARDI L’ANNO»

di SERGIO DRAGONE – «Io sono convinto che il Ponte sullo Stretto si farà, prima o poi, perché è la logica della convenienza ad imporre tale scelta. Non farlo sarebbe un suicidio, non solo e non tanto per Calabria e Sicilia, quanto per il Mezzogiorno, il Paese e per l’intera Europa». Claudio Signorile, ministro dei trasporti dal 1982 al 1987, è da sempre uno strenuo e netto sostenitore del Ponte sullo Stretto. Non a caso. A lui si deve nel 1985 la firma della concessione alla Società Ponte di Messina. «Sì – ricorda – c’era Bettino Craxi presidente del Consiglio e Nicolazzi era ministro dei lavori pubblici. Fu il primo passo, importante, ma quanto tempo si è perso».

Claudio Signorile è ancora oggi una delle personalità più significative del Meridionalismo, di cui ha una visione moderna e attuale, proiettata verso il futuro in un’ottica internazionale.

– Professor Signorile, da dove nasce questo suo ottimismo al punto da affermare che il ponte si farà ?

«Il mio non è ottimismo. È una netta convinzione che ho solo rafforzato negli anni. Sarà la convenienza generale dell’Europa a dettare la costruzione del ponte, superando resistenze e tentennamenti. Il ponte si farà. L’ordine del giorno approvato dalla Camera con cui s’impegna il Governo a reperire le risorse è un passo importante. Ma bisogna fare presto e bene».

– Cosa direbbe ad uno scettico per convincerlo a sposare la causa del ponte?

«Gli direi innanzitutto che il Ponte non è solo un ponte. Sembra una banalità, ma non è così. Il Ponte come io lo immagino è un sistema complesso, infrastrutturale, economico e sociale che determinerà straordinari effetti positivi sull’intero Meridione. Non è solo un ponte perché sarà il centro di complesse relazioni economiche, politiche e sociali nel cuore del Mediterraneo. Io insisto sulla visione mediterranea perché l’area è crocevia di culture e interessi economici, nonché l’area in cui si registrerà in futuro uno dei più alti tassi di sviluppo».

– Calabria.Live ha aperto un dibattito su un aspetto trascurato, il valore simbolico dell’opera.

«È un’intuizione giusta la vostra, che condivido pienamente. Aggiungerei però all’aspetto simbolico anche il valore identitario del ponte. Identitario di un Meridione che abbandona l’isolamento e si tuffa senza paura nel futuro. Capisco la gelosia con cui i siciliani custodiscono la loro cultura isolana, ma bisogna avere il coraggio di affrontare nuove sfide, di guardare nuovi orizzonti. Ma come si fa a non vedere i vantaggi derivanti dal ponte? Con l’alta velocità il porto di Augusta, faccio solo un esempio, si collegherà rapidamente al porto di Amburgo, nel cuore dell’Europa, aprendo tante prospettive».

– Nell’intervento con cui ho aperto su Calabria.Live il dibattito sul Ponte sullo Stretto l’esempio del ponte sull’Øresun, in Scandinavia. Lo ritiene calzante?

«Assolutamente si. L’Øresun è la dimostrazione del potere rivoluzionario che un’opera del genere può sprigionare. Voi avete sottolineato che l’Øresun ha generato risorse per 12 miliardi di euro in dieci anni contro i 4 miliardi necessari per la sua costruzione. Ebbene, Il Ponte sullo Stretto, per la sua capacità di proiettarsi nel centro del Mediterraneo, avrà un potere ancora più forte, recuperando in un arco temporale relativamente breve il costo iniziale. Sapete quanto è costata all’Italia la mancata realizzazione del Ponte sullo Stretto? Almeno 8 miliardi all’anno. Un’enormità, un autentico suicidio».

– Professor Signorile, lei ostenta ottimismo, ma avrà pure qualche elemento di preoccupazione?

«Sono preoccupato dei tempi, del rischio che si perdano le nuove opportunità derivanti dalla ripartenza economica europea. Sono preoccupato dalla lentezza con cui avanza la consapevolezza dell’estrema utilità dell’opera. I siciliani sono un po’ indietro. I calabresi, anche grazie a dibattiti come questo, cominciano a riflettere seriamente. Ma non si possono rinviare le decisioni all’eternità.Le due Regioni direttamente interessate mi sembra abbiano un atteggiamento timido. Sono convinto però che siamo alla vigilia di decisioni importanti. Il ponte si farà». (drs)